Il volumetto che presentiamo può essere utile ai lettori per una serena esperienza del periodo quaresimale. Oltre la rinuncia. Andando al centro della fede cristiana, Gesù Cristo nostro Signore, morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini.
Quattro sono riflessioni di Karl Rahner, tenute in vari ambienti formativi, specialmente a Innsbruck. Nell’introduzione, curata da A.R. Batlog e P. Suchla, si fa notare come lo studioso fosse una persona molto serena, concreta, educata nella spiritualità dal decorso tranquillo dell’anno liturgico. Alieno da ogni esagerazione devozionistica, si ricorda come avesse detto «Una sola basta», riferendosi alla candela accesa davanti alla Madonna alla quale un’amica voleva aggiungerne un’altra…
La prima meditazione – “Martedì avanti le Ceneri” – è occasionata dal martedì grasso ed è incentrata sul “riso”. Il riso sereno, pacifico, spontaneo, non forzato o ridanciano dell’uomo che sa di esser limitato e non onnipotente. Non sempre impegnato in cose serie che gli impediscano dal sorridere alla vita, a un fiore, a una barzelletta. È la dignità del figlio di Dio che si sa amato dal Padre, che nella Bibbia è descritto anche come sorridente. Un’immagine e una figura dello spirito di Dio stesso. Egli ride dell’uomo, anche del sacrilego, ride commiserando imperturbato, dal momento che egli stesso ha partecipato in prima persona al pianto. Celebrare il riso è celebrare «un’eco, attutita, del riso divino, che pronunzia il giudizio su tutta la storia» (p. 31). Anche ai piangenti è promesso il riso. Un mistero rabbrividente il riso della condizione assoluta e definitiva, proprio di coloro che hanno trovato misericordia e sono stati salvati. Nelle altezze «sarà cosa ultima (come negli abissi il pianto ininterrotto)» (p. 32). Nel riso innocente e amichevole della vita quotidiana si cela un mistero di eternità, perché indica come un uomo sia in accordo con la realtà, «proclama quell’armonia onnipossente ed eterna, nella quale i salvati un giorno diranno a Dio il loro amen per tutto ciò ch’egli ha operato e fatto accadere» (p. 33). Ride Abramo e ride Sara, all’annuncio del figlio insperato. Non si sa se rida l’incredulità o la fede. Ora ridiamo in questo giorno – afferma Rahner – perché il nostro riso esalterà Dio perché confessa che siamo uomini, confessa che siamo dediti all’amore, perché è un riflesso e un’immagine di Dio. «Dio ci ha preparato un riso, vogliamo dire, e – ridere» (p. 34).
Il Mercoledì delle Ceneri porta con sé il segno austero delle ceneri, segnato sulla fronte con una croce nel ricordo che siamo polvere e in polvere ritorneremo. È il segno del Figlio dell’uomo. Si rende visibile quello che siamo: uomini della morte, e della redenzione. È una parola sull’uomo intero, anche se l’anima è immortale. Una parola forte che colpisce tutto quello che è nell’uomo: spirito e corpo. Parola – polvere –, che proviene da Gen 3,19, ma è presente anche in Sal 102,4 e nell’amaro realismo di Qo 3,20. Polvere riconosce di essere anche Abramo (Gen 18,27) e Qo 12,5-8 descrive liricamente lo spegnersi dell’uomo. Polvere è ciò che è consunto, l’anonimia, immagine del nulla, dispersa e calpestata alla cieca. Figura dell’effimero, di ciò che non “tiene”. Dio dice all’uomo: Tu sei polvere, tu, in tutta la tua integrità. Dio non dice all’uomo che egli sia solo polvere; è una formula esistenziale, non una definizione essenziale completa. La Scrittura ha ragione: siamo polvere. L’uomo è spirito, così da poter conoscere Dio, di sapere di essere davanti al Santo, intendendo in virtù del proprio spirito chi egli sia in se stesso: polvere e cenere. Se lo spirito si volesse esaltare perché spirito immortale, che altro direbbe se non una banalità, cioè di essere destinato a essere sottoposto al giudizio, di essere nullità, di non poter attingere l’infinito? L’uomo si sperimenta polvere, e potrebbe disperarsi e odiare gli altri esseri umani per disperazione di sé. “Polvere” ha una stretta affinità come la parola “carne” presente nel Nuovo Testamento. Indica l’uomo nella sia totalità, proprio nella sua distinzione radicale da Dio, nella sua fragilità, nella sua debolezza intellettuale e morale, nella sua separazione da Dio, che si esprime nella colpa e si manifesta, di conseguenza, nella morte. L’uomo è polvere è equivalente a dire l’uomo è “carne”.
