In un testo del 1947, Von der Not und dem Segen des Gebetes, Karl Rahner metteva la preghiera di domanda sul banco degli imputati evocando l’esperienza di tanti oranti e il destino inascoltato (almeno apparentemente) di tante invocazioni: «Abbiamo pregato e Dio non ha risposto. Abbiamo gridato, ed egli è rimasto muto. Abbiamo versato delle lacrime che bruciavano il nostro cuore. Non fummo ammessi al suo cospetto». Eppure, pur tenendo in conto questa constatazione non estranea ad alcun orante, Rahner non rinuncia alla centralità della preghiera nella fede e formula una specie di cogito: «Ich glaube, weil ich bete [io credo, perché prego!]».
La preghiera di domanda, che – per presentarla molto succintamente – consiste nell’elevare le nostre domande a Dio, non tarda a sollevare a sua volta tante domande a livello filosofico, naturalistico e teologico. Il teologo Christoph Böttigheimer, docente di teologia fondamentale all’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt – ormai noto al pubblico italiano tramite altri tre saggi tradotti dai tipi della Queriniana – affronta nella sua ultima opera, pubblicata nel 2018 e tradotta nel 2022, alcune fra le obiezioni sollevate alla preghiera di invocazione. Il carattere paradossale del titolo (In)sensatezza della preghiera [Sinn(losigkeit) des Bittgebets] già esprime la tensione che sussiste nel credente che prega e in ogni persona sincera che si pone dinanzi alle difficoltà sollevate dalla preghiera. Il sottotitolo – Alla ricerca di una ragionevole responsabilità – mette in evidenza invece una prospettiva di risposta che l’autore delineerà lungo la sua riflessione che si dipana in cinque momenti.
Quanto alla struttura della trattazione, il libro inizia con un capitolo che riflette su «La preghiera come centro della fede» (15-44) per dedicarsi nelle quattro parti successive alle problematiche e alle riserve sollevate dalla filosofia, dalle scienze naturali e dalla teologia stessa. Ognuna di queste parti è divisa a sua volta in una struttura binaria: dei «quesiti» seguiti da «tentativi di risposta». L’autore conserva lo stile usato nelle sue altre opere dove il suo pensiero si delinea in dialogo stretto con vari interlocutori dell’antichità e della modernità, spaziando tra filosofia e teologia e altri rami del sapere.
Nel già menzionato primo capitolo, Böttigheimer mette in chiaro la necessità della preghiera che costituisce una risposta alla rivelazione di Dio. La preghiera è la realizzazione esplicita della relazione naturale-soprannaturale dell’uomo con il Dio personale che si rivela nell’economia della salvezza. Senza l’atto personale della preghiera, la fede resterebbe una mera idea astratta. La preghiera è il respiro indispensabile dell’anima, la sua attività prima e primaria. L’autore cita Gregorio di Nazianzo nella sua Orazione n. 27: «Il ricordo di Dio deve essere più frequente del nostro stesso respiro; anzi, se è lecito dirlo, non dobbiamo fare altro che questo». Ora, tra le forme diverse della preghiera, l’autore si concentra su quello della domanda perché «nella richiesta si esprime una forma di relazione più profonda che nel semplice ringraziamento o nella lode, perché qui è riconosciuto il proprio bisogno e l’Altro è provocato nella sua libertà» (33). La preghiera di domanda dice la fede, dando voce alla fiducia e manifestando il coraggio dell’affidamento e per questo essa è fondamentale nel vissuto credente perché, – come nota giustamente Gerhard Lohfink – la preghiera di domanda «è un gesto senza il quale svanisce alla lunga il volto di Dio».
