Viviamo in un momento in cui nella crisi della filosofia si è inserita una sorta di filosofia che teorizza la fine della filosofia, come afferma Giovanni Reale (cf. la sua Storia della filosofia antica), e la percezione del filosofo, nell’immaginario collettivo, è sempre più quella di una figura estranea al mondo, ripiegata su se stessa, inutile a volte anche dannosa. A questo si accompagna la tendenza a una involuzione gergale asfittica del linguaggio filosofico, accessibile ormai soltanto agli addetti ai lavori.
La storia del pensiero umano fin dalle origini ha conosciuto lo scetticismo, il relativismo, la sfiducia nei confronti della possibilità della ragione di concettualizzare l’essenza degli esseri esperiti, ma oggi a tutto ciò si sono aggiunti il crollo delle ideologie, del mito della razionalità scientifica e una diffusa, anche se apparente, indifferenza nei confronti delle questioni fondamentali dell’esistenza. In questo senso, in un contesto come quello contemporaneo di crisi generale del pensiero, di ipertrofia della Verstand e atrofia della Vernunft, proporre un saggio sulla filosofia è una scelta davvero coraggiosa. Tornano alla mente le parole del filosofo Luigi Pareyson in Verità e Interpretazione che nell’analizzare il panorama culturale contemporaneo ha individuato, in modo profetico, nel prassismo e nel tecnicismo le concezioni più invasive e pericolose; esse, infatti, attestano quella crisi della filosofia che porta con sé come inevitabile conseguenza la superstizione scientifica, il fanatismo religioso, il trionfo dell’ideologia, tutte strumentalizzazioni queste di un pensiero che ha perso la sua originaria dimensione ontologica e la sua autentica funzione di verità. Nel difendere, allora, la filosofia e nel rivendicare la criticità di una verità che sia plausibile all’uomo contemporaneo, salda nella sua ulteriorità, ma accessibile a una pluralità di prospettive, secondo Pareyson si sceglie la via più difficile, che richiede audacia e coraggio.
Fare a meno della filosofia in favore della scienza o della politica o della religione, o ridurre la filosofia alla riflessione empirica delle cosiddette scienze umane come la sociologia o la psicologia o l’antropologia, o sacrificare la verità alla molteplice ma indifferente varietà delle forme storiche, sarebbe una cosa fin troppo facile. In questo senso l’idea-forza del saggio di Ugo Perrone, che riprende i percorsi seguiti nel tempo dalla ragione umana, accoglie la sfida contemporanea riportando la filosofia «alla portata di tutti»: una breve storia della filosofia presentata sotto forma di racconto «che si renda più affabile e stimolante di quanto non sia già accaduto», per coloro che l’hanno affrontata nel passato, ma anche per chi non le si è mai avvicinato (cf. 5-6).
L’obiettivo che ne deriva è quello di offrire un contributo nuovo per il riavvicinamento a una disciplina dimenticata o spesso sottovalutata. Ed è qui la premura dell’Autore di chiarire che la filosofia non ha mai affidato la propria definizione a una forma espositiva particolare: essa, piuttosto, ha cercato di essere un modo complessivo di rendere ragione della realtà circostante in forma di pensiero e per fare ciò ha costruito un mondo, il suo mondo, si è dotata di un linguaggio, il suo linguaggio e ha scelto la forma espositiva congeniale al proprio mondo intellettuale di riferimento… è così che si è fatta racconto, narrazione (cf. 7).
In queste oltre 300 pagine, dalla lettura scorrevole, si viene introdotti al mondo del pensiero, a quell’anelito universale della ragione umana in ricerca della comprensione della realtà ed emerge come ci sia corrispondenza tra ciò verso cui la filosofia è in cammino e il percorso biografico esistenziale dell’A. Egli dichiara, infatti di avervi preso dimora: «è il mio racconto della filosofia come l’ho appresa e intendo tramandarla» (6), ed è andato all’essenziale operando scelte, frutto di un gesto di libertà, nella convinzione che si possa trovare, in queste pagine, una chiave di lettura a cui non si aveva pensato.
