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Credere cristianamente
Jürgen Werbick

Credere cristianamente

Una collocazione teologica

Prezzo di copertina: Euro 59,00 Prezzo scontato: Euro 56,00
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 219
ISBN: 978-88-399-3619-6
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 480
Titolo originale: Christlich glauben. Eine theologische Ortsbestimmung
© 2023

In breve

Cosa diciamo quando ci definiamo credenti? Quali sono le difficoltà e le diverse modalità del vivere da cristiani l’esperienza del credere? In che rapporto sta il credere con il sapere (sia filosofico sia scientifico), con il sentire, con libertà, con l’agire?

Descrizione

Che cosa significa credere, da cristiani, oggi? A che punto siamo con la fede, nella Chiesa? Che cosa sta cambiando nelle nostre diverse modalità di vivere la fede? Che cos’è che reclama la nostra attenzione, in quanto credenti? In che rapporto sta il credere con il sapere (sia filosofico sia scientifico), con il sentire, con la libertà, con l’agire?
Sono domande che è indispensabile sollevare per non sbagliare le mosse successive. Werbick vi risponde delineando una collocazione teologica della fede. Non ci conduce in un territorio placido, in uno spazio protetto e saturo di certezze: si addentra piuttosto nelle attuali controversie religiose, facendoci al tempo stesso gustare il fascino del credere, come esperienza sempre accessibile.
Raccogliere questa sfida è cosa ovvia, dal punto di vista teologico. Raccoglierla lasciandosi coinvolgere nel dialogo con chi non crede, o con chi professa una fede diversa, è meno scontato, ma del tutto qualificante. «Se mi sono proposto di lavorare su questa questione teologica a modo mio, non è perché non lo si faccia già altrove e altrimenti. Ma mi pare che sia necessario un avveduto senso teologico del “dove”, per non perdere la testa e il cuore – e forse anche il coraggio – della fede, soprattutto nelle sfide che essa affronta oggi in Occidente».

Una grandiosa teologia fondamentale ripensata come “teologia del credere”.

Recensioni

Nelle sue numerose pubblicazioni il teologo tedesco Jürgen Werbick, che ha ricoperto la cattedra di Teologia fondamentale a Münster (Germania), ha affrontato questioni di teologia trinitaria, cristologia, ecclesiologia, teologia fondamentale e teologia pratica, cercando sempre di dare un ordine sistematico alle sue trattazioni con una duplice attenzione: alla storia del pensiero filosofico-teologico e alle problematiche contemporanee. Oggi con "stile teologico" affronta la questione della collocazione teologica della fede nel libro Credere cristianamente. Si tratta di uno studio ampio e complesso, con il quale Werbick intende trovare nuove vie che conducono al nucleo più intimo della fede. È una ricerca nella quale il lettore si sente coinvolto, perché animata dal desiderio di «non perdere la testa, il cuore e forse anche il coraggio della fede tra tutte le sfide che la insidiano qui e oggi» (p. 6). Sfide che giungono da ogni parte: dalla storia e dai cambiamenti epocali, dai dubbi e dalle contestazioni interne ed esterne al cristianesimo e alla chiesa. Accettarle significa «lasciarsi seriamente coinvolgere nel dialogo anche con i non-credenti o credenti di altre confessioni»; significa lasciarsi interrogare sul perché credere ed essere cristiani, sulle ragioni per cui la fede è luce e ombra, certezza e debolezza, riflessione e testimonianza, ascolto e sentimento, libertà e croce, grazia e opere, sfida e attesa di salvezza. Le domande che egli continuamente pone danno ritmo a una esplorazione teologica della fede che sembra non giungere mai a termine, poiché egli stesso conclude chiedendosi: «Posso credere a tutto ciò? E si avvererà per me?» (p. 439). Sono domande che pesano ancor più dopo aver appena affermato che la fede cristiana «consiste nell'arrischiarsi nel futuro di Dio sulle tracce di Gesù, il Cristo, accompagnandosi a lui, nell'affidarsi al suo avvento, nell'osare varcare la soglia, stando su di essa, nel lasciarsi prendere; in modo che il Cristo stesso diventi la nostra porta, il nostro accesso a Dio» (p. 437). È tuttavia una conclusione coerente con quanto aveva detto all'inizio come avvertimento sul senso della ricerca: non intende condurre «a trovare rifugio in un territorio tranquillo, in uno spazio protetto saturo di certezze», bensì andare «al centro di sfide inedite e spesso non ancora sufficientemente chiarite, e quindi anche nel mezzo di controversie, di impulsi irrequieti» (p. 7), che possono sollevare istanze di svolte radicali, ma anche suscitare il fascino di nuove e accessibili prospettive di fede.

