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Riconosciuti da Dio
Christoph Böttigheimer

Riconosciuti da Dio

Il contributo della fede alla formazione della personalità

Prezzo di copertina: Euro 31,00 Prezzo scontato: Euro 29,45
Collana: Giornale di teologia 432
ISBN: 978-88-399-3432-1
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 304
Titolo originale: Bedingungslos anerkannt. Der Beitrag des Glaubens zur Persönlichkeitsbildung
© 2021

In breve

Promettendo felicità e compimento per l’uomo, la fede cristiana fornisce un contributo centrale a una formazione complessiva della personalità. Ma dove si colloca di preciso questo contributo? Per saperlo, il libro indaga in che cosa consiste la salvezza promessa e come l’uomo peccatore arriva a parteciparvi.

Descrizione

Per tutta la vita siamo sfidati a formare la nostra personalità, per condurre un’esistenza riuscita, piena, realizzata. La fede cristiana, d’altro canto, promettendoci felicità e compimento, fornisce un contributo capitale in questa direzione. Ma di quale contributo si tratta, di preciso? Per saperlo, il libro indaga in che cosa consista la salvezza promessa dall’opzione di fede e come l’uomo peccatore arrivi a parteciparvi.
Böttigheimer affronta la questione chiamando in causa il concetto di “riconoscimento”. Mostra che il riconoscimento incondizionato di Dio, in Gesù, per ogni essere umano può improntare stabilmente la personalità individuale. E se la religione cristiana è anzitutto un messaggio di salvezza, quest’ultima è allora esprimibile proprio con la categoria di riconoscimento. Lì i contenuti centrali della fede sono veicolabili oggi in modo più comprensibile di quanto non avvenga con altri concetti più tradizionali.
Un’ottima analisi, davvero innovativa, dei fondamenti di una antropologia cristiana.

Recensioni

Con il titolo Riconosciuti da Dio. Il contributo della fede alla formazione della personalità, per la collana Giornale di teologia, l’editrice Queriniana permette al lettore italiano l’accesso a un terzo volume del teologo tedesco Christoph Böttigheimer, docente di teologia fondamentale all’Università cattolica di Ei­chstätt-Ingolstadt. Dopo le prime due opere tradotte – Comprendere la fede. Una teologia dell’atto di fede (BTC 167) e Le difficoltà della fede. Riflessioni teologiche su problematiche questioni di fede ed esperienze ecclesiali (Gdt 365) – che manifestano già il carattere interdisciplinare e ricco di riferimenti dell’autore – Böttigheimer incrocia in quest’opera (versione tedesca originale del 2018) due problema­tiche che solo a prima vista possono sembrare disparate: formazione della per­sonalità e salvezza. Lo sviluppo offerto dall’autore ne mostra l’intima affinità teologica. L’opera consta di tre parti, ognuna delle quali si sviluppa in due capitoli.

La prima sezione (9-102), intitolata Formazione della personalità, parte da una larga panoramica sul patrimonio teologico e culturale riguardo all’essere umano come persona al fine di vagliare il contributo della fede cristiana al concetto di persona e alla formazione della personalità. Dal contesto trinitario della riflessione sulle persone divine, appare chiaro che il tratto distintivo della persona è la reciprocità delle relazioni. La persona (divina) per Agostino è relazione, è il quid relativum rispetto all’unità di natura condivisa tra le tre ipostasi trinitarie. Anche Tommaso d’Aquino collega il concetto sostanziali­stico di persona – ereditato da Boezio – alla relazione, definendo la persona come relazione sussistente. Dal canto della filosofia, l’autore dialoga con vari pensatori come Kant, Hegel, Scheler, Heidegger, Lévinas e Bloch ed evidenzia come pure in campo filosofico non mancano voci che affermano che la per­sona, sebbene definita dall’autocoscienza e dall’esperienza di sé, non può es­sere pensata senza relazioni interpersonali. Da qui la conclusione: «Se l’uomo non può diventare persona senza il rapporto con altri, non può cioè formare la sua autocoscienza e costruire una riuscita relazione con se stesso, questo in definitiva significa che l’essere umano non può vivere senza riconoscimento costitutivo della sua esistenza» (37-38). La formazione o la deformazione della personalità passano per l’esperienza relazionale del riconoscimento.