Ma il Verbo si è fatto carne e questo è un annuncio di salvezza. Addirittura si può ricordare anche al Verbo incarnato ciò che vien detto all’uomo… Memento, homo… Il Verbo è diventato carne che soffre fino alla morte, polvere dalla fragilità effimera. Ma questa carne è diventata caro, cardo salutis (Tertulliano). La carne è il punto su cui ruota la salvezza. Nello stesso tempo, imprime un movimento che, passando attraverso la nullità e lo smarrimento simboleggiati nella “polvere”, fa entrare nella vita, nell’eternità, in Dio.
Chi crede e ama, immergendosi totalmente nel sentirsi polvere, soffre del significato originale delle parole udite, ma sente che esse hanno cambiato senso con la discesa di Cristo entro la polvere della terra. La polvere è convertita in slancio dinamico verso l’alto, in un’ascesa al di sopra di tutti i cieli. Il cristianesimo non aggira la polvere e la carne, ma si compie attraverso di esse, col passarvi dentro. Ci viene detto: «“Memento qui pulvis es”, ma ci si annuncerà, nello stesso tempo, che siamo i fratelli del Dio incarnato, si proclamerà su tutti noi: nulla, che è ricolmo di infinito; morte, che va gravida della vita; inanità, che libera, che è carne di Dio per l’eternità» (p. 47). La vita continuerà certo con la sua prosaicità e sofferenza. Ma «La croce di cenere […] non è altro che il rinnovato inizio del cammino sulla via del ritorno alla polvere, e il sacramentale, anch’esso, è immagine e somiglianza della dimessa realtà di ogni giorno nel suo fluire, e insieme dello splendore di gloria in esso occultato» (p. 48).
“La Quaresima” è il titolo della terza meditazione. Per i cristiani essa inizia prima e si prolunga ben oltre il tempo canonico. C’è una quaresima della vita che non ha niente a che fare con l’astenersi dal piacere. C’è una vita in cui si sente la mancanza di una vera esperienza di Dio. Se ne sente l’assenza, ma forse è l’assenza di un Dio costruito da noi stessi, dalle nostre idee e aspettative. Ma c’è un altro Dio, quello della parola di Dio che è vicino e dona quotidianamente una forza che arricchisce e fa vivere la Quaresima santa.
“Tentazione nel deserto (Mt 4,1-11)” è la brevissima meditazione conclusiva (pp. 67-74), che precede il capitoletto su “Le Fonti” (pp.75-78). Gesù fu tentato in quanto essere umano vero, pur essendo Figlio di Dio. Egli rispose al tentatore come deve fare ogni cristiano: prendendo su di sé la realtà che fa male, la solitudine, la povertà, l’impotenza di rendere diverso il mondo attorno a noi e dentro di noi. Non ci si aspetta dal cristiano prestazioni religiose grandiose, ma di assumere con umiltà il reale. In tal modo anche il Padre ci assumerà in sé con tutta la sua autorità e non ci abbandonerà nella solitudine. Dirà a ciascuno di noi. «Sei tu il mio figlio, ti ho amato di amore eterno».
R. Mela, in
SettimanaNews 13 febbraio 2021