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Il messaggio di Gesù sul regno di Dio
Christoph Böttigheimer

Il messaggio di Gesù sul regno di Dio

Il centro perduto della fede cristiana

Prezzo di copertina: Euro 30,00 Prezzo scontato: Euro 28,50
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 220
ISBN: 978-88-399-3620-2
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 216
Titolo originale: Die Reich-Gottes-Botschaft Jesu. Verlorene Mitte christlichen Glaubens
© 2024

In breve

Una indagine rigorosa che si interroga in modo specifico sul messaggio centrale di Gesù, finito in secondo piano.

Il teologo di Eichstätt intende quest’opera in chiave molto personale: come espressione di proprie ricerche e anche di proprie lotte, come appello a “pensare oltre”.

Descrizione

Il regno di Dio è il fulcro della predicazione di Gesù, il punto di riferimento di ogni sua azione e, di conseguenza, il nucleo stesso della fede cristiana. Oggi sembra però trascurato nell’annuncio ecclesiale e nella teologia. Vi domina infatti ampiamente una dottrina della redenzione incentrata sulla croce e la risurrezione: per il Catechismo della Chiesa cattolica, centro della buona novella è essenzialmente il mistero pasquale; per la teologia, salvezza e redenzione non si collegano in modo incisivo con l’annuncio di Gesù; nelle preghiere eucaristiche è raro che compaia in maniera esplicita il messaggio di Gesù sulla venuta del Regno; la signoria di Dio, concetto chiave in teologia biblica, è estranea alla coscienza di molti fedeli...
Christoph Böttigheimer cerca di riportare al centro dell’attenzione, perciò, il messaggio sul regno di Dio, a quanto pare finito in secondo piano, e ne spiega il senso e l’importanza. Il regno di Dio è già presente o deve ancora venire? In che misura il ritorno di Cristo, quella parusía che sembra prendere il posto della venuta del Regno, si riferisce all’universo intero? La redenzione e la salvezza derivano soltanto dalla passione e morte di Gesù in croce, o c’è di più?
Dato che l’odierna crisi ecclesiale è di fatto una crisi della fede, è essenziale chiedersi: l’annuncio odierno riflette integralmente il messaggio del Gesù consegnatoci dai vangeli canonici?

Recensioni

«È utile ritirarsi di quando in quando e osservare le cose da lontano. Il regno di Dio non solo è al di là dei nostri sforzi, ma è anche al di là delle nostre possibilità di comprensione. Durante la nostra vita facciamo soltanto una parte piccolissima di quella grande impresa che è l’opera di Dio». Queste parole di Oscar Romero potrebbero riassumere la fatica intrapresa da Christoph Böttigheimer nel suo libro Il messaggio di Gesù sul regno di Dio, tradotto per i tipi della Queriniana nella collana Biblioteca di teologia contemporanea (n. 220). Lo sforzo intrapreso dall’autore con acuto senso critico se porta a qualcosa, porta a comprendere la vastità del concetto e la sua paradossalità (che non contraddittorietà).

Lungo le pagine del suo libro, Böttigheimer manifesta le riduzioni teologiche (e a volte ideologiche) a cui è stato sottoposto questo termine centrale e nucleare nella fede cristiana e nella predicazione gesuana e neotestamentaria. Ma andiamo per tappe.

L’a. spiega all’inizio che negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla «conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù. Il messaggio del regno di Dio non sta solo alla base della vita pubblica di Gesù, ma rappresenta anche il nucleo della fede cristiana».

