Nelle sue numerose pubblicazioni il teologo tedesco Jürgen Werbick, che ha ricoperto la cattedra di Teologia fondamentale a Münster (Germania), ha affrontato questioni di teologia trinitaria, cristologia, ecclesiologia, teologia fondamentale e teologia pratica, cercando sempre di dare un ordine sistematico alle sue trattazioni con una duplice attenzione: alla storia del pensiero filosofico-teologico e alle problematiche contemporanee. Oggi con "stile teologico" affronta la questione della collocazione teologica della fede nel libro Credere cristianamente. Si tratta di uno studio ampio e complesso, con il quale Werbick intende trovare nuove vie che conducono al nucleo più intimo della fede. È una ricerca nella quale il lettore si sente coinvolto, perché animata dal desiderio di «non perdere la testa, il cuore e forse anche il coraggio della fede tra tutte le sfide che la insidiano qui e oggi» (p. 6). Sfide che giungono da ogni parte: dalla storia e dai cambiamenti epocali, dai dubbi e dalle contestazioni interne ed esterne al cristianesimo e alla chiesa. Accettarle significa «lasciarsi seriamente coinvolgere nel dialogo anche con i non-credenti o credenti di altre confessioni»; significa lasciarsi interrogare sul perché credere ed essere cristiani, sulle ragioni per cui la fede è luce e ombra, certezza e debolezza, riflessione e testimonianza, ascolto e sentimento, libertà e croce, grazia e opere, sfida e attesa di salvezza. Le domande che egli continuamente pone danno ritmo a una esplorazione teologica della fede che sembra non giungere mai a termine, poiché egli stesso conclude chiedendosi: «Posso credere a tutto ciò? E si avvererà per me?» (p. 439). Sono domande che pesano ancor più dopo aver appena affermato che la fede cristiana «consiste nell'arrischiarsi nel futuro di Dio sulle tracce di Gesù, il Cristo, accompagnandosi a lui, nell'affidarsi al suo avvento, nell'osare varcare la soglia, stando su di essa, nel lasciarsi prendere; in modo che il Cristo stesso diventi la nostra porta, il nostro accesso a Dio» (p. 437). È tuttavia una conclusione coerente con quanto aveva detto all'inizio come avvertimento sul senso della ricerca: non intende condurre «a trovare rifugio in un territorio tranquillo, in uno spazio protetto saturo di certezze», bensì andare «al centro di sfide inedite e spesso non ancora sufficientemente chiarite, e quindi anche nel mezzo di controversie, di impulsi irrequieti» (p. 7), che possono sollevare istanze di svolte radicali, ma anche suscitare il fascino di nuove e accessibili prospettive di fede.
Werbick delinea il quadro della collocazione teologica della fede partendo da alcuni interrogativi: «Dove – e come – accade la fede? Dove conduce, dove intende guidarmi? Che cosa la costituisce, se la si "colloca" nel panorama di quelle altre credenze religiose e sociali più vicine a molti dei nostri contemporanei?» (p. 6). Occorre dunque iniziare da una concezione elementare di fede antropologicamente delineata, mettere da parte la distinzione tradizionale tra fides qua e fides quae, e riconoscere che «nulla di umano è estraneo alla fede cristiana», come poi scriverà nel libro Contro le false alternative. Nulla di umano è estraneo alla fede cristiana (Queriniana 2024).
In questo modo egli spiega che alla base di una teologia della fede non si pone una chiarificazione concettuale, bensì il fatto che essa è rivolta a «una Parola promettente e provocatoria su cui ci si orienta [...] a cui ci si affida perché è una Parola buona»(p. 36) dalla quale può nascere un dialogo (Noi siamo un dialogo, cap. 1). Ma poiché è una "Parola di vita" (cap. 2), perché chiama alla vita e chiama nel futuro di Dio, allora "Noi siamo la risposta", coinvolti nel duplice ruolo di "parlanti e ascoltatori" (p. 43). Dunque, in quale modo si giunge alla fede? Con una scelta coraggiosa? Oppure cercandone il fondamento nel cuore, in quell'abisso umano che sembra "impostato" da Dio, perché l'uomo si volga a Dio? Abramo ci insegna che la fede sta in un "infìntamente di più", in un cammino costruito sul fidarsi di un Dio («E partì senza sapere dove andava»: Eb 11,8b) «che non "poteva" indurlo in errore» (p. 63). Per Paolo invece è professione «nella capacità creativa, liberatrice e riconciliatrice di Dio, attuatasi nella croce e nella risurrezione di Gesù» (p. 128).
