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Riconosciuti da Dio
Christoph Böttigheimer

Riconosciuti da Dio

Il contributo della fede alla formazione della personalità

Prezzo di copertina: Euro 31,00 Prezzo scontato: Euro 29,45
Collana: Giornale di teologia 432
ISBN: 978-88-399-3432-1
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 304
Titolo originale: Bedingungslos anerkannt. Der Beitrag des Glaubens zur Persönlichkeitsbildung
© 2021

In breve

Promettendo felicità e compimento per l’uomo, la fede cristiana fornisce un contributo centrale a una formazione complessiva della personalità. Ma dove si colloca di preciso questo contributo? Per saperlo, il libro indaga in che cosa consiste la salvezza promessa e come l’uomo peccatore arriva a parteciparvi.

Descrizione

Per tutta la vita siamo sfidati a formare la nostra personalità, per condurre un’esistenza riuscita, piena, realizzata. La fede cristiana, d’altro canto, promettendoci felicità e compimento, fornisce un contributo capitale in questa direzione. Ma di quale contributo si tratta, di preciso? Per saperlo, il libro indaga in che cosa consista la salvezza promessa dall’opzione di fede e come l’uomo peccatore arrivi a parteciparvi.
Böttigheimer affronta la questione chiamando in causa il concetto di “riconoscimento”. Mostra che il riconoscimento incondizionato di Dio, in Gesù, per ogni essere umano può improntare stabilmente la personalità individuale. E se la religione cristiana è anzitutto un messaggio di salvezza, quest’ultima è allora esprimibile proprio con la categoria di riconoscimento. Lì i contenuti centrali della fede sono veicolabili oggi in modo più comprensibile di quanto non avvenga con altri concetti più tradizionali.
Un’ottima analisi, davvero innovativa, dei fondamenti di una antropologia cristiana.

Recensioni

Di Christoph Böttigheimer, docente di Teologia Fondamentale presso l'Università Cattolica di Eichstatt-Ingolstadt e uno dei più noti teologi tedeschi contemporanei, diversi libri sono stati meritevolmente tradotti e pubblicati in italiano da Queriniana. Quello che qui presentiamo è dedicato ad analizzare come la fede cristiana può dare un apporto decisivo alla formazione di una personalità umana compiuta e si propone di raggiungere questo risultato «delineando un'antropologia cristiana nel cui focus c'è l'idea del riconoscimento» (6).

Il libro si articola in tre parti. La prima, dal titolo Formazione della personalità innanzitutto ripercorre sinteticamente la storia del concetto di persona dall'antichità classica fino ai nostri giorni per giungere alla constatazione che «nella storia della filosofia e della teologia esso è stato utilizzato in contesti molto differenti – metafisici, teologici, etici, ecc. – ed è stato riempito da contenuti di diverso tipo» (32). E, tuttavia, nella odierna riflessione circa la persona, oltre agli aspetti dell'autocoscienza e della ragione, emerge chiaramente la necessità di rivolgere «una particolare attenzione all'aspetto della relazionalità e, collegato a questo, al pensiero del riconoscimento personale» (33). Proprio nella consapevolezza che la persona si costituisce nella sua relazione con gli altri, Böttigheimer si sofferma allora sull'idea del riconoscimento, visto come elemento costitutivo e decisivo del diventare persona. «L'essere umano non può vivere senza riconoscimento» (37): è questo il fatto originario che si impone a partire dalle primarie relazioni infantili. Infatti, «soltanto in seguito al riconoscimento da parte di altri l'uomo si sa confermato nella sua esistenza e sperimenta che è qualcuno, cioè persona meritevole di attenzione e di rispetto» (42). Anche a questo riguardo il nostro autore prende in considerazione diversi pensatori, a partire da Hegel fino a Mead, Habermas, Todorov, Taylor e Ricœur, per poi soffermarsi più a lungo sulla prospettiva di Axel Honneth con la sua teoria delle tre sfere del riconoscimento, rispettivamente quella dell'amore, del diritto e della solidarietà.

Giustamente però Böttigheimer sottolinea, da una parte, la valenza non solo confermativa, ma anche performativa degli atti di riconoscimento, e, dall’altra, proprio per questo, l'inevitabile ambivalenza che lo caratterizza, soprattutto oggi in cui non c'è più un riconoscimento ovvio derivato dalla struttura sociale. Le relazioni di riconoscimento possono infatti trasformarsi in strumenti di potere, di sottomissione, di alienazione, come hanno messo in evidenza altri pensatori come Sartre, Althusser e Butler. Infatti, come dice Hannah Arendt, citata dal nostro autore, il riconoscimento, «in qualunque forma avvenga, può apprezzarci solamente come questo o quello [...] cioè come qualcosa che fondamentalmente non siamo» (69). Esso rischia di fissare la persona in un ruolo o in una maschera che nascondono ciò che la persona veramente è, e inoltre, rischia di rendere il soggetto dipendente e anzi subordinato all'altro. Ma, come giustamente conclude Böttigheimer, «invece di contrapporre tra loro teorie positive e negative del riconoscimento, vale la pena di ammettere che il riconoscimento intersoggettivo è indispensabile e costitutivo per il diventare persona, pur restando esso estremamente ambivalente e contraddittorio» (74).

