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Chiesa, dove vai?
Gisbert Greshake

Chiesa, dove vai?

Guardare al futuro in prospettiva real-utopistica

Prezzo di copertina: Euro 34,00 Prezzo scontato: Euro 32,30
Collana: Giornale di teologia 456
ISBN: 978-88-399-3456-7
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 312
Titolo originale: Kirche wohin? Ein real-utopischer Blick in die Zukunft
© 2023

In breve

«Qui non mi occupo di “leggere il futuro nei fondi di caffè”, di indovinare le condizioni e prevedere la forma ventura della chiesa, di fanstasticare su come essa dovrebbe apparire. L’oggetto a cui mirano le mie riflessioni è, in fondo, il presente della chiesa».

Descrizione

La Chiesa cattolica sta attraversando una fase di radicale indebolimento e di ricostruzione. Ai suoi vertici non sono pochi coloro che si propongono di “salvare il salvabile”: si aggrappano a quel che ancora regge, puntando gli occhi sul passato, con un misto di nostalgia e rassegnazione.
Greshake chiede, invece, di ricominciare da capo, attuando un rinnovamento assolutamente più profondo, radicale, sostanziale. Il teologo tedesco rivendica con fermezza una «real-utopia» ecclesiale, in cui l’agire sia orientato non a preservare il passato tramandatoci, ma a immaginare il futuro promessoci. Egli scopre e fa emergere quelle tendenze che già oggi sono proiettate sul domani, prefigurandolo, ed elabora alcune linee guida di una Chiesa a venire che sia capace di reinventarsi. È la visione di una Chiesa che, in quanto minoranza, prende di nuovo coscienza del suo mandato e della sua forma vitale, una Chiesa dei laici, una Chiesa spirituale con una mutata forma sociale.

Proposte pertinenti, coraggiose, efficaci per affrontare la crisi odierna, senza cedere al pessimismo, ma adottando sempre uno sguardo positivo.

Recensioni

In tempo di «cambiamento d'epoca» (papa Francesco) molti immaginano come sarà il futuro a lungo termine del cristianesimo e della chiesa, aprendo il confronto su ciò che verrà lasciato alle spalle, cambia o farà saltare le forme del presente, su ciò che è vivo e deve continuare a vivere. Anche Gisbert Greshake, professore emerito di Dogmatica e Teologia ecumenica all'Università di Friburgo in Germania, ha pensato di dare il suo contributo cercando di rispondere alla domanda: Chiesa dove vai?

L'A. propone un cambiamento profondo e radicale, tutt'altro che accomodante; non un restiling di facciata o un tentativo di "salvare il salvabile", bensì uno sguardo sul futuro della chiesa a partire dalla realtà (vedi cap. I). Indizi chiari ed evidenti dicono che la «vita cristiano-ecclesiale avrà un futuro solamente se farà saltare molte forme e figure del passato, proprio come il bruco continua a vivere soltanto se mette da parte i limiti della sua condizione precedente, il bozzolo, per continuare a esistere come splendida farfalla» (p. 11). Nella realtà ci sono dei limiti che stanno determinando l'odierna situazione della chiesa (vedi cap. II). In particolare, il passaggio da una "chiesa di popolo" (christianitas), che godeva di una posizione privilegiata - ma anche strumentalizzata dai detentori del potere temporale - forte di una plurisecolare impostazione clericale e ultra-istituzionalizzata, che solo nell'età moderna è stata indebolita dalla società secolare e post-secolare, a una nuova forma di chiesa. I passi da fare sono tre: partire dall'analisi precisa di ciò che storicamente ha condotto all'evoluzione attuale, prendere atto delle dinamiche e delle tendenze del presente, "fare delle previsioni" per il futuro. Queste tappe appartengono all'essenza di una "real-utopia".

Non si tratta di sognare a occhi aperti ciò che non si realizzerà mai, quanto piuttosto di elaborare una nuova forma ecclesiale che «poggia nel presente reale e cerca in esso di cogliere tendenze reali verso un futuro reale»(p. 21). Pertanto, quali saranno le linee fondamentali di una forma di chiesa futura (vedi cap. III)?

