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Umiltà, pazienza e amore
Erich Przywara

Umiltà, pazienza e amore

Prezzo di copertina: Euro 8,50 Prezzo scontato: Euro 8,05
Collana: Meditazioni 235
ISBN: 978-88-399-2835-1
Formato: 11 x 20 cm
Pagine: 112
Titolo originale: Demut, Geduld, Liebe. Die drei christlichen Tugenden
© 1968, 20182

In breve

Introduzione all’edizione italiana di Claudio Avogadri.

Uno sguardo filosofico profondo sulla specificità cristiana di tre virtù “universali”. Un esempio brillante di riflessione teologica comparata, da parte di un autore dalla cultura sterminata.

Descrizione

In queste pagine, scarne e densissime, Przywara si avventura in un ambizioso esercizio di comparazione: esamina l’idea antica (classica) di “umiltà”, di “pazienza”, di “amore”, e la mette a confronto con la comprensione tipicamente cristiana, evidenziando la singolarità e l’originalità irriducibili di quest’ultima.
L’umiltà viene così illustrata non come un sadico gusto divino nell’annientare l’essere umano, ma come il mistero di una unione rispettosa tra due amanti. La pazienza – ignota alle divinità greche – risulta quel sapersi fare carico dei silenzi e delle notti inquiete che punteggiano la relazione d’amore. E lo stesso amore cristiano viene inteso come alleanza, ovvero come reciprocità positiva e buona, per quanto asimmetrica.
Tre virtù che sono – in definitiva – altrettanti aspetti del medesimo, unico Mistero.
Non abbiamo qui, dunque, una semplice meditazione edificante, ma un pensiero rigoroso e profondo, che ad ogni riga convoca il vasto sapere filosofico-teologico di un gigante del XX secolo come Erich Przywara.

Recensioni

La figura di pensatore filosofico e teologico del gesuita polacco Erich Przywara, si impone nel panorama del secolo XX quale scrittore prolifico con all’attivo ben ottocento ricerche e cinquanta monografie. Fu contemporaneo di E. Husserl, M. Scheler, E. Stein, P. Tillich, K. Barth, M. Heidegger, M. Buber, H. Rahner, P. Lippert, G. von Le Fort e von Balthasar. La sua esistenza fu travagliata e scossa da tanti eventi storici: il difficile periodo successivo alla prima guerra mondiale, il sciagurato frangente della dittatura nazista cui seguì la ricostruzione del pensiero e della società dopo la seconda guerra mondiale.

Erich Przywara aveva delle predilezioni, dichiarate e conosciute: il silenzio, quello che "sovrasta tranquillo il fragore del mondo e placa l'agitarsi dell'universo"; la musica: era infatti un violinista provetto, detto dagli amici il "tzigano". Una delle sue asserzioni reggeva la sua ricerca gigantesca: "Per il credente è legittima una filosofia teologica, ma non una teologia filosofica".

Cultura laica e cristianesimo si sono sempre dovute affrontare nei secoli e il loro rapporto è sempre stato teso ma fecondo. Nei primi secoli della cristianità, i pensatori cristiani erano stati formati dalla sapienza classica, prevalentemente greca, quindi si trovarono costantemente dinanzi a delle opzioni che non suonassero sempre come contestazioni o addirittura dinieghi. Si trattò non di compromessi ma dialogo vitale che suggerisse al messaggio evangelico come giungere, nella sua originalità, a qualunque persona.

Umiltà, pazienza e amore, come suona il titolo, indubbiamente non è un appannaggio culturale esclusivo della cultura antecedente alla diffusione del messaggio evangelico. E. Przywara ne ha piena consapevolezza perciò procede con metodo ad esaminare il lascito del pensiero antico della grecità, quella della rivelazione biblica e tutta la tradizione cristiana classica in seguito sviluppatasi. Fermo rimane un punto, proprio per non cadere in un annullamento inutile e pregiudizievole a qualsiasi riflessione rigorosa, l'annuncio e la testimonianza di Gesù Cristo, un unicum. Ne consegue che "alla luce dello scandalo dell'umiltà e della pazienza, quali criteri dell'autentico amore cristiano, l'amore cristiano si contrappone inesorabilmente a quello non cristiano".