Siamo così giunti al secondo capitolo della prima parte che reca il titolo Diventare persona e personalità. In esso Böttigheimer si concentra in particolare sul concetto, spesso trascurato dalla filosofia, di personalità, distinguendolo innanzitutto da quello di persona: «ogni uomo è persona, ma ogni uomo ha la sua personalità individuale» (77). L'uomo è da sempre persona e su questo dato immutabile si colloca la possibilità e la necessità della formazione e dello sviluppo della sua personalità, che è invece un processo che dura per la vita intera e che non è mai qualcosa di puramente individuale, ma sempre un evento sociale determinato dalle relazioni tra la persona, il suo ambiente e le altre persone. Il nostro teologo, che riprende anche qui diversi autori e diversi modelli di pensiero relativi alla personalità, ne definisce in questi termini il concetto: «tutte le peculiarità caratteristiche della natura di una persona che la distinguono nella sua unicità inconfondibile e nella sua individualità insostituibile, che di regola durano oltre il tempo, sono stabili rispetto alle situazioni e si riferiscono sia al piano cognitivo sia a quello comportamentale» (83). E anche a questo riguardo emerge con forza la necessità del riconoscimento per la formazione della propria identità e personalità.

Si tratta allora di vedere come la fede cristiana può contribuire alla formazione di una personalità riuscita e dunque alla pienezza di vita della persona: è questo il tema della seconda parte dell'opera intitolata Prospettive di salvezza. L'idea di fondo sviluppata da Böttigheimer è che «la fede cristiana promette all'uomo un illimitato e incondizionato riconoscimento da parte di Dio che precede di principio il divenire persona e ne è il fondamento» (106). Ed è proprio questo riconoscimento da parte di Dio, che precede anche la fede stessa dell'uomo, a fondare la dignità ineliminabile dell'essere umano, quella che in termini biblici si radica nel suo essere imago Dei e, ancora di più, nell'incarnazione e nella morte e resurrezione di Gesù che destinano l'uomo al compimento della sua persona nella comunione di vita con Dio.

Il nostro autore sottolinea come, a questo riguardo, sia necessario superare una teologia troppo amartiocentrica e recuperare la rivelazione cristiana come una rivelazione di salvezza e non solo di redenzione. Dove la salvezza, che è e resta unicamente dono di Dio, indica la pienezza della vita dell'uomo, il suo «essere integro, intatto o completo» (141). Questo corrisponde al messaggio centrale di Gesù, vale a dire all'annuncio del Regno di Dio, che riguarda la persona umana nella sua totalità, corporea e spirituale; e nella sua socialità, che deve esprimersi non solo escatologicamente nella comunione con Dio dell'umanità salvata, ma anche presenticamente nelle dimensioni sociopolitiche della storia.

Ma come esprimere oggi la salvezza cristiana? Böttigheimer è consapevole che le categorie della tradizione teologica non parlano più agli uomini del nostro tempo e per questo è necessario esprimere con altre idee il cuore della fede. Egli propone allora di tradurre il concetto di salvezza in termini di riconoscimento: «la giustificazione dell'uomo da parte di Dio, dice che, per la grazia di Gesù Cristo, gli è stato partecipato il definitivo essere riconosciuto e affermato da parte di Dio» (173). Questo riconoscimento che è puro dono di grazia da accogliere nella fede può diventare allora la chiave di volta per la formazione della personalità dell'uomo: infatti, «la fede promuove la personalità, poiché apre uno spazio dentro il quale l'uomo si sa affermato, amato e accettato nella sua esistenza, ed egli può sviluppare liberamente le sue potenzialità e capacità, senza andare alla perenne ricerca di attenzione e senza doversi giustificare» (182-183). Il riconoscimento di Dio è la precondizione per una personalità che «può riconoscere se stessa e gli altri senza dover far ricorso alla categoria della prestazione e riesce a tollerare e accettare differenze e diversità con la consapevolezza che l'essere umano è giusto davanti a Dio prima di ogni azione, che è da lui riconosciuto, affermato e amato» (185). Precisamente in questo senso la Chiesa dovrebbe essere luogo di pratica del riconoscimento di tutti e per tutti, ma bisogna ammettere che essa resta invece ancora molto indietro rispetto a una cultura del riconoscimento.

