Il biblista Antonio Pitta, tra i massimi esperti di esegesi contemporanea e di teologia paolina, nel capitolo I di questo articolato saggio rileva che il tema della dottrina della giustificazione ha connotato il dibattito teologico in tutte le sue stagioni. Poi osserva che la categoria biblico-teologica della giustificazione svolge un ruolo centrale nel dialogo ecumenico. Richiamandosi alla metafora vulcanologica di Albert Schweitzer, si chiede se la giustificazione sia un cratere principale o semplicemente laterale all'interno della teologia paolina.
La ricerca contemporanea sulla giustificazione ha conosciuto tre diverse fasi di svolta: la New Perspective, The Romans Debate e il modello per una teologia paolina. Secondo i sostenitori della New Perspective il cratere principale della teologia paolina non sarebbe più la giustificazione per la fede, ma la partecipazione dell'essere in Cristo. Da parte sua, il nuovo dibattito sulla lettera ai Romani ha cercato di minimizzare la centralità della lettera nella teologia di Paolo, per ridurla a lettera contingente, che risponde a situazioni emerse nelle comunità domestiche di Roma. Gli autori che ne sminuiscono l'importanza e la centralità teologica parlano, piuttosto, di contingenza, di distanziamento, di generalizzazione o di radicalizzazione della strategia retorica dell'apostolo. La terza fase s'interroga su quale sia il miglior modello per la teologia di Paolo. Le posizioni in campo sono diversificate e il dibattito acceso. I ricercatori delle diverse confessioni chiamano in causa non solo Agostino e Lutero, ma direttamente Paolo e la sua teologia. Le domande prospettate sono determinanti: Quale antropologia paolina risalta dalla giustificazione? In che relazione si trovano la giustificazione per la fede e il giudizio finale per le opere? Qual è il contributo dell’etica rispetto alla giustificazione?
Prima di addentrarsi nell'articolazione del tema della giustificazione nelle lettere autoriali di Paolo, l'autore dedica il capitolo II ai suoi prolegomeni. Precisa con argomenti filologici la distinzione tra giustizia, giustificazione e dottrina sulla giustificazione. Nega qualsiasi collegamento tra l'evento di Damasco e il sorgere della dottrina sulla giustificazione, che è certamente posteriore. Ricorda che l'evento di Damasco è descritto con il linguaggio della vocazione e non della conversione e assolve Paolo da ogni responsabilità per la sua condotta di persecutore della "Chiesa di Dio". Dichiara che la giustificazione nella riflessione di Paolo è radicata nella Scrittura e si fonda su solide basi testuali (Gen 15,6; Ab 2,4; Sal 97,2-3; Sal 142,2; Is 40-55; 52,13-53,12). Richiama il retroterra greco-romano, che parte da argomentazioni filosofiche e approda a concezioni forensi (Aristotele, Ulpiano). Cita la letteratura qumranica e intertestamentaria per collegare la giustificazione al giudaismo del secondo tempio. Mette in luce il suo collegamento in senso metonimico con la parola della Croce e la sua sintesi più abbreviata della cristologia paolina (cf. 1 Cor 1,30). Annota che il dilemma della giustificazione sorge in contesti polemici delle lettere paoline (avversari in Galazia), ma ha un prodromo nell'incidente di Antiochia, dove l'apostolo è in antitesi con Pietro e Giacomo. Disquisisce sulla funzione sintattica della locuzione "giustizia di Dio" (genitivo soggettivo, d'autore o d'agente?), finendo per concordare con Agostino: «La giustizia di Dio, non per la quale Egli è giusto, ma per cui noi siamo fatti (giusti) da lui [...]. Siamo, perciò, giustificati da Dio (genitivo soggettivo) in Cristo (genitivo d'autore)» (p. 33). Infine, interpreta il tema della giustificazione in rapporto alla cronologia epistolare, affermando che il dilemma sorge dopo 1-2 Corinti, esplode in Galati, è ripensato con maggiore ampiezza in Romani, per assumere valore preventivo in Filippesi, mentre in Efesini e 1-2 Timoteo assume una predominante connotazione valoriale etica. Nella lettera a Tito la dialettica della giustificazione si estende all'antitesi tra le opere giuste, compiute dagli esseri umani, e l'azione della grazia divina per mezzo di Gesù Cristo, a totale vantaggio della seconda.