Greshake ne indica cinque: 1) "Essere sacramento"; l'essere segno e strumento vanno intrecciati tra loro, per cui «là dove è davvero presente e viene vissuta la communio (la comunione con Dio e tra gli esseri umani), lì si realizza anche la missio, cioè la missione, la trasmissione, la testimonianza di ciò che viene attuato nella fede già dal principio, e viceversa» (p. 113). Questo è «l'elemento costante, che resiste come asse portante e stabile in mezzo a tutto il movimento e il cambiamento» (p. 108). 2) La chiesa sarà una "piccola minoranza" che vivrà in modo molto simile a quella dei primi secoli, secondo lo stile della Lettera a Diogneto; assumerà una «forma mista e ibrida» (p. 125) nella quale verranno mescolati insieme il buon grano e le erbacce, dando un'immagine di sé estremamente variegata e colorata. I suoi contorni più chiari si esprimeranno nella comune professione di fede e «nell'ambito della prassi e della responsabilità cristiana verso gli altri e verso la società» (p. 134). 3) La chiesa assumerà un aspetto più "spirituale" in linea con il motto «non istituzioni, ma persone!» (p. 155). Proprio allora potrà diventare più evidente che la chiesa non è un'istituzione di potere; verrà messo in discussione il rapporto della chiesa con il suo enorme patrimonio (immobili, riserve finanziarie, beni culturali). L'orientamento spirituale porrà l'accento sul carattere religioso. Verrà smantellata o comunque ridotta una certa forma di chiesa "gruppo industriale" prevalentemente dedita allaorganizzazione e alla gestione di svariati servizi. Gli aspetti spirituali si concentreranpo in una "mistica della fede", intesa non come fuga mundi bensì come «nascita di Dio nel proprio cuore» (p. 163); essa si tradurrà in una "mistica degli occhi aperti" (Johann Baptist Metz), nell'impegno per gli ultimi. Ciò richiederà di chiarire cosa si intende con "assistenza spirituale" (condurre le persone a "fare esperienza di Dio" attraverso i sacramenti e la Parola), con "guida spirituale" della comunità (orientare le persone a un agire diaconale) e anche con "vita consacrata" da pensare spingendo lo sguardo un po' oltre, verso quella tensione «tra responsabilità verso il mondo e distanza dal mondo» che «appartiene sin dall'inizio alla peculiaità della comunità cristiana» (p. 186). 4) La chiesa del futuro sarà una "chiesa di laici", una "chiesa declericalizzata" (K. Rahner) nella quale il ministero sacramentale pur essendo imprescindibile «non determinerà più in senso prioritario la fisionomia della chiesa» (p. 218).

Le conseguenze riguarderanno sia i laici, il loro contributo alla edificazione della chiesa e alla guida della comunità, sia l'esercizio del ministero ecclesiastico, sia la questione dell'ordinazione delle donne. La previsione di una chiesa del futuro "chiesa dei laici" è certa quanto quella di una chiesa piccola minoranza per il fatto che «in entrambi i casi si tratta di sviluppi che già oggi sono riscontrabili, chiari ed evidenti, le cui cause originarie sono comprensibili e le cui motivazioni teologiche appaiono alla luce del sole» (pp. 246-247). 5) La chiesa del futuro assumerà una "forma sociale" nella quale l'aspirazione a nuove forme di "comunità a patto di individualizzazione" non limiterà la libertà delle persone, anzi la valorizzerà includendo di ciascun individuo «la sua capacità organizzativa e di progettazione, i suoi desideri e la sua immaginazione personali, e lasciando a lui e alla sua decisione fino a che punto vuole impegnarsi o distanziarsi da essa» (p. 253). Le conseguenze riguarderanno la parrocchia (non è una "sacra reliquia"), le "comunità locali" (una sorta di struttura stabile della futura governance della chiesa), i centri spirituali (luoghi di celebrazione liturgica e di predicazione della fede caratterizzati dal raccoglimento spirituale) e la comunità in una fluid church (forma di comunità cristiana aperta a tutti senza alcun vincolo di appartenenza). La nuova forma sociale riguarderà anche il rapporto tra il vescovo e la sua diocesi, il ministero petrino e la sinodalità della chiesa.

A conclusione della presentazione delle caratteristiche "real-utopistiche" della chiesa del futuro, Greschake ammette che alcune previsioni possono sembrare troppo utopistiche sebbene egli sia profondamente convinto che siano corrette. Ma «tutto dipenderà dal nostro modo di agire, se soffocherà sul nascere o spingerà in avanti i fattori che già oggi indicano verso il futuro» (p. 291). Come non essere d'accordo?