Nella terza e ultima parte del saggio (Prospettive di redenzione)il nostro autore, alla luce del discorso sulla salvezza delineato nella seconda parte del testo, riprende il tema della redenzione e tenta di riesprimere anch'esso (e i concetti a esso collegati come quelli di peccato, colpa, perdono, sacrificio, espiazione, rappresentanza vicaria…) in termini di riconoscimento. Il peccato in questo senso «designa una disposizione interiore che rifiuta a Dio e all'altro il necessario riconoscimento» (200). Ma se la libertà dell'uomo comporta la possibilità di rifiutare il riconoscimento di Dio, il perdono di Dio è il riconoscimento ad ogni costo che egli offre all'uomo nella vita e nella croce di Gesù: «rivolgendo il suo sì incondizionato a ogni singolo nel luogo lontano da Dio della morte, gli dà la possibilità, nell'accettazione di questo riconoscimento incondizionato, di svincolarsi dalle prese del potere del peccato, che lo tiene incatenato, e di ritornare nella comunione con Dio» (250). E questo significa che «dovunque l’uomo si imbatte in un riconoscimento incondizionato gli si manifesta il sì assoluto di Dio» (253).

Il testo di Böttigheimer, nonostante qualche ridondanza e ripetizione di troppo, merita certamente attenzione per il suo tentativo di ritradurre il nucleo del cristianesimo in categorie nuove più adatte al nostro tempo e, soprattutto, nella categoria del riconoscimento. Ci sembra che questa sia una direzione molto promettente che andrebbe però meglio esplicitata: in particolare, si tratterebbe di proporre una fenomenologia del riconoscimento anche e soprattutto per mettere in luce il raccordo tra l'esperienza interumana di riconoscimento e il riconoscimento di Dio. Altrimenti resta difficile comprendere come si può accedere e fare esperienza di questo riconoscimento incondizionato che, giustamente, viene considerato la chiave per una formazione integra e completa della personalità umana. Dobbiamo anche sottolineare a questo riguardo qualche assenza che stupisce: nonostante siano molti gli autori, filosofi e teologi, specialmente di lingua tedesca, che vengono citati, non ci sono nel testo riferimenti a Pröpper e Verweyen che pure hanno elaborato le loro interessanti proposte teologiche proprio dando centralità alla categoria del riconoscimento.


F. Ceragioli, in Teologia 3/2023, 507-509

La problematica relativa ai rapporti interpersonali all'interno di modelli culturali, pratiche sociali e ordinamenti giuridico-istituzionali, caratterizzati da una situazione di conflittualità e di richiesta di coesistenza plurale tra gli umani, chiama in causa la ridefinizione della teorica dell'intersoggettività quale indicazione di senso effettivo per la costruzione dell'identità personale e della convivenza tra gli umani nel rispetto e nel riconoscimento reciproco.

Il tema del riconoscimento è stato da più parti affrontato come forma regolativa dell'esistenza plurale degli esseri umani. La pluralità non egemonica è possibile se gli individui si onorano reciprocamente e cioè reciprocamente si riconoscono di essere servi e signori dell'altro, in ciascuna delle infinite parti delle loro esistenze. L’argomento è diventato di particolare interesse a seguito delle rivendicazioni, specialmente da parte di gruppi minoritari, di diritti collettivi e di parità di trattamento. Il riconoscimento è stato definito un vero e proprio bisogno umano vitale per lo stretto legame esistente tra esso e l'identità personale. Quest'ultima, intesa come la visione che un soggetto ha di sé, viene in parte plasmata dal riconoscimento dell'altro/altri che lo circondano, i quali gli rimandano un'immagine della sua identità personale contribuendo a definire e connotare la formazione della sua personalità. Un errato o mancato riconoscimento significa proiettare su di lui un'immagine che lo limita, lo sminuiste, lo misconosce.

Al di là dei casi concreti, la relazione di riconoscimento sembra essere quel codice unitario, su cui innestare la convivenza pacifica di identità plurali, poiché costituisce un'esigenza innegabile e avvertita da tutti. L’autore, il teologo tedesco Christoph Böttigheimer, docente di teologia fondamentale presso l'università cattolica di Eischstatt-Ingolstadt in Baviera, parte dalla presa di coscienza che il bisogno di riconoscimento è un costitutivo antropologico fondamentale attraverso il quale l'essere umano è in grado di formare la propria identità e personalità, e rileva, anche, che l'idea di riconoscimento assume un ruolo fondamentale all'interno della storia della salvezza, in quanto la fede in Dio Padre, che riconosce gratuitamente gli esseri umani come figli, conferisce loro la forza di praticare e realizzare il riconoscimento incondizionato dell'altro da sé. Il volume che presentiamo, utilizzando un metodo interdisciplinare, delinea «un'antropologia cristiana nel cui focus c'è l'idea del riconoscimento», con lo scopo di chiarire «l'aspetto specifico della fede cristiana in ordine alla persona e alla personalità dell'umano», dal momento che «la fede non si comprende come un accidente umano, ma come un'opzione fondamentale che riguarda tutta la persona», per cui «tale opzione fonda la dignità dell'umano e assicura riuscita alla sua vita, che è sempre orientata al perfezionamento» (p. 6).