Pur riconoscendo la distinzione tra il concetto filosofico di persona e quello psicologico di personalità, appare chiaro come un concetto relazionale di per­sona aiuti a dare un orizzonte per lo sviluppo della personalità. La categoria del riconoscimento, come anche la sua negazione, ossia il non riconoscimento e il disconoscimento reciproco costituiranno in questo senso un punto di ri­ferimento importante per tutta la trama del volume. Attraverso le relazioni sociali e le interazioni tra le persone avviene la formazione della personalità. Le condizioni di una sana conoscenza di sé e di una fruttuosa formazione della personalità passano per l’esperienza dell’essere accettati e riconosciuti per quello che si è.

Alla luce delle acquisizioni appena accennate, l’autore offre, nella seconda sezione (103-187) intitolata Prospettive di salvezza, un’ermeneutica del mes­saggio di salvezza del cristianesimo in chiave di riconoscimento. La salvezza, argomenta l’autore, può essere intesa come riconoscimento incondizionato da parte di Dio e tale gesto aprioristico permette alla fede di giocare un ruolo libe­rante per una personalità realizzata. «La fede cristiana promette all’uomo un illimitato e incondizionato essere riconosciuto e un essere approvato da parte di Dio che precede di principio il divenire persona e ne è il fondamento» (106). Il concetto teologico di persona (e di dignità della persona) non è derivato da determinate peculiarità come la coscienza, la libertà, le capacità, il merito, ma dall’incondizionatezza dell’essere persona creata a immagine e somiglianza di Dio. Questa realtà di fede da sola costituisce un terreno fecondo per lo sviluppo personale. Si può dire, in altri termini, che fides autem facit personam (Martin Lutero). Nel messaggio cristiano, non sono il rapporto con se stessi, la coscienza o l’autocoscienza a costituire la persona, bensì il riconoscimento da parte di Dio. Dati questi presupposti teologici, non condivisi dal contesto cul­turale, non meraviglia allora che «nei discorsi etici, la posizione della chiesa è avvertita spesso come massimalistica e come rigida» (117). La visione cristiana, però, non si limita soltanto a indicare il dono incondizionato, ma evidenzia il percorso per non vanificare il dono. «La dignità dell’uomo rinnovata da Cristo trova la sua realizzazione concreta nella sequela di Cristo» (132), nell’abbando­nare l’uomo vecchio e rivestire «l’uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e nella vera santità» (cf. Ef 4,22-24). Questo passaggio non è indiffe­rente perché mostra come l’uomo è collaboratore di Dio nella formazione della propria personalità. L’esperienza della salvezza «è vincolata alla libertà della persona umana e si realizza nella formazione della propria personalità nelle relazioni con gli altri esseri umani. Là dove l’uomo, con libertà e in amore, si apre all’altro, si può verificare la salvezza» (158).

Alla luce di questa traduzione della salvezza in chiave di riconoscimento, di accettazione accolta che diventa occasione dell’accettazione di sé, l’autore tenta di vedere, nella terza sezione (189-260), se anche la prospettiva della re­denzione possa essere declinata con la categoria del riconoscimento. In forza della libertà concessagli, l’essere umano ha la possibilità di rifiutare a Dio il riconoscimento e di tradire la sua somiglianza con Dio quale destinazione del suo peregrinare. Rifiutare l’essere riconosciuti da Dio è comprendere se stessi «non come immagine ma come prototipo» (195). Attraverso un’analisi vetero e neo-testamentaria della categoria di peccato l’autore cerca di mostrare che la categoria del riconoscimento non è estranea al concetto biblico di peccato il quale «è più di una mera opposizione alla norma. Rappresenta in definitiva il rifiuto del diritto di Dio, un no all’attenzione e al riconoscimento di Dio» (203). In altri termini, il discorso sul peccato (e sulla redenzione) nella prospettiva biblica si pone sempre in seconda battuta, dopo l’annuncio di salvezza. Anzi, c’è di più: «Solamente chi conosce l’amore sconfinato di Dio, la grazia della riconciliazione e della conversione, riesce a parlare senza pietà della propria colpa, a staccarsi da essa e condannarla» (215). Alla luce di queste acquisizioni, l’autore confronta criticamente le idee di sacrificio, espiazione e di sostituzione vicaria suggerendo altre piste ermeneutiche, ispirate alla Bibbia, che manife­stano ad esempio che l’espiazione non designa il tentativo umano di agire su Dio, ma l’azione di perdono di Dio. L’autore arriva così a indicare Gesù come il pro-esistente disinteressato (l’espressione è di Heinz Schürmann), ovvero colui che riconosce gli altri in maniera incondizionata.

