Chiesa sinodale e riforma sono, in questo momento, due temi che fanno da sfondo all’attuale stagione ecclesiale; il libro che presentiamo raccoglie i contributi di un gruppo di studiosi iberoamericani che si sono confrontati su questi due argomenti.
L’idea di fondo, che accompagna i singoli testi, è quella di affrontare alcuni snodi problematici dell’attuale dibattito sulla Chiesa sinodale, a partire dalla riforma. O meglio, il leitmotiv che mi è sembrato di cogliere in questa ricerca nasce da una ricomprensione della sinodalità, vista come l’attiva partecipazione dell’universitas fidelium, per la promozione di un vero e proprio processo di riforma e di cambiamento.
“Sinodalità” è uno dei termini più usati nell’odierna letteratura teologica, e in particolar modo ecclesiologica. Oggi si riscontra un utilizzo piuttosto frequente del concetto di sinodalità; tutto ciò ha fatto sì che questo concetto, piuttosto astratto per la verità, non assuma più un significato univoco. Per questa ragione, chiunque voglia in qualche modo approfondire la sinodalità della Chiesa, è necessario che espliciti l’orizzonte di comprensione all’interno del quale intende muoversi. I contributi di questa ricerca sembrano muoversi da una Chiesa sinodale “dal basso”, che vada a strutturare/cambiare anche la sua fisionomia istituzionale, facendo sì che la sinodalità non possa essere identificata unicamente come espressione della realtà collegiale dei vescovi insieme al Romano Pontefice, bensì riguardi tutta la Chiesa e non solo una parte (“alcuni”) di essa (cf G. Lafont, Petit essai sur le temps du pape François, Paris, Cerf 2017).
Lo svolgimento teoretico del libro parte da una riappropriazione della questione con una rinnovata interpretazione della tradizione, che permette di inquadrare in maniera innovativa la prassi sinodale della Chiesa. È quanto sembra emergere nel famoso passo di At 15, che diventa un’esplicitazione della dedizione comunitaria già espressa nel famoso sommario lucano di At 2,42. In questo testo, nonostante alcuni suoi risvolti irenici (tipico procedere letterario dell’A. che convenzionalmente chiamiamo Luca), si evince la priorità di una sinodalità, nel suo agire e decidere, quale partecipazione attiva e consapevole di tutti i membri della comunità. La sinodalità, in questa prospettiva comunionale, non può essere svincolata dalla persona, o meglio dalle persone, in quanto la Chiesa, proprio nella paradossalità della sua natura teandrica, si manifesta attraverso i credenti in Cristo (lo Spirito e Noi). Tuttavia, non si “rinchiude” in essi, né tantomeno la sinodalità, quale connotato essenziale della comunità cristiana, può essere ridotta e strutturata secondo i canoni della democrazia, o peggio ancora, di una teoria della comunicazione. Ciò che è in ballo, a nostro avviso, è l’identità stessa della Chiesa Cattolica.
Il volume si struttura in quattro parti che sintetizzano le coordinate di fondo della ricerca: la prima parte è intitolata “costruire sinodalità”; i contributi di questa sezione auspicano una riforma nel senso di un processo di sinodalizzazione di tutta la Chiesa e a tutti i livelli, che investe lo stile, le strutture, i processi e gli eventi.
La seconda parte porta il titolo “Riconfigurare i ministeri, i carismi e i servizi”, che è la parte più interessante della ricerca; essa si concentra sull’importante soggettività del laicato nell’ottica di “una sinodalizzazione” di tutta la Chiesa. Si segnala, in questa sezione, il significativo contributo dello storico M. Faggioli, sulla questione del rapporto tra ministero episcopale e Chiesa locale. L’A. mette in risalto come questa relazione, dal punto di vista ecclesiologico, abbia riguardato più la relazione/connessione al Collegio e al Primato, che all’universitas fidelium, perdendo di vista quell’evoluzione che a partire dalla svolta conciliare, ha valorizzato l’importante ruolo del popolo di Dio.
La terza parte è, invece, intitolata “Creare consensi: una possibilità reale”. Questa sezione raccoglie anche scritti provenienti da differenti prospettive ecumeniche che tentano di ripensare le procedure delle istituzioni per coinvolgere, in questo processo decisionale, tutto il popolo di Dio. Il contributo della teologa S. Noceti si articola intorno alla presa in considerazione del ruolo di tutte le componenti della compagine ecclesiale. La teologa fiorentina sostiene che il tema della Chiesa sinodale non possa ridursi solo ed esclusivamente al dialogo o meglio al modello comunicativo, ma va esteso ad una vera e profonda comunicazione di tutti i “soggetti ecclesiali”. Soltanto recuperando l’importante svolta dell’assise conciliare è possibile recuperare quella dinamica comunicativa creativa, che apporta decisive novità al cammino sinodale nella Chiesa.
