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Il messaggio di Gesù sul regno di Dio
Christoph Böttigheimer

Il messaggio di Gesù sul regno di Dio

Il centro perduto della fede cristiana

Prezzo di copertina: Euro 30,00 Prezzo scontato: Euro 28,50
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 220
ISBN: 978-88-399-3620-2
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 216
Titolo originale: Die Reich-Gottes-Botschaft Jesu. Verlorene Mitte christlichen Glaubens
© 2024

In breve

Una indagine rigorosa che si interroga in modo specifico sul messaggio centrale di Gesù, finito in secondo piano.

Il teologo di Eichstätt intende quest’opera in chiave molto personale: come espressione di proprie ricerche e anche di proprie lotte, come appello a “pensare oltre”.

Descrizione

Il regno di Dio è il fulcro della predicazione di Gesù, il punto di riferimento di ogni sua azione e, di conseguenza, il nucleo stesso della fede cristiana. Oggi sembra però trascurato nell’annuncio ecclesiale e nella teologia. Vi domina infatti ampiamente una dottrina della redenzione incentrata sulla croce e la risurrezione: per il Catechismo della Chiesa cattolica, centro della buona novella è essenzialmente il mistero pasquale; per la teologia, salvezza e redenzione non si collegano in modo incisivo con l’annuncio di Gesù; nelle preghiere eucaristiche è raro che compaia in maniera esplicita il messaggio di Gesù sulla venuta del Regno; la signoria di Dio, concetto chiave in teologia biblica, è estranea alla coscienza di molti fedeli...
Christoph Böttigheimer cerca di riportare al centro dell’attenzione, perciò, il messaggio sul regno di Dio, a quanto pare finito in secondo piano, e ne spiega il senso e l’importanza. Il regno di Dio è già presente o deve ancora venire? In che misura il ritorno di Cristo, quella parusía che sembra prendere il posto della venuta del Regno, si riferisce all’universo intero? La redenzione e la salvezza derivano soltanto dalla passione e morte di Gesù in croce, o c’è di più?
Dato che l’odierna crisi ecclesiale è di fatto una crisi della fede, è essenziale chiedersi: l’annuncio odierno riflette integralmente il messaggio del Gesù consegnatoci dai vangeli canonici?

Recensioni

Nell'attuale temperie culturale tedesca la valorizzazione della dimensione collettiva della responsabilità per il cambiamento in materia di salvaguardia dell'ambiente sembra favorire per la teologia anche la riscoperta della dimensione "cosmica" dell'escatologia cristiana. Ne è un felice esempio il saggio di C. Böttigheimer, noto teologo tedesco, che mette a fuoco in modo originale e diretto un nodo cruciale per la fede cristiana, relativo al modo di intendere la salvezza: come si è arrivati a vedere come centro della fede la teologia della croce perdendo di vista la dimensione cosmica della salvezza?

L’ampia letteratura biblico-teologica sul tema del regno offre le argomentazioni per dare una risposta ragionata al quesito. Essa si lascia intravvedere già nel sottotitolo dell'opera e viene esplicitata nella Conclusione: «Nell'attuale crisi ecologica sarebbe non da ultimo di estrema importanza mettere in evidenza il regno di Dio come oggetto di una speranza escatologica nel futuro di dimensioni cosmiche. La fede cristiana non è una questione di salvezza individuale dell'anima, ma del regno di Dio, cioè della salvezza di tutti, in particolare di quella delle vittime e dei sofferenti della storia e, in definitiva, del compimento dell'intera creazione» (p. 194).

