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(In)Sensatezza della preghiera
Christoph Böttigheimer

(In)Sensatezza della preghiera

Alla ricerca di una ragionevole responsabilità

Prezzo di copertina: Euro 26,00 Prezzo scontato: Euro 24,70
Collana: Giornale di teologia 440
ISBN: 978-88-399-3440-6
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 256
Titolo originale: Sinn(losigkeit) des Bittgebets. Auf der Suche nach einer rationalen Verantwortung
© 2022

In breve

Non è un male che incredulità e scetticismo vengano integrati nella preghiera – anche se ci si rivolge a Dio dubitando, disperandosi, lamentandosi, accusandolo – perché allora la fede diventerà senz’altro più sincera e, alla fine, più matura.
E, con Karl Rahner, potremo infine dire: «Credo perché prego!»

Descrizione

Perché chiedere, e perché chiedere a Dio? Tra l’atto della fede e il contenuto della fede esiste una imprescindibile reciprocità. Le questioni che ne emergono vengono qui dibattute focalizzandosi sulla preghiera di domanda.
Il libro evidenzia le obiezioni della filosofia, delle scienze naturali e della teologia alle preghiere che esprimono richiesta o supplica, intercessione o invocazione, e cerca di trovare una loro legittimazione razionale.
Nel far diventare la supplica a Dio un tema del pensiero, il teologo Böttigheimer tratta altresì questioni fondamentali della fede nel Dio cristiano e – alternando domande e tentativi di risposta – offre in chiave critica una chiarificazione di alcuni concetti correnti sulla natura del divino. A conferma che nella preghiera si acquista consapevolezza delle sfide e degli interrogativi del credere. Fino ad esclamare, con Karl Rahner: «Credo perché prego!».

Recensioni

Già negli anni 70 del secolo scorso un teologo importante come il tedesco Gerhard Ebeling era convinto che fosse da registrare un «totale collasso della preghiera nella modernità». Eppure, non solo allora ma anche ai nostri giorni si moltiplicano i libri su questo atto che un filosofo come Kierkegaard – sulla scia di un’antica tradizione e anticipando reiterate dichiarazioni successive – definiva «il respiro dell’anima», necessario come quello fisico (Lutero, invece, preferiva compararlo al «battito del polso»). Paradossale era un altro teologo tra i maggiori del ’900 come Karl Rahner che affermava: «Ich glaube, weil ich bete», «credo perché prego».

Su questo tema che coinvolge tutte le religioni e che persino inquieta gli stessi atei – tant’è vero che il cardinal Carlo M. Martini poté dedicargli un’edizione della sua «Cattedra dei non credenti» con sorprendenti interventi di personalità agnostiche – appare ora un altro studio di taglio teorico, dovuto a un interessante e spesso originale teologo dell’università tedesca di Eichstätt-Ingolstadt, Christoph Böttigheimer, classe 1960. Già il titolo è provocatorio nel termine mobile (In)sensatezza, Sinn(losigkeit). Sì, perché, se molte sono le ragioni del pregare, sia spontanee sia motivate teologicamente, altrettante sono le reazioni critiche e smitizzanti, spesso avvinghiate nella contemporaneità a quel crollo dell’onnipotenza divina registrato ad Auschwitz (ma non solo).

Un cenno preliminare merita la struttura del saggio: esso è retto, in modalità dialettica, su una dualità tra «quesiti e risposte», naturalmente non secondo un taglio catechistico, ma con discorsi paralleli articolati. Preso in considerazione è il genere orante fondamentale, la domanda-petizione. Dopo tutto, Gesù stesso ha coniato la sua preghiera distintiva, il «Padre nostro», su una sequenza di appelli rivolti a Dio, preoccupandosi persino del «pane quotidiano». Anzi, con una straordinaria e vivacissima parabola innestata in un’aula di tribunale ove un giudice amministrava una mala giustizia (Luca 18,1-8), Cristo non esitava a ribadire «la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai», anche quando si è inascoltati.