Una dinamica di ricezione e attività, quindi, che si colloca nel dialogo tra ciò che si è appreso e ciò che si è scelto come essenziale in questa lunga vicenda dello spirito: è una «risposta personale, e a tutti indirizzata, alle questioni che il mondo ci pone e ai dubbi che esso suscita in noi, alla meraviglia che sollecita e al dolore che arreca» (7).
La filosofia è una via e, come diceva Russell nella sua Storia della filosofia occidentale, mentre le nozioni scientifiche investono singoli oggetti che non sono indispensabili a ognuno di noi, nella filosofia ne va sempre dell’essere nella sua totalità e quindi dell’uomo nella sua interezza. Nella filosofia ne va di quella verità che, una volta attinta, disvela profondità ben maggiori di ogni conoscenza scientifica, e il senso della filosofia ha un’origine diversa. Esso sorge prima di ogni scienza, e ogni qualvolta l’uomo si risveglia a se stesso. È Albert Camus (cf. Il mito di Sisifo), che ci ricorda che il camminare quotidiano dell’esistenza procede nel tempo ma soltanto un giorno sorge il perché e tutto comincia in una stanchezza che si colora di stupore. “Comincia”, questo è l’importante. La stanchezza arriva al termine degli atti di una vita automatica, ma allo stesso tempo inaugura il movimento della coscienza: lo desta e provoca, il seguito si decide e consiste o nel ritorno incosciente alla catena o nel risveglio definitivo.
In questa impresa Perone dimostra che la filosofia può essere accessibile a tutti perché si pone le ineludibili domande del senso della vita e i minuti sentieri percorsi dagli specialisti della ricerca filosofica hanno un senso soltanto se sfociano nel seno della comune umanità. Non si possono eludere, quindi, le domande che la filosofia ci pone, né persuaderci di aver trovato incontrovertibili risposte attraverso la scienza, ed è proprio della filosofia, dice l’A., affrontare la sfida di un qualcosa che ha la sua oggettività (cf. 7). Misurarsi con l’obiettività di ciò che è stato detto, ma riformularlo nell’unico modo che ne consente la comprensione e cioè nella forma personale: questo è il fascino e la difficoltà della prova a cui la filosofia oggi è chiamata. Il saggio ci rammenta che la dialettica è relazione viva con la realtà. Non è dei simboli della realtà da lui creati che narra il filosofo; egli mostra, bensì, quegli stessi simboli nel loro nascere dalla realtà. Egli non insegna (cf. 16), bensì fa egli stesso esperienza della realtà. La dialettica è, allora, un esperimento ininterrotto sulla realtà per giungere nell’intimo dei suoi strati più profondi e ogni metodo è ritmo, l’instancabile ritmo delle domande e delle risposte. Nessuna risposta, però, è la risposta ultima (cf. P.A. Florenskij, Stupore e dialettica).
L’Autore con umiltà è conscio dei limiti e della non esaustività, ma allo stesso tempo è ambizioso per l’ampiezza del pubblico a cui indirizza l’impresa. Il testo è diviso in 24 capitoli e il viaggio della filosofia, seppur a tappe selezionate, è lungo e articolato: dai primordi della filosofia greca, al suo sviluppo, dal confronto con la rivelazione del Dio cristiano, alla modernità e alla ridefinizione di concetti come esperienza e ragione per e a una ragione come giudice universale; da Hegel al positivismo e alla sua crisi; da Nietzsche decostruttore del logocentrismo occidentale alle ideologie, dalla filosofia analitica alle direzioni e ai temi della filosofia contemporanea, all’ermeneutica e alla questione delle differenze. Il linguaggio utilizzato dall’A. è generalmente accessibile a un vasto pubblico pur essendo rigoroso nel suo modo di procedere.
C. Caneva, in
Lateranum 3/2017, 723-725