L’opera di Böttigheimer è ricca di spunti. Non le mancano nemmeno delle autocritiche ecclesiali coraggiose. È lodevole lo sforzo di coniugare i temi ap­parentemente astratti dei trattati teologici che interessano poco alla gente nor­male, alle tematiche che polarizzano l’interesse come la formazione della per­sonalità. Se la prima e la seconda sezione del volume sono ricche di sviluppi e di approfondimenti, la terza parte ci è parsa scritta rapidamente. Essa resta un po’ vittima della brevità della trattazione. Ci sono intuizioni interessanti, ma redimere la pagina sacrificale e vicaria della teologia della redenzione ne­cessita, a nostro avviso, più spazio, più tempo e maggiore riconoscimento delle difficoltà inerenti alla questione della redenzione.


R. Cheaib, in Teresianum 73 (2022/1) 461-463

Il concetto di persona, che non aveva un significato rilevante nel mondo ellenistico, cominciò ad assumere importanza a partire dal V secolo, in particolare grazie al suo utilizzo nella teologia trinitaria. Con il susseguirsi delle epoche storiche divenne centrale sia per il pensiero filosofico sia per quello teologico. Di conseguenza, si è avuto lo sviluppo di una molteplicità di prospettive e visioni su di esso. Non sorprende allora come ancora oggi non ne venga data una definizione univoca. Se vi è un elemento che accomuna la maggior parte delle riflessioni teologiche e filosofiche sulla persona è l'attenzione alla dimensione relazionale, tanto che è possibile affermare: «L’uomo non può diventare persona senza il suo rapporto con altri [...], e questo significa che l'essere umano non può vivere senza riconoscimento» (p. 37). Da qui è possibile evincere come l'essere-in-relazione, che nella concezione ellenistica veniva considerato semplicemente come uno tra i molti elementi che caratterizzano la figura antropologica, sia oggi uno dei temi centrali nelle riflessioni sull'essere umano. Il concetto di persona chiama così in causa la realtà sociale, le relazioni e il riconoscimento. Quest'ultimo può avvenire solo in un rapporto reciproco e libero. Ecco allora che persona e riconoscimento sono intimamente connessi, al punto che l'uno non può sussistere senza l'altro.

A partire da queste istanze l'A., docente di Teologia fondamentale all'Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt (Germania), supportato da un apparato bibliografico che spazia tra i classici della modernità e della riflessione contemporanea in ambito sia teologico sia filosofico, delinea il suo tentativo di inserire all'interno del pensiero teologico la riflessione sul riconoscimento.

L’analisi prende le mosse da due presupposti. Il primo è la presa di coscienza che il bisogno di riconoscimento è un costitutivo antropologico fondamentale. Il secondo è l'idea per cui il riconoscimento gioca un ruolo fondamentale all'interno della storia della salvezza. Questo permette al concetto di identificarsi come il luogo centrale sia nella relazione tra uomo e Dio sia in quella comunitaria. La prima relazione, che si può definire come la fede in un Dio che riconosce l'uomo, è alla base di un ethos di reciproco riconoscimento tra le persone. Il riconoscimento da parte di Dio assume così rilevanza per la formazione sia della personalità sia dell'intersoggettività. L’essere riconosciuti da Dio porta a una duplice conseguenza: da una parte, la relazione viene vissuta come un dono; dall'altra, essa chiede alla persona di corrispondere all'immagine di un Dio visto come criterio centrale per la propria vita. Se l'uomo in quanto persona vive di riconoscimento, ha però la libertà di accogliere o rifiutare tale costitutivo antropologico sia nella relazione con Dio sia in quelle Interpersonali.