Come ha fatto il cristianesimo a perdere il suo "centro" che, nell'interpretazione di Böttigheimer, è l’azione salvifica di Dio in Gesù per una nuova umanità? Vi sono molteplici ragioni che hanno portato alla riduzione individualistica e alla perdita del rapporto della teologia con il mondo. Da una parte vi sono una serie di «distorsioni temporali», l'oblio della parusìa di Cristo e la riduzione individualistica dell'idea di salvezza. Dall'altra vi è soprattutto uno spostamento di accento sulla croce come centro del mistero della redenzione, secondo una certa teologia dell'espiazione, della sostituzione vicaria e della proesistenza che fanno del sacrificio di Cristo il centro della fede: «Se oggi si interrogano i teologi e i credenti sull'importanza di Gesù, ciò che viene messo di gran lunga in evidenza è la sua morte in croce oppure il suo morire per i peccati dell'umanità» (p. 7).

Tale mutilazione del messaggio cristiano rischia di far perdere di vista il centro (Mitte) del vangelo stesso, che è la venuta del regno per tutti. Se è vero che «la crudele esecuzione di Gesù non è la condizione per entrare nel regno di Dio» (p. 190) e nella letteratura paolina è chiaro che «Cristo non è soltanto il redentore dell'umanità, ma anche il redentore di tutta la creazione con tutte le sue ambivalenze e le sue strutture di morte» (p. 129), si arriva a quella che Böttigheimer definisce come una forma di offuscamento della dimensione cosmica della redenzione perché si è persa di vista l'attesa della parusìa. È interessante che in questo siano accomunati nomi molto diversi come quelli di Giovanni Paolo II e R. Bultmann, entrambi responsabili, secondo l'A., insieme a molti altri, di questa riduzione immanentistico-soggettivistica. Anche una certa interpretazione idealizzante e spiritualistica della dialettica tra il "già" e il "non ancora" invece di aiutare, rischia di accentuare lo scollamento tra il presente e il futuro salvifico.

Da qui l'urgenza di tornare a invocare con convinzione l'avvento del regno: «In mezzo a questo mondo sfigurato da un'ingiustizia globale e da un colposo coinvolgimento ecologico ed economico che lo contagia sempre più, guardando alle orribili e cupe condizioni di vita di miliardi di persone, di fronte all'oppressione, allo sfruttamento, alla fame, alle guerre, al terrore legati alla sofferenza di portata inimmaginabile e, non da ultimo, guardando alle vittime e ai perdenti della storia, non ci sarebbero veramente mille motivazioni per ricordare il mondo nuovo che viene, o meglio: chiedere, anzi implorare umilmente la venuta della pace, della giustizia, della misericordia e dell'amore di Dio?» (p. 121).

In conclusione, non è possibile fare teologia a prescindere dall'esperienza del mondo: «Il regno di Dio dona un'umanità dell'umano come mai in precedenza» (p. 192). Su questa qualità umanizzante della fede si gioca la credibilità del cristianesimo di ieri e di oggi.


S. Didonè, in Studia Patavina 3/2024, 576-578

El libro que nos disponemos a resenar trata, como se evidencia en el título, de la centralidad que representa para la fe cristiana, de todos los tiempos y bajo todos los cielos, el mensaje evangélico del reino de Dios. Condición esencial que, según el sentido crítico del autor, no ha sido debidamente atendido por el cristianismo católico y, por tanto, no ha cobrado la suficiente recepción en su elaboración teológica. Tal paradoja lo conduce, inclusive, a declarar que la experiencia religiosa del reino de Dios es análoga al centro perdido de la fe cristiana. Sirva de ejemplo la alusión al último Catecismo de la Iglesia Católica (n. 571), cuya instrucción al respecto acentúa que «el centro de la Buena Nueva que los Apóstoles, y la Iglesia a continuación de ellos, deben anunciar al mundo» es «el Misterio Pascual de la cruz y de la resurrección de Cristo», no el mensaje de Jesús sobre el Reino de Dios. Es posible que este descuido eclesial se deba a la automática transposición del Jesús que anunció el reino de Dios al Cristo anunciado por la comunidad cristiana. En efecto, «al centro del anuncio de la Iglesia primitiva no estaba tanto el Jesús histórico, sino la interpretación teológica del Senor resucitado. Por ende, el mensaje de Jesús sobre el reino de Dios pasó a un segundo plano: del anuncio teocéntrico de Jesús con la basiléia se pasó al anuncio cristocéntrico de los discípulos» (p. 115). Dicho de otro modo, del evangelio de Jesús, se pasó al evangelio sobre Jesús.

