Docente di teologia fondamentale (Passau) e noto ecumenista di Monaco di Baviera, Neuner rielabora qui un’opera sul laicato del 1988 e mai tradotta in italiano; versione originaria, redatta a ridosso del Sinodo dal quale sarebbe scaturita la Christifideles laici (CFL) di s. Giovanni Paolo II. Da allora, l’A. deplora una nuova insorgenza di certo clericalismo che non demorde dal definire il ‘laico’ solo in chiave negativa come “non chierico”. Spinto dal vento di novità portato dal pontificato di Francesco, Neuner riprende la questione arricchendo il dossier sul Vaticano II che volle fare “un balzo innanzi” cercando di scongiurare le derive ierocratiche post-tridentine incentrandosi sul rapporto tra laici e chierici ricusando la suddivisione in “Stati di vita”.
Il volume si struttura in quattro parti non del tutto omogenee: la 1a dedicata al concetto di laico nella storia (21-92); la 2a al Vaticano II (95-113); la 3a agli sviluppi postconciliari (117-172); la 4a a riflessioni sistematiche (179-233).
L’analisi biblico-storica rende conto della fondamentale comunione esistente nella Chiesa primitiva in cui il termine laos indica tutto quanto il popolo cristiano. Le più antiche attestazioni del termine laikos risalgono, come noto, alle lettere “clementine”, agli alessandrini e, in ambito latino, a Tertulliano che, ricalcando termini socio-giuridici contemporanei riprende la suddivisione in ordines e il termine plebs (exh. cast. 7). A ciò segue un consolidarsi dell’ordo prebiterale e la deplorevole emarginazione della nozione di sacerdozio regale. Si ribadisce comunque che la distinzione tra plebs e ordo, ovvero tra laikoi e persbyteroi non inficia la fondamentale comunione ecclesiale. Eco di tale realtà si trova nel motto nemo invitis ordinetur che risuona in due classici pronunciamenti papali di Celestino I e Leone I, ma anche nel divieto di ordinazioni assolute di Calcedonia. La prospettiva è quella della comunione e del servizio, memorabilmente espressa da Agostino (cf. “con voi / per voi…”; serm. 340).
La teoria gelasiana dei due gladii documenta una certa incrinatura e subordinazione del ministero laicale rispetto a quello sacerdotale (44), preludio al netto dualismo clericalista di Graziano (54). A ciò si aggiunge l’emergenza di una “terza classe”, quella dei monaci che, con la loro stessa presenza, confineranno quasi definitvamente i laici nella sfera secolare e tenderanno a informare del loro stile di vita quello presbiterale (cf. il celibato).
Lo sviluppo medievale è noto: la progressiva affermazione di superiorità clericale rispetto ai laici anche dovuta alla politica pontificia nei riguardi del potere politico. Un ruolo eminente dei laici si manifestò nelle crociate e nei movimenti pauperistici, di fatto stigmatizzanti abusi clericali. Però, tra XII e XIII secc., anche a causa di “scomodi” movimenti evangelici carismatici (cf. Valdo), l’autorità clericale si impone, specie col divieto di predicazione dei laici o la clericalizzazione dei frati (cf. Francescanesimo). Il laico si riduce perlopiù ad idiota, illitteratus, subditus in opposizione al clericus (sacerdote o monaco). Interessante la valenza del termine Laie ancora presente nel tedesco odierno a designare ciò che è dilettantistico, amatoriale, non specialistico (66). A fronte di questa degenerazione, la Riforma luterana accamperà notevoli pretese radicate nel Battesimo e nel sacerdozio comune (68s), sino a giungere ad una radicale desacralizzazione del ministero. Le risposte in senso contrario del concilio tridentino sono conosciute e sfoceranno nel famoso assioma della chiesa come societas inaequalium proprio dell’ecclesiologia moderna e del CIC del 1917. Eppure, tra la fine del XIX sec. e gli inizi del XX sec. si profila un rinnovato pensiero circa il laicato sia mediante laici stessi (cf F. von Baader, J. Görres, M. Blondel, F. von Hügel…), sia tramite esimi teologi (J.A. Möhler, J.H. Newman, I. von Döllinger). È pure il tempo del cosiddetto “americanismo” (la diffusione delle idee di libertà, democrazia…), del Sillon in Francia (M. Sangnier), dei Democratici cristiani in Italia (R. Murri), dell’associazionismo tedesco (A. Kolping). A fronte di tali iniziative, la gerarchia risponde con la proposta di un laicato attivo e cosciente, ma docile alle istanze dei pastori (Azione cattolica). È comunque nella sacra gerarchia che sta l’essenza della Chiesa.
La seconda parte illustra la concezione teologica del Vaticano II circa il laicato, riproponendo i testi classici (LG II e IV, AA), ma anche spunti desunti dal rinnovamento liturgico (SC 14; 48) e dalla teologia della presenza della chiesa nel mondo (GS 36, 43, 76). L’a. non si nasconde comunque il problema ermeneutico della ricezione degli scritti dell’assise (111ss).