Nell'articolare le due traiettorie riflessive della tradizione filosofica, l’una scandita dalle categorie antropologiche fondamentali incentrate attorno al tema della persona come realtà relazionale, dato che «l'uomo non può diventare persona senza il suo rapporto con altri», per cui «questo significa che l'essere umano non può vivere senza riconoscimento» {p. 37), e l'altra propria della tradizione teologica all'interno della quale la relazione interpersonale si apre verticalmente a Dio del quale l'essere umano è «immagine» la cui realizzazione piena si ha nell'evento-persona Gesù Cristo, Christoph Böttigheimer struttura l'opera in tre parti, ognuna delle quali si sviluppa in due capitoli.

La prima parte (pp. 9-102), intitolata Formazione della personalità, presenta un'ampia panoramica sul patrimonio culturale, filosofico e teologico concentrato sul tema dell'essere umano come persona, soggetto di «relazioni in relazione», che, proprio per il suo utilizzo in teologia trinitaria, assume la connotazione di un essere-in-relazione, che chiama in causa la realtà sociale, le relazioni e il riconoscimento che può avvenire solo in un rapporto reciproco e libero. Facendo riferimento ai classici della modernità e della riflessione filosofica e teologica contemporanea, l'autore cerca di integrare la riflessione filosofica sul tema del riconoscimento all'interno di quella teologica. Pur riconoscendo la distinzione tra il concetto filosofico di persona e quello psicologico di personalità, Böttigheimer sostiene che un chiaro concetto relazionale della persona, oltre a dare un significativo orizzonte comprensivo per lo sviluppo e la formazione della personalità, contribuisce a cogliere la rilevanza non solo concettuale della categoria del riconoscimento per la comprensione delle identità personali e dei rapporti tra gli umani; dal momento che è attraverso le relazioni e fe interizioni tra le persone che avviene la formazione delle personalità.

In questo senso, nella seconda parte (pp. 103-188), intitolata Prospettive di salvezza, risulta praticabile assumere la categoria del riconoscimento come un'ermeneutica del messaggio di salvezza del cristianesimo, in quanto esso può identificarsi come il luogo centrale sia nella relazione tra Dio e uomo, nella quale la fede in un Dio che riconosce l'uomo è alla base di un ethos di reciproco riconoscimento tra le persone, sia della relazione tra gli uomini, chiama a concretare rapporti sociali e comunitari di mutuo riconoscimento. Da questo punto di vista, Böttigheimer, nel far emergere che «la fede cristiana promette all'uomo un illimitato e incondizionato essere riconosciuto e un essere approvato da parte di Dio che precede di principio il divenire persona e ne è il fondamento» (p, 106), mostra che l'essere umano è collaboratore di Dio nella formazione della propria personalità, in ragione del fatto che l'esperienza della salvezza «è vincolata alla liberta della persona umana e si realizza nella formazione della propria personalità nelle relazioni con gli altri esseri umani», perché «lì dove l'uomo, con libertà e in amore, si apre all'altro, si può verificare la salvezza» (p.158).

Alla luce di queste considerazioni, nella terza parte (pp. 189-260), intitolata Prospettive di redenzione, l'autore cerca di verificare se la prospettiva della redenzione possa essere declinata mediante la categoria del riconoscimento. Chiedendosi, infatti, se oggi «i concetti di espiazione e sacrificio possano ancora sviluppare il loro potenziale salvifico e liberante» (p. 233), o se ci siano categorie salvifiche più adatte a chiarire l’aspetto salvifico della morte di Gesù, Böttigheimer propone il «riconoscimento come alternativa», mostrando come tale categoria non sia estranea al concetto biblico di peccato, il quale «è più che una mera opposizione alla norma», perché nel rappresentare «il definitivo rifiuto del diritto di Dio, un no all'attenzione e al riconoscimento di Dio» (p. 203), il discorso sul peccato e sulla redenzione nella prospettiva biblica è sempre conseguente all'annuncio della salvezza. Affermando che Gesù ha manifestato l'incondizionato riconoscimento dell'essere umano da parte di Dio, l'autore critica le idee di sacrificio, espiazione e di sostituzione vicaria, optando per altre prospettive comprensive in grado di mettere maggiormente in evidenza l'agire di Dio, gratuito, amorevole e perdonante. Gli spunti riflessivi offerti dall'opera di Christoph Böttigheimer sono molteplici e meriterebbero una migliore formalizzazione riflessiva, specialmente nella terza parte, cheaffronta in maniera non omogenea le questioni e i nodi che richiederebbero di essere sciolti prestando particolare attenzione al tema del sacrificio, anche nella sua evoluzione storico-concettuale, per essere meglio ridefinita dal punto di vista antropo-teologico, utilizzando come strumentario euristico proprio la categoria del riconoscimento che, in fondo, è pur sempre una categoria relazionale, come lo è, del resto tutta l'esperienza credente, teologale e teologica.


