Dove va la Chiesa? È la domanda che si pone il teologo Dianich in questo libro ricco di quaestiones disputatae ecclesiologiche di fondamentale importanza, che invocano una loro impegnativa riformulazione nel contesto contemporaneo. Tale riformulazione se vuol diventare una vera e incisiva riforma non può che nascere dall’interno della Chiesa stessa. In questo senso, l’affondo dell’A. sul laicato è significativo: la concentrazione del rapporto fra i vertici della Chiesa e quelli della società civile «ha portato con sé la riduzione alla passività e la deresponsabilizzazione dei fedeli» (53). Dianich, tra l’altro, ricorda le difficoltà che molti laici hanno nello svolgimento del loro impegno sociale e politico, in quanto condizionati, molto spesso, dalle direttive dei loro vescovi. Di grande rilievo è la critica che l’A. compie, sulla scorta della storia dell’ecclesiologia, nei confronti di una Chiesa, ancora oggi, connotata da un’impostazione verticistica/societaria che continua ad essere causa «di stili di vita mondani e di carrierismo» (53), una sorta di piaga del clero, per parafrasare Rosmini. A tutto questo si aggiunge la scarsa testimonianza resa dalla povertà evangelica sia delle istituzioni, sia delle persone che in esse vi operano. Un altro aspetto che esige un approccio riformativo è senza dubbio il CJC che non sembra aver recepito la lezione ecclesiologica conciliare e che non avendo affrontato la questione complessa del rapporto Chiesa-mondo, rischia di tradire in profondo la sua natura. Così come anche la mancanza di una codificazione relativa all’esercizio della collegialità episcopale e della sinodalità, implica, talvolta, un deprimente ritorno alla societas ecclesiale: tutto si riduce a ordinare le relazioni dei cattolici fra di loro senza alcuna responsabilità della missione nel mondo, perché tutto si concentra intorno al tema dell’autorità e delle forme del suo esercizio: «un’ecclesiologia autosufficiente, che era del tutto congrua a una società che praticamente coincideva con la Chiesa stessa» (86).
Grosse riserve si presentano nell’utilizzo del concetto di suddito, che è stato bandito dalla Costituzione Americana del 1787 e che ritorna nell’ordinamento del CJC, lessico tipico delle monarchie assolute. Tale termine è presente anche in LG 27, CD 19, NEP 2, a singolare testimonianza di un non completo superamento di un’ecclesiologia di natura prevalentemente giuridica. Un ulteriore motivo di “imbarazzo” nell’ordinamento attuale è la possibilità di celebrare un “secondo” matrimonio a dei battezzati divorziati civilmente in quanto l’ordinamento canonico ritiene quel matrimonio invalido. «Le ragioni teoricamente plausibili di questa normativa cozzano in maniera clamorosa con la situazione esistenziale dei coniugi sposati civilmente, giacché essi si trovano in condizioni assolutamente identiche» (97).
A proposito della teologia del laicato, Dianich ritiene che sia ancora appesantita da una Chiesa che affida il “protagonismo” della sua missione e delle sue decisioni importanti, solo ai suoi pastori; in questa prospettiva però essa «mai potrà essere una comunità che cammina insieme, immersa come un lievito nella società civile, agli uomini e alle donne in mezzo ai quali essa esiste e vive» (107). Nell’attuale ordinamento canonico i ministri ordinati, se non i diaconi, si privano di fondamentali diritti dei fedeli, come quello di sposarsi, di esercitare professioni civili (salva qualche eccezione) e di impegnarsi in politica, aspetti nei quali possono impegnarsi i laici, che restano una sorta di “battitori liberi”. Nel momento, però, di interventi pubblici, in nome della Chiesa Cattolica su grandi problemi della vita sociale e politica, questi li fanno il Papa e i vescovi. Lo stesso Benedetto XVI, nel discorso giubilare dell’enciclica Mater et magistra, aveva affermato che i laici non sono solo esecutori passivi del magistero, ma anche collaboratori preziosi dei pastori nelle singole formulazioni. Le istituzioni ecclesiastiche senza lasciarsi fecondare dalle competenze specifiche dei laici, non possono coprire tutti gli spazi della vita sociale.
Nel parlare della questione del laicato, poi, non si può non parlare del ruolo delle donne all’interno della Chiesa. Su questo argomento, avvalendosi degli studi di S. Noceti, l’A., pur conoscendo le indicazioni magisteriali al riguardo, profila la possibilità di un’ordinazione diaconale della donna, un riconoscimento «capace di non clericalizzare la donna, ma di introdurre nel ministero ordinato la ricchezza dei suoi carismi specifici» (120).
Il bisogno di sinodalità nel cammino ecclesiale conclude questo capitolo e si tocca il tema delle Conferenze Episcopali nelle loro rilevanze giuridiche e pastorali. L’attenzione si sposta sulla loro incapacità collegiale di decidere in maniera obbligante per tutti i vescovi, salvo i casi in cui la Sede Apostolica l’abbia loro concesso. La riaffermazione degli esercizi collegiali dopo il Vaticano II si riallaccia al tema, complesso secondo Dianich, del rapporto tra giurisdizione e ordine, per cui se il sacerdozio era il vertice dell’ordine sacramentale, il ruolo del vescovo era di carattere giurisdizionale. Il Vaticano II ha inteso superarla definendo la consacrazione episcopale quale pienezza del sacramento dell’Ordine e dichiarando che nell’unico atto di consacrazione episcopale vengono assegnati l’ufficio di santificare, insegnare e governare. Tuttavia si continua ad avere l’impressione che il vescovo sia un mandato del Papa a governare la Chiesa e che il suo ministero riguardi per lo più aspetti amministrativi. «Si pensi a quanti vescovi, soprattutto fra i titolari impiegati in uffici curiali, non praticano la predicazione quotidiana, non confessano mai, raramente benedicono matrimoni, eccezionalmente battezzano, celebrano i funerali solo dei preti e delle persone importanti, non visitano i malati se non nelle occasioni ufficiali delle visite pastorali, raramente sono a cena in casa di una famiglia che non sia di persone eminenti» (137). L’andamento dell’assunto magisteriale, come quello di Christus Dominus, evidenzia in maniera apodittica l’ufficio pastorale come l’abituale e quotidiana cura del gregge; gli affari giuridici della Diocesi, però, molto spesso coinvolgono le attività episcopali a discapito della cura pastorale dei fedeli. L’ultimo capitolo si sofferma sulla forma di vita apostolica e sul fatto che i beni e le proprietà della Chiesa possano essere un impedimento alla realizzazione del suo fine evangelico. La pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium ha un significato programmatico e conseguenze più che rilevanti per molti dei temi che sono stati affrontati in questo agile libro. Il fil rouge del testo ruota attorno all’importanza dell’annuncio/comunicazione della fede (tema centrale dell’ecclesiologia di Dianich), che non è un dossier di informazioni che si trasmette senza curarsi del destinatario!
Il bilancio conclusivo su questo testo non può che essere positivo, dove oltre ad evidenziare una profonda e matura conoscenza della materia ecclesiologica, vi è una considerazione di fondo, di primaria importanza, che struttura tutto il percorso metodologico, ossia che la riforma deve apportare un sano e autentico rinnovamento affinché la Chiesa di Cristo possa essere un umile strumento nelle mani di Dio nella tensione verso il Regno.
N. Salato, in
Rassegna di Teologia 56 (4/2015) 664-666