G. Zambon, in Studia Patavina 3/2024, 570-572

Lontano dalle «fantasticherie» su quale volto si desidera per la Chiesa o dalle «utopie» su come essa dovrebbe essere nel futuro, il saggio del noto teologo tedesco si concentra sul presente della Chiesa, tenendo tuttavia in considerazione i vari desiderata di chi si sente a vario titolo parte della medesima.

Innegabilmente la situazione vigente della Chiesa cattolica, soprattutto in Occidente, mostra una coesistenza di due elementi diversi ma non necessariamente contrastanti: da un lato s’assiste a una vivacità di vita cristiana che s’esplica in particolar modo nell’impegno socio-caritatevole; dall’altro le chiese si svuotano, la fede cristiana sembra non possedere più la sua forza vitale per imporsi né tantomeno quella capacità attrattiva delle quali, invece, sembrano capaci altre forme religiose, senza contare la scarsa rilevanza pubblica che ormai caratterizza l’istituzione ecclesiastica, anche per via di una caduta in verticale della credibilità di molti dei suoi rappresentanti i quali, numericamente parlando, sono sempre più ridotti.

Muovendo da questa ambivalenza Greshake focalizza il presente della Chiesa anche alla luce di un motto che descrive assai bene lo stato d’animo di molti fedeli: «Tenere quel che è da tenere; salvare quel che è da salvare», il che significa considerare il mutamento in atto nella Chiesa come una di quelle forti crisi che hanno caratterizzato, scuotendola, la sua storia nel corso degli ultimi cinque secoli, a iniziare dalla Riforma protestante, ma che preludono a un nuovo inizio, sicuramente migliore ma comunque in linea con il passato. In breve, le vecchie strutture non devono essere cambiate in maniera sostanziale, in quanto sono in grado di reggere alle varie crisi.

A tale presa di posizione fanno da contraltare coloro i quali sostengono che l’attuale evoluzione della Chiesa, sebbene si possa inquadrare all’interno delle sue periodiche crisi, ha nondimeno il carattere di una novità assoluta proprio per la radicalità con cui si presenta rispetto al passato.

Dunque una «frattura» paragonabile a quella che si ebbe tra la Chiesa dei primi secoli, perseguitata a causa della sua fede testimoniata sino al martirio, e la successiva «svolta costantiniana», preludio di quella avutasi sotto l’imperatore Teodosio, allorquando il cristianesimo divenne la religione di Stato con la conseguente messa al bando dei culti pagani.

Dinanzi a tale «frattura» Greshake, illustrando nel saggio come vede il futuro a lungo termine di una Chiesa costretta a lasciarsi alle spalle le forme del presente, fa proprio un altro principio: «Ciò che è vivo deve vivere – deve continuare a vivere». Esso sta a significare non una rottura completa con il portato storico che sinora ha contraddistinto il profilo ecclesiastico quanto, piuttosto, valutare la categoria «real-utopistica» proposta dallo stesso teologo tedesco come strumento cardine per affrontare l’odierna evidente difficoltà in cui si dibatte la Chiesa cattolica.

Che cosa s’intende con l’espressione «real-utopistica»? Com’è noto, con il termine utopia s’indica la visione di una società immaginaria sia che si trovi in un’irraggiungibile lontananza geografica (Platone, Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Francesco Bacone) sia che si debba tradurre in realtà in un futuro più o meno lontano (Ernst Bloch e Max Horkheimer).

Nel caso di Greshake, c’è un’oggettiva tensione nell’espressione usata, foriera di originali ulteriori sviluppi, a iniziare dal significato che possono avere dei progetti real-utopistici a partire dalla novità della situazione contemporanea, dal prendere atto degli orientamenti del presente e, infine, dal fare delle previsioni per il futuro. In tale modo, riferendosi a queste tre traiettorie l’autore può affermare quanto segue: «Questi tre passi appartengono in maniera assolutamente sostanziale all’essenza di una real-utopia. Infatti, da una parte essa delinea – come ogni utopia – una “controimmagine” rispetto alla situazione attuale e richiama l’attenzione su qualcosa che non ha ancora un vero e proprio “luogo”, ma che si può tradurre in realtà soltanto in futuro; d’altra parte, però, essa non intende essere – proprio in quanto real-utopia – un frutto immaginario della fantasia, una costruzione che fa sognare a occhi aperti ma che non potrà diventare un futuro reale. Per questa ragione, una real-utopia poggia nel presente reale e cerca in esso di cogliere tendenze reali verso un futuro reale. Le real-utopie sono pertanto “estrapolazioni” (proiezioni) e “prolungamenti” di fatti empirici passati e presenti in vista del futuro» (21).