C. Caltagirone, in CredereOggi 3/2022, 168-171

Con il titolo Riconosciuti da Dio. Il contributo della fede alla formazione della personalità, per la collana Giornale di teologia, l’editrice Queriniana permette al lettore italiano l’accesso a un terzo volume del teologo tedesco Christoph Böttigheimer, docente di teologia fondamentale all’Università cattolica di Ei­chstätt-Ingolstadt. Dopo le prime due opere tradotte – Comprendere la fede. Una teologia dell’atto di fede (BTC 167) e Le difficoltà della fede. Riflessioni teologiche su problematiche questioni di fede ed esperienze ecclesiali (Gdt 365) – che manifestano già il carattere interdisciplinare e ricco di riferimenti dell’autore – Böttigheimer incrocia in quest’opera (versione tedesca originale del 2018) due problema­tiche che solo a prima vista possono sembrare disparate: formazione della per­sonalità e salvezza. Lo sviluppo offerto dall’autore ne mostra l’intima affinità teologica. L’opera consta di tre parti, ognuna delle quali si sviluppa in due capitoli.

La prima sezione (9-102), intitolata Formazione della personalità, parte da una larga panoramica sul patrimonio teologico e culturale riguardo all’essere umano come persona al fine di vagliare il contributo della fede cristiana al concetto di persona e alla formazione della personalità. Dal contesto trinitario della riflessione sulle persone divine, appare chiaro che il tratto distintivo della persona è la reciprocità delle relazioni. La persona (divina) per Agostino è relazione, è il quid relativum rispetto all’unità di natura condivisa tra le tre ipostasi trinitarie. Anche Tommaso d’Aquino collega il concetto sostanziali­stico di persona – ereditato da Boezio – alla relazione, definendo la persona come relazione sussistente. Dal canto della filosofia, l’autore dialoga con vari pensatori come Kant, Hegel, Scheler, Heidegger, Lévinas e Bloch ed evidenzia come pure in campo filosofico non mancano voci che affermano che la per­sona, sebbene definita dall’autocoscienza e dall’esperienza di sé, non può es­sere pensata senza relazioni interpersonali. Da qui la conclusione: «Se l’uomo non può diventare persona senza il rapporto con altri, non può cioè formare la sua autocoscienza e costruire una riuscita relazione con se stesso, questo in definitiva significa che l’essere umano non può vivere senza riconoscimento costitutivo della sua esistenza» (37-38). La formazione o la deformazione della personalità passano per l’esperienza relazionale del riconoscimento.

Pur riconoscendo la distinzione tra il concetto filosofico di persona e quello psicologico di personalità, appare chiaro come un concetto relazionale di per­sona aiuti a dare un orizzonte per lo sviluppo della personalità. La categoria del riconoscimento, come anche la sua negazione, ossia il non riconoscimento e il disconoscimento reciproco costituiranno in questo senso un punto di ri­ferimento importante per tutta la trama del volume. Attraverso le relazioni sociali e le interazioni tra le persone avviene la formazione della personalità. Le condizioni di una sana conoscenza di sé e di una fruttuosa formazione della personalità passano per l’esperienza dell’essere accettati e riconosciuti per quello che si è.

Alla luce delle acquisizioni appena accennate, l’autore offre, nella seconda sezione (103-187) intitolata Prospettive di salvezza, un’ermeneutica del mes­saggio di salvezza del cristianesimo in chiave di riconoscimento. La salvezza, argomenta l’autore, può essere intesa come riconoscimento incondizionato da parte di Dio e tale gesto aprioristico permette alla fede di giocare un ruolo libe­rante per una personalità realizzata. «La fede cristiana promette all’uomo un illimitato e incondizionato essere riconosciuto e un essere approvato da parte di Dio che precede di principio il divenire persona e ne è il fondamento» (106). Il concetto teologico di persona (e di dignità della persona) non è derivato da determinate peculiarità come la coscienza, la libertà, le capacità, il merito, ma dall’incondizionatezza dell’essere persona creata a immagine e somiglianza di Dio. Questa realtà di fede da sola costituisce un terreno fecondo per lo sviluppo personale. Si può dire, in altri termini, che fides autem facit personam (Martin Lutero). Nel messaggio cristiano, non sono il rapporto con se stessi, la coscienza o l’autocoscienza a costituire la persona, bensì il riconoscimento da parte di Dio. Dati questi presupposti teologici, non condivisi dal contesto cul­turale, non meraviglia allora che «nei discorsi etici, la posizione della chiesa è avvertita spesso come massimalistica e come rigida» (117). La visione cristiana, però, non si limita soltanto a indicare il dono incondizionato, ma evidenzia il percorso per non vanificare il dono. «La dignità dell’uomo rinnovata da Cristo trova la sua realizzazione concreta nella sequela di Cristo» (132), nell’abbando­nare l’uomo vecchio e rivestire «l’uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e nella vera santità» (cf. Ef 4,22-24). Questo passaggio non è indiffe­rente perché mostra come l’uomo è collaboratore di Dio nella formazione della propria personalità. L’esperienza della salvezza «è vincolata alla libertà della persona umana e si realizza nella formazione della propria personalità nelle relazioni con gli altri esseri umani. Là dove l’uomo, con libertà e in amore, si apre all’altro, si può verificare la salvezza» (158).