Dentro de este cuadro de consideraciones, el autor procede a examinar las siguientes tres problemáticas que, en su secuencia, son las cuestiones que le sirven para estructurar los capítulos de su libro. Se pregunta, en efecto, qué tan cercano o lejano está el reino de Dios? .Qué función desempena la idea de la parusía en el anuncio de Jesús sobre el reino de Dios? .Qué relación existe entre el anuncio salvífico de Jesús sobre el reino de Dios y el significado salvífico de su muerte en cruz? Obviamente, tales problemáticas permanecerán siempre abiertas para la reflexión teológica. Con su estudio, no obstante, el autor nos acerca a importantes clarificaciones. In primis, identificando el nexo entre las dos principales (pre)ocupaciones del Jesús de Nazaret testificado en el Nuevo Testamento. A saber: anunciar la benevolencia de Dios por el ser humano, una benevolencia que ama sin reservas y que salva gratuitamente; y, anunciar la buena noticia del Reino de Dios (basiléia tou theou), una buena noticia, esencialmente evangélica, que se adhiere al evento salvífico de Cristo como a la promesa redentora del tiempo escatológico.

Establecido el doble anuncio (mensaje) de Jesús (Mensajero), toca ahora esclarecer su precisa relación con la naturaleza del reino de Dios. Es decir, la originalidad del argumento contenido en dicho mensaje y proclamado públicamente por tal Mensajero. Para el autor, entonces, el reino de Dios es una acción que concierne exclusivamente a la iniciativa divina, no a la humana. En este caso, le resulta fundamental hacer comprender que el reino de Dios, como también el éschaton, es una acción puramente divina y solamente posible desde la fuerza del senorío divino. Dicha acción y fuerza divina son capaces de convocar y congregar a los más posibles. Por lo cual, el reino de Dios no es un reino para aislados individuos, sino que posee el efecto de conformar la erección del Pueblo de Dios.

Con refinada precisión teológica, el autor nos recuerda, además, que el reino de Dios es sinónimo de la futura redención escatológica. Si bien es precedido o anticipado (prólēpsis) por la acción salvífica de Cristo, no obstante, el reino de Dios no pertenece al tiempo cronológico, sino a las realidades últimas y eternas. De ahí que el mensaje de Jesús sobre el reino de Dios confiera una especial vinculación entre el misterio de la encarnación (la venida histórica del Hijo de Dios), y el misterio de la esperanza en la parusía (la venida gloriosa de Cristo). A propósito, el autor corrobora que en la actualidad la esperanza en la parusía de Cristo y el cumplimiento del reino de Dios no parecen tener la suficiente centralidad en la vida de la comunidad cristiana. «Al parecer, la realidad actual se ha vuelto tan apreciada para la Iglesia que ha dejado de anhelar la plenitud y de rezar por el fin del mundo, de la humanidad y de la historia» (p. 119).

Llegado a este punto, el autor es consciente de que la tensión del reino de Dios entre presente-futuro / cercanía-lejanía / ya-todavía no, constituya el problema fundamental del argumento que está afrontando. La complejidad de la reflexión escatológica, en cuanto que esta no puede ofrecer información precisa sobre las realidades últimas, como el hecho de que en la Biblia no se encuentren respuestas claras sobre la basiléia, no hace más que poner en dificultad a la teología. En atención a lo cual corresponde preguntarse, en qué modo se pueden integrar estos extremos en la comprensión teológica sobre el reino de Dios? Estando en consonancia con el autor, nos parece que lo más adecuado es asumir las realidades escatológicas en modo cualitativo. Justo porque el aspecto más característico del mensaje escatológico de Jesús se refiere a la incondicional acción salvífica de Dios. Jesús, además, no anunció la presencia del reino de Dios, sino más bien su cercanía, como una realidad que está por venir. Debido a sus palabras y obras, principalmente con su pasión, muerte y resurrección, es que Jesús revela la esperanza de «un cielo nuevo y una tierra nueva» (Ap 21,1). De ahí que dicha esperanza se exprese en forma de petición al recitar el Padre nuestro: «venga tu reino». Incluso como la aclamación comunitaria del Marana-tha.