La quarta parte del volume è intitolata “Sinodalizzare le istituzioni”; questa costituisce la sezione in cui si analizzano gli organismi istituzionali ecclesiali esistenti e solleva numerose domande e interrogativi su come queste istituzioni possano apportare decisivi cambiamenti nella Chiesa, ma non solo. Il contributo di C. Schickendantz di Santiago, uno dei curatori del volume, rimarca i numerosi discorsi ideali che, nella Chiesa, si sono portati avanti negli ultimi anni rispetto alle sue realizzazioni istituzionali. L’ultimo contributo, in particolare, del teologo italiano Dario Vitali insiste su come l’istituzione del Sinodo dei vescovi abbia compiuto numerosi progressi in virtù anche dall’attuale stagione ecclesiale, che con Papa Francesco, attraverso la costituzione apostolica Episcopalis Communio (2018), ha trasformato il Sinodo dei vescovi in un vero e proprio processo sinodale per tutta la Chiesa. Tuttavia restano aperte numerose questioni in relazione alla natura del Sinodo dei vescovi, quale organo di supporto al Romano Pontefice. Il teologo Vitali auspica che il sinodo possa diventare il cantiere aperto di un esercizio sinodale costante e perpetuo nella vita delle comunità cristiane.
Il bilancio critico dell’opera è ricco di spunti e sollecitazioni e, allo stesso tempo, molto eterogeneo. Si parla di una riconfigurazione dei ministeri, ma non si delineano suggerimenti in tal senso; sembra inoltre che ci siano molte prassi sinodali ispirate alla riforma luterana. Ma qual è il proprium della Chiesa Cattolica? Quest’ultima ha una sua specificità?
La sinodalità, nell’attuale dibattito teologico, viene spesso confusa come opinione della maggioranza oppure, peggio ancora, è vista come una spartizione di ruoli e di “poteri”.
Il valore profondo della Chiesa sinodale è legato al suo essere nella storia e nella capacità di rispondere ai “segni dei tempi”, a partire dai diversificati contesti in cui la comunità cristiana è chiamata ad operare.
La sinodalità, così come oggi viene proposta nei diversi scenari ecclesiologici, svolge l’importante ruolo di offrire nuove strutture all’esperienza della comunità cristiana, capaci di inverare lungo il cammino della storia l’identità originaria della Chiesa. Se quanto affermato trova una corrispondenza al vero, allora, come ebbe già a sostenere nel post-Concilio il teologo Karl Rahner, ciò deve avvenire in ragione del suo elemento fondativo (Vorbild) che è – e resta sempre – l’evento trinitario. Ma questo è solo un paradigma ideale? Senza alcun riscontro nella prassi ecclesiale?
La sinodalità, infatti, come pratica ecclesiale della comunione che accomuna la totalità dei battezzati non può essere esplicitata unicamente secondo alcuni desueti criteri burocratici o sociologici. Non solo: la prassi sinodale, se interpretata e verificata all’interno di un orizzonte che trovi nella dinamica trinitaria il suo presupposto epistemologico e ontologico, può essere realmente in grado di favorire, nell’orizzonte dello Spirito, la communio che la costituisce, facendola così divenire espressione visibile e concreta della Chiesa stessa.
L’azione dello Spirito come azione sinergica e/o sinodale della comunità si esprime «nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa» e nella «singolare unità di spirito tra vescovi e fedeli» (DV 10). L’azione dello Spirito struttura quindi la comunità rendendola soggetto vivo e vitale della fede, attraverso i vescovi, che «mossi dall’impegno per l’universale missione affidata agli apostoli, unirono i loro sforzi e i loro intenti, per incrementare il bene comune e quello delle singole chiese» (DV 10).
Una volta colto il senso più propriamente teologico della sinodalità, si può recuperare quanto ha evidenziato la svolta conciliare, nei suoi aspetti più eloquenti, cioè come i sinodi non siano soltanto forme di rappresentazione della sua struttura gerarchica e collegiale, ma espressioni di tutta la comunità in cammino nella storia.
N. Salato, in
Rassegna di Teologia 3/2023, 425-427