Di Christoph Böttigheimer, docente di Teologia Fondamentale presso l'Università Cattolica di Eichstatt-Ingolstadt e uno dei più noti teologi tedeschi contemporanei, diversi libri sono stati meritevolmente tradotti e pubblicati in italiano da Queriniana. Quello che qui presentiamo è dedicato ad analizzare come la fede cristiana può dare un apporto decisivo alla formazione di una personalità umana compiuta e si propone di raggiungere questo risultato «delineando un'antropologia cristiana nel cui focus c'è l'idea del riconoscimento» (6).
Il libro si articola in tre parti. La prima, dal titolo Formazione della personalità innanzitutto ripercorre sinteticamente la storia del concetto di persona dall'antichità classica fino ai nostri giorni per giungere alla constatazione che «nella storia della filosofia e della teologia esso è stato utilizzato in contesti molto differenti – metafisici, teologici, etici, ecc. – ed è stato riempito da contenuti di diverso tipo» (32). E, tuttavia, nella odierna riflessione circa la persona, oltre agli aspetti dell'autocoscienza e della ragione, emerge chiaramente la necessità di rivolgere «una particolare attenzione all'aspetto della relazionalità e, collegato a questo, al pensiero del riconoscimento personale» (33). Proprio nella consapevolezza che la persona si costituisce nella sua relazione con gli altri, Böttigheimer si sofferma allora sull'idea del riconoscimento, visto come elemento costitutivo e decisivo del diventare persona. «L'essere umano non può vivere senza riconoscimento» (37): è questo il fatto originario che si impone a partire dalle primarie relazioni infantili. Infatti, «soltanto in seguito al riconoscimento da parte di altri l'uomo si sa confermato nella sua esistenza e sperimenta che è qualcuno, cioè persona meritevole di attenzione e di rispetto» (42). Anche a questo riguardo il nostro autore prende in considerazione diversi pensatori, a partire da Hegel fino a Mead, Habermas, Todorov, Taylor e Ricœur, per poi soffermarsi più a lungo sulla prospettiva di Axel Honneth con la sua teoria delle tre sfere del riconoscimento, rispettivamente quella dell'amore, del diritto e della solidarietà.
Giustamente però Böttigheimer sottolinea, da una parte, la valenza non solo confermativa, ma anche performativa degli atti di riconoscimento, e, dall’altra, proprio per questo, l'inevitabile ambivalenza che lo caratterizza, soprattutto oggi in cui non c'è più un riconoscimento ovvio derivato dalla struttura sociale. Le relazioni di riconoscimento possono infatti trasformarsi in strumenti di potere, di sottomissione, di alienazione, come hanno messo in evidenza altri pensatori come Sartre, Althusser e Butler. Infatti, come dice Hannah Arendt, citata dal nostro autore, il riconoscimento, «in qualunque forma avvenga, può apprezzarci solamente come questo o quello [...] cioè come qualcosa che fondamentalmente non siamo» (69). Esso rischia di fissare la persona in un ruolo o in una maschera che nascondono ciò che la persona veramente è, e inoltre, rischia di rendere il soggetto dipendente e anzi subordinato all'altro. Ma, come giustamente conclude Böttigheimer, «invece di contrapporre tra loro teorie positive e negative del riconoscimento, vale la pena di ammettere che il riconoscimento intersoggettivo è indispensabile e costitutivo per il diventare persona, pur restando esso estremamente ambivalente e contraddittorio» (74).
Siamo così giunti al secondo capitolo della prima parte che reca il titolo Diventare persona e personalità. In esso Böttigheimer si concentra in particolare sul concetto, spesso trascurato dalla filosofia, di personalità, distinguendolo innanzitutto da quello di persona: «ogni uomo è persona, ma ogni uomo ha la sua personalità individuale» (77). L'uomo è da sempre persona e su questo dato immutabile si colloca la possibilità e la necessità della formazione e dello sviluppo della sua personalità, che è invece un processo che dura per la vita intera e che non è mai qualcosa di puramente individuale, ma sempre un evento sociale determinato dalle relazioni tra la persona, il suo ambiente e le altre persone. Il nostro teologo, che riprende anche qui diversi autori e diversi modelli di pensiero relativi alla personalità, ne definisce in questi termini il concetto: «tutte le peculiarità caratteristiche della natura di una persona che la distinguono nella sua unicità inconfondibile e nella sua individualità insostituibile, che di regola durano oltre il tempo, sono stabili rispetto alle situazioni e si riferiscono sia al piano cognitivo sia a quello comportamentale» (83). E anche a questo riguardo emerge con forza la necessità del riconoscimento per la formazione della propria identità e personalità.