Dopo aver circoscritto le lettere autoriali e risolta la questione della cronologia epistolare, in cui la categoria biblico-teologica della giustificazione nasce e si evolve, dal capitolo IIIin avanti si cominciano a esaminare tutti i sintagmi in cui il lessema e le sue lemmatizzazioni sono evocati in rapporto ai grandi temi della teologia paolina (Dio, la fede, la grazia, la legge, la diaconia, la figliolanza divina, la riconciliazione, l'evangelo, l'obbedienza, il peccato, la gloria, il giudizio, la misericordia, l'etica, lo Spirito...). Si ritiene che il tema della giustificazione abbia avuto il suo esordio nella parola della croce (1 Cor 1,18-19) e nella sentenza lapidaria circa le divisioni e i partiti a Corinto (1 Cor 1,30). In entrambe le due proposizioni Paolo avrebbe fatto ricorso con piena libertà alla regola farisaica della g ͤzērâ šāwâ per formulare il paradosso e il contrasto tra la sapienza umana e la follia divina: «Il crocifisso ingenera una sapienza e un vanto paradossale [...]. Dio giustifica i credenti per mezzo della croce di Cristo e li fa essere in lui per la più paradossale delle sue vie» (pp. 41.43). Secondo 1Cor 6,1-11 si è giustificati nel nome del Signore e con lo Spirito: «In una formulazione trinitaria implicita [...]. In pratica Dio giustifica e santifica nel nome del Signore risorto e con l'azione vivificante dello Spirito [...] lo Spirito di Dio rende presente, al di là dello spazio e del tempo, l'evento della giustificazione» (pp. 45-46).
Il capitolo IV presenta cinque proposizioni, tratte dalla seconda lettera ai Corinzi, intorno al tema della giustizia e della giustificazione. Paolo definisce il proprio ministero diaconia della giustizia in vista della riconciliazione. Pitta osserva che nella prima apologia Paolo accomuna le due proposizioni (2Cor 5,14 e 2Cor 5 ,21) mediante il tema della morte per (hypér) tutti gli esseri umani. In 2Cor 5,21 i credenti sono definiti giustizia di Dio, perché «nella sua morte di croce, Gesù diventa la massima rivelazione del peccato ed è trasmessa ai credenti la giustizia di Dio» (p. 50). Si tratta di una formula d’interscambio, in cui si parte dalla situazione di Cristo, si giunge alla situazione favorevole hypér e si conclude con una finale introdotta da hína (affinché), che sottolinea l'esito dell'azione favorevole: «Dio non rese peccato il suo Figlio al posto nostro, ma per noi o affinché i credenti ricevessero in dono la sua giustizia» (p. 50). L'autore afferma che «i credenti sono giustizia di Dio, perché egli li ha giustificati con il paradossale interscambio tra il nostro peccato e Colui che non aveva conosciuto peccato» (p. 51). Per Paolo si è giustificati in modo paradossale, per l'essere in Cristo, si diventa giustizia di Dio, lasciandosi riconciliare con Dio, ma si assume la distanza da qualsiasi forma di empietà o contaminazione (2Cor 6,14-15). Per Pitta «se costitutivo della giustizia di Dio è la giustificazione dell'empio, consequenziale è che tra la giustizia e l'empietà resta una totale incomunicabilità» (p. 57). Si può dire che «giustificati dallo Spirito, si è in grado di esercitare la diaconia a servizio dell'evangelo, secondo una trasformazione progressiva di gloria in gloria [...]. La gratuità della giustificazione non appartiene soltanto alla sfera divina, che lascia i credenti come semplici ricettori, ma si travasa nella giustizia di chi partecipa alla colletta per i poveri di Gerusalemme [...]. Scaturisce dalla generosità di chi opera a causa della gratuità con cui è stato giustificato» (p. 65).