Ciertamente, como evidencia el autor, dicha escatología cualitativa contrasta con la escatología histórica-salvífica propuesta por Óscar Cullmann. Quien, efectivamente, formuló la dialéctica del «ya» y el «todavía no» del reino de Dios. Es decir, si con su muerte y resurrección Jesús nos alcanzó «ya» la salvación, esto no excluye que «todavía» debamos esperar el evento decisivo de la salvación universal. Es posible que dicho modelo dialéctico pueda servir de base a una aserción paradójica; sin embargo, no es menos posible el hecho que «no aporte nada de esclarecedor a la cuestión temporal del reino de Dios. .Pues qué se quiere decir cuando se afirma que el reino de Dios es a la vez ya y todavía no, que está ya en acción, pero que todavía está ausente, que ya se ha experimentado, y no obstante es todavía objeto de esperanza?» (p. 89).

Es indudable el estrato soteriológico que subyace a todo este contenido. Por tal motivo, el autor no rehúsa reflexionar, al final de su libro, sobre la implicación salvífica adscrita en el anuncio de Jesús sobre el reino de Dios. En este sentido, se opone a identificar la acción salvífica de Dios solo en el evento de la cruz y, por tanto, exclusivamente a partir de la idea del sacrificio reparativo desarrollada por la theologia crucis. Porque, «en qué modo una imagen de Dios caracterizada por el amor absoluto, así como ha sido anunciado y vivido por Jesús, se concilia con la idea de sacrificio y expiación» (p. 165). Además, el anuncio de Jesús no consistió en su destino de muerte, sino en el reino de Dios que está por llegar y que, en sí mismo, implica el perdón de los pecados y la redención de toda la creación. Somos de la opinión, de que tanto la muerte en cruz de Jesús como su anuncio del reino de Dios son dos realidades que se implican, recíprocamente, en el único e idéntico evento de la revelación de Cristo. Desde este núcleo fundamental de la fe cristiana, la muerte en cruz de Jesús nos revela el don de la salvación de todo el género humano. En cambio, con la parusía del Cristo glorioso se nos revelará la redención de toda la creación, humana y no humana, como cumplimiento de la comunión en la basiléia tou theou.

Desde la revelación de Cristo, centro fundamental de la fe cristiana, se comprende por qué la esperanza en la llegada del reino de Dios determinó la entera existencia de los primeros cristianos. Es evidente que no esperaban algo, sino a Alguien. Por tanto, estaban «siempre dispuestos a dar respuesta [pros apologian] a todo el que les pidiera razón de su esperanza» (1P 3, 15). Es posible que la falta de audacia en recuperar la esencia de la apologética cristiana, implicará aún que el mensaje de Jesús sobre el reino de Dios sea ausente de la elaboración teológica contemporánea. De dicha audacia, lamentablemente, este libro no es un ejemplo notable.


F. Sánchez Leyva, in Salesianum n. 2/2025, 422-424

«È utile ritirarsi di quando in quando e osservare le cose da lontano. Il regno di Dio non solo è al di là dei nostri sforzi, ma è anche al di là delle nostre possibilità di comprensione. Durante la nostra vita facciamo soltanto una parte piccolissima di quella grande impresa che è l’opera di Dio». Queste parole di Oscar Romero potrebbero riassumere la fatica intrapresa da Christoph Böttigheimer nel suo libro Il messaggio di Gesù sul regno di Dio, tradotto per i tipi della Queriniana nella collana Biblioteca di teologia contemporanea (n. 220). Lo sforzo intrapreso dall’autore con acuto senso critico se porta a qualcosa, porta a comprendere la vastità del concetto e la sua paradossalità (che non contraddittorietà).