Il libro si divide in quattro parti. Esso esplora il messaggio della basileia di Gesù. «Se ci si chiede quale sia stata la principale preoccupazione di Gesù, non vi può essere che una risposta sola: la basiléia tû theû». Böttigheimer percorre i testi del NT per esplorare questo concetto nelle sue tensioni tra presenza e attesa, già e non ancora, autobasileia e realtà da attendere. Nel seguito dell’esplorazione neotestamentaria, Böttigheimer si sofferma sulla questione del ritardo della parusía. Ed è a questa questione paradossale della «prossimità della basiléia» che è dedicata una importante parte del libro. La questione che sta al fondo della problematica è stata descritta in maniera efficace con la domanda del biblista Ludger Schenke: «Gesù definisce quello che sta succedendo nel presente a partire dal futuro atteso con sicurezza e ritenuto vicino (“regno di Dio”) oppure vuole lasciare aperta a un compimento futuro la “signoria di Dio” già presente?». Il nostro a. ripercorre le varie ipotesi interpretative delle incongruenze temporali tra prossimità della parusia e il suo ritardo passando per l’interpretazione che vede in questo dilatarsi nel tempo un’occasione di pentimento, o l’interpretazione che comprende la basiléia «come un evento che si realizza dinamicamente, comprendendo sia il presente sia il futuro».  La prospettiva che si apre è quella resa celebre da Oscar Cullmann, ovvero la tensione tra il già e non ancora che sembra essere il punto di arrivo (o di sosta) di diversi teologi. L’a. riassume questa fase della riflessione così: «Finora in teologia non si è riusciti a raggiungere un consenso sul rapporto tra le affermazioni relative al presente e quelle relative al futuro nella predicazione di Gesù. Ciò deve tanto più sorprendere perché riguarda il messaggio gesuano sul regno di Dio, che è il contenuto centrale della fede cristiana. Come è stato mostrato, non riesce a convincere né una relativizzazione della questione temporale né un’escatologia di genere puramente presente o futura. Spesso pertanto si adopera la dialettica del «già» e «non ancora», con cui si vede sempre più «nella presenza del regno di Dio il centro dell’annuncio di Gesù». Nondimeno, l’a. considera che nemmeno tale punto di relativo consenso costituisca una risposta soddisfacente perché «anche questa dialettica non di rado appare problematica, soprattutto quando viene pensata in senso quantitativo, oltre al fatto di trascurare la dimensione cosmica. Se si coinvolge la creazione non-umana risulta difficile parlare di un «già» del regno di Dio». Inoltre, ed è un’osservazione che ci pare molto pertinente, «Cristo non viene nel tempo e con il tempo, ma con lui viene la fine e la trasformazione di quel tempo irriducibile, intrecciato alla sofferenza e straziato dal male, un tempo che dopo non ci sarà più».

Se dovessimo tirare le somme di questo libro di Böttigheimer, possiamo certamente notare che è molto diverso da quelli precedenti. La sua dimensione analitica – sempre presente nei testi dell’a. – è molto più grande della parte propositiva. Il testo può essere un buon rifermento per vedere la problematicità della riflessione teologica (e soprattutto esegetica) sulla questione del regno di Dio. Tra l’altro l’a. la riassume così: «L’esegesi attuale è certamente concorde sul fatto che il messaggio sul regno di Dio era al centro della vita pubblica di Gesù, ma è anche vero che non c’è altro accordo al di là di questo». Ciò che manca al lettore è una proposta, un orientamento dello stesso autore, il quale sembra egli stesso cosciente, anzi, forse intenzionato a non proporre una sistematica teologica sul regno di Dio, ma piste riflessive. Verso la fine del suo testo, infatti, egli afferma: «La preoccupazione di questo libro è stata quella di sensibilizzare i lettori e le lettrici alle problematiche collegate al messaggio di Gesù sul regno di Dio e in tal modo rendere chiaro che il problema attuale della fede, forse più che un problema dei credenti, è un problema della fede stessa». E ancora: «Volutamente di volta in volta si è conclusa la trattazione delle diverse problematiche con le questioni aperte che le riguardavano, affinché ognuno possa esprimere la propria travagliata ricerca e suscitare una riflessione di approfondimento o di revisione personale».


R. Cheaib, in Theologhia.com 26 luglio 2024

Che cos’è il regno di Dio? Quali trasformazioni ontologiche comporta? Quali settori del cosmo coinvolge? Quanto è vicino tale regno? Sta per arrivare, oppure arriverà in un tempo imprecisabile, oppure è già arrivato e i suoi semi stanno germogliando proprio ora, nonostante e attraverso le contraddizioni della storia umana e dell’ambiente naturale? Quale rapporto sussiste tra tale regno, la morte e risurrezione di Gesù Cristo e l’annunciata parusìa, il ritorno di Cristo a completare la salvezza? E poi che ne sarà delle vicende umane e ambientali? Saranno assorbite dalla signoria divina o verranno realizzati cieli e terra nuovi, connotati da giustizia, libertà, amore reciproco tra le creature?