La terza parte esamina il magistero post-conciliare e muove dalla considerazione di una certa rivincita ottenuta dalla “minoranza” conciliare e del manifestarsi di una contrapposizione tra una corrente progressista (“democrazia funzionale) e una conservatrice (“tendenze neoclericali”) (121). Segue poi la descrizione del sorgere dei ministeri laicali, del sinodo di Würzburg in RFT (1971/75) le cui istanze furono respinte da Roma. Tra i momenti ecclesiali spicca il Sinodo del 1987 con al centro la categoria di communio, ma anche coi suoi dibattiti sui ministeri, sui movimenti. A dire di Neuner è comunque la categoria di communio hierarchica che prevale e il sinodo non si esprimerà su temi delicati come i viri probati, l’ordinazione diaconale delle donne ecc. (139). L’esortazione apostolica post-sinodale CFL è valorizata sotto vari aspetti, specie nel suo tentativo di «evitare una clericalizzazione dei laici e una laicizazione del clero» (142). Il testo si interroga quindi sul tema “Laici alla guida delle parrocchie?”, argomento ostico, ma ahimé molto sentito in ambienti (sempre numerosi) con carenza di clero. Varie sono le sfumature teologiche dell’argomento: da W. Kasper, non chiuso all’esperimento dei viri probati, alla denuncia di K. Koch di una protestantizzazione della chiesa. Notevole attenzione è riservata al testo della CDF del 1997, Istruzione su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti. In esso spicca il non licet della predicazione omiletica e la problematica delle comunità senza sacerdote è affrontata in modo tradizionale (pastorale e preghiere per le vocazioni). È enfatizzata la ricezione negativa specie in ambito germanofono.
Gli sviluppi ulteriori documentano chiese ormai abituate (se non soddisfatte) di una guida non presbiterale: dalla Svizzera dei Pastoralreferent ai makambi congolesi passando per la missa de la madre (cioè la liturgia presieduta da una suora) in Latinoamerica. Si potrebbe pensare anche a tutti gli esperimenti del Nord Europa con i loro consigli pastorali e le adap in ambito francofono (“assemblées doménicales en absence de prêtre”). Si percepisce un’innegabile propensione per la soluzione dei viri probati: «il prezzo che si paga per restare vincolati al celibato sacerdotale è alto» (159). La teologia della liberazione e le comunità di base sono presentate in modo simpatetico (159-162). Si ricordano pure due episodi conflittuali tra iniziative laicali e reazione vaticana: il penoso caso dell’associazione Donum vitae nella Germania riunificata quale tentativo di intervenire in modo laicale nei consultori per l’aborto e il conflitto sul Consiglio diocesano a Ratisbona (tra 2003 e 2005). In entrambi i casi la posizione romana è giudicata severamente. La linea da seguire pare invece indicata dal contemporaneo magistero di papa Francesco (cf. EG 101s).
L’ultima parte riflette su alcuni temi specifici: le varie discussioni circa l’Azione cattolica, con i diversi apprezzamenti in ambito francofono (Y. Congar: con l’enfasi sui tre munera, l’apostolato dei laici oltre l’AC; la non clericalizzazione dei ministeri; G. Philips con coraggiose aperture “incarnazioniste” mirate ad affrancare il laicato dalla mera secolarità). Gli esordi di una spiritualità laicale sono ripercorsi sulle orme di Fr. von Hügel (mistica come “esperienza dell’infinito nel finito”), F.X. Arnold (la vita spirituale nel mondo; cf. de Sales); A. Auer (una santa e operosa apertura al mondo; nella scia di Chenu); H.U. von Balthasar (con l’ideale degli Istituti secolari in cui si manifesta in modo non clericale la ‘femminile’ attività santificante della chiesa: «Il laico guarda con reverenza verso il ministero, senza la cui mediazione non avrebbe alcun accesso alla fonte della salvezza. Il sacerdote guarda però con reverenza al laico, in cui vede lo scopo e il fine della sua funzione di servizio», Sponsa Verbi, 321; cit. 197).
Peculiare illustrazione teologica del postconcilio si ha in K. Rahner che riabilita l’elemento dinamico e carismatico nonché la visione del ministero ordinato come servizio in nome della chiesa all’intrinseco apostolato laicale derivato dall’iniziazione cristiana (198-203).
L’ultimo capitolo è dedicato ai vari (e tutti insoddisfacenti) tentativi di definire il laico; questi è visto come “il non-chierico”; dedito alla sfera “secolare”; il cui sacerdozio differisce “essenzialmente” da quello ministeriale (cf. LG 10, Pio XII) il quale agisce in persona Christi; diversamente partecipe dei tre munera, distinto dal ministro ordinato al quale non deve essere assimilato per via di clericalizzazione. Neuner conclude che «tutti gli sforzi di definire il laicato non hanno portato a nessun risultato plausibile o accettabile in termini generali» e «tutte le qualificazioni positive si sono rivelate incapaci di portare a una definizione. Tutte le volte che si è cercato di darne una descrizione positiva si sono evidenziate caratteristiche che non lo distinguono dal chierico» (224).