Il primo momento di problematizzazione è intitolato «L’ascolto di Dio» (45-89) e si concentra sulla dimensione personale di Dio. Senza un Dio personale, infatti, la preghiera risulterebbe semplicemente impossibile. La tradizione biblica manifesta che la personalità è un tratto distintivo e imprescindibile del Dio che si rivela. Egli è personale nella sua volontà di relazione e di salvezza, nell’elezione, nell’alleanza e nella fedeltà. È un Dio personale che vede e ascolta, e come potrebbe essere altrimenti: «Chi ha formato l’orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l’occhio, forse non vede?» (Sal 94,9). Ma il credente si confronta con dati ben differenti nella sua esperienza soggettiva. La preghiera esaudita costituisce spesso l’eccezione. In altre parole, l’orante si confronta con l’impercettibilità e il silenzio di Dio. «Il silenzio di Dio è un problema per l’uomo che pensa, perché solleva la questione se veramente esista questo Dio personale al quale si rivolge fiducioso nella preghiera» (52). Nell’abbozzare la risposta, l’autore analizza brevemente il fenomeno del silenzio di Dio nella Bibbia e conclude che «l’apparente mancanza di risposta non deve necessariamente essere interpretata come silenzio, ma può anche essere compresa come un eloquente silenzio di Dio, cioè come sua nascosta presenza nel silenzio Dio, come è avvenuto per Elia sull’Oreb» (82).
La seconda problematizzazione si sofferma su «L’agire di Dio» (91-140) e si riassume nella questione dell’intervenzione dell’Eterno nel corso della storia e del Creature nell’autonomia, da lui voluta, della sua creatura. La questione dell’intervenzionismo dinanzi alle difficoltà sollevate dalle scienze naturali si rafforza con una questione esistenziale diametralmente opposta: quella della messa in questione dell’onnipotenza divina dinanzi al problema del male. La problematica si allarga fino a considerare la preghiera come «atto sostitutivo» e alibi per non dover agire. La chiave di risposta offerta dall’autore si fonda su un inquadramento teologico cristiano dell’idea di onnipotenza di Dio, la quale è determinata dal suo amore e dal suo far spazio alla creatura. In questa prospettiva soltanto, e non in una prospettiva astratta di onnipotenza/impotenza, si potrebbe comprendere l’agire di Dio che non esclude ma include l’agire dell’uomo, quale mediazione della sua discreta provvidenza nella storia.
La terza problematizzazione – «La volontà di Dio» (141-174) – s’interroga sull’efficacia della preghiera umana dinanzi al volere di Dio e sulla misura con la quale la preghiera di supplica può influenzare il volere divino. L’autore manifesta che il fine della preghiera non è cambiare il cuore di Dio, ma primariamente trasformare il cuore dell’uomo facendolo entrare nella prospettiva di Dio il quale suscita in noi il desiderio di bene. Grazie alla preghiera di domanda «l’uomo si sensibilizza di fronte alle proprie opportunità e alla propria responsabilità» (174).
L’ultima questione – «Affezione di Dio» (175-213) – riflette sulla provvidenza di Dio. Secondo alcune visioni, la prescienza divina del futuro determinerebbe quest’ultimo distogliendo di fatto la libertà creaturale. L’autore cita un efficace parallelismo chiarificatore di sant’Agostino nel suo De libero arbitrio: «Come tu infatti con la tua memoria non determini che si siano avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si debbano avverare gli eventi futuri». L’autore invita a una riconsiderazione dell’idea di prescienza divina e dell’immutabilità di Dio, la quale è un tema della filosofia greca e non della Scrittura.
Se tutti i capitoli del libro sono suggestivi, l’ultimo apre diverse piste interessanti per riflettere su alcuni concetti che si sono imposti sul Dio della rivelazione biblica in modo acritico e indebito. Se si accetta che Dio è immutabile, Egli lo è in alcuni aspetti come l’amore e la fedeltà. Ma se tale immutabilità si estende indistintamente a tutti gli aspetti della realtà divina, «riuscirebbe difficile pensare [Dio] come vivente e come l’amore» (212). In breve, si può notare come la semplice riflessione ponderata sulla preghiera come problema filosofico e teologico apre porte di riflessione insospettate e invita i teologi sistematici a seguire l’esempio di Böttigheimer il quale si è dedicato nelle sue ultime opere a trattare i temi della spiritualità di ogni giorno con tutto il bagaglio di un teologo sistematico, con risultati molto stimolanti.
R. Cheaib, in
Teresianum 74 (2023/1), 192-194