Il libro del noto gesuita australiano costituisce una proposta autorevole per la ricerca teologica contemporanea e ne colma un vuoto. Infatti, come lo stesso G. O’Collins spiega bene nello status questionis che delinea nelle pagine introduttive, l’ispirazione biblica è un tema poco indagato dai teologi: se gli studi di K. Barth e di K. Rahner costituiscono ancora un punto di riferimento, non è facile trovare significativi approfondimenti recenti.
O’Collins all’inizio del suo studio, nel primo capitolo, anzitutto si pone in dialogo con Barth, nella cui opera coglie alcuni elementi di rilievo, quali la distinzione tra la Rivelazione e la Scrittura o l’importanza dell’apostolicità. Il punto nodale, a suo parere, sta nel non ritenere l’ispirazione una qualità del testo biblico in se stesso, ma nel sottolineare l’“evento”, in cui, tramite la Scrittura, la Parola di Dio continua a risuonare ancora oggi nelle parole umane: «questo […] è il cuore della questione per Barth quando espone “l’ispirazione della Bibbia” o, in modo equivalente, “la presenza potente di Dio nella Bibbia» (22). Il dialogo si completa con un’attenta analisi dello studio dell’esegeta cattolico, R.F. Collins, basato sull’insegnamento della Dei Verbum.
Questi, dopo una panoramica di carattere storico, relativa alla riflessione biblico-teologica sul tema, indica alcuni elementi essenziali della dottrina dell’ispirazione, fra cui uno che O’Collins condivide e che costituisce il primo aspetto tipico della sua proposta: uno studio sull’ispirazione non può non partire dal testo ispirato, dalle Scritture. Allo sviluppo di questo primo elemento peculiare O’Collins dedica i capitoli secondo, terzo e quarto, rispettivamente riservati (a) ad alcuni libri “ispirati e ispiratori” dell’Antico Testamento (Genesi, Salmi, Profeti [soprattutto Geremia, Ezechiele e Isaia], Siracide), (b) al Nuovo Testamento, in quanto ispirato dall’Antico, e (c) agli effetti (Wirkungsgeschichte) della Bibbia, ovvero alla “storia della recezione” delle Scritture ispirate nel corso della storia del cristianesimo, ad esempio nella liturgia o nell’insegnamento magisteriale.
Come lasciano intendere i cenni appena fatti, la prospettiva precisa con cui vengono accostati i testi biblici è che questi sono sia ispirati che ispiratori e che sono ispiratori in quanto ispirati. In modo esemplificativo, alcuni passaggi possono esprimere meglio tale prospettiva. Anzitutto, un’affermazione presente nelle pagine sui Salmi: «i vangeli, le lettere di Paolo e altri libri del Nuovo Testamento illustrano in che modo le Scritture ereditate, e in particolare i Salmi, erano accolte come Scritture autorevoli ed erano usate per interpretare la rivelazione di Dio trasmessa attraverso la missione del Figlio e dello Spirito. Sappiamo poco dell’opera specifica dello Spirito nella formazione dei salmi. Però, nella storia del Nuovo Testamento e nella storia successiva, sappiamo moltissimo sul loro impatto ispiratore sulla vita comunitaria e individuale dei cristiani» (40-41). Dopo, la sintesi conclusiva delle caratteristiche del vangelo di Matteo afferma: «ciò che le Scritture ispirate avevano indicato (o almeno prefigurato) nella “Legge e i Profeti”, nonché il linguaggio fornito da questi testi, forgiarono la presentazione e l’interpretazione che Matteo offrì della vita di Gesù. Questo autore ispirato articolò il suo messaggio attraverso le Scritture dell’Antico Testamento, esse stesse ispirate e ispiranti» (64).