Nel capitolo V si esamina il rapporto tra giustificazione e figliolanza divina nella lettera ai Galati. Dopo aver rilevato che il genere retorico epistolare della lettera è dimostrativo o epidittico, probabilmente derivato da un originale genere kerygmatico epistolare, egli si chiede qual è la principale tesi della lettera. È comunemente riconosciuto che la sua struttura retorica si articoli in: narratio, propositio e probatio. Quanto all'individuazione della propositio si presenta uno status quaestionis delle possibili ipotesi proposte dai diversi autori (GaI2,15-21; Gal 1,6-9; Gal 3,28; Gal 2,16; Gal 1,11-12). La tesi di Gal 1,11-12, preparata dal prescritto di Gal 1,1-5, incorporante una salutatio epistolare, ampliata con un frammento prepaolino, ingenera la prima sezione autobiografica (Gal 1,13-2,21). «Paolo racconta la propria esistenza per dimostrare, contro i galati che intendono passare da Cristo alla Legge, che egli ha compiuto prima di loro il percorso contrario: dall'osservanza zelante per la Legge e le tradizioni dei padri alla rivelazione del figlio di Dio e all'adesione piena della verità dell'evangelo» (p. 72). La periautologia, nella quale Paolo evoca retrospettivamente l'assemblea di Gerusalemme e l'incidente di Antiochia, conduce a una fusione di orizzonti, quasi in trasparenza, con la situazione epistolare in cui si trovano i galati. Per la prima volta nel discorso ai galati (Gal 2,16) compare il dilemma sulle vie della giustificazione: «se la giustificazione derivasse dalla Legge, Cristo sarebbe morto invano» (p. 74).
Il dilemma della giustificazione è articolatamente discusso, esaminando la composizione stilistica di Gal 2,16. Dalla struttura chiastica della proposizione si può desumere come la fede di Cristo sia lo "strumento" (diá) e l'''origine" (ek) della giustificazione. Egli osserva che grammaticalmente il sintagma fede di Cristo può essere inteso in senso soggettivo, ossia di affidabilità, fede o fedeltà che Gesù ebbe durante la sua vita terrena, e ciò si troverebbe all'origine della giustificazione. Tuttavia, in forza di ragioni sostanziali egli preferisce sostenere la portata oggettiva della proposizione. Quanto alle opere della Legge s'ipotizza un genitivo di autore: si tratterebbe delle opere che la Legge richiede. La New Perspective le identifica con gli indicatori di demarcazione, che separano i giudei dai gentili (la circoncisione, le regole di purità alimentari, l'osservanza del calendario liturgico). Paolo ha una visione meno restrittiva degli indicatori di demarcazione che non riferisce a tutte le opere in generale, ma unicamente alle opere della Legge, in contrasto con la fede in Gesù Cristo. Inoltre, in Ga12,17 -21 Paolo affronta l'alternativa tra Cristo e la Legge, come via per la giustificazione. Da quest'alternativa Paolo esce scegliendo la partecipazione alla morte di Cristo: con-crocifisso insieme a Cristo, morto alla Legge, mediante la Legge. L'evento della morte di Cristo è la massima manifestazione della grazia divina, che motiva e in genera la giustificazione.