Ma ritorniamo alla struttura binaria adottata da Böttigheimer che la impone a quattro punti cardinali dell’orizzonte orante. Il primo è rubricato sotto il titolo «L’ascolto di Dio». Qui affiora una questione radicale che scuote lo stesso concetto del Dio personale: non sarà questa rappresentazione un antropomorfismo che è raso al suolo dal frequente silenzio di Dio, per nulla scosso nella sua trascendenza e quindi alieno all’ascolto e al dialogo? La replica è affidata a pagine veramente efficaci che riconsiderano il concetto della personalità di Dio e, tenendo conto dell’infinità divina che permette l’ossimoro di una trascendenza immanente, emargina la categoria del dialogo a favore di un Dio che è, sì, oltre ma anche in noi. Folgorante il latino delle Confessioni di sant’Agostino: «Tu eras interior intimo meo et superior summo meo», «più intimo della mia stessa intimità, più alto della mia altezza».

Altrettanto radicale è il secondo riferimento della mappa dell’orizzonte orante, l’intervento divino in risposta all’invocazione umana. Qui si leva un altro picco da scalare, eretto dalle obiezioni sull’onnipotenza di Dio, palesemente frustrata oppure scandalosa nelle sue reticenze e negazioni: ritorna in scena Auschwitz e le relative deduzioni a più largo spettro elaborate da un famoso saggio di Hans Jonas del 1987 (Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo 1993). Il tentativo di replica di Böttigheimer è molto articolato lungo traiettorie diverse: il riconoscimento di un’autolimitazione divina; le cause seconde attraverso le quali si svolge l’«agire mediato» di Dio; l’ingresso della libertà umana; e ancora la funzione di sollievo che la preghiera genera e il consolidamento del rapporto di fiducia con Dio.

Sono pagine molto complesse come lo è il soggetto affrontato, rese probabilmente più ardue anche dalla versione di un originale ostico per la stessa tipologia linguistica tedesca. Il terzo punto cardinale è consequenziale e riguarda sostanzialmente l’incrocio tra la volontà divina e la libertà della persona umana che talora procede mossa da un suo interesse nella domanda. Conseguente è anche il quarto e ultimo riferimento, quello della provvidenza di Dio il cui concetto dev’essere purificato da categorie schematiche come quella dell’onniscienza. Abbiamo ovviamente scarnificato il discorso sviluppato dal teologo che, per altro, allega una massa notevole di riflessioni elaborate dai suoi colleghi contemporanei.

Il succo finale che si ricava attraverso il metodo dialettico degli interrogativi e delle risposte è, a nostro avviso, duplice. Da un lato, nella preghiera ci si inerpica nel mistero del divino, della trascendenza e dell’alterità di Dio. È, quindi, un atto di «teo-logia» in senso stretto, cioè di discorso su Dio. D’altro lato, si ha lo scavo nella realtà umana e nelle sfide collegate alla fede. È, allora, anche un atto di «antropo-logia» religiosa. Non per nulla in esergo al libro Böttigheimer pone questa battuta della Summa theologiae di Tommaso d’Aquino: «Se noi presentiamo preghiere a Dio non è per svelare a lui le nostre necessità e i nostri desideri, ma per chiarire a noi stessi che in simili casi bisogna ricorrere all’aiuto di Dio».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 5 giugno 2022

Recentemente, papa Francesco, intervistato da Fabio Fazio, alla domanda: Cos'è la preghiera? Ha risposto con parole che semplificano la vita a chi crede e a chi non crede. «Pregare – ha detto – è quello che fa il bambino quando si sente limitato, impotente. "Papà, mamma": questo è il primo grido della preghiera. Pregare è entrare con Ia forza, oltre i limiti, oltre l'orizzonte, e per noi cristiani pregare è incontrare il papà».

Proprio in questi giorni è uscita Ia traduzione italiana di un libro di Christoph Böttigheimer sulla preghiera, focalizzato sul senso e non-senso della preghiera di domanda. Il titolo è (In)Sensatezza della preghiera. Alla ricerca di una ragionevole responsabilità (Queriniana, Brescia). Böttigheimer è professore di teologia fondamentale presso l’università tedesca di Eichstätt-Ingolstadt. In italiano ha pubbicato altri tre libri sulle difficoltà della fede, su «come possiamo avere le idee giuste su ciò che va creduto con fede», sul contributo dell’essere-riconosciuti per la formazione della personalità. È uno dei firmatari del memorandum «Chiesa 2011: una ripartenza necessaria», firmato da 311 teologi cattolici, un forte appello a riformare la chiesa. «Non è un male – scrive Böttigheimer – che incredulità e scietticismo vengano integrati nella preghiera; anche se ci si rivolge a Dio dubitando, disperandosi, lamentandosi, accusandolo, perché allora la fede diventerà senz'altro più sincera e, alla fine, più matura. Se non accade questo, la preghiera diventa formula vuota».