Le tre meditazioni, dedicate alle tre virtù sono le facce di un unico Mistero, non in tono devozionale o pietistico, ma dottrinale, tratte da un fondo di ampi studi antecedenti ora redatti con valenza particolare: "Un contributo per la ricerca del rapporto fra l'antica dottrina classica e quella cristiana". Un pensiero quindi rigoroso e profondo che mette in luce l'originalità delle virtù cristiane.

L'umiltà "non ha posto alcuno nella filosofia greca classica dalla quale è stato formato il pensiero occidentale" e viene considerata invece dal cristianesimo come il mistero che avvolge due amanti: "esiste così un condizionamento intimo e reciproco tra il 'sempre più grande' di Dio e la piccolezza dell'umiltà: Egli sarà sempre il più grande, per quanto noi cresciamo... Allora noi potremo essere grandi in lui, se saremo sempre piccoli sotto di lui".

Ai greci era ignota una divinità paziente, mentre per Przywara la pazienza è una forma di relazione, un admirabile commercium: "la maturità vera e propria dell'amore... la perfetta opera di Dio, in Cristo, nella Chiesa: il trionfo dell'amore nella sua perfetta donazione di sé".

L'amore, considerato quale agape e comunione d'amore con Dio nell'alleanza, nella certezza dell'asimmetria, si incarna in Teresa di Gesù Bambino e nella sua "piccola Via" in quanto "è la vera via per assomigliare al Santo Volto del Dio in Cristo crocifisso e morente".

Le tre virtù si richiamano, non procedono isolatamente e generano lo "'scandaloso e paradossale' simbolo dell'indissolubile appartenenza di umiltà, pazienza, amore quale emblema della virtù specificamente cristiana". Per comprendere questa breve ricerca è necessario non dimenticare uno strumento ermeneutico tipico dell'autore anche se non usato esplicitamente: "l'analogia della dissomiglianza sempre maggiore", analogia che l'autore aveva sottolineato quale struttura dinamica fondamentale sempre valida; tuttavia, essa, proprio secondo il suo carattere di struttura dinamica fondamentale, costituisce quel ritmo che pervade tutto il libro.

Pagine che comunicano il mistero di "'quel fuoco divorante' (Dt 4,24; Eb 12,29) che Dio 'è' come amore (1 Gv 4,8): divorante se stesso e se stesso in noi".


C. Dobner, in Studi Ecumenici 3-4/2018, 1076-1077

In queste pagine, scarne e densissime, Przywara si avventura in un ambizioso esercizio di comparazione: esamina l'idea antica (classica) di "umiltà", di "pazienza", di "amore", e la mette a confronto con la comprensione tipicamente cristiana, evidenziando la singolarità e l'originalità irriducibili di quest'ultima. L'umiltà viene così illustrata non come un sadico gusto divino nell'annientare l'essere umano, ma come il mistero di una unione rispettosa tra due amanti. La pazienza - ignota alle divinità greche - risulta quel sapersi fare carico dei silenzi e delle notti inquiete che punteggiano la relazione d'amore. E lo stesso amore cristiano viene inteso come alleanza, ovvero come reciprocità positiva e buona, per quanto asimmetrica. Tre virtù che sono - in definitiva - altrettanti aspetti del medesimo, unico Mistero.

Non abbiamo qui, dunque, una semplice meditazione edificante, ma un pensiero rigoroso e profondo, che ad ogni riga convoca il vasto sapere filosofico-teologico di un gigante del XX secolo come Erich Przywara. L'introduzione all'edizione italiana è di Claudio Avogadri. Uno sguardo filosofico profondo sulla specificità cristiana di tre virtù "universali". Un esempio brillante di riflessione teologica comparata, da parte di un autore dalla cultura sterminata.


In Consacrazione e Servizio 3/2018, 134-135

Una delle questioni più complesse che hanno caratterizzato la storia del cristianesimo riguarda il rapporto che esso può e deve stabilire con la cultura laica. Tale questione fu vissuta con intensità agli albori della diffusione del Vangelo; quando gli intellettuali cristiani, confrontandosi con l'eredità della sapienza classica, dovettero scegliere se tenere nei confronti di essa un atteggiamento di contestazione e di rifiuto oppure optare per una linea più dialogante, pronti ad accettare ciò che di positivo era presente nel patrimonio della grecità, senza tradire l'originale unicità dell'annuncio cristiano.