Werbick delinea il quadro della collocazione teologica della fede partendo da alcuni interrogativi: «Dove – e come – accade la fede? Dove conduce, dove intende guidarmi? Che cosa la costituisce, se la si "colloca" nel panorama di quelle altre credenze religiose e sociali più vicine a molti dei nostri contemporanei?» (p. 6). Occorre dunque iniziare da una concezione elementare di fede antropologicamente delineata, mettere da parte la distinzione tradizionale tra fides qua e fides quae, e riconoscere che «nulla di umano è estraneo alla fede cristiana», come poi scriverà nel libro Contro le false alternative. Nulla di umano è estraneo alla fede cristiana (Queriniana 2024).

In questo modo egli spiega che alla base di una teologia della fede non si pone una chiarificazione concettuale, bensì il fatto che essa è rivolta a «una Parola promettente e provocatoria su cui ci si orienta [...] a cui ci si affida perché è una Parola buona»(p. 36) dalla quale può nascere un dialogo (Noi siamo un dialogo, cap. 1). Ma poiché è una "Parola di vita" (cap. 2), perché chiama alla vita e chiama nel futuro di Dio, allora "Noi siamo la risposta", coinvolti nel duplice ruolo di "parlanti e ascoltatori" (p. 43). Dunque, in quale modo si giunge alla fede? Con una scelta coraggiosa? Oppure cercandone il fondamento nel cuore, in quell'abisso umano che sembra "impostato" da Dio, perché l'uomo si volga a Dio? Abramo ci insegna che la fede sta in un "infìntamente di più", in un cammino costruito sul fidarsi di un Dio («E partì senza sapere dove andava»: Eb 11,8b) «che non "poteva" indurlo in errore» (p. 63). Per Paolo invece è professione «nella capacità creativa, liberatrice e riconciliatrice di Dio, attuatasi nella croce e nella risurrezione di Gesù» (p. 128).

La storia dell'inculturazione del cristianesimo ci insegna che le concezioni della fede possono essere diverse (cap. 3 su "Pistis – Fides – fiducia – "Emuna – Ratio: per una topologia della fede”): radicamento in se stessi, obbedienza a quella Parola che non possiamo dirci da soli ma che ci deve essere detta, fiducia in quella ispirazione che si accresce dal profondo della psiche. Sono diverse anche le sue attuazioni (fides qua),così come le sue determinazioni contenutistiche (fides quae).Inoltre, può essere un fatto distintivo «una questione di demarcazione e comunanza» o la «possibilità di un'identità non esclusiva» (p. 105), di una adesione a una «suprema alternativa» a un futuro aperto (p. 124). Nonostante ciò, la fede vive lo sconcerto (vedi cap. 4) ed entra in profonda crisi soprattutto quando non è accompagnata da segni che dicono che Dio può ribaltare il corso disastroso degli eventi. «Il Magistero gerarchico ha cercato, fin dal secolo XIX,di rispondere alla crisi della fede, dimostrando tuttavia, sempre più chiaramente, di essere parte del problema, piuttosto che della sua soluzione» (p. 136). Così fede e dubbio si devono pensare insieme (cap. 5 La luce della fede senza ombra di dubbio?).Infatti, è proprio quel tipo di fede che contempla dall'alto la realtà, che cerca sostegno interiore sulla base di una realtà divina appagante, che viene contestata e trascinata in interrogativi e dubbi. Ci si deve invece porre all'interno di luoghi e di momenti in cui si impara a saper ricevere «"dall'esterno" gli impulsi decisivi per superare visioni ristrette e oscuri malintesi» (p. 146). Cosa che non fa l'enciclica Lumen fidei (2013), «un testo orientato verso l'interno» (p. 140). Cosa si può dunque dire del dubbio? Può essere un'occasione per la fede?