Nell'ultima sezione del volume viene trattata la questione della redenzione. L’A. si chiede infatti se oggi «i concetti di espiazione e sacrificio possano ancora sviluppare il loro potenziale salvifico e liberante» (p. 233) o se ci siano categorie più adatte a chiarire l'aspetto salvifico della morte di Gesù. Viene proposto così il concetto di «riconoscimento come alternativa». Non è soltanto la morte di Gesù a essere essenziale per la redenzione, ma piuttosto l'intero suo annuncio del Regno in parole e opere, culminato con la sua morte. Durante la sua vita, Gesù ha manifestato l'incondizionato riconoscimento dell'essere umano da parte di Dio, e a partire da questo si delinea la tensione verso il Regno.

Il riconoscimento si configura così come il costitutivo antropologico attraverso cui l'essere umano è in grado di formare la propria identità e personalità. Al tempo stesso, questo elemento è centrale per la fede cristiana nel Padre, che riconosce in maniera gratuita gli esseri umani come figli e che conferisce così ai credenti la forza di praticare a loro volta un riconoscimento incondizionato dell'altro da sé. In questo senso il cristianesimo ha un potenziale di formazione della personalità individuale, ma anche una forza sociale che gli permette di gettare una luce critica sulle situazioni sociali.


M. Vicentini, in La Civiltà Cattolica 4115 (4/18 dicembre 2021) 513-514

L’intera esistenza di ogni singola persona umana è volta a essere piena, realizzata, in una parola riuscita. In cosa costituisce il contributo a tale realizzazione da parte della fede cristiana che promette felicità e compimento? L’a., specialista di teologia fondamentale e di ecumenismo, a tale domanda risponde chiamando in causa la categoria del «riconoscimento». Dio riconosce, in Gesù, ogni essere umano e ciò impronta stabilmente la personalità individuale, in quanto il riconoscimento è del tutto incondizionato in virtù del messaggio di salvezza della religione cristiana esprimibile proprio con la citata categoria. Testo di studio.


D. Segna, in Il Regno Attualità 20/2021, 643

«Adamo, dove sei?». La celebre interpellanza del Creatore agli esordi della Bibbia e della stessa storia umana, potrebbe oggi essere trascritta con un «Adamo, chi sei?», un interrogativo destinato a trafiggere l'indifferenza amorfa o la fluidità dell'antropologia attuale. Una visione ormai secolarizzata ma anche amorale per la quale varrebbe la ripresa satirica della scena del paradiso terrestre suggerita da Jacques Prévert: «E Dio, sorprendendo Adamo ed Eva, disse: Continuate, ve ne prego, non disturbatevi di me, fate come se io non esistessi».

Proprio in questa nebbia attuale, nella quale tutte le figure sono amorfe o polimorfe, si introducono spesso riflessioni che cercano di diradare la foschia e stagliare alcune tipologie. È ciò che fanno molti pensatori di diversa estrazione, intercettati anche da alcuni teologi, capaci di creare intersezioni coi linguaggi e i sistemi "laici". Ne scegliamo ora uno trai molti, forse meno noto, ma che proponiamo proprio per questa sua capacità dialogica inter- e transculturale.

Si tratta di un docente dell'Università tedesca di Eichstätt –Ingolstadt (Baviera), Christoph Böttigheimer, classe 1960.

La sua ricerca si muove sostanzialmente secondo due traiettorie consecutive. La prima è scandita da tre categorie antropologiche capitali. Innanzitutto la «persona», vocabolo forse di matrite fenicia col significato di «maschera», semantica accolta dal latino e se si vuole anche dal prósopon greco, letteralmente «ciò che si può vedere», quindi il volto e l'oggetto visibile della creatura umana, una maschera che cela l'hypóstasis, «ciò che sta sotto», la «sostanza» appunto. Certo è che il profilo primario della persona è contenuto nella relazione con l'altro, ed è così che nasce la seconda dimensione centrale del saggio del teologo tedesco, «ll riconoscimento».