Alla luce di questa traduzione della salvezza in chiave di riconoscimento, di accettazione accolta che diventa occasione dell’accettazione di sé, l’autore tenta di vedere, nella terza sezione (189-260), se anche la prospettiva della re­denzione possa essere declinata con la categoria del riconoscimento. In forza della libertà concessagli, l’essere umano ha la possibilità di rifiutare a Dio il riconoscimento e di tradire la sua somiglianza con Dio quale destinazione del suo peregrinare. Rifiutare l’essere riconosciuti da Dio è comprendere se stessi «non come immagine ma come prototipo» (195). Attraverso un’analisi vetero e neo-testamentaria della categoria di peccato l’autore cerca di mostrare che la categoria del riconoscimento non è estranea al concetto biblico di peccato il quale «è più di una mera opposizione alla norma. Rappresenta in definitiva il rifiuto del diritto di Dio, un no all’attenzione e al riconoscimento di Dio» (203). In altri termini, il discorso sul peccato (e sulla redenzione) nella prospettiva biblica si pone sempre in seconda battuta, dopo l’annuncio di salvezza. Anzi, c’è di più: «Solamente chi conosce l’amore sconfinato di Dio, la grazia della riconciliazione e della conversione, riesce a parlare senza pietà della propria colpa, a staccarsi da essa e condannarla» (215). Alla luce di queste acquisizioni, l’autore confronta criticamente le idee di sacrificio, espiazione e di sostituzione vicaria suggerendo altre piste ermeneutiche, ispirate alla Bibbia, che manife­stano ad esempio che l’espiazione non designa il tentativo umano di agire su Dio, ma l’azione di perdono di Dio. L’autore arriva così a indicare Gesù come il pro-esistente disinteressato (l’espressione è di Heinz Schürmann), ovvero colui che riconosce gli altri in maniera incondizionata.

L’opera di Böttigheimer è ricca di spunti. Non le mancano nemmeno delle autocritiche ecclesiali coraggiose. È lodevole lo sforzo di coniugare i temi ap­parentemente astratti dei trattati teologici che interessano poco alla gente nor­male, alle tematiche che polarizzano l’interesse come la formazione della per­sonalità. Se la prima e la seconda sezione del volume sono ricche di sviluppi e di approfondimenti, la terza parte ci è parsa scritta rapidamente. Essa resta un po’ vittima della brevità della trattazione. Ci sono intuizioni interessanti, ma redimere la pagina sacrificale e vicaria della teologia della redenzione ne­cessita, a nostro avviso, più spazio, più tempo e maggiore riconoscimento delle difficoltà inerenti alla questione della redenzione.


R. Cheaib, in Teresianum 73 (2022/1) 461-463

Il concetto di persona, che non aveva un significato rilevante nel mondo ellenistico, cominciò ad assumere importanza a partire dal V secolo, in particolare grazie al suo utilizzo nella teologia trinitaria. Con il susseguirsi delle epoche storiche divenne centrale sia per il pensiero filosofico sia per quello teologico. Di conseguenza, si è avuto lo sviluppo di una molteplicità di prospettive e visioni su di esso. Non sorprende allora come ancora oggi non ne venga data una definizione univoca. Se vi è un elemento che accomuna la maggior parte delle riflessioni teologiche e filosofiche sulla persona è l'attenzione alla dimensione relazionale, tanto che è possibile affermare: «L’uomo non può diventare persona senza il suo rapporto con altri [...], e questo significa che l'essere umano non può vivere senza riconoscimento» (p. 37). Da qui è possibile evincere come l'essere-in-relazione, che nella concezione ellenistica veniva considerato semplicemente come uno tra i molti elementi che caratterizzano la figura antropologica, sia oggi uno dei temi centrali nelle riflessioni sull'essere umano. Il concetto di persona chiama così in causa la realtà sociale, le relazioni e il riconoscimento. Quest'ultimo può avvenire solo in un rapporto reciproco e libero. Ecco allora che persona e riconoscimento sono intimamente connessi, al punto che l'uno non può sussistere senza l'altro.