Per Werbick «fede e dubbio sono reciprocamente legati, e quindi non possono essere separati l'una dall'altro» (p. 153). Quando sorge il dubbio e la contestazione che proviene «dalla consunzione della fede, che tormenta non solo le chiese e le comunità, ma che colpisce anche tutti coloro per i quali la fede "conserva ancora un qualche significato"» (p. 173), si deve riconoscere il carattere di sfida della fede, la sua debolezza. Essa si nutre del legame con il sapere (cap. 7) e con il sentimento (cap. 8). Essendo la fede «esperienza della contingenza», fondata nella buona volontà di Dio (p. 184), si può dire che essa si rinnova nel mentre si consegna a ciò che le viene dato di pensare («le chiese farebbero bene a resistere alla tentazione politico-identitaria»: p. 223). Allo stesso modo essa vive di ciò che viene percepito a livello soggettivo e oggettivo divenendo capacità di «aprire una prospettiva di vita percepita come sensata» (p. 225). Oggi il "sentire la fede" in modo diverso dal passato è un "segno dei tempi", che invita ciascuno a trovare la sua espressione autentica nel suo cammino e nella sua ricerca, in modo da viverla in prima persona. In tal modo il sapere e il sentimento sono ingredienti fondamentali per la libertà di fede e la "libertà religiosa" (cap. 9), per" condividere la fede da liberi" e per creare "la comunità dei credenti" (cap. 10). La libertà di fede è strettamente legata alle "opere buone" (cap. 11) in quanto «la fede si realizza nel rischio di vivere la mia vita con Dio, all'interno del suo futuro» (p. 355).

Nei capitoli 12 e 13 l'A. si concentra sulla dimensione soteriologica della fede. Alla domanda iniziale su in che cosa consista la forza della croce di Cristo, e quando diventi efficace, egli risponde «Nella vita dei cristiani!» (p. 363), cioè di coloro che accettano di partecipare alla dinamica solidale di Dio "Io ci sono per voi" (Es 3, 14) che «partecipa alle aspirazioni, alle miserie, anche agli abissi dell'umanità [...] per riempirli di sé, affinché divengano luoghi e vie per incontrarlo, per camminare ed entrare in comunione con lui» (p. 391). Qui si inserisce la fede nella risurrezione di Cristo, che da sempre riceve una contestazione da cui non riesce a liberarsi, alla quale sono giunti anche i discepoli dopo aver imparato a vedere in modo nuovo ciò che era accaduto.

L'ultima tappa del libro (cap. 14) è riservata alla "fede nella preghiera" pensata in un contesto nel quale l'uomo contemporaneo si sente imprigionato dalla quotidianità delle cose da fare, per cui «queste mi "abitano" senza che io le abbia invitate» (p. 428). La preghiera è stare sulla soglia, il momento della decisione, la porta aperta che si apre laddove si vede fallimento e caduta; è il coraggio di «arrischiarsi nel futuro di Dio» (p. 435), il lasciarsi accompagnare a vederlo nel presente. Sono queste le basi sulle quali collocare una teologia della fede in senso cristiano.


G. Zambon, in Studia Patavina 2/2025, 373-376

La problematica di fondo è chiarita sin dall’incipit con cui si apre il saggio del teologo tedesco Jürgen Werbick: «In questo libro ci si occuperà di ciò che significa credere». Un inizio che restituisce intatto il sapore della sfida posta da una questione quanto mai all’ordine del giorno: credere, infatti, vuol dire avere, come lo stesso autore acutamente evidenzia, una concentrazione della fede su se stessa e, necessariamente, capire i riflessi che tale concentrazione ha sulla vita di chiunque si proclami credente.

Il rimando è all’esortazione apostolica Evangelii gaudium, laddove papa Francesco dichiara che «l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario» (n. 35; EV 29/2141) e dove ricorda che il concilio Vaticano II ha affermato che «esiste un ordine o piuttosto una “gerarchia” delle verità nella dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana» (n. 36; EV 29/2142). Ciò vale tanto per la dogmatica su cui si fonda la fede medesima quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, a iniziare da quello morale.

