Gerard O'Collins, autore di Una cristologia delle religioni, è un gesuita australiano, ricordato da molti suoi allievi della Pontificia Università Gregoriana di Roma come brillante docente di teologia, che attualmente insegna presso la University of Divinity di Melbourne e presso l'Università Cattolica d'Australia (Melbourne). Con il suo libro egli apre piste nuove di lavoro per chi è interessato alle teologie della religione, facendo presente piu volte che manca una cristologia delle religioni fatta per essere condivisa – cosi dovrebbe essere – da tutti i cristiani. Nella Introduzione egli afferma: «Alcuni hanno sviluppato una teologia "cristocentrica" delle religioni, distinta da una teologia "teocentrica" o da una "ecclesiocentrica" delle religioni. Ma non mi è mai capitato di incontrare una "cristologia delle religioni» (p. 5).
Di fatto nessuna di esse opera sulla base diun quadro cristologico completo o di una cristologia integrale alla quale appartengono temi fondamentali quali «la teologia della croce; la portata universale del ministero di Cristo sommo sacerdote; l'efficacia della sua amorevole preghiera per "gli altri"; la mediazione della sua rivelazione (e non solo della salvezza) e la corrispondente fede accessibile agli "altri''» (p. 6). Proprio di questo egli intende occuparsi: proporre una cristologia cristiana, piuttosto che specificamente cattolica, attenta sia al magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, sia al pensiero di teologi anglicani, protestanti e cattolici; in particolare Karl Rahner e Jacques Dupuis (cui lo legava una profonda amicizia) con i quali dichiara di sentirsi maggiormente in sintonia. Di questi ultimi due teologi, pur tenendo conto delle rispettive differenze di pensiero, utilizza l'impostazione teologica, con l’intenzione tuttavia di andare oltre, verso "una cristologia delle religioni" in chiave sacerdotale, proponendo cioè nuovo materiale, quasi a modo di "complemento", col quale aprire nuovi cantieri di lavoro per una teologia delle religioni incentrata su Gesù Cristo.
Il libro si compone di 7 capitoli, dei quali il primo tratta il tema dell'incarnazione e il secondo quello del sacerdozio di Cristo inteso come intercessione per tutti. Tramite l'incarnazione, il figlio di Dio è divenuto «sacerdote per tutti» (p. 66). Si tratta di un principio importante che consente di poter dire che tutti gli esseri umani, a cominciare da Adamo, in quanto "i figli" dell'unico Dio e Padre «per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose» (Ebrei 2,10), sono destinati a trovare in Cristo "sommo sacerdote" colui che intercede presso il Padre per la liberazione dal male e dal potere della morte.
Per comprendere il ragionamento di O'Collins sul valore del sacerdozio di Cristo occorre rileggere quei passi della Lettera agli Ebrei nei quali è contenuta una apertura agli "altri" e ai seguaci delle altre religioni, fondata appunto sul «"prìncipio sacerdotale'' o "esistenziale sacerdotale" di cui tutti gli esseri umani partecipano» (p. 88). Egli lo riprende da John Henry Newman il quale lo intendeva come "coscienza umana" universalmente presente nei figli di Adamo, consistente nell'essere "positivamente precondizionati dall'interno" a partecipare del sacerdozio di Cristo mediante il battesimo. Anche per O'Collins «tutti gli esseri umani sono, sin dal loro concepimento e dalla nascita, già sacerdoti (così come profeti e re/pastori). L'esistenziale sacerdotale suggerisce il modo in cui l'azione sacerdotale di Cristo li ha formati ancor prima che abbiano la possibilità di rispondere a ciò che quell'azione porta loro nell'offerta della grazia di Dio» (p. 89). La teologia delle religioni o, meglio, la cristologia delle religioni, «sarebbe notevolmente arricchita se vi fosse inserito il "principio sacerdotale'' o l'"esistenziale sacerdotale" che onora l'attività sacerdotale di Cristo per il bene di tutti gli esseri umani» (p. 94).
A questo aspetto non avevano prestato la dovuta attenzione né K. Rahner, che «non rifletté mai sulle altre religioni e sui loro seguaci alla luce del sacerdozio di Cristo» (p. 55), né J. Dupuis che «ha esaminato la "mediazione" esercitata da Cristo, ma non qualificò questa mediazione come "sacerdotale"» (p. 59). Essa invece costituisce una nuova base per una cristologia delle religioni "aperta" ossia inclusiva di tutti quei temi (la croce, la solidarietà tra i sofferenti e altri), che toccano gli esseri umani. In particolar modo, il tema della croce: «Oltre a identificare gli esseri umani, la croce identifica Dio e mostra dove Dio continua a essere trovato: nella vita e nel corpo di quelli che sono calpestati e oppressi» (p. 40).
