Se dovessimo valutare l’importanza di un argomento, oltre che dal numero delle pubblicazioni, anche dalla qualità e profondità con cui esso ha fatto la sua comparsa nel dibattito pubblico e specializzato, potremmo dire che il tema degli animali è uno di quelli che maggiormente hanno occupato la scena dei dibattiti filosofici e teologici, ma anche etici, politici, ecologici e perfino dietetici della prima decade del XXI secolo e che, negli anni seguenti, hanno visto la radicalizzazione di alcune tesi abbozzate già sul finire del XX secolo.
Ma perché questa «messa-in-questione» dell’animale? Come dev’essere valutata tale rinnovata attenzione – anche da parte della teologia cristiana – di un’etica della liberazione animale che aveva fatto la sua apparizione (per restare nel XX secolo), già a metà degli anni Settanta, a opera di Peter Singer (Animal Liberation, New York 1975) e che aveva portato a una corposa riflessione circa i «diritti degli animali» a opera di Tom Regan (The Case for Animal Rights, Los Angeles 1983)?
Una risposta composita a queste domande viene ora offerta dalla scelta, da parte dell’editrice Queriniana, di pubblicare nella prestigiosa Biblioteca di teologia contemporanea il volume di Martin M. Lintner (docente di Etica teologica presso lo Studio teologico di Bressanone) Etica animale. Una prospettiva cristiana (al cui interno possiamo leggere alcuni saggi del teologo dogmatico Christoph J. Amor e del filosofo Markus Moling). Questo contributo, dal carattere eminentemente etico-teologico e pratico, pubblicato originariamente nel 2017 in Austria, dalla Tyrolia Verlag, con il titolo Der Mensch und das liebe Vieh. Ethische Fragen im Umgang mit Tieren (L’uomo e il caro animale. Questioni etiche nel rapporto con gli animali), viene ora a colmare una colpevole mancanza di riflessione teologica su una questione di particolare attualità (basti solo pensare che nel 2020 – secondo l’Eurispes – i vegetariani e i vegani in Italia sono, rispettivamente, l’8,9% e il 6,7% della popolazione complessiva).
La responsabilità umana
Con questo lavoro, Lintner intende offrire al più ampio pubblico possibile un’introduzione all’etica animale in prospettiva cristiana, facendo dialogare tra loro sia la riflessione teologica (dove la dottrina della creazione, ma anche l’escatologia e l’etica fungono da chiavi di volta di un ripensamento del valore degli animali nell’ordo creaturarum), sia quelle scienze biologiche ed evolutive che, da molteplici punti di vista, si sono occupate degli animali iuxta propria principia.
La posizione che viene assunta in questo contributo – come spiega l’autore nell’Introduzione – è quella secondo cui «non è che si debba rifiutare radicalmente l’utilizzo degli animali, ma le bestie devono essere trattate e accudite in modo tale da tenere debitamente conto delle loro esigenze e facoltà sul piano sensitivo, emozionale e cognitivo, tanto di quelle proprie della specie quanto di quelle individuali».
Il volume – detto in altri termini – offre una risposta, teologicamente motivata e ben inserita nel contesto culturale e scientifico odierno, circa le modalità con cui l’essere umano è chiamato a rapportarsi responsabilmente agli animali quale parte integrante della propria vita, nella consapevolezza che proprio la loro presenza non è da considerarsi né ininfluente, né estemporanea nella visione cristiana, ma va colta nel quadro di quel dono della vita originariamente pensata e voluta dal Creatore medesimo fin dall’inizio.
Sebbene il mondo degli animali, per la teologia cristiana occidentale, sia ancora oggi, di fatto, «una “terra incognita”», Tommaso d’Aquino – nella Summa contra Gentiles – ha sapientemente ricordato che «gli errori circa le creature talora allontanano dalla fede, perché sono incompatibili con la vera conoscenza di Dio» e che, proprio per questo motivo, si potrebbe forse dire che un erroneo approccio agli animali ha sottratto qualcosa di essenziale «alla virtù di Dio che opera nelle creature», contribuendo ad allontanare molti uomini del nostro tempo dalla stessa dottrina cristiana.