Dinanzi a tali fondate posizioni espresse dal pontefice, Werbick si domanda se esse – nel momento in cui la plurimillenaria fede cristiana si è, di fatto, trasformata in una sorta di versione che non esita a definire profondamente ambigua circa la comprensione (post)moderna del sé e del mondo – siano sufficientemente innovative e radicali per portare avanti un nuovo intendimento della fede di cui si sente sempre più l’incalzante necessità.

Al riguardo, l’autore non esita a mettere a confronto le risposte che provengono dal mondo islamico e da quello cristiano, sia cattolico sia protestante, per sottoporre al lettore quale sia l’effettiva posta in gioco. Alla domanda se ci si dichiari fedeli alla Chiesa di Roma oppure se ci si professi evangelici, frequentemente si ottiene come risposta «né l’uno né l’altro, sono normale», come se l’essere cattolici o protestanti fosse un segno di anormalità; viceversa, se l’interlocutore è una donna islamica, essa attesta la propria fede indicando meravigliata che non lo si sia già notato in precedenza a motivo del fatto che nel suo abito è presente il velo.

In breve, gli interrogativi del dove e del come accade la fede e, ancora, del dove essa conduce e del dove intende guidare coloro che si richiamano alle Scritture bibliche sono indubbiamente necessari, ma è ancora più imprescindibile la discussione sul significato della fede della Bibbia e della Chiesa cristiana, se il cristianesimo vuole sopravvivere. Nell’attuale fase storica, caratterizzata da società multietniche e multiculturali in continua evoluzione, le tradizionali formule con cui sinora si è espressa la religione cristiana, nelle sue diverse declinazioni confessionali, hanno perso di significato tra la gente comune.

Ciò è accaduto perché, come scrive il pedagogo della religione Hubertus Halbfas, citato da Werbick nella Premessa al volume, la loro fede non si caratterizza più come un «ritenere vero». In estrema sintesi, per Halbfas: «Al posto della “fede” pongo l’impegno, in cui non si tratta di assumere delle idee, ma di vivere dei valori. Paolo ha difeso una dottrina di fede che pretendeva obbedienza. Gesù ha difeso un modo di vivere che non ha bisogno di essere dimostrato con argomenti, che non è soggetto ad alcuna usura perché possiede un’evidenza in se stesso» (7).

A fronte di questa affermazione Werbick si chiede e, allo stesso tempo, domanda al lettore (che è sempre parte attiva nell’affrontare la lettura del testo) se siamo realmente in cammino verso una riforma così intrinsecamente radicale della fede, oppure se il portato dei tempi correnti richiede una diversa e più articolata prospettiva.

La robusta navigazione teologica che affronta il teologo tedesco nell’esplorare, nelle pagine del pregevole saggio, il rapporto del credere con il sapere, sia esso filosofico o scientifico, con il sentire, con la libertà, con l’agire non conduce in una tranquilla insenatura di immutabili certezze al riparo, dunque, dai tempestosi venti e dalle insidiose correnti della storia; piuttosto scava nelle controversie religiose, nell’esperienza sempre accessibile del credere medesimo con gli strumenti di una teologia fondamentale declinata come «teologia del credere», laddove lo sforzo intellettuale di Werbick è tutto proteso a delineare una collocazione teologica della fede in grado di ri-orientare il credente in una soteriologia in cui l’Eterno non considera nessuno di noi perduto, in quanto vuole essere «eternamente» presente in noi e con noi.

Perché solo in questa disagevole rotta il gesto quotidiano della preghiera coincide con la richiesta stessa della fede e del lasciarsi coinvolgere in quello che Werbick chiama «il futuro di Dio».


D. Segna, in Il Regno Attualità 20/2024, 624

In questo libro il teologo tedesco Jürgen Werbick si addentra in uno studio ampio e complesso su cosa significhi credere oggi. Scrive che il magistero ha tentato in vari modi di rispondere alla crisi odierna dei credenti, «dimostrando tuttavia, sempre più chiaramente, di essere parte del problema» (p. 136). Nel corso della trattazione, l’A. non manca di tornare su tale questione. Al di là delle possibili opinioni in merito, l’esistenza di una profonda crisi è ormai innegabile, e queste pagine ci interpellano sul significato e sulle modalità di essere credenti credibili nel mondo attuale.