Il passaggio dalla giustificazione alla figliolanza abramitica è ricostruito in Gal 3 ,6-14. Abramo è il primo che ha testimoniato la relazione tra la fede e la giustificazione. Per questo è padre di tutti i credenti: dei gentili, perché la fede gli fu accreditata prima che fosse promulgata la Legge; e dei giudei, che nasceranno dalla sua discendenza. L'autore utilizza la regola della g ͤzērâ šāwâ per interpretare GaI3,13 nella prospettiva teologica di Dt 21,23 e provare che Gesù divenne maledizione, affinché la benedizione di Abramo raggiungesse i gentili e ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede. Il paradosso è eclatante, posto in risalto dalla metonimia dell'astratto (maledizione) al posto del concreto (maledetto). In tale prospettiva il paradosso della croce di Cristo, dove la maledizione diventa veicolo della benedizione non è evitato. Gesù non divenne maledizione perché aveva trasgredito la Legge o aveva peccato, ma per noi, affinché ricevessimo lo Spirito promesso che rende figli di Abramo e di Dio. Quanto alla natura e alla funzione della Legge, questa non vivifica e, pertanto, non giustifica (Gal 3,19-22). Si è giustificati dalla fede (Gal 3,23 -29). E allora cosa dire della Legge? Ha condotto coloro che le sono sottomessi a Cristo, come un pedagogo che permette di passare dalla fase adolescenziale a quella adulta della vita umana? Oppure non avendo nulla a che vedere con la giustificazione, impedisce di raggiungerla? O le due funzioni possono coesistere? Egli sceglie la funzione negativa della Legge, perché in tutta la lettera la fede e la Legge sono viste in alternativa rispetto alla giustificazione. Dunque il cratere principale dell'evangelo per Galati non è la giustificazione, ma la figliolanza abramitica e divina.
L'ampio e strutturato capitolo VI esamina la lettera ai Romani e propone "la giustizia di Dio" come "centro dell'evangelo". La lettera ai Romani, la cui tesi generale, concordemente e lapidariamente, è ritenuta espressa in Rm 1,16-17, è anche secondo la nota espressione di Lutero il Vangelo più puro. L'autore dibatte sul genere letterario della lettera e sulla tensione tra i forti e i deboli (Rm 14,1-15,13), esamina il rapporto tra l'evangelo e la giustizia di Dio (Rm 1,1-17), prospetta la rivelazione della collera e della giustizia di Dio (Rm 1,18-4,25), individua nella tesi secondaria della lettera (Rm 3,21-22a) il legame che unisce la giustizia e la fede, chiarisce il rapporto tra giustificazione e riconciliazione (Rm 5,1-8,39), nega che Rm 7,7 -25 possa fondare la dottrina del simul peccator et iustus di Lutero, mette a confronto la giustificazione con la Parola di Dio (Rm 9,1-11,36), chiarisce il significato della proposizione "Cristo fine della Legge" (Rm 10,4) e desume le conseguenze etiche della giustificazione (Rm 14,1-15,13). In conclusione, si può affermare che «la giustificazione non si realizza per mezzo della Legge, ma è testimoniata dalla Legge e i Profeti [...]. I credenti sono giustificati dalla fede per mezzo di Cristo e alimentati dall' azione dello Spirito che vivifica» (p. 175).
Nel capitolo VII si esamina l'ultima lettera autoriale dell'apostolo. S'interpreta il sintagma "frutto della giustizia" (Fil 1,11) come genitivo soggettivo. Si disputa sul rapporto tra giustificazione e conformazione (FiI 3,4b-16), in cui si relaziona la fede alla progressiva conformazione tra Cristo e i credenti, in un processo d'imitazione riproduttiva, che perviene al termine con la trasformazione del nostro umile corpo che si sta conformando al suo corpo glorioso.
Nel capitolo VIII si presentano le tracce della giustificazione nella prima (2Ts, Col, Ef) e nella seconda (1Tm, Tt, 2Tm) tradizione paolina. I credenti di Tessalonica attendono, secondo la prospettiva della giustizia retributiva inversa, il giusto giudizio di Dio (2Ts 1,3 -12). Nella parte paracletica della lettera agli Efesini i destinatari sono esortati a rivestirsi dell'uomo nuovo nella giustizia (Ef 4,20-24). Si tratta di un vero e proprio atto creativo. Con la seconda tradizione paolina s'invita Timoteo a seguire l'esempio di Paolo, presentato come chi è passato da peccatore a credente. A differenza delle lettere autoriali, in cui la Legge mosaica è confermata, ora "la legge non è per il giusto" (1Tm 1,9-10). Il passaggio dal Paolo storico a quello della tradizione comporta la trasformazione del modello della vocazione a quello della conversione, perché si è già realizzata la separazione tra il movimento protocristiano e il giudaismo rabbinico. Suscita un certo stupore che al mistero di Cristo sia riferita la proposizione "fu giustificato nello Spirito" (1Tm 3,16), un'antica confessione di fede sorta nelle comunità protocristiane. Eppure soltanto la potenza dello Spirito permette di annunciare il mistero di Dio, rivelato nell'evento più nascosto del Cristo crocifisso. Al vertice della seconda tradizione paolina si trova l'inno battesimale di Tt 3,4-7, che estende al massimo gli orizzonti della giustizia salvifica.
