Se è vero – come è stato detto – che ogni tempo storico vive in profonda connessione con un mistero particolare della redenzione, non si può non rilevare come il nostro tempo sia, per così dire, accordato sulla misericordia di Dio, a partire dalla quale la stessa Ecclesia è chiamata a riformarsi.
Questo importante volume raccoglie i contributi di un seminario di studio, tenuto presso la sede della rivista La Civiltà Cattolica dal 28 settembre al 2 ottobre 2015, in occasione dell’anniversario della chiusura del concilio Vaticano II, e li mette a disposizione con l’intento che siano motivo d’ispirazione di quei «processi che la Chiesa sta vivendo in questo tempo sotto la guida di papa Francesco» (5), il quale, con la Evangelii gaudium, ha inteso rivolgersi «ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere» (Laudato si’, n. 3; Regno-doc. 23,2015,2).
Scritti da un parterre di ecclesiologi e storici della Chiesa, ecumenisti e canonisti, teologi pastorali e spirituali che hanno dialogato in modo aperto e teologicamente fondato, il volume è strutturato in modo sintetico ma anche programmatico circa le linee direttrici di un compito riformatore ancora in progress e tutto da sviluppare.
Dopo due relazioni introduttive, tenute dai curatori, riguardanti le radici ignaziane della riforma della Chiesa di papa Francesco e la sua ecclesiologia pastorale latinoamericana, confluite, in sede di pubblicazione, nella prima parte, si articola in sette momenti: (I) Il rinnovamento della Chiesa oggi, alla luce del concilio Vaticano II; (II) Le lezioni della storia circa la riforma della Chiesa; (III) La comunione sinodale come chiave del rinnovamento del popolo di Dio; (IV) Le riforme delle Chiese particolari e della Chiesa universale; (V) L’unità dei cristiani e la riforma della Chiesa; (VI) Verso una Chiesa più povera, fraterna e inculturata; (VII) Lo Spirito e la spiritualità nella riforma evangelica della Chiesa.
Il testo «prende in considerazione da molti punti di vista la questione centrale della riforma o del rinnovamento permanente e attuale della Chiesa cattolica» (8) e si palesa come «una raccolta ordinata di proposte indipendenti» e come «un insieme vario di diversi contributi teologici di altissimo livello per pensare le riforme della e nella Chiesa» (9).
Se è noto come il tema della reforma e della reformatio attraversi tutta la storia della Chiesa come una «mutatio in melius» (86) e sia stato, in particolare, con il concilio di Costanza (1414-1418) che è andata imponendosi la formula «ecclesia sit reformata in fide et moribus, in capite et in membris», non si può non notare – ha affermato J.W. O’Malley – come una riflessione sulla storia delle riforme ecclesiali evidenzi che la relazione tra «continuità» e «cambiamento», pur non avendo facile soluzione, trova nell’ideale e nello stile di Chiesa – indicato da papa Giovanni XXIII quale «madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà» – ciò che essenzialmente la caratterizza (103-105).
Questa mater Ecclesia – come ricorda A. Riccardi citando i lavori di P. Jenkins – vive in un orizzonte storico profondamente mutato, là dove «il cristianesimo si sta diffondendo in modo sorprendente tra i poveri e i perseguitati, mentre si atrofizza tra i ricchi e gli agiati» (114), ma anche là dove la coabitazione con l’altro e la globalizzazione culturale e religiosa chiedono al cristianesimo di trasformarsi in una «realtà di accoglienza e integrazione» (124). Tutto ciò, ovviamente, ha forti e importanti ripercussioni sul dialogo ecumenico che – come mostrano i contributi di G. Pani e di A. Maffeis, dedicati, in particolare, al dialogo con i protestanti – può essere portato avanti solamente tramite «una maggior fedeltà alla sua vocazione» (147) e una sempre rinnovata conversione personale (cf. Mt 7,5).
È la comunione sinodale e, di conseguenza, una teologia della sinodalità la chiave per il rinnovamento del popolo di Dio, ma anche l’anello di congiunzione della «diversità nell’unità e l’unità nella diversità» (184). La «sinodalità vissuta» (263) – come si può apprendere dalla lezione proveniente dal CELAM, che ha così fortemente marcato il percorso dell’allora card. Bergoglio – diviene «la manifestazione della Ecclesia come assemblea di persone in condizioni e con funzioni diversificate» (247), grazie all’attivazione di processi di partecipazione, dove tutti i fedeli diventano «attori del discernimento, attraverso un ascolto che voglia davvero nelle loro voci riconoscere la voce dello Spirito» (205).
Essa dà vita a quella Chiesa sinodale come «piramide rovesciata», dove «il vertice si trova al di sotto della base» (cf. Francesco, Discorso alla commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, 15.9.2015; Regno-doc. 37,2015,14) in funzione di «primazia diaconale» (308), per «portare la persona umana, nella sua singolarità, alla comunione con Dio e di porsi, allo stesso tempo, al servizio dell’unità del genere umano, nelle diverse regioni della terra» (292).
È in tale prospettiva che vanno recepiti i frutti del dialogo ecumenico che, come ricorda papa Francesco nella Evangelii gaudium, mirano alla «costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità» (n. 221; EV 29/2013). Se – come scriveva l’allora card. Begoglio – «la soluzione del conflitto religioso fra le molteplici confessioni cristiane sta nell’atto di camminare insieme, di fare delle cose insieme, di pregare insieme» (373), si tratta di recuperare quanto già affermava il decreto conciliare sull’ecumenismo, e cioè che nel confrontare la dottrina cattolica con quella delle altre Chiese cristiane, si deve tenere conto dell’«ordine o “gerarchia” nelle verità» (Unitatis redintegratio, n. 11; EV 1/536), ma si tratta anche di muoversi verso un cammino ecumenico inteso come uno «scambio di doni» (386) tra le diverse Chiese cristiane, come viene mostrato dai contributi presenti nella quinta parte del volume.
La riforma della Chiesa secondo quanto espresso dal Vangelo è volta a «farle rinunciare alla sua autoreferenzialità» (459) e questo implica – come mostrano con grande forza e passione teologica i contributi di J.C. Scannone e D. Fares – capacità di inculturare il Vangelo, povertà nel suo essere e nel suo apparire da parte di tutti i cristiani, e servizio dei poveri. È una Chiesa – quella di papa Francesco – che vuole promuovere «una riforma a partire dal Vangelo e dalle periferie della povertà» (13), la quale, ponendo al centro il primato della carità, intende proseguire in quella «rivoluzione della tenerezza» (Evangelii gaudium, n. 88; EV 29/2194), iniziata da Gesù Cristo.
La riproposizione a tutta la Chiesa delle modalità con cui Cristo, facendosi povero per noi, ha permesso a noi di diventare ricchi (cf. 2Cor 8,9), è ciò che permette a papa Francesco – sulla scia di quanto affermato da sant’Ignazio di Loyola, ma anche di san Francesco di Assisi – di vedere nella povertà la possibilità di proteggersi dalle false sicurezze, ma anche ciò che rende possibile al Deus semper maior di «agire fecondamente nella piccolezza dei suoi servitori» (486), sempre peccatori.
Se è vero che è il peccato «il ricettacolo della misericordia» (493), ogni autentica riforma ecclesiale parte dal «bisogno fondamentale di essere perdonati e guariti» (493), che dovrebbe trovare espressione concreta nello «stile di vita, sia personale che comunitario» (Francesco, Discorso all’incontro con le comunità religiose in Corea, 16.8.2014).
G. Coccolini, in
Il Regno 18/2016, 548