È cosi anche per il tema del futuro ultimo degli esseri umani: la presenza universale del Cristo, crocifisso e risorto, e dello Spirito santo ci dice che viene data «a tutti, qualunque sia la fede di cui vivono, la luce rivelatrice e la forza salvifica di cui hanno bisogno affinché possano godere per mezzo del Cristo risorto la vita eterna con Dio» (p. 117).
Su queste basi O'Collins colloca la preghiera di intercessione (cap. 4) come una forma di partecipazione della funzione di Cristo sommo sacerdote. Essa «costituisce una mediazione di salvezza e getta un po' di luce sulla cristologia delle religioni» (p. 126) di cui si sono occupati E Sullivan, J. Dupuis e G. D'Costa ma senza un affondo specifico sulla preghiera di petizione per "gli altri", distinta da quella per se stessi; oltre a essere «un modo di amare gli altri» (p. 138) e «un ministero sacerdotale» (p. 139), la preghiera di intercessione favorisce il cambiamento di atteggiamento (causalità efficiente) in coloro che pregano ed è anche un modo attraverso il quale Dio associa «i battezzati all’opera divina del prendersi cura di tutti "gli altri"» (p. 143).
Il tema della forza della preghiera di intercessione per "gli altri" assieme a quello della «fede degli "altri" sofferenti» (cap. 5) sono argomenti nuovi da affidare alla ricerca dei teologi della religione. Soprattutto quello della fede degli "altri", già trattato da J. Dupuis, P. Griffits e altri ma come tema della salvezza (mediazione) e non della divina rivelazione che li raggiunge. Esso richiede di riprendere in mano il decreto Ad gentes che dice delle cose significative sulla presenza della rivelazione in coloro che non hanno ancora accolto la fede in Gesù Cristo. In modo simile va interpretata la lettera agli Ebrei la quale, anziché proporre un certo "livellamento" sul contenuto della fede, offre piuttosto motivi per parlare di diverse «variazioni nella fides quae» (p. 190) e per immaginare un'apertura alla fides qua che consente di avvicinare la fede degli "altri" a quella dei seguaci di Gesù. Un esempio tra tutti è quello di Abramo e Sara: la loro obbedienza (fides qua) a Dio «li avvicinò alla fede dei cristiani impegnati»; per questo si può dire che «fu molto di più la sua obbediente fides qua che non la sua fides quae a rendere Abramo "nostro padre nella fede" e il "padre nella fede" per tutti i credenti» (p. 191).
Negli ultimi due capitoli del libro, l'A. si sofferma sui due compiti importanti di una cristologia delle religioni: discernere la presenza di Cristo e dello Spirito (cap; 6) e favorire la "cultura dell'incontro" in particolare attraverso il dialogo e le relazioni con i musulmani e gli ebrei (cap. 7). Quanto al primo, O'Collins, attingendo a Giustino, al Vaticano II e a Giovanni Paolo II, indica quattro criteri che aiutano a identificare esperienze che suggeriscono la presenza e l'azione del Cristo risorto e dello Spirito santo: «I criteri della profondìtà, delle appropriate conseguenze nel comportamento, dell'orientamento cristologico e pneumatologico e laforma trinitaria»(p. 217). Si tratta di esperienze che sono «autenticamente religiose» che «mettono i seguaci delle diverse religioni veramente in contatto con Dio e, in senso religioso, in contatto con gli altri esseri umani» (p. 201) sebbene si debba dire che mai potranno «esprimere in modo pieno e definitivo l'esperienza di Dio che ha raggiunto il suo insuperabile culmine in Gesù Cristo» (p, 218).
Infine, l'esplorazione dell'esperienza religìosa che maggiormente avvicina e accomuna i figli di Abramo è quella delle relazioni tra cattolici e musulmani e tra cattolici ed ebrei, di cui si sono occupati numerosi documenti e iniziative dal Vaticano II a oggi.
Il libro di O'Collins, oltre a esprimere una profonda sensibilità per il significato universale dell'opera sacerdotale di Cristo, peraltro dall'A. già espressa in molti altri contributi sulla cristologia, sull'incarnazione e su Gesù Cristo Redentore, e a porre in intelligente evidenza i lavori di alcuni teologi delle religioni, dei quali valorizza il pensiero ponendolo alla base di ulteriori percorsi di ricerca, può considerarsi una nuova traccia per una "cristologia delle religioni''. A fondamento di tutto vi è l'intima convinzione che all'opera sacerdotale di Cristo, ampiamente trascurata dai teologi delle religioni, debba essere dato «un posto di primo piano», per una «qualsiasi cristologia delle religioni» (p. 10).
In tal modo O'Collins riapre la ricerca su un argomento che a seguito della Dominus lesus (2000) sembra avere subito uno stallo indubbiamente poco utile alla teologia delle religioni.
G. Zambon, in
Studia Patavina 1/2023, 163-166