Attraverso 14 capitoli, Werbick dialoga con la contemporaneità, senza mancare di attenzione alla storia del pensiero e alla tradizione, e presentando la fede in Cristo nei termini di una «sfida» da accogliere e da vivere nel nostro tempo. Noi siamo un dialogo, egli sostiene fin dal primo capitolo, e proprio per questo è importante prendere coscienza che solo se ci lasciamo coinvolgere dalla Parola che Dio ci rivolge possiamo davvero comprenderne il senso. Ma è anche necessario diventare consapevoli di essere già inseriti in un dialogo con la Parola nel quale prima di noi tanti sono entrati e al quale hanno risposto, o stanno rispondendo, con la propria vita. Soltanto così riusciremo «a lasciarci toccare da questa Parola e a cercare la nostra personale risposta» (p. 30); solo così scopriremo la nostra vita «come sfidata da una chiamata “personale”» (p. 32). Di conseguenza, non ci si preoccuperà tanto di cercare risposte ai bisogni della vita, ma soprattutto si desidererà «vivere una risposta autentica a quella chiamata» (p. 33), che coinvolge in prima persona e invita alla fiducia in Dio, nonostante porti con sé un margine di rischio sull’avvenire, che resta imprevedibile. La verità è che noi stessi siamo la risposta, come fa notare il secondo capitolo del libro.

Passando per accurate analisi del concetto di fede e delle sue modalità (cap. 3), Werbick procede nello studio attraversando le prospettive e le ambiguità bibliche circa la fede (cap. 4), soffermandosi ad analizzare l’orientamento e le criticità dell’enciclica Lumen fidei (cap. 5). Interessante è il cap. 6, dedicato al dubbio, positivamente inteso anche come occasione di fede, seguito da un altro complesso capitolo sul rapporto tra fede e sapere, perennemente soggetto alla tentazione gnostica (cap. 7). A questo riguardo, è significativo quanto afferma l’A. nel paragrafo dal titolo «Il mistero della riflessione»: «La ragione umana deve intendersi come un pensiero successivo: essa si consegna a ciò che le viene dato da pensare, rimanendo fedele all’oggetto della riflessione soltanto se si lascia sfidare da questo dono e pensare in conseguenza di ciò che qui le accade – e che viene attestato nelle testimonianze» (p. 207). Ne consegue che «le testimonianze bibliche dell’accadere dell’assolutamente sorprendente devono essere valorizzate, da un punto di vista teologico, come ispirazioni per entrare nell’orizzonte aperto di Dio – nella sequela del Crocifisso e del Risorto in Dio, che ci precede dal Padre» (p. 217).

Seguono altri capitoli dedicati alla dimensione affettiva della fede (cap. 8) e al rapporto fede-libertà (capp. 9 e 10). Il cap. 11, poi, entra nella complessa relazione fede-opere, con l’invito a rinnovare la prospettiva in merito, ed è seguito dalla proposta di esprimere la redenzione all’interno di un «paradigma comunicativo» (cap. 12): «L’effettiva salvezza consiste nella volontà di convivere con Dio, nella capacità di concedergli quell’esistenza tra noi da lui stesso “desiderata” e in cui risiederebbe la nostra salvezza» (p. 377).

Per concludere, il cap. 13 è riservato alla fede nella risurrezione, che «non è solo oggetto di fede, ma realtà di fede» (p. 398), mentre il breve cap. 14 considera la fede nella preghiera. È qui che l’A. esprime il panorama di cui deve rendere conto una collocazione teologica della fede che «consiste nell’arrischiarsi nel futuro di Dio sulle tracce di Gesù, il Cristo, accompagnandosi a lui, nell’affidarsi al suo avvento, nell’osare varcare la soglia, stando su di essa, nel lasciarsi prendere, in modo che il Cristo diventi la nostra porta, il nostro accesso a Dio» (p. 437). Così sono poste le basi per ripensare oggi una «teologia della fede».


P. Salvatori, in La Civiltà Cattolica 4177 (8 luglio 2024) 94-95