In conclusione, Pitta con l'esegesi retorica delle lettere autoriali paoline sul tema della giustificazione, lette sullo sfondo dell'Antico Testamento, del giudaismo e delle diverse correnti neotestamentarie, ha messo a punto nuovi e importanti elementi utili al dibattito sulla teologia della giustificazione. In questo saggio, fin dal titolo, tratto da un inno battesimale della lettera a Tito, egli ha delineato i due centri focali della teologia paolina: l'''essere giustificati" e l'''essere in Cristo". Nella sua proposta esegetica ciò che sembra decisivo è il radicamento della giustificazione nella parola della croce, nel paradossale interscambio tra il nostro peccato e Colui che non aveva conosciuto peccato e nel paradosso della croce di Cristo, dove la maledizione diventa veicolo della benedizione. Tant'è che l'evento staurologico è, incontrovertibilmente, posto a fondamento della giustificazione.
Nell'ultimo capitolo (il IX) l'autore sintetizza le conclusioni del suo saggio ed enuncia alcuni punti fermi in vista del dibattito contemporaneo sulla giustificazione: a) dal frammento prepaolino di Rm 3,25-26a, sorto in ambiente cultuale e templare, si desume che la tematica della giustificazione era argomento discusso già nelle comunità protocristiane; b) il tema della giustificazione è introdotto nella corrispondenza con i Corinti, esplode in Galati, è ripensato con maggiore ampiezza in Romani, per assumere valore preventivo in Filippesi. In 1-2 Timoteo assume una predominante connotazione valoriale etica. In Colossesi e Efesini non è trattato, perché assorbito dalla soteriologia e collegato alla volontà di Dio. Nella lettera a Tito si estende all'antitesi tra le opere giuste, compiute dagli esseri umani, e l'azione della grazia divina per mezzo di Gesù Cristo; c) lo Spirito rende attuale la giustificazione compiuta da Dio, apre alla fede e conduce al battesimo; d) senza negare l'importanza della risposta umana la giustificazione, per la sua paradossale gratuità, non comprende alcun sinergismo o cooperazione tra Dio e la persona umana, ma conserva l'eccedenza della sovrabbondanza. La risposta umana è importante ma è consequenziale. Su questo dato la Dichiarazione congiunta è pervenuta a un fondamentale dato condiviso: «Insieme confessiamo che le buone opere sono la conseguenza della giustificazione e ne rappresentano i frutti» (n, 37); e) I temi della giustificazione e della partecipazione da alcuni decenni sono posti in alternativa. A ben vedere essi sono comunicanti tra loro e sono accomunati dall'evento della croce di Cristo; e) al centro della giustificazione per la fede c'è l'evento della morte e risurrezione di Cristo; f) la dottrina paolina della giustificazione è una teoria soteriologica, ma senza dubbio essa ha il suo spazio reale nell'ecclesiologia; g) per Paolo non c'è la cognizione di un canone nel canone, che favorisca una parte più autorevole della Scrittura a detrimento di una secondaria; h) la tradizione è insita nella Scrittura perché, prima di essere scritta, attraversa imprescindibili fasi di trasmissione orale. Scrittura e tradizione non sono alternative, ma si coappartengono e sono impensabili in modo isolato.
N. Di Bianco, in
Asprenas 4/2019, 487-493