Egli lo delinea attraverso il contributo di una legione di pensatori, a partire da Hegel per giungere a Ricoeur, Todorov, Taylor e soprattutto al filosofo sociale Axel Honneth. Attraverso il riconoscimento reciproco si alimenta l'autentica relazione interpersonale comunitaria, l'intersoggettività, l'amore stesso e, a causa del limite umano, anche il conflitto, quando l’identitarismo egoistico «riconosce» nell'altro un ostacolo o un pericolo. Solo col riconoscimento si compie la «formazione della personalità», la terza categoria di taglio più psicologico, che «comprende tutte le peculiarità caratteristiche della natura di una persona che la distinguono nella sua unicità inconfondibile e nella sua individualità insostituibile».

A questo punto entra in azione la seconda traiettoria dello studio di Böttigheimer, quella strettamente teologica ove le precedenti categorie vengono applicate al registro trascendente. La relazione interpersonale, allora, si apre verticalmente a Dio del quale l'uomo e Ia donna sono «immagine» (Genesi 1,27), il cui prototipo è Gesù Cristo «immagine del Dio invisibile» (Colossesi 1,15).Questo «riconoscimento» da parte di Dio coinvolge innanzitutto la salvezza, che è appunto, un abbraccio interpersonale tra il Creatore e la creatura, attuato nella storia, cioè nell'edificazione del regno di Dio a cui partecipano sia Dio, sia il figlio umano di Dio attraverso la fede e le opere.

Quando, però, la libertà umana traligna originando un «riconoscimento» aggressivo – teologicamente parlando, col peccato – ecco che scatta l'altra dimensione della salvezza che è la redenzione. E qui entrano in scena temi fondamentali come il sacrificio, l'espiazione e la figura sacrificale di Cristo nella sua morte, atto di condivisione radicale e solidale con i peccatori. Naturalmente, trattandosi di prospettive cristologiche che hanno sollecitato una secolare riflessione sulla teologia, l'analisi si fa fitta di ramificazioni che, però, convergono alla fine sul tronco centrale del «riconoscimento» da parte di Dio nei confronti della sua creatura in tutto il suo percorso personale infame o glorioso, asimmetrico o convergente con lui e con il prossimo.


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 1 novembre 2021, XV

Un’analisi innovativa dei fondamenti di una antropologia cristiana.

Christoph Böttigheimer, della diocesi di Eichsttät nel Land della Baviera in Germania, insegna teologia fondamentale all’università cattolica della sua città e diocesi. Noto teologo tedesco della nuova generazione (classe 1960) è anche specialista in ecumenismo e politica ecclesiastica.

Con Queriniana, nella nota e apprezzata collana «Giornale di Teologia», pubblica questo testo al n. GdT 432 dove indaga in che cosa consista la salvezza promessa dall’opzione di fede e come l’uomo peccatore arrivi a parteciparvi.

«La fede – scrive Böttigheimer nell’introduzione – non si comprende come un accidente umano, ma come un’opzione fondamentale che riguarda tutta la persona. Tale opzione fonda la dignità dell’umano e assicura riuscita alla sua vita che è sempre orientata al perfezionamento».

Il testo è strutturato in 3 parti e rispettivi capitoli.

Prima parte. Formazione della personalità

1. L’umano come persona

2. Diventare persona e personalità

Seconda parte. Prospettive di salvezza

3. Fede e formazione della personalità

4. Riuscire a essere salvo e integro

Terza parte. Prospettive di redenzione

5. Prostrazione e alienazione

6. Idee di redenzione

Böttigheimer affronta la questione chiamando in causa il concetto di riconoscimento. Mostra che «il riconoscimento incondizionato di Dio, in Gesù, per ogni essere umano può improntare stabilmente la personalità individuale. E se la religione cristiana è innanzitutto un messaggio di salvezza, quest’ultima è allora esprimibile proprio con la categoria del riconoscimento. Lì – evidenzia Böttigheimer – i contenuti centrali della fede sono veicolabili oggi in modo più comprensibile di quanto non avvenga con altri concetti più tradizionali».


G. Ruggeri, in RecensionediLibri.it 5 giugno 2021

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