A partire da queste istanze l'A., docente di Teologia fondamentale all'Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt (Germania), supportato da un apparato bibliografico che spazia tra i classici della modernità e della riflessione contemporanea in ambito sia teologico sia filosofico, delinea il suo tentativo di inserire all'interno del pensiero teologico la riflessione sul riconoscimento.

L’analisi prende le mosse da due presupposti. Il primo è la presa di coscienza che il bisogno di riconoscimento è un costitutivo antropologico fondamentale. Il secondo è l'idea per cui il riconoscimento gioca un ruolo fondamentale all'interno della storia della salvezza. Questo permette al concetto di identificarsi come il luogo centrale sia nella relazione tra uomo e Dio sia in quella comunitaria. La prima relazione, che si può definire come la fede in un Dio che riconosce l'uomo, è alla base di un ethos di reciproco riconoscimento tra le persone. Il riconoscimento da parte di Dio assume così rilevanza per la formazione sia della personalità sia dell'intersoggettività. L’essere riconosciuti da Dio porta a una duplice conseguenza: da una parte, la relazione viene vissuta come un dono; dall'altra, essa chiede alla persona di corrispondere all'immagine di un Dio visto come criterio centrale per la propria vita. Se l'uomo in quanto persona vive di riconoscimento, ha però la libertà di accogliere o rifiutare tale costitutivo antropologico sia nella relazione con Dio sia in quelle Interpersonali.

Nell'ultima sezione del volume viene trattata la questione della redenzione. L’A. si chiede infatti se oggi «i concetti di espiazione e sacrificio possano ancora sviluppare il loro potenziale salvifico e liberante» (p. 233) o se ci siano categorie più adatte a chiarire l'aspetto salvifico della morte di Gesù. Viene proposto così il concetto di «riconoscimento come alternativa». Non è soltanto la morte di Gesù a essere essenziale per la redenzione, ma piuttosto l'intero suo annuncio del Regno in parole e opere, culminato con la sua morte. Durante la sua vita, Gesù ha manifestato l'incondizionato riconoscimento dell'essere umano da parte di Dio, e a partire da questo si delinea la tensione verso il Regno.

Il riconoscimento si configura così come il costitutivo antropologico attraverso cui l'essere umano è in grado di formare la propria identità e personalità. Al tempo stesso, questo elemento è centrale per la fede cristiana nel Padre, che riconosce in maniera gratuita gli esseri umani come figli e che conferisce così ai credenti la forza di praticare a loro volta un riconoscimento incondizionato dell'altro da sé. In questo senso il cristianesimo ha un potenziale di formazione della personalità individuale, ma anche una forza sociale che gli permette di gettare una luce critica sulle situazioni sociali.


M. Vicentini, in La Civiltà Cattolica 4115 (4/18 dicembre 2021) 513-514

L’intera esistenza di ogni singola persona umana è volta a essere piena, realizzata, in una parola riuscita. In cosa costituisce il contributo a tale realizzazione da parte della fede cristiana che promette felicità e compimento? L’a., specialista di teologia fondamentale e di ecumenismo, a tale domanda risponde chiamando in causa la categoria del «riconoscimento». Dio riconosce, in Gesù, ogni essere umano e ciò impronta stabilmente la personalità individuale, in quanto il riconoscimento è del tutto incondizionato in virtù del messaggio di salvezza della religione cristiana esprimibile proprio con la citata categoria. Testo di studio.


D. Segna, in Il Regno Attualità 20/2021, 643

«Adamo, dove sei?». La celebre interpellanza del Creatore agli esordi della Bibbia e della stessa storia umana, potrebbe oggi essere trascritta con un «Adamo, chi sei?», un interrogativo destinato a trafiggere l'indifferenza amorfa o la fluidità dell'antropologia attuale. Una visione ormai secolarizzata ma anche amorale per la quale varrebbe la ripresa satirica della scena del paradiso terrestre suggerita da Jacques Prévert: «E Dio, sorprendendo Adamo ed Eva, disse: Continuate, ve ne prego, non disturbatevi di me, fate come se io non esistessi».

Proprio in questa nebbia attuale, nella quale tutte le figure sono amorfe o polimorfe, si introducono spesso riflessioni che cercano di diradare la foschia e stagliare alcune tipologie. È ciò che fanno molti pensatori di diversa estrazione, intercettati anche da alcuni teologi, capaci di creare intersezioni coi linguaggi e i sistemi "laici". Ne scegliamo ora uno trai molti, forse meno noto, ma che proponiamo proprio per questa sua capacità dialogica inter- e transculturale.

Si tratta di un docente dell'Università tedesca di Eichstätt –Ingolstadt (Baviera), Christoph Böttigheimer, classe 1960.