Il quinto capitolo costituisce uno snodo tra il precedente elemento peculiare e il secondo. Prima di considerare direttamente l’ispirazione, O’Collins, secondo l’insegnamento della Dei Verbum, ne studia il contesto: la Rivelazione, la Tradizione e la loro relazione con la Scrittura. Nella presentazione dell’articolazione tra queste, merita di essere evidenziata la riflessione relativa alla criteriologia nell’accostare le tradizioni. Nel pensare il permanere della Parola di Dio all’interno del processo della Tradizione, nell’actus tradendi, sono necessari dei criteri per discernere le tradizioni, per vedere cioè se queste esprimano autenticamente o meno la Rivelazione fondatrice. Essi sono formulati in forma interrogativa: «(a) una qualche tradizione specifica aiuta i fedeli a essere guidati più chiaramente dallo Spirito Santo e dal Cristo risorto? (b) Essa valorizza il loro culto comune? (c) Una qualunque decisione su questa o quella tradizione è illuminata e sostenuta dalla riflessione orante sulle Scritture? (d) Una simile decisione ispira i credenti a servire i bisognosi in modo più generoso?» (103).
Il secondo elemento distintivo della proposta di O’Collins, che ultimamente costituisce il cuore della sua trattazione teologica, consiste nell’approfondire il significato di “ispirazione” e nel presentare le dieci caratteristiche di questa, nei capitoli sesto e settimo. Posto che «l’ispirazione biblica può essere detta un impulso speciale dello Spirito Santo, elargito durante la lunga storia del popolo eletto e la molto più breve epoca apostolica» (112), segue un interrogativo che, con la risposta essenziale fornita, contiene in nuce le questioni successive: «dobbiamo affrontare in modo dettagliato la domanda: quale forma ha assunto o non ha assunto l’“impulso speciale” dell’ispirazione? Le nostre risposte influiranno anche su ciò che si intende allorché si chiama Dio l’“autore” delle Scritture» (114). Fra le caratteristiche studiate (esempio: varietà nel dono dell’ispirazione oppure “impulso speciale” nei confronti degli esseri umani), spesso in dialogo con il documento della Pontificia Commissione Biblica sull’ispirazione (2014), vanno poste in rilievo le ultime due.
Una, riprendendo sostanzialmente un argomento di Rahner, collega l’ispirazione con la fondazione della Chiesa: «il dono dell’ispirazione […] apparteneva in definitiva all’unico e non trasferibile ruolo degli apostoli e della comunità apostolica nel testimoniare la risurrezione di Cristo dai morti e la venuta dello Spirito Santo, e nel fondare la Chiesa» (130). L’altra corrisponde al primo aspetto peculiare della trattazione di O’Collins ovvero all’indole ispirante della Scrittura ispirata: «il suo impatto ispiratore deve essere riconosciuto come la caratteristica più significativa dell’ispirazione biblica – l’impulso dello Spirito che ha prodotto la Bibbia e che continua a parlare e a santificare attraverso i testi sacri» (132).
Le conseguenze dell’ispirazione sono studiate nell’ottavo capitolo, che esamina la questione della verità salvifica della Scrittura, il canone e la sua autorità, di indole pneumatologica, cristologica e apostolica. Il terzo elemento caratteristico della trattazione è oggetto di studio degli ultimi due capitoli. L’esordio del capitolo nono solleva il nucleo della questione: «Dio ci parla non solo in quanto è l’autore (attraverso gli scrittori ispirati) del testo delle Scritture, ma anche in quanto le leggiamo e le interpretiamo. Abbiamo bisogno di una visione dell’ispirazione biblica basata sulla parola di Dio espressa in parole umane che si dimostrano ispiratrici quando sono lette, interpretate, predicate e applicate» (152).
Il successivo esame della questione considera le dimensioni di un’interpretazione integrale, attenta a tenere insieme l’intenzione degli autori, quella dello stesso testo e quella dei lettori. Un significativo approfondimento del problema ha luogo nel capitolo decimo, riservato all’interpretazione delle Scritture da parte dei teologi. O’Collins elabora dieci principi (si vedano ad esempio: consenso contemporaneo, provvisorietà escatologica), nel desiderio, pienamente condivisibile, che questi possano «aiutare i teologi a evitare di interpretare erroneamente le Scritture, e a migliorare il passaggio dalla Bibbia alla teologia sistematica» (167).
Il volume di O’Collins, che colma un vuoto nell’orizzonte degli studi contemporanei su un tema importante della teologia, in particolare, si raccomanda per la chiarezza dell’esposizione, che contribuisce a rendere scorrevole la lettura, e per le prospettive che non manca di aprire.
N. Capizzi, in
Rassegna di Teologia 1/2024, 128-131