Nel prologo Il dio morto Tomàs Halìk, sacerdote, filosofo e teologo di Praga, partendo da Nietzsche, si chiede: «Quale Dio è morto?»; è morta una certa immagine di Dio. Nietzsche, «il più religioso tra quelli che non credono in Dio», forse è alla ricerca di un Dio che «liberi e che scateni nell'uomo il coraggio, la forza creativa e la responsabilità». L’ateismo critico aiuta la fede dei cristiani, e può esistere un dialogo corretto tra fede e mancanza di fede, tra fiducia e dubbio: è il nucleo di questo libro.
Anselm Grün nel capitolo 1, L'anima conosce l'ateismo afferma che la fede nell'esistenza di Dio convive con i dubbi; cita Pascal, il quale dice che «con la ragione non si può dimostrare né la fede in Dio e neanche Dio stesso» e che, comunque, occorre fare una «scommessa», prendere una decisione. Grün si sofferma sui vari ateismi: l'ateismo che nasce dal dolore per una perdita improvvisa di una persona cara; un'altra forma di ateismo si ha quando si accetta l'idea di Freud che Dio è un'illusione nella quale ci si rifugia per sentirsi più protetti in questo duro mondo.
Il filosofo Halìk parla della sua vita giovanile durante il regime comunista a Praga, della scoperta della fede durante la «primavera di Praga» e durante la repressione successiva: molti preti perseguitati, la scoperta della Bibbia, l'ordinazione clandestina al sacerdozio. Dopo la caduta del regime comunista è rimasto fedele al collegamento tra sacerdozio e professione di psicoterapeuta. Dopo momenti di «buio della fede» ritorna in lui la fede profonda in Cristo. Tra i convertiti alcuni credono in Dio in quanto creatore della bellezza dell'Universo, altri vengono toccati dalla poesia dei Salmi, altri dalla persona di Cristo e dal suo insegnamento.
Il testo si sofferma, poi, sull'ateismo del dolore: di fronte alle esperienze dolorose, al male nel mondo. Non fermarsi al buio assoluto del Venerdì Santo, ma pensare alla luce della Resurrezione: «sono la fede, la carità e la speranza i tre modi con cui si esprime la nostra pazienza di fronte al silenzio di Dio».
Il capitolo 5°, di Grün, è intitolato Fiutare Dio. Gli uomini in ricerca fiutano le tracce del mistero. Secondo Paolo ogni uomo può riconoscere Dio nelle opere della creazione: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). La ricerca di Dio è continua, dura tutta la vita. Chi sono io? Che cosa è la vita? Che cosa è l'uomo? Che cosa o chi è Dio? Lo stupore nelle parole e nelle opere di Gesù produce una forza divina. «Noi ci apriamo al mistero divino che risplende nell'uomo Gesù, nella creazione e nel nostro cuore». Nel cap. 9, Il cammino comune a credenti e non credenti, la Bibbia ci racconta delle storie meravigliose che ci mostrano il mistero di Dio. Viene esaminata la parabola del figliol prodigo. Il giovane che vuole lasciare la casa e vivere subito intensamente somiglia molto ai giovani di oggi. Egli però vive smodatamente e finisce tra i porci. Ora gli appare tutto senza senso; rientra in se stesso e si mette in cammino verso il padre. E ritrova l'abbraccio, il perdono e la vita. Il padre si rivolge con affetto anche al figlio maggiore. Se paragoniamo il figlio minore a un ateo, la parabola vuoi dirci che quello è nostro fratello. Nel dialogo con l'ateismo non dobbiamo disprezzare la vita, che riteniamo dissoluta, degli atei, ma approfittare con gratitudine di quello che ci dona la fede, senza esprimere giudizi severi sugli altri.
Il capitolo 10°, di Halìk, Il non credente che è in me: il mio amico; qui l’autore nota che la Bibbia non presenta la fede sotto forma di definizioni, ma sotto forma di storie. Il battesimo e la fede sono come un seme che cresce per la qualità del terreno e per la cura che ne abbiamo. Anche le persone agnostiche talvolta pregano, sia nei momenti della malattia sia nei momenti di gioia e di gratitudine. Facciamoci amico il non credente che è in noi.
Nell'Epilogo Padre Anselm esamina il discorso di Paolo all'Aeròpago sul «Dio ignoto». Anche oggi gli atei rifiutano quel dio che trovano nel loro ambiente, ma sono aperti a un dio ignoto, a un dio che nessuno conosce. Quando parliamo di resurrezione, come Paolo, molti incontrano difficoltà a comprendere; ma, come afferma C.G. Jung, «questa fede corrisponde pure all'anelito più profondo degli atei stessi». Cristiani e atei possono gioire insieme dell'arte, di ogni dipinto, di ogni statua, e di un brano musicale. Nella musica si ode sempre l'Indicibile, il Trascendente.
Conclusione: si è parlato della «tragicità e dei vantaggi dell'ateismo, ma dando rilievo anche all'incertezza e alla bellezza della fede». «Una buona battaglia della fede non deve significare la vittoria sul dubbio già in questo mondo. Di regola finisce solo nell'abbraccio di Colui che ci attende oltre il limite di tutto l'immaginabile». Bellissimo libro.
M. Dicanio, in
Rocca 6/2018, 61