Si tratta allora di vedere come la fede cristiana può contribuire alla formazione di una personalità riuscita e dunque alla pienezza di vita della persona: è questo il tema della seconda parte dell'opera intitolata Prospettive di salvezza. L'idea di fondo sviluppata da Böttigheimer è che «la fede cristiana promette all'uomo un illimitato e incondizionato riconoscimento da parte di Dio che precede di principio il divenire persona e ne è il fondamento» (106). Ed è proprio questo riconoscimento da parte di Dio, che precede anche la fede stessa dell'uomo, a fondare la dignità ineliminabile dell'essere umano, quella che in termini biblici si radica nel suo essere imago Dei e, ancora di più, nell'incarnazione e nella morte e resurrezione di Gesù che destinano l'uomo al compimento della sua persona nella comunione di vita con Dio.
Il nostro autore sottolinea come, a questo riguardo, sia necessario superare una teologia troppo amartiocentrica e recuperare la rivelazione cristiana come una rivelazione di salvezza e non solo di redenzione. Dove la salvezza, che è e resta unicamente dono di Dio, indica la pienezza della vita dell'uomo, il suo «essere integro, intatto o completo» (141). Questo corrisponde al messaggio centrale di Gesù, vale a dire all'annuncio del Regno di Dio, che riguarda la persona umana nella sua totalità, corporea e spirituale; e nella sua socialità, che deve esprimersi non solo escatologicamente nella comunione con Dio dell'umanità salvata, ma anche presenticamente nelle dimensioni sociopolitiche della storia.
Ma come esprimere oggi la salvezza cristiana? Böttigheimer è consapevole che le categorie della tradizione teologica non parlano più agli uomini del nostro tempo e per questo è necessario esprimere con altre idee il cuore della fede. Egli propone allora di tradurre il concetto di salvezza in termini di riconoscimento: «la giustificazione dell'uomo da parte di Dio, dice che, per la grazia di Gesù Cristo, gli è stato partecipato il definitivo essere riconosciuto e affermato da parte di Dio» (173). Questo riconoscimento che è puro dono di grazia da accogliere nella fede può diventare allora la chiave di volta per la formazione della personalità dell'uomo: infatti, «la fede promuove la personalità, poiché apre uno spazio dentro il quale l'uomo si sa affermato, amato e accettato nella sua esistenza, ed egli può sviluppare liberamente le sue potenzialità e capacità, senza andare alla perenne ricerca di attenzione e senza doversi giustificare» (182-183). Il riconoscimento di Dio è la precondizione per una personalità che «può riconoscere se stessa e gli altri senza dover far ricorso alla categoria della prestazione e riesce a tollerare e accettare differenze e diversità con la consapevolezza che l'essere umano è giusto davanti a Dio prima di ogni azione, che è da lui riconosciuto, affermato e amato» (185). Precisamente in questo senso la Chiesa dovrebbe essere luogo di pratica del riconoscimento di tutti e per tutti, ma bisogna ammettere che essa resta invece ancora molto indietro rispetto a una cultura del riconoscimento.
Nella terza e ultima parte del saggio (Prospettive di redenzione)il nostro autore, alla luce del discorso sulla salvezza delineato nella seconda parte del testo, riprende il tema della redenzione e tenta di riesprimere anch'esso (e i concetti a esso collegati come quelli di peccato, colpa, perdono, sacrificio, espiazione, rappresentanza vicaria…) in termini di riconoscimento. Il peccato in questo senso «designa una disposizione interiore che rifiuta a Dio e all'altro il necessario riconoscimento» (200). Ma se la libertà dell'uomo comporta la possibilità di rifiutare il riconoscimento di Dio, il perdono di Dio è il riconoscimento ad ogni costo che egli offre all'uomo nella vita e nella croce di Gesù: «rivolgendo il suo sì incondizionato a ogni singolo nel luogo lontano da Dio della morte, gli dà la possibilità, nell'accettazione di questo riconoscimento incondizionato, di svincolarsi dalle prese del potere del peccato, che lo tiene incatenato, e di ritornare nella comunione con Dio» (250). E questo significa che «dovunque l’uomo si imbatte in un riconoscimento incondizionato gli si manifesta il sì assoluto di Dio» (253).
Il testo di Böttigheimer, nonostante qualche ridondanza e ripetizione di troppo, merita certamente attenzione per il suo tentativo di ritradurre il nucleo del cristianesimo in categorie nuove più adatte al nostro tempo e, soprattutto, nella categoria del riconoscimento. Ci sembra che questa sia una direzione molto promettente che andrebbe però meglio esplicitata: in particolare, si tratterebbe di proporre una fenomenologia del riconoscimento anche e soprattutto per mettere in luce il raccordo tra l'esperienza interumana di riconoscimento e il riconoscimento di Dio. Altrimenti resta difficile comprendere come si può accedere e fare esperienza di questo riconoscimento incondizionato che, giustamente, viene considerato la chiave per una formazione integra e completa della personalità umana. Dobbiamo anche sottolineare a questo riguardo qualche assenza che stupisce: nonostante siano molti gli autori, filosofi e teologi, specialmente di lingua tedesca, che vengono citati, non ci sono nel testo riferimenti a Pröpper e Verweyen che pure hanno elaborato le loro interessanti proposte teologiche proprio dando centralità alla categoria del riconoscimento.
F. Ceragioli, in
Teologia 3/2023, 507-509