La sua ricerca si muove sostanzialmente secondo due traiettorie consecutive. La prima è scandita da tre categorie antropologiche capitali. Innanzitutto la «persona», vocabolo forse di matrite fenicia col significato di «maschera», semantica accolta dal latino e se si vuole anche dal prósopon greco, letteralmente «ciò che si può vedere», quindi il volto e l'oggetto visibile della creatura umana, una maschera che cela l'hypóstasis, «ciò che sta sotto», la «sostanza» appunto. Certo è che il profilo primario della persona è contenuto nella relazione con l'altro, ed è così che nasce la seconda dimensione centrale del saggio del teologo tedesco, «ll riconoscimento».

Egli lo delinea attraverso il contributo di una legione di pensatori, a partire da Hegel per giungere a Ricoeur, Todorov, Taylor e soprattutto al filosofo sociale Axel Honneth. Attraverso il riconoscimento reciproco si alimenta l'autentica relazione interpersonale comunitaria, l'intersoggettività, l'amore stesso e, a causa del limite umano, anche il conflitto, quando l’identitarismo egoistico «riconosce» nell'altro un ostacolo o un pericolo. Solo col riconoscimento si compie la «formazione della personalità», la terza categoria di taglio più psicologico, che «comprende tutte le peculiarità caratteristiche della natura di una persona che la distinguono nella sua unicità inconfondibile e nella sua individualità insostituibile».

A questo punto entra in azione la seconda traiettoria dello studio di Böttigheimer, quella strettamente teologica ove le precedenti categorie vengono applicate al registro trascendente. La relazione interpersonale, allora, si apre verticalmente a Dio del quale l'uomo e Ia donna sono «immagine» (Genesi 1,27), il cui prototipo è Gesù Cristo «immagine del Dio invisibile» (Colossesi 1,15).Questo «riconoscimento» da parte di Dio coinvolge innanzitutto la salvezza, che è appunto, un abbraccio interpersonale tra il Creatore e la creatura, attuato nella storia, cioè nell'edificazione del regno di Dio a cui partecipano sia Dio, sia il figlio umano di Dio attraverso la fede e le opere.

Quando, però, la libertà umana traligna originando un «riconoscimento» aggressivo – teologicamente parlando, col peccato – ecco che scatta l'altra dimensione della salvezza che è la redenzione. E qui entrano in scena temi fondamentali come il sacrificio, l'espiazione e la figura sacrificale di Cristo nella sua morte, atto di condivisione radicale e solidale con i peccatori. Naturalmente, trattandosi di prospettive cristologiche che hanno sollecitato una secolare riflessione sulla teologia, l'analisi si fa fitta di ramificazioni che, però, convergono alla fine sul tronco centrale del «riconoscimento» da parte di Dio nei confronti della sua creatura in tutto il suo percorso personale infame o glorioso, asimmetrico o convergente con lui e con il prossimo.


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 1 novembre 2021, XV

Un’analisi innovativa dei fondamenti di una antropologia cristiana.

Christoph Böttigheimer, della diocesi di Eichsttät nel Land della Baviera in Germania, insegna teologia fondamentale all’università cattolica della sua città e diocesi. Noto teologo tedesco della nuova generazione (classe 1960) è anche specialista in ecumenismo e politica ecclesiastica.

Con Queriniana, nella nota e apprezzata collana «Giornale di Teologia», pubblica questo testo al n. GdT 432 dove indaga in che cosa consista la salvezza promessa dall’opzione di fede e come l’uomo peccatore arrivi a parteciparvi.

«La fede – scrive Böttigheimer nell’introduzione – non si comprende come un accidente umano, ma come un’opzione fondamentale che riguarda tutta la persona. Tale opzione fonda la dignità dell’umano e assicura riuscita alla sua vita che è sempre orientata al perfezionamento».

Il testo è strutturato in 3 parti e rispettivi capitoli.

Prima parte. Formazione della personalità

1. L’umano come persona

2. Diventare persona e personalità

Seconda parte. Prospettive di salvezza

3. Fede e formazione della personalità

4. Riuscire a essere salvo e integro

Terza parte. Prospettive di redenzione

5. Prostrazione e alienazione

6. Idee di redenzione

Böttigheimer affronta la questione chiamando in causa il concetto di riconoscimento. Mostra che «il riconoscimento incondizionato di Dio, in Gesù, per ogni essere umano può improntare stabilmente la personalità individuale. E se la religione cristiana è innanzitutto un messaggio di salvezza, quest’ultima è allora esprimibile proprio con la categoria del riconoscimento. Lì – evidenzia Böttigheimer – i contenuti centrali della fede sono veicolabili oggi in modo più comprensibile di quanto non avvenga con altri concetti più tradizionali».


G. Ruggeri, in RecensionediLibri.it 5 giugno 2021

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