Seppur in termini via-via diversi, questo problema si è posto fino ai giorni nostri e tra coloro che hanno recato un contributo significativo alla definizione di esso va ricordato il gesuita polacco Erich Przywara (1889-1972), intellettuale poliedrico e assai colto, del quale l'editrice Queriniana ha di recente riproposto all'attenzione «Umiltà pazienza e amore», un volumetto molto denso in cui l'autore esamina le tre virtù menzionate nel titolo, mostrando il loro volto così come si presenta nel pensiero greco antico, nella rivelazione biblica e nella tradizione cristiana classica.

Ostile a uno spirito aprioristicamente concordista che tende ad annullare le differenze, Przywara non esita a rivendicare l'irriducibile originalità della visione cristiana del mondo. Ai suoi occhi, essa emerge con chiarezza anche dall'analisi dell'umiltà, della pazienza e dell'amore: l'umiliazione che, in Cristo, diventa elevazione è un autentico unicum nella storia dell'umanità; e se gli dei greci non brillano certo per la loro pazienza, così non è per il Dio biblico; infine, proprio «alla luce dello scandalo dell'umiltà e della pazienza, quali criteri dell'autentico amore cristiano, l'amore cristiano si contrappone inesorabilmente a quello non cristiano».


M. Schoepflin, in Giornale di Brescia 18 febbraio 2018

>[…] Certamente carica di significato - a 50 anni dall'ultima edizione (1968) - è stata la scelta di ripubblicare con una nuova veste grafica e l'introduzione di Claudio Avogadri da parte di Queriniana un saggio chiave (sempre riproposto dalla casa editrice bresciana) per scoprire di Przywara il suo tratto più mistico e spirituale con Umiltà, pazienza e amore. Uno scarno libretto - come si evince leggendo le prime pagine - articolato in tre meditazioni dedicate appunto alle tre virtù alla luce della comprensione che ne fa il cristianesimo rispetto alla mentalità pagana. Ad ogni riga di questo libretto viene richiamato il vasto sapere filosofico-teologico di un gigante del xx. secolo come fu in fondo Erich Przywara.
F. Rizzi, in Avvenire 11 febbraio 2018

Vivere il difficile periodo successivo alla Prima guerra mondiale, il drammatico frangente della dittatura nazista e quello della ricostruzione del pensiero e della società dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, portando avanti imponenti studi filosofici e teologici, è stata l'avventura di Erich Przywara (1882-1972). Gesuita polacco, filosofo, teologo, grande uomo di cultura del XX secolo, Przywara fu uno scrittore prolifico (ottocento ricerche e cinquanta monografie). Intorno a lui ruotarono i grandi nomi del secolo scorso: Husserl e Scheler, Stein e Tillich, Barth e Heidegger. E poi ancora Buber, Rahner, Lippert, von Le Fort e von Balthasar. Violinista provetto, denominato «tzigano» per la sua abilità, amava il silenzio, quello che «sovrasta tranquillo il fragore del mondo e placa l'agitarsi dell'universo». Sua è una geniale asserzione: «Per il credente è legittima una filosofia teologica, ma non una teologia filosofica».

Nello scarno libretto «Umiltà, pazienza e amore» (Queriniana 2018), che si articola in tre meditazioni riguardanti le tre virtù unite però fra loro e indissolubili nella vita, Erich Przywara non si ferma a riflessioni devozionali e pietistiche, ma intraprende un rigoroso raffronto (già condotto anche in studi antecedenti) che vuole essere «un contributo per la ricerca del rapporto fra l'antica dottrina classica e quella cristiana». Il confronto, serrato, sfocia nel dimostrare l'originalità delle tre virtù cristiane.

Ripercorriamole. L'umiltà «non ha posto alcuno nella filosofia greca classica dalla quale è stato formato il pensiero occidentale» e viene considerata invece dal cristianesimo come il mistero che avvolge due persone: «Esiste così un condizionamento intimo e reciproco tra il 'sempre più grande' di Dio e la piccolezza dell'umiltà: 'Egli sarà sempre il più grande, per quanto noi cresciamo... Allora noi potremo essere grandi in lui, se saremo sempre piccoli sotto di lui'». E ben noto come i greci non conoscessero una divinità paziente, per Przywara la pazienza è una forma di relazione, un admirabile commercium:«La maturità vera e propria dell'amore... La perfetta opera di Dio, in Cristo, nella Chiesa: il trionfo dell'amore nella sua perfetta donazione di sé». Infine l'amore, cioè l'agape e la comunione d'amore con Dio nell'alleanza, si incarna in Teresa di Gesù Bambino e nella sua «piccola Via» in quanto «è la vera via per assomigliare al Santo Volto del Dio in Cristo crocifisso e morente». Si riuniscono così le tre virtù nello «‘scandaloso e paradossale’ simbolo dell'indissolubile appartenenza di umiltà, pazienza, amore quale emblema della virtù specificamente cristiana». Tutte le meditazioni sono innervate dal mistero di «quel fuoco divorante (Dt 4,24; Eb 12,29), che Dio «è come amore (1Gv 4.8): divorante se stesso e se stesso in noi».