Con questa strumentazione di bordo Greshake elabora fattivamente alcune linee guida atte a essere bussole per una Chiesa a venire che, in quanto minoranza, risulta in grado di re-inventarsi senza cedere a uno sterile pessimismo.


D. Segna, in Il Regno Attualità 18/2024, 561

Guardare in avanti per prevedere il futuro? No, ma per prepararne la strada e così predisporci al futuro. Il cristianesimo, non importa a quale chiesa si appartenga, così come le altre religioni (chi apertamente e chi meno) sono in crisi. Bisogna prenderne atto. Barricarsi dentro le “dottrine” di sempre o dietro le “politiche” identitarie è più che inutile, dannoso. Come non aiuta un certo modo di fare teologia che non riesce a “uscire” cercando di costruire una nuova visione che permetta di andare verso il futuro. Ci rendiamo conto che non si tratta di semplici cambiamenti, che non basta qualche aggiustatina qua o là, qualche aggiornamento o riqualificazione di prassi religiose o spirituali. Viviamo vere e proprie metamorfosi, forse anche mutazioni di cui non possiamo che immaginare orizzonti. In effetti, è così perché quando si scruta il futuro, di futuro anteriore sempre si tratta. Un tempo verbale nel quale si fa riferimento a un evento futuro antecedente a un altro che avverrà. Si tratta in definitiva del passato del futuro.

Nel lavoro di Greshake si nota apertamente dal momento che tenta (perché di tentativo si tratta!) di «guardare al futuro in prospettiva real-utopistica», dove «real-utopismo» mitiga il problematico “non luogo” che caratterizza l’utopico mantenendo attiva la tensione al “reale” del presente (cf. pp. 12-15): la condizione perché si possa «procedere verso una progettazione creativa del futuro» (p. 15) della chiesa. La domanda che definisce il libro nel titolo contraddistingue la preoccupazione di molti (dentro e fuori le chiese) per le sorti del cristianesimo. Anche di recente la bibliografia sul tema è in crescita esponenziale e l’editoria ci va a nozze. In gran misura sono scritti che espongono analisi della crisi ecclesiale nei suoi aspetti oggi più visibili cercando al loro interno segnali o presagi di un futuro diverso, comunque migliore ogni autore dalla sua prospettiva. Spesso l’ansia di metter fine alle inquietudini (e non tediare i lettori) sbozza analisi ed esiti non particolarmente elaborate, altre volte esasperate e radicalizzate (per favorire anche un marketing editoriale in crisi).

Non è il caso di questo saggio di Greshake, un teologo di cui è noto il magistero teologico impegnativo come sempre, ma anche coraggioso stavolta nell’assumersi la responsabilità di indicare un metodo più che una geremiade sul «non c’è futuro senza…». Niente di nuovo, certo. Il futuro non giunge all’improvviso e non è nemmeno il distillato del passato, ma «è nel presente, occorre puntare lo sguardo su quelle tendenze attuali che sono rivolte al futuro e che noi, attraverso le nostre azioni, possiamo soffocare o spingere in avanti» (p. 8-9).

Nel capitolo primo: Prolegomeni (pp. 5-25) l’autore si dedica a illustrare la prospettiva teologica del lavoro da fare, ricordando le riflessioni di Ratzinger, Bloch, Maritain, il Vaticano II, Moltmann…, dichiarando (raramente fatto da quanti parlano del futuro della chiesa!) cosa intende «esattamente con chiesa» e con «futuro», l’elencazione delle precarietà (le criticità che in passato hanno già scosso la chiesa) e gli atteggiamenti fallimentari da evitare.