Il Iibro evidenzia le obiezioni della filosofia, delle scienze naturali e della teologia alle preghiere che esprimono richiesta o supplica, intercessione o invocazione, e cerca di trovare una loro legittimazione razionale. Non dà risposte a buon mercato. Finisce col trattre questioni fondamentali della fede nel Dio cristiano e - alternando domande e tentativi di risposta – offre in chiave critica una chiarificazione di alcuni concetti correnti sulla natura del Divino.

Alla fine conferma che la preghiera è consapevolezza delle sfide e degli interrogativi del credere. È il cosciente e accettato smarrimento dinanzi ai misteri del cosmo e ai grandi interrogativi della nostra esistenza, ai quali non si può rispondere scientificamente: Cosa c'era prima del big bang? Da dove viene I’immensa energia del cosmo? Questi quesiti portano alla domanda fondamentale della metafisica, come la posero Leibniz e Heidegger: Perché c'è qualcosa anziché il niente? E poi: Qual è il senso della mia vita personale? Per che cosa sono venuto al mondo? E, ancora, il problema dei problemi: Che rapporto c'è tra il male e il dolore, la bontà e l'onnipotenza di Dio? Come si giustifica la morte di un bambino dilaniato dal cancro? Perché Dio non gradì Caino e il frutto del suolo che gli aveva offerto? Il mantenere aperte queste domande denota l'incertezza di una fede illuminata, mentre il tentativo di ignorarle è espressione di una fede infantile.

Neanche papa Francesco ha dato risposte scontate. «I bambini – ha affermato – nel loro sviluppo psicologico passano per quella che si chiama l’età dei perché. Perché si svegliano, vedono la vita e non capiscono, e dicono: “Papà, perché?”. Ma se noi guardiamo bene, il bambino non aspetta la risposta del papà, quando il papà incomincia a rispondere va a un'altra domanda. Quello che vuole il bambino è che lo sguardo del papà sia su di lui. Non importa la spiegazione, importa solo che il papà lo guardi, e questo gli dà sicurezza. Pregare è un po' tutto questo».

La vera preghiera è imparentata con tanto silenzio, scrive Böttigheimer. Il silenzio nostro e di Dio: «Il silenzio di Dio è un problema per l'uomo che pensa, perché solleva la questione se veramente esista questo Dio personale al quale egli si rivolge fiducioso nella preghiera. L’esperienza di un Dio apparentemente silenzioso può portare a una profonda insicurezza di chi prega. Ma Dio, come è avvenuto per Elia sull’Oreb, può essere presente e parlare all’uomo anche nel suo silenzio, che può essere espressione della sua presenza arcana. La Sacra Scrittura tematizza Ia presenza di Dio nel silenzio, che può essere compreso anche come modo della rivelazione divina».

Da parte dell'uomo l'humus della preghiera è la consapevolezza del limite e della precarietà. La sua prospettiva è la speranza. Quando articola domande, lo fa per dialogare col non-credente che è in noi, per riflettere su se stessi, sugli altri che ci stanno attorno, sul mondo e anche su Dio. «Quando tu ti abitui a dire "papà" a Dio – ha detto ancora papa Francesco – significa che stai andando bene, sei sulla strada della religione, ma se tu pensi che Dio è quello che ti annienterà nell'inferno, se tu pensi che Dio se ne infischia della tua vita, che non gli importa, la tua religione sarà superstizione. Pregare significa guardare, dai miei bisogni, dalla mia piccolezza, come fanno i bambini che dicono "papà"». Solo nel silenzio noi riusciremo a prendere posizione dinanzi alle domande più urgenti del nostro tempo e scopriremo che cosa possiamo fare per collaborare a una soluzione.


G. Poletti, in L’Adige 15 marzo 2022, 38

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