C. Dobner, in La Voce e Il Tempo 11 febbraio 2018

Il gesuita polacco Erich Przywara, filosofo, teologo, conferenziere e grande uomo di cultura del secolo XX - scrittore prolifico con all'attivo ben ottocento ricerche e cinquanta monografie - visse a contatto con i grandi pensatori e letterati del suo tempo: Edmund Husserl, Max Scheler, Edith Stein, Paul Tillich, Karl Barth, Martin Heidegger, Martin Buber, Hugo Rahner, Peter Lippert, Gertrud von Le Fort e von Balthasar. Attraversò il difficile periodo successivo alla prima guerra mondiale, il drammatico frangente della dittatura nazista e quello della ricostruzione del pensiero e della società dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Prediligeva il silenzio, quello che «sovrasta tranquillo il fragore del mondo e placa l'agitarsi dell'universo» ma era un genio musicale molto apprezzato dagli amici tanto da essersi guadagnato il nomignolo di tzigano per la sua abilità nel suonare il violino.

Gigante del pensiero filosofico e teologico asseriva che «per il credente è legittima una filosofia teologica, ma non una teologia filosofica». Da una simile ricchezza culturale e teologica nacque anche uno scarno libretto (Umiltà, pazienza e amore, Queriniana, Brescia 2018, pagine 108, euro 8,50) articolato in tre meditazioni, dedicate appunto alle tre virtù che si dimostrano però le facce di un unico Mistero.

Non si tratta di riflessioni devozionali e pietistiche ma di un percorso dottrinale di altissimo livello, già stato trattato in studi antecedenti ma che ora acquista una valenza particolare: «Un contributo per la ricerca del rapporto fra l'antica dottrina classica e quella cristiana». Il confronto è serrato e giunge a illuminare l'originalità delle virtù cristiane.

L'umiltà «non ha posto alcuno nella filosofia greca classica dalla quale è stato formato il pensiero occidentale» e viene considerata invece dal cristianesimo come il mistero che avvolge due amanti: «Esiste così un condizionamento intimo e reciproco tra il "sempre più grande" di Dio e la piccolezza dell'umiltà: "Egli sarà sempre il più grande, per quanto noi cresciamo" [...]. Allora noi potremo essere grandi in lui, se saremo sempre piccoli sotto di lui». I greci non conoscevano una divinità paziente, Przywara illustra invece la pazienza come una forma di relazione, un admirabile commercium: «La maturità vera e propria dell'amore [...] la perfetta opera di Dio, in Cristo, nella chiesa: il trionfo dell'amore nella sua perfetta donazione di sé». L'amore, come agape e come comunione d'amore con Dio nell'alleanza, trova il suo modello in Teresa di Gesù Bambino e nella sua «piccola Via» in quanto «è la vera via per assomigliare al Santo Volto del Dio in Cristo crocifisso e morente». Si riuniscono così le tre virtù nello «"scandaloso e paradossale" simbolo dell'indissolubile appartenenza di umiltà, pazienza, amore quale emblema della virtù specificamente cristiana».

Sotteso a tutta la ricerca vi è un aspetto tipico del pensatore Przywara: «In questi studi non viene usata esplicitamente "l'analogia della dissomiglianza sempre maggiore", analogia che l'autore aveva sottolineato quale struttura dinamica fondamentale sempre valida; tuttavia, essa, proprio secondo il suo carattere di struttura dinamica fondamentale, costituisce quel ritmo che pervade tutto il libro». Innervato dal mistero di «quel fuoco divorante (Deuteronomio 4,24; Ebrei 12,29) che Dio "è" come amore (1Giovanni 4,8): divorante se stesso e se stesso in noi».


C. Dobner, in L’Osservatore Romano 27 gennaio 2018