Il capitolo più stimolante e singolare è il secondo: I fattori determinanti l’odierna situazione della chiesa (pp. 27-106), che presenta (anche questo abbastanza raro in altre opere) i «reali sviluppi storici nella chiesa che hanno condotto a fattori reali tali da determinare il suo effettivo presente» (p. 25) conducendo «la chiesa in un vicolo cieco e causando una serie di aporie e problemi da cui la futura ekklēsia dovrebbe tenersi alla larga» (p. 103-104). Il metodo presentato nei Prolegomeni esprime qui la sua efficacia nel discernimento della storia e nel capitolo successivo (c. 3: Linee fondamentali di una forma di chiesa futura, pp. 107-290) nel discernimento del presente degli «orientamenti nei quali si delineano o si prefigurano le linee di fondo di una forma futura di chiesa» (p. 25) in chiave real-utopistica.

La riflessione di Greshake si fa più teologica e strutturata a partire da quello che chiama «l’elemento costante» (p. 108) l’asse portante e stabile in mezzo a tutto il cambiamento: l’«essere sacramento» della chiesa (segno e strumento, communio e missio). Lasciamo al lettore i dettagli della riflessione sulle linee fondamentali descritte dall’autore. Breve la conclusione (c. 4): chiesa, dove vai? Tutto dipende dal nostro modo di agire in ascolto dello Spirito. Come sarà il futuro? Di certo «molto, molto diverso dalla/e forma/e della chiesa che noi conosciamo sulla base del passato» (pp.291-292). Il futuro della chiesa è prima di tutto il futuro dei cristiani, non di quelli che si perdono dietro a congetture, ma di quelli che restano costantemente aperti allo Spirito e alla speranza, come si è soliti dire – pur con tanta parsimonia e senza troppo approfondire perché significa concretamente mantenersi aperti al possibile, all’incerto, all’inquieto, al nuovo. E per fare questo serve la fede… quella del popolo prima e più del compattamento delle istituzioni e della (ri)definizione delle dottrine. Una fede, poca o tanta che sia, comunque viva.


D. Passarin, in CredereOggi 4/2024, 139-141

>«Nel presente volume non si tratta, per così dire, di “leggere il futuro nei fondi di caffè”, di riuscire a scoprire quale aspetto avrà la Chiesa tra circa cinquant'anni, e dunque non si tratta principalmente di fare “previsioni” sulle sue condizioni a venire e sulla sua forma ventura; non si tratta neanche di “fantasticherie” su come la si desidera, né di “utopie” su come la Chiesa del futuro potrebbe o dovrebbe apparire – anche se si parlerà anche (e non poco!) di tutto questo. L'oggetto a cui mirano veramente e da ultimo le seguenti riflessioni è il presente della Chiesa».

Greshake, tra i principali teologi di lingua tedesca degli ultimi decenni, non smette di guardare con passione a «quelle tendenze attuali che sono rivolte al futuro e che noi, attraverso le nostre azioni, possiamo soffocare o spingere in avanti». Per questo, rifacendosi a Bloch e a Maritain, parla di real-utopie: «Una real-utopia poggia nel presente reale e cerca in esso di cogliere tendenze reali verso un futuro reale».

Dopo un'introduzione di carattere metodologico, nel libro si ricostruiscono i fattori determinanti dell'odierna situazione della Chiesa, segnata dalla fine della cosiddetta “Chiesa-di-popolo” e dalle molteplici sfide della secolarizzazione. Leggendo questa realtà, appunto, in ottica realutopistica, si delineano cinque linee fondamentali di una forma di Chiesa futura: 1) il centro permanente della Chiesa sarà il suo «essere sacramento»; 2) la Chiesa sarà una piccola minoranza in rappresentanza di tutte le altre; 3) assumerà un aspetto più “spirituale”; 4) sarà una «Chiesa dei laici»; 5) assumerà una forma sociale differente e differenziata.

I molti spunti di discussione presenti in queste cinque parti meriterebbero da soli la lettura del testo. In sintesi, secondo Greshake la Chiesa futura esisterà solo a condizione di una postura mistica di fronte al tempo e alla storia: «A questo costante rinnovarsi della Chiesa nello Spirito Santo si rivolge la speranza cristiana. Nell'esaurirsi o nel respingere questa speranza; però, e al suo posto nel continuo segnare il passo e reagire solo passivamente, ha luogo il disprezzo per Dio e la mancanza di fede».


M. Ronconi, in Jesus 6/2024, 90-91

Il focus da cui parte la profonda dissertazione del teologo tedesco Gisbert Greshake è il presente della Chiesa, tra fervida vita cristiana, da una parte, e crescente secolarizzazione, dall’altra, con l’auspicio di far germogliare una forma nuova e più credibile di Chiesa, che risponda agli interrogativi dell’uomo postmoderno.

