In questo libro il teologo tedesco Jürgen Werbick si addentra in uno studio ampio e complesso su cosa significhi credere oggi. Scrive che il magistero ha tentato in vari modi di rispondere alla crisi odierna dei credenti, «dimostrando tuttavia, sempre più chiaramente, di essere parte del problema» (p. 136). Nel corso della trattazione, l’A. non manca di tornare su tale questione. Al di là delle possibili opinioni in merito, l’esistenza di una profonda crisi è ormai innegabile, e queste pagine ci interpellano sul significato e sulle modalità di essere credenti credibili nel mondo attuale.
Attraverso 14 capitoli, Werbick dialoga con la contemporaneità, senza mancare di attenzione alla storia del pensiero e alla tradizione, e presentando la fede in Cristo nei termini di una «sfida» da accogliere e da vivere nel nostro tempo. Noi siamo un dialogo, egli sostiene fin dal primo capitolo, e proprio per questo è importante prendere coscienza che solo se ci lasciamo coinvolgere dalla Parola che Dio ci rivolge possiamo davvero comprenderne il senso. Ma è anche necessario diventare consapevoli di essere già inseriti in un dialogo con la Parola nel quale prima di noi tanti sono entrati e al quale hanno risposto, o stanno rispondendo, con la propria vita. Soltanto così riusciremo «a lasciarci toccare da questa Parola e a cercare la nostra personale risposta» (p. 30); solo così scopriremo la nostra vita «come sfidata da una chiamata “personale”» (p. 32). Di conseguenza, non ci si preoccuperà tanto di cercare risposte ai bisogni della vita, ma soprattutto si desidererà «vivere una risposta autentica a quella chiamata» (p. 33), che coinvolge in prima persona e invita alla fiducia in Dio, nonostante porti con sé un margine di rischio sull’avvenire, che resta imprevedibile. La verità è che noi stessi siamo la risposta, come fa notare il secondo capitolo del libro.
Passando per accurate analisi del concetto di fede e delle sue modalità (cap. 3), Werbick procede nello studio attraversando le prospettive e le ambiguità bibliche circa la fede (cap. 4), soffermandosi ad analizzare l’orientamento e le criticità dell’enciclica Lumen fidei (cap. 5). Interessante è il cap. 6, dedicato al dubbio, positivamente inteso anche come occasione di fede, seguito da un altro complesso capitolo sul rapporto tra fede e sapere, perennemente soggetto alla tentazione gnostica (cap. 7). A questo riguardo, è significativo quanto afferma l’A. nel paragrafo dal titolo «Il mistero della riflessione»: «La ragione umana deve intendersi come un pensiero successivo: essa si consegna a ciò che le viene dato da pensare, rimanendo fedele all’oggetto della riflessione soltanto se si lascia sfidare da questo dono e pensare in conseguenza di ciò che qui le accade – e che viene attestato nelle testimonianze» (p. 207). Ne consegue che «le testimonianze bibliche dell’accadere dell’assolutamente sorprendente devono essere valorizzate, da un punto di vista teologico, come ispirazioni per entrare nell’orizzonte aperto di Dio – nella sequela del Crocifisso e del Risorto in Dio, che ci precede dal Padre» (p. 217).
Seguono altri capitoli dedicati alla dimensione affettiva della fede (cap. 8) e al rapporto fede-libertà (capp. 9 e 10). Il cap. 11, poi, entra nella complessa relazione fede-opere, con l’invito a rinnovare la prospettiva in merito, ed è seguito dalla proposta di esprimere la redenzione all’interno di un «paradigma comunicativo» (cap. 12): «L’effettiva salvezza consiste nella volontà di convivere con Dio, nella capacità di concedergli quell’esistenza tra noi da lui stesso “desiderata” e in cui risiederebbe la nostra salvezza» (p. 377).
Per concludere, il cap. 13 è riservato alla fede nella risurrezione, che «non è solo oggetto di fede, ma realtà di fede» (p. 398), mentre il breve cap. 14 considera la fede nella preghiera. È qui che l’A. esprime il panorama di cui deve rendere conto una collocazione teologica della fede che «consiste nell’arrischiarsi nel futuro di Dio sulle tracce di Gesù, il Cristo, accompagnandosi a lui, nell’affidarsi al suo avvento, nell’osare varcare la soglia, stando su di essa, nel lasciarsi prendere, in modo che il Cristo diventi la nostra porta, il nostro accesso a Dio» (p. 437). Così sono poste le basi per ripensare oggi una «teologia della fede».
P. Salvatori, in
La Civiltà Cattolica 4177 (8 luglio 2024) 94-95