La storia dell'inculturazione del cristianesimo ci insegna che le concezioni della fede possono essere diverse (cap. 3 su "Pistis – Fides – fiducia – "Emuna – Ratio: per una topologia della fede”): radicamento in se stessi, obbedienza a quella Parola che non possiamo dirci da soli ma che ci deve essere detta, fiducia in quella ispirazione che si accresce dal profondo della psiche. Sono diverse anche le sue attuazioni (fides qua),così come le sue determinazioni contenutistiche (fides quae).Inoltre, può essere un fatto distintivo «una questione di demarcazione e comunanza» o la «possibilità di un'identità non esclusiva» (p. 105), di una adesione a una «suprema alternativa» a un futuro aperto (p. 124). Nonostante ciò, la fede vive lo sconcerto (vedi cap. 4) ed entra in profonda crisi soprattutto quando non è accompagnata da segni che dicono che Dio può ribaltare il corso disastroso degli eventi. «Il Magistero gerarchico ha cercato, fin dal secolo XIX,di rispondere alla crisi della fede, dimostrando tuttavia, sempre più chiaramente, di essere parte del problema, piuttosto che della sua soluzione» (p. 136). Così fede e dubbio si devono pensare insieme (cap. 5 La luce della fede – senza ombra di dubbio?).Infatti, è proprio quel tipo di fede che contempla dall'alto la realtà, che cerca sostegno interiore sulla base di una realtà divina appagante, che viene contestata e trascinata in interrogativi e dubbi. Ci si deve invece porre all'interno di luoghi e di momenti in cui si impara a saper ricevere «"dall'esterno" gli impulsi decisivi per superare visioni ristrette e oscuri malintesi» (p. 146). Cosa che non fa l'enciclica Lumen fidei (2013), «un testo orientato verso l'interno» (p. 140). Cosa si può dunque dire del dubbio? Può essere un'occasione per la fede?
Per Werbick «fede e dubbio sono reciprocamente legati, e quindi non possono essere separati l'una dall'altro» (p. 153). Quando sorge il dubbio e la contestazione che proviene «dalla consunzione della fede, che tormenta non solo le chiese e le comunità, ma che colpisce anche tutti coloro per i quali la fede "conserva ancora un qualche significato"» (p. 173), si deve riconoscere il carattere di sfida della fede, la sua debolezza. Essa si nutre del legame con il sapere (cap. 7) e con il sentimento (cap. 8). Essendo la fede «esperienza della contingenza», fondata nella buona volontà di Dio (p. 184), si può dire che essa si rinnova nel mentre si consegna a ciò che le viene dato di pensare («le chiese farebbero bene a resistere alla tentazione politico-identitaria»: p. 223). Allo stesso modo essa vive di ciò che viene percepito a livello soggettivo e oggettivo divenendo capacità di «aprire una prospettiva di vita percepita come sensata» (p. 225). Oggi il "sentire la fede" in modo diverso dal passato è un "segno dei tempi", che invita ciascuno a trovare la sua espressione autentica nel suo cammino e nella sua ricerca, in modo da viverla in prima persona. In tal modo il sapere e il sentimento sono ingredienti fondamentali per la libertà di fede e la "libertà religiosa" (cap. 9), per" condividere la fede da liberi" e per creare "la comunità dei credenti" (cap. 10). La libertà di fede è strettamente legata alle "opere buone" (cap. 11) in quanto «la fede si realizza nel rischio di vivere la mia vita con Dio, all'interno del suo futuro» (p. 355).
Nei capitoli 12 e 13 l'A. si concentra sulla dimensione soteriologica della fede. Alla domanda iniziale su in che cosa consista la forza della croce di Cristo, e quando diventi efficace, egli risponde «Nella vita dei cristiani!» (p. 363), cioè di coloro che accettano di partecipare alla dinamica solidale di Dio "Io ci sono per voi" (Es 3, 14) che «partecipa alle aspirazioni, alle miserie, anche agli abissi dell'umanità [...] per riempirli di sé, affinché divengano luoghi e vie per incontrarlo, per camminare ed entrare in comunione con lui» (p. 391). Qui si inserisce la fede nella risurrezione di Cristo, che da sempre riceve una contestazione da cui non riesce a liberarsi, alla quale sono giunti anche i discepoli dopo aver imparato a vedere in modo nuovo ciò che era accaduto.
L'ultima tappa del libro (cap. 14) è riservata alla "fede nella preghiera" pensata in un contesto nel quale l'uomo contemporaneo si sente imprigionato dalla quotidianità delle cose da fare, per cui «queste mi "abitano" senza che io le abbia invitate» (p. 428). La preghiera è stare sulla soglia, il momento della decisione, la porta aperta che si apre laddove si vede fallimento e caduta; è il coraggio di «arrischiarsi nel futuro di Dio» (p. 435), il lasciarsi accompagnare a vederlo nel presente. Sono queste le basi sulle quali collocare una teologia della fede in senso cristiano.
G. Zambon, in
Studia Patavina 2/2025, 373-376