L’A. sottolinea l’esigenza di una «real-utopia» ecclesiale e afferma che c’è bisogno di un rinnovamento radicale, senza nostalgia del passato. Egli puntualizza che le «real-utopie» non sono visioni di ciò che sarà, ma si fondano sulla realtà stessa. L’analisi attuale decreta la fine della «Chiesa di popolo», che si distingueva per una salda unità di società e Chiesa. Se verso la fine del Medioevo il numero dei religiosi era elevato, oggi assistiamo a un drastico calo delle vocazioni. «Forse l’attuale situazione della chiesa, alla fine dell’epoca caratterizzata dalla chiesa di popolo, si lascia esprimere dalla metafora biblica: oggi Dio stesso sembra ricondurre nuovamente il suo popolo “nel deserto”» (p. 60). La società odierna è profondamente cambiata rispetto al passato, presentando una diffusa instabilità nelle relazioni tra gli uomini. Tuttavia, a livello individuale, è forte il desiderio di avere dei punti di riferimento: «In altre parole, si continua ad anelare ad una comunità stabile anche nel contesto di instabilità» (p. 69).

Tipico dell’età moderna è il progressivo allontanamento di Dio dalla vita dell’uomo: in sostanza, non si ha più bisogno di Dio, la cui presenza diventa superflua. Questo porta a un graduale impoverimento della fede stessa. «Soltanto una rivitalizzazione della fede nel senso originario e pienamente biblico può dare alla chiesa un nuovo futuro, il che significa nello stesso tempo che il centro spirituale della chiesa deve emergere molto più fortemente e deve essere realizzato» (p. 103). Assistiamo al continuo proliferare di forme neore­ligiose, come esoterismo, nuova religiosità giovanile e New Age, lontane dalla fede come scelta di credere in un Dio personale, vivo, misericordioso e vicino alla vita dell’uomo.

Ci sono però alcune linee di fondo che resisteranno anche nella Chiesa del futuro: innanzitutto la Chiesa, in quanto mistero, pur essendo una piccola minoranza, continuerà a essere sacramento, communio e missio universale, ossia comunione con Dio e tra gli uomini e testimonianza nella fede. Anche se nella Chiesa del futuro ci sarà un numero di fedeli sempre più esiguo, non verrà meno il suo aspetto «spirituale» e «mistico». Essa non sarà più un «gruppo industriale»; la sua struttura sarà meno rigida; circolerà dunque meno denaro, e si tornerà a una Chiesa primitiva, meno gerarchizzata: insomma, a una Chiesa delle origini così come era al tempo di Gesù. «Essa conoscerà una nuova fioritura perché la sua forza dominante all’interno della società non si attuerà più attraverso una molteplicità di opere (istituzionali), ma tramite l’impegno e la testimonianza dei singoli fedeli. Il motto del futuro sarà: non istituzioni, ma persone» (p. 155).

Non bisogna escludere che in futuro possa trovare posto anche un sacerdozio coniugato, come già accade nelle Chiese orientali cattoliche. Inoltre, la mancanza di preti e la carenza dei fedeli porterà inevitabilmente alla fine della parrocchia e alla nascita di nuove forme comunitarie, centri spirituali aperti a tutti, dove i presbiteri saranno coadiuvati da diaconi e laici, in una sorta di fluid church intorno al cuore del Vangelo, sulla scia delle comunità pentecostali. Sarà forte il senso del mandato pastorale della Chiesa, quello di continuare a guidare le persone a fare esperienza di Dio, e un impulso di vitalità sarà dato dalla presenza dei laici e dal ruolo centrale del vescovo, quale vero padre spirituale della diocesi.

Lo spirito che animerà la Chiesa, in «una rete di luoghi vitali di incontro cristiano», come sottolinea il gesuita tedesco Medard Kehl, sarà caratterizzata dalla consapevolezza che «non sono gli esseri umani, per quanto possano anch’essi ricevere i doni grandi e numerosi dello Spirito, a “fare” la chiesa, a edificare la comunità e a guidarla, ma solamente Cristo, a cui il ministero sacramentale rimanda nel suo operato specifico, che rende presente e che rappresenta» (p. 206).


B. Grendene, in La Civiltà Cattolica 4170, 609-611