Lungo le pagine del suo libro, Böttigheimer manifesta le riduzioni teologiche (e a volte ideologiche) a cui è stato sottoposto questo termine centrale e nucleare nella fede cristiana e nella predicazione gesuana e neotestamentaria. Ma andiamo per tappe.

L’a. spiega all’inizio che negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla «conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù. Il messaggio del regno di Dio non sta solo alla base della vita pubblica di Gesù, ma rappresenta anche il nucleo della fede cristiana».

Il libro si divide in quattro parti. Esso esplora il messaggio della basileia di Gesù. «Se ci si chiede quale sia stata la principale preoccupazione di Gesù, non vi può essere che una risposta sola: la basiléia tû theû». Böttigheimer percorre i testi del NT per esplorare questo concetto nelle sue tensioni tra presenza e attesa, già e non ancora, autobasileia e realtà da attendere. Nel seguito dell’esplorazione neotestamentaria, Böttigheimer si sofferma sulla questione del ritardo della parusía. Ed è a questa questione paradossale della «prossimità della basiléia» che è dedicata una importante parte del libro. La questione che sta al fondo della problematica è stata descritta in maniera efficace con la domanda del biblista Ludger Schenke: «Gesù definisce quello che sta succedendo nel presente a partire dal futuro atteso con sicurezza e ritenuto vicino (“regno di Dio”) oppure vuole lasciare aperta a un compimento futuro la “signoria di Dio” già presente?». Il nostro a. ripercorre le varie ipotesi interpretative delle incongruenze temporali tra prossimità della parusia e il suo ritardo passando per l’interpretazione che vede in questo dilatarsi nel tempo un’occasione di pentimento, o l’interpretazione che comprende la basiléia «come un evento che si realizza dinamicamente, comprendendo sia il presente sia il futuro».  La prospettiva che si apre è quella resa celebre da Oscar Cullmann, ovvero la tensione tra il già e non ancora che sembra essere il punto di arrivo (o di sosta) di diversi teologi. L’a. riassume questa fase della riflessione così: «Finora in teologia non si è riusciti a raggiungere un consenso sul rapporto tra le affermazioni relative al presente e quelle relative al futuro nella predicazione di Gesù. Ciò deve tanto più sorprendere perché riguarda il messaggio gesuano sul regno di Dio, che è il contenuto centrale della fede cristiana. Come è stato mostrato, non riesce a convincere né una relativizzazione della questione temporale né un’escatologia di genere puramente presente o futura. Spesso pertanto si adopera la dialettica del «già» e «non ancora», con cui si vede sempre più «nella presenza del regno di Dio il centro dell’annuncio di Gesù». Nondimeno, l’a. considera che nemmeno tale punto di relativo consenso costituisca una risposta soddisfacente perché «anche questa dialettica non di rado appare problematica, soprattutto quando viene pensata in senso quantitativo, oltre al fatto di trascurare la dimensione cosmica. Se si coinvolge la creazione non-umana risulta difficile parlare di un «già» del regno di Dio». Inoltre, ed è un’osservazione che ci pare molto pertinente, «Cristo non viene nel tempo e con il tempo, ma con lui viene la fine e la trasformazione di quel tempo irriducibile, intrecciato alla sofferenza e straziato dal male, un tempo che dopo non ci sarà più».

Se dovessimo tirare le somme di questo libro di Böttigheimer, possiamo certamente notare che è molto diverso da quelli precedenti. La sua dimensione analitica – sempre presente nei testi dell’a. – è molto più grande della parte propositiva. Il testo