Due viaggiatori sono in cammino verso casa. Piangono ciò che hanno perduto. Gesù si accosta e cammina con loro, ma i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. Così inizia il racconto dei due discepoli di Emmaus, vicenda che alcuni studiosi dicono è la storia dei «cristiani della terza generazione», cristiani che non hanno incontrato il Signore nella sua vita terrena e che vorrebbero conoscere lo strumentario per incontrarlo nella loro vita. Da questa storia parte Henri Nouwen nel libro La forza della sua presenza. Meditazione sulla vita eucaristica per parlare appunto della presenza di Cristo nell'Eucaristia e per declinare con il racconto di Emmaus i momenti fondamentali della celebrazione eucaristica.
Questo sconosciuto si presenta come qualcuno che sa cosa c'è nel cuore di quei due viaggiatori più di quanto loro sappiano di se stessi. Lo sconosciuto comincia a parlare e le sue parole richiedono una seria attenzione. Egli li aveva ascoltati, ora sono loro ad ascoltare lui. Le sue parole sono molto chiare e dirette. Egli parla di cose che già sapevano. Il loro lungo passato con tutto quello che era accaduto durante i secoli prima che essi nascessero, la storia di Mosè, i profeti, la storia di Gesù... E lì in quella perdita, in quello spaesamento, qualcosa accade nel cuore. Lo confesseranno entrambi più tardi: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto...?».
Applicando questo testo alla nostra quotidianità, Nouwen scrive: «Gesù si unisce a noi mentre camminiamo nella tristezza e ci spiega le Scritture. Ma non sappiamo che è Gesù. Pensiamo che sia uno sconosciuto che conosce meno di noi ciò che sta avvenendo nella nostra vita. Eppure, diciamo qualcosa, percepiamo qualcosa, intuiamo qualcosa: il nostro cuore comincia ad ardere. Nel momento stesso in cui è con noi non riusciamo a capire del tutto ciò che sta succedendo. Non possiamo parlarne insieme. Più tardi, sì, più tardi, quando tutto è finito, potremmo essere in grado di dire: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci Spiegava le scritture?"».
Andando avanti nella meditazione, che scandisce i momenti importanti della messa, arriviamo al momento dell'«entrare in comunione». Nouwen scrive: «Quando Gesù entra nella casa dei suoi discepoli, questa diventa la sua casa. L’invitato diventa ospite. Lui che prima è stato invitato ora invita. I due discepoli che si sono fidati dello sconosciuto fino a farlo entrare nel loro spazio intimo ora sono condotti nella vita intima del loro padrone di casa. Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Gesù entra nell'ordinario, in quello che costituisce il volto più bello dell'umano, il desiderio di incontrarsi e di conoscersi, il desiderio di essere generosi e di dare rifugio. È una cosa che avviene ogni giorno in numerose case. È parte essenziale della vita. È in questa dimensione conosciuta e familiare che possiamo sperimentare il riconoscimento. Scrive Nouwen: «L’Eucaristia è riconoscimento. È la piena comprensione che colui che prende, benedice, spezza e dona è Colui che, dall'inizio del tempo, ha desiderato entrare in comunione con noi. La Comunione è ciò che Dio vuole e ciò che noi vogliamo. È il grido più profondo del cuore di Dio e del nostro, poiché siamo fatti con un cuore che può essere soddisfatto soltanto da colui che lo ha fatto. Dio ha creato nel nostro cuore una sete di comunione che nessuno ad eccezione di Dio può, e vuole, appagare». L’Eucaristia, allora, è connaturale al nostro desiderio profondo. La nostra esistenza anela alla sua presenza, alla sua dimora da noi e in noi.
R. Cheaib, in
Theologhia.com 5/2018