Christoph Böttigheimer, docente di Teologia fondamentale presso l’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt, già autore di Comprendere la fede (2014) e (In)Sensatezza della preghiera (2022) per i tipi della Queriniana, documenta una singolare divaricazione. Mentre “negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù” (p.7) e rappresenta il nucleo della fede cristiana (tanto che nel Padre nostro preghiamo: “venga il tuo regno”), l’annuncio ecclesiale odierno e un ampio settore teologico si focalizzano soprattutto sulla morte in croce di Gesù e sul suo morire per i peccati dell’umanità.

L’autore cita l’esplicita tesi dello studioso Thomas Söding, secondo cui la signoria di Dio è una parola chiave della teologia biblica, ma è estranea alla teologia europea attuale. Quest’ultima, a giudizio di Böttigheimer, non avrebbe recepito l’importanza ecclesiologica (per la Chiesa) e soteriologica (per la salvezza) attribuita dal Concilio Vaticano II all’insegnamento gesuano sulla basilèia (p. 12).

Böttigheimer analizza le radici neotestamentarie di tale slittamento e le collega al ritardo della parusìa: “come Paolo sottolinea la comunione presente con Cristo, anche nel Vangelo di Giovanni si trova un modo analogo di affrontare la mancanza della parusìa di Cristo. L’escatologia presente conosce un’accentuazione inequivocabile” (p. 66). Non solo. Gli studiosi di escatologia hanno coltivato indirizzi diversi fra loro, alcuni dei quali, come Karl Barth, hanno contrapposto tempo a eternità, relativizzando il primo: “nella fede si verifica l’incontro senza tempo con Dio” (p. 76).

Altri, come Harold Dodd, hanno sostenuto una realized eschatology in cui ciò che è definitivo si è già compiuto con la comparsa di Gesù (p. 79). Altri ancora, come Rudolf Bultmann, hanno letto le affermazioni di fede, rivolte al futuro, come se riguardassero una dimensione etico-esistenziale presente e interpretando le attese apocalittiche quali tesi di ordine mitologico. Questi tipi di esegesi avrebbero comportato una perdita del carattere cosmico-universale dell’evangelo, dando spazio a derive intellettuali-spirituali, individualistiche e astoriche, mentre una Chiesa, che speri nell’avvento di Cristo, dovrebbe aspirare al rimedio delle miserie umane e non-umane, inviando uno “stimolo critico e di speranza alla società” (p. 123).

L’autore sviluppa in modo articolato l’indagine sulla teologia della croce (pp. 163-192) e conclude prendendo le distanze sia da un’escatologia meramente “futura” (che non spiega la novità della vita pubblica del Nazareno) sia dalla soluzione storico-salvifica che divarica “già” e “non ancora”, introducendo un confuso paradosso (p. 194). Secondo Böttigheimer, è per iniziativa divina unilaterale che “il regno di Dio si è fatto vicino e fa sentire i suoi effetti sul presente, anche se ancora manca come nuova creazione” (p. 194). Viene infine scartata l’ipotesi che “la morte di Gesù sulla croce aggiungerebbe qualcosa di nuovo al contenuto del suo messaggio di salvezza. Se in Gesù l’invito a entrare nel regno di Dio avviene senza porre condizioni, la sua morte violenta non può essere interpretata a posteriori come se fosse una condizione” (p. 195).

Il testo, prevediamo, accenderà un dibattito significativo in ordine al nucleo della fede cristiana (Mitte Glaubens, nel sottotitolo originale). Al di là di alcune riserve, noi ne condividiamo la passione per le trasformazioni storiche, per l’assunzione della causa delle vittime innocenti, per la difesa dell’equilibrio ecologico. Nessuna cristologia espiatoria e nessuna apologia religiosa della morte possono testimoniare la misericordia di Dio e il dono di sé che Gesù fa ai suoi discepoli e a tutti gli uomini segnati dal peccato.

Questo dono non risponde a logiche di riparazione, compensazione o smacchiamento. La Chiesa ha da mantenere uno sguardo coraggioso verso potenzialità inedite: Cristo verrà di nuovo “per giudicare i vivi e i morti” e noi crediamo nella “risurrezione della carne”. All’evangelo del ritorno promesso rispondiamo con la preghiera dell’Apocalisse: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).


P. Cattorini, in SettimanaNews.it 5 luglio 2024

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