Inoltre, per via del diaconato (e del clero) uxorato «i compiti e le funzioni all’interno del matrimonio e della famiglia non possono essere considerati tra i criteri per distinguere i laici dai chierici» (224). Neuner si trova quindi d’accordo con Kasper nel vedere irrisolto il rapporto tra clero e laicato. La conclusione dell’A. è quindi una riflessione mirante a condurre “dal laico al popolo di Dio” (224-233), a dire che il termine laico qualora designi il “membro del popolo” (“cittadino”) si rivela decettivo in quanto non può costituire un “gruppo a parte”. «Alla parola “laico” non corrisponde nessuna realtà che distingua il laico dal cristiano o dal membro della chiesa» (226).
Ciò spiega che il NT non parli di laikoi, ma di “santi”, “fratelli”, “cristiani”… Pastoralmente poi (e seguendo gli studi di P.M. Zulehner, B. Forte, M. Kehl) si registra l’esigenza di rinunciare semplicemente a tale ambigua dicitura. Il ché non significherebbe affatto riorientarsi verso un’ecclesiologia gerarcologica, ma piuttosto verso una seria e forte assunzione della realtà del popolo, all’interno del quale vi sono certo dei servizi (sacramentali e “di fronte” al popolo come il ministero ordinato), ma dove ordinazione degli uni non dice subordinazione degli altri. La chiesa non è democrazia, ma se essa è veramente popolo, gli ideali di partecipazione e di condivisione di responsabilità in ottica di sinodalità e di consenso dovrebbero trovare tutto il loro posto.
Siamo grati a Neuner per rilanciare un dibattito delicato e per averlo fatto con competenza e sincero amor ecclesiae. Ci siano permesse talune osservazioni. Crediamo personalmente che una corretta ripresa del tema del popolo alla luce del Vaticano II imponga di connotarlo ulteriormente con l’aggettivo di “messianico” conforme alla felice intuizione del testo conciliare sulla scorta dei pregevoli studi di Congar e Chenu. Tale indicazione, oltre a richiamare immediatamente i tre munera cristici, evoca in recto il senso pneumatologico e trascendente che il laos ecclesiale comporta e metterebbe subito in campo la questione del sacerdozio regale (argomento sicuramente da approfondire di più per una teologia del popolo) intimamente connessa ai sacramenti dell’Iniziazione cristiana. In merito ci pare che la realtà del Battesimo (e quindi del catecumenato) e poi della cresima come vera e propria “ordinazione al sacerdozio comune” andrebbe sottolineata maggiormente. Gli studi di P. Dabin e poi di A. Elberti esulano purtroppo dalla bibliografia pressoché solo germanofona.
Dal punto di vista storico andrebbe pure segnalato maggiormente quanto la scomparsa della prassi catecumenale abbia influito sull’emergere del clericalismo e sulla parallela insorgenza dell’accezione deprezzativa del laicato. Il volume dà molto peso all’Azione cattolica e alle Comunità di base, tralasciando quasi del tutto altre realtà ecclesiali come l’Opus Dei e soprattutto i nuovi Movimenti e comunità, protagonisti nel postconcilio e ora giustamente messi in risalto dal magistero ufficiale (cf. CDF Iuvenescit ecclesia, 2016). In tali esperienze appare fondamentale la presa di coscienza della rilevanza e della dignità battesimale tout court rispetto ad altre configurazioni ministeriali.
Infine, il titolo originale del libro, Abschied von der Ständekirche: Plädoyer für eine Theologie des Gottesvolkes, evoca la volontà esplicita di congedarsi da una chiesa divisa in “stati di vita”, in nome dell’unicità del popolo di Dio. Ci si domanda se ciò sia veramente possibile e auspicabile.
Pur approvando il rifiuto della contrapposizione chierici-laici, la cosa ci pare eccessiva. Risulta invece arricchente ripensare in chiave trinitaria e storicosalvifica la varietà di forme e stati di vita avvalendosi p.e. della distinzione patristica tra Pastores, Coniugati e Continentes (cf. Gregorianum 85/2 [2003] 312-344). Il recupero teologico di tale triade rende conto di una reale articolazione all’interno del popolo di Dio evitando sia l’ambiguità della categoria di “laici” sia la deriva clericale del secondo millennio. L’orizzonte resta quello caldeggiato dal Vaticano II della comunione nella distinzione all’interno di una prioritaria e fondamentale ontologia di grazia in cui il Battesimo ha il posto principale.
C.L. Rossetti, in
Lateranum 3/2017, 718-723