Da questo punto di vista, la modalità con cui l’essere umano ha trattato gli animali (è questo il significato complessivo del termine tedesco Umgang presente nel sottotitolo del volume tedesco) fa emergere chiaramente quanto sostenuto da Herwig Grimm e cioè che «chi parla degli animali, mette a tema l’essere umano». E non per un antropocentrismo di maniera che deve essere superato, ma perché – come ha affermato Jacques Derrida – lo sguardo sull’animale da parte dell’essere umano è la rivelazione di quell’inumano e disumano che abitano nell’uomo stesso, ma può diventare anche uno dei luoghi dove esercitare la giustizia, cioè quella «mistica degli occhi aperti» (J.B. Metz) che si fa sensibile al dolore di tutte le creature (anche degli animali non umani).
Supremazia dell’uomo sull’animale?
La scansione del volume in quattro parti invita il lettore ad appropriarsi teologicamente del tema in questione. La I parte è incentrata sul posto dell’essere umano nell’ambito della creazione. I racconti sull’inizio restituiscono, per Lintner, due idee fondamentali che stanno a fondamento della visione biblica sugli animali. La prima è che esiste sicuramente una differenza tra animale ed essere umano, dal momento che quest’ultimo è creato da Dio a sua immagine e somiglianza, ma anche una comunanza, perché sia gli uni che gli altri, significativamente creati lo stesso giorno, condividono lo stesso suolo e quel soffio vitale che è lo stigma della comune mortalità.
La seconda è che, immediatamente dopo la decisione da parte di Dio di creare l’uomo a propria immagine e somiglianza, Dio assegna all’uomo il compito di dominare la terra (cf. Gen 1,26). Nonostante tale ingiunzione stia alla base, per molti, dell’ideologia dello sfruttamento sconsiderato del pianeta e di tutte le forme viventi (il cristianesimo sarebbe in tal senso il colpevole del quale bisognerebbe sbarazzarsi), il mandato del «dominium terrae» – ricorda Lintner – «non significa in nessun modo un’autorizzazione a intervenire arbitrariamente sulla natura o a comportarsi irresponsabilmente con gli animali», ma richiama il «dovere di conservare e favorire la vita, di non provocare sofferenze e di non distruggere la vita» (47).
Se l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio che gli ha assegnato il compito di soggiogare la terra e di dominare sugli animali, questo va esercitato secondo un atteggiamento di responsabilità e di cura nei confronti di quell’ambito creaturale che egli è chiamato a riconsegnare al Creatore e, per quanto riguarda gli animali, a riconoscerne il valore, difendendoli «nella loro vulnerabilità». Sebbene «questa modalità di vedere gli animali in senso antropocentrico pervada tutta la tradizione biblica», essa non giustifica alcun comportamento arbitrario verso gli animali, che restano parte del disegno salvifico di Dio. Esiste, in altri termini, una bontà sostanziale di tutte le cose create; Dio è amico della vita e per nessuna creatura prova disgusto (cf. Sap 11,24-26).
È a partire da questo dato biblico fondamentale che, secondo Lintner, va colta la portata della riflessione circa l’urgenza di un’etica animale che, avviata nel XVIII secolo da Jeremy Bentham, ha attraversato tutto il XIX secolo (con Immanuel Kant, Karl Marx, Friedrich Nietzsche, Arthur Schopenhauer e Sigmund Freud), arrivando a occupare la scena filosofica del XX secolo (basti pensare, oltre ai citati Peter Singer e Tom Regan, a pensatori del calibro di Jacob von Uexküll, Martin Heidegger, Karl Jaspers, Jacques Derrida, Ralph Acampora, Giorgio Agamben e Martha Nussbaum).
In tal senso, Lintner parla di una sorta di «buco nero» nella storia dell’Occidente e, cioè, del fatto che la modalità con cui, nella maggior parte dei casi, sono stati pensati e considerati gli animali non solamente «non è all’altezza del dato biblico», ma denota che l’etica che si è andata sempre più imponendosi non è minimamente «un’etica della vita delle creature di Dio», ma piuttosto «un’etica della vita cristiana carente» (67).
Un’etica animale per una vita umana etica
Sono proprio questi autori che, invece, hanno cercato di spostare l’attenzione da una considerazione degli animali di tipo essenzialmente gnoseologico (l’animale non è degno di considerazione in quanto non ha un’anima razionale) a una di tipo esperienziale (l’animale soffre, in quanto dotato di un’anima sensitiva) giungendo lentamente, ma inesorabilmente, a considerarli come soggetti a pieno titolo degni di attenzione e di cura. La svolta di pensiero rinvenibile in questi autori ha condotto – come mostra Lintner nella II parte del suo libro dedicata a Questioni filosofiche fondamentali di etica animale – ad aprire in molti nostri contemporanei spiragli di consapevolezza etica di grande impatto, anche per quanto riguarda la trasformazione dei propri stili di vita, a partire dalla conoscenza della vita stessa degli animali, sia come specie sia come singoli.
