Lontano dalle «fantasticherie» su quale volto si desidera per la Chiesa o dalle «utopie» su come essa dovrebbe essere nel futuro, il saggio del noto teologo tedesco si concentra sul presente della Chiesa, tenendo tuttavia in considerazione i vari desiderata di chi si sente a vario titolo parte della medesima.
Innegabilmente la situazione vigente della Chiesa cattolica, soprattutto in Occidente, mostra una coesistenza di due elementi diversi ma non necessariamente contrastanti: da un lato s’assiste a una vivacità di vita cristiana che s’esplica in particolar modo nell’impegno socio-caritatevole; dall’altro le chiese si svuotano, la fede cristiana sembra non possedere più la sua forza vitale per imporsi né tantomeno quella capacità attrattiva delle quali, invece, sembrano capaci altre forme religiose, senza contare la scarsa rilevanza pubblica che ormai caratterizza l’istituzione ecclesiastica, anche per via di una caduta in verticale della credibilità di molti dei suoi rappresentanti i quali, numericamente parlando, sono sempre più ridotti.
Muovendo da questa ambivalenza Greshake focalizza il presente della Chiesa anche alla luce di un motto che descrive assai bene lo stato d’animo di molti fedeli: «Tenere quel che è da tenere; salvare quel che è da salvare», il che significa considerare il mutamento in atto nella Chiesa come una di quelle forti crisi che hanno caratterizzato, scuotendola, la sua storia nel corso degli ultimi cinque secoli, a iniziare dalla Riforma protestante, ma che preludono a un nuovo inizio, sicuramente migliore ma comunque in linea con il passato. In breve, le vecchie strutture non devono essere cambiate in maniera sostanziale, in quanto sono in grado di reggere alle varie crisi.
A tale presa di posizione fanno da contraltare coloro i quali sostengono che l’attuale evoluzione della Chiesa, sebbene si possa inquadrare all’interno delle sue periodiche crisi, ha nondimeno il carattere di una novità assoluta proprio per la radicalità con cui si presenta rispetto al passato.
Dunque una «frattura» paragonabile a quella che si ebbe tra la Chiesa dei primi secoli, perseguitata a causa della sua fede testimoniata sino al martirio, e la successiva «svolta costantiniana», preludio di quella avutasi sotto l’imperatore Teodosio, allorquando il cristianesimo divenne la religione di Stato con la conseguente messa al bando dei culti pagani.
Dinanzi a tale «frattura» Greshake, illustrando nel saggio come vede il futuro a lungo termine di una Chiesa costretta a lasciarsi alle spalle le forme del presente, fa proprio un altro principio: «Ciò che è vivo deve vivere – deve continuare a vivere». Esso sta a significare non una rottura completa con il portato storico che sinora ha contraddistinto il profilo ecclesiastico quanto, piuttosto, valutare la categoria «real-utopistica» proposta dallo stesso teologo tedesco come strumento cardine per affrontare l’odierna evidente difficoltà in cui si dibatte la Chiesa cattolica.
Che cosa s’intende con l’espressione «real-utopistica»? Com’è noto, con il termine utopia s’indica la visione di una società immaginaria sia che si trovi in un’irraggiungibile lontananza geografica (Platone, Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Francesco Bacone) sia che si debba tradurre in realtà in un futuro più o meno lontano (Ernst Bloch e Max Horkheimer).
Nel caso di Greshake, c’è un’oggettiva tensione nell’espressione usata, foriera di originali ulteriori sviluppi, a iniziare dal significato che possono avere dei progetti real-utopistici a partire dalla novità della situazione contemporanea, dal prendere atto degli orientamenti del presente e, infine, dal fare delle previsioni per il futuro. In tale modo, riferendosi a queste tre traiettorie l’autore può affermare quanto segue: «Questi tre passi appartengono in maniera assolutamente sostanziale all’essenza di una real-utopia. Infatti, da una parte essa delinea – come ogni utopia – una “controimmagine” rispetto alla situazione attuale e richiama l’attenzione su qualcosa che non ha ancora un vero e proprio “luogo”, ma che si può tradurre in realtà soltanto in futuro; d’altra parte, però, essa non intende essere – proprio in quanto real-utopia – un frutto immaginario della fantasia, una costruzione che fa sognare a occhi aperti ma che non potrà diventare un futuro reale. Per questa ragione, una real-utopia poggia nel presente reale e cerca in esso di cogliere tendenze reali verso un futuro reale. Le real-utopie sono pertanto “estrapolazioni” (proiezioni) e “prolungamenti” di fatti empirici passati e presenti in vista del futuro» (21).
Con questa strumentazione di bordo Greshake elabora fattivamente alcune linee guida atte a essere bussole per una Chiesa a venire che, in quanto minoranza, risulta in grado di re-inventarsi senza cedere a uno sterile pessimismo.
D. Segna, in
Il Regno Attualità 18/2024, 561