Ogni animale è capace di sentire – cosa, peraltro, già sottolineata da Aristotele – e di soffrire (quanto detto da Bentham rimane un punto di non ritorno), deve poter vivere una vita degna di questo nome (si parla sempre di più di «benessere animale»), e l’essere veramente umano non può non comportarsi se non umanamente verso l’animale, pena il suo più radicale abbruttimento morale e la riduzione di se stesso a «bestia» (qui la lezione kantiana – come del resto ha ricordato Albert Schweitzer – rimane ancora oggi insuperata).
Ma la domanda etica fondamentale che Lintner stesso non si astiene dal porre, anche in riferimento agli autori con i quali egli stesso entra in dialogo, è questa: data la comunanza, ma anche la differenza tra esseri umani e animali, è eticamente giustificato trattarli diversamente? Se il punto di vista senzientistico o patocentrico (accettato da quanti afferiscono all’Animal liberation – come ricorda Markus Moling) pare attribuire uno status morale agli animali non umani tale da non poterli in alcun modo trattare in modo diverso da come devono essere trattati gli esseri umani, quale etica animale deve essere adottata dall’essere umano per essere veramente tale?
È questa la domanda fondamentale che sta alla base dei dibattiti odierni, e la risposta a questa domanda trasforma radicalmente il modo di porsi di fronte agli animali. Chi, da un lato, sottolinea la comunanza e l’uguaglianza (biologico-evolutiva, emozional-cognitiva e persino morale) tra esseri umani e animali, sorvolando su e, addirittura, disconoscendo e rifiutando qualsiasi differenza fondamentale tra loro (nei dibattitti la dicitura usata spesso è: «animali non umani» e «animali umani»), sarà inevitabilmente condotto a sostenere un’etica animale radicale nella quale risulta proibito qualsiasi «uso» di animali (da qui la scelta, per molti assolutamente necessaria e conseguente, di un veganesimo assoluto).
La prospettiva dell’etica animale in prospettiva cristiana propugnata da Lintner, invece, pur riconoscendo molti elementi comuni tra gli esseri umani e gli animali, ritiene che tra loro esista una differenza tale che, pur restando problematica ogni uccisione di un animale, diventa fondamentale ricorrere a «motivi necessari adeguati per i quali un animale debba essere ucciso o per i quali sia meglio che un animale muoia piuttosto che continui a vivere» (136).
Esiste, da questo punto di vista, un concetto etico-teologico fondamentale, capace di illuminare, seppure problematicamente – per Lintner – la relazione tra uomo e animale, e cioè quello di «dignità della creatura» – mutuato dalla teologa moralista tedesca Heike Barankze (Würde der Kreatur?, Zürich 1997) – che, se da un lato sottolinea come centrale l’essere umano, dall’altro non tace assolutamente circa la dignità dell’animale. Questo concetto, che ha nella cultura occidentale molteplici radici (da quella biblica a quella illuministico-kantiana, passando attraverso quella stoica), ha il merito di superare un’etica semplicemente patocentrica, cogliendo l’idea secondo cui ogni creatura ha un proprio «valore specifico» che la rende degna di rispetto e protezione.
Baranzke ritiene sia necessario far dialogare tra loro due tradizioni che nella storia occidentale non sempre hanno saputo convivere: la tradizione della «bontà (bonitas) di ogni creatura» (cf. Gen 1,31), che richiama la benedizione impartita da Dio sia agli uomini che agli animali (cf. Gen 1,22.28); e la tradizione della «dignità (dignitas) dell’uomo», che afferma la sua preminenza su tutte le altre creature in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-28). Secondo Baranzke sarebbe davvero fecondo per l’elaborazione di un’etica del creaturale riuscire a integrare tra loro queste tradizioni entro il dibattito sulla bioetica animale, che molto spesso sembra invece arenarsi in una differenziazione antagonista tra la bontà di tutti gli esseri di tipo psicofisico e la dignità dell’essere umano di tipo morale. Se «con la dignità-dignitas dell’uomo sta o cade la bontà-bonitas di ogni creatura, inclusa quella dell’uomo», si può sostenere che «la moralità del soggetto agente è la condizione di possibilità del carattere di valore assoluto della persona umana e del carattere di valore relativo delle entità non personali e, quindi, anche degli animali».
Detto in altri termini: la bontà (bonitas) appartiene essenzialmente a tutti gli esseri, animali compresi; la dignità (dignitas) è prerogativa essenziale dell’essere umano, che è chiamato da Dio a esercitarla con responsabilità verso tutto l’ambito creaturale. Come scrive Lintner: «Ciò significa che l’essere umano deve rispettare e proteggere la dignità degli animali non umani (bonitas) per essere all’altezza della propria dignità (dignitas)».
Una sfida rivoluzionaria
Da questo punto di vista, la III parte del volume è una riflessione circa alcuni campi concreti di azione nei quali l’uomo è chiamato a esercitare la sua dignità verso il mondo creaturale animale. L’allevamento degli animali domestici e la loro utilità (cioè: utilizzazione) per l’uomo; gli esperimenti sugli animali; la caccia (grazie al contributo dedicato di Markus Moling); e una riflessione sugli aspetti etici riguardanti il consumo di prodotti animali chiariscono come la strada di questo esercizio sia molto complessa e tutt’altro che semplice in una società nella quale «il benessere animale è subordinato al profitto economico, l’animale viene ridotto alla fine al suo valore economico e si accettano dolori e sofferenze a carico degli animali, senza che ci siano motivi di inevitabilità o necessità che li giustifichino» (165); ma è proprio qui che, forse, a motivo di tale drammatica situazione, la sfida per un’etica animale in prospettiva cristiana diventa stimolante, anzi: rivoluzionaria.
In questa parte il lettore si troverà di fronte a una moltitudine di situazioni, delle quali molto spesso pare non rendersene conto ma che, considerate nell’insieme, manifestano un panorama di sfruttamento che richiama la necessità di fare ricorso a un principio fondamentale nella valutazione etica di queste stesse situazioni: la cooperatio ad malum. Questo non significa soltanto la necessità di valutare in senso morale in quali circostanze e a quali condizioni, spesso inconsapevolmente, ciascuno, anche come cristiano, cooperi a compiere delle azioni ingiuste anche verso le creature animali, ma – in positivo – sottolinea come un’autentica etica animale in prospettiva cristiana sia chiamata a rispondere mediante scelte concrete alla domanda: «Come essere giusti con gli animali?»
È un’etica concreta quella oggi richiesta, oltre che agli uomini di buona volontà, anche ai cristiani. «Un’etica della concreaturalità» – così la chiama Lintner – e una prassi che riesca ad attestare come l’essere umano sappia esercitare la sua libertà mettendosi al servizio della vita, secondo quella «forma di responsabilità che Dio gli ha attribuito per renderlo partecipe dell’opera divina della creazione e per permettergli di contribuire alla costruzione di un mondo che sia l’ambiente di vita per gli uomini e per gli animali» (239), evitando sia un antropocentrismo erroneo che un biocentrismo radicale.
Considerare gli animali come «concreature» significa riconoscerli come portatori di valori propri, coabitanti assieme all’essere umano – di quello spazio vitale che è la creazione di Dio, inclusi in quell’alleanza noachica che Dio ha stipulato con l’uomo dopo il diluvio (cf. Gen 9). Questa «con-creaturalità» afferma che «esseri umani e animali formano una comunità di destino», nella convinzione che «la creazione intera è colpita dal peccato dell’uomo, ma anche che l’uno e l’altra sono coinvolti nella storia della salvezza e nella redenzione operata da Cristo». È qui – come chiusa del volume – che viene affrontata la questione, oggi particolarmente sentita da molti nostri contemporanei, della vita dopo la morte degli animali, cioè, se gli animali vadano in cielo.
Tale domanda, che potrà sembrare a molti addirittura esagerata, viene giustamente tenuta aperta dal teologo dogmatico Christoph J. Amor, oltre che a partire dalla crescente richiesta, fatta da più parti, di cimiteri per animali e, più in particolare, di cimiteri per uomini e animali insieme, da una riflessione teologica più complessiva su questo tema che anche papa Francesco – nella sua enciclica Laudato si’ – ha affrontato, sottolineando come nella visione biblica «lo scopo finale delle altre creature non siamo noi», ma «tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto» (LS 83).
Pur rimanendo aperte molte domande circa il destino della vita degli animali dopo la morte, una teologia della creazione e dell’alleanza può avanzare elementi significativi tali da permettere ai cristiani «di pensare che Dio, in una forma loro adeguata, porterà anche gli animali al compimento» (271).
G. Coccolini, in
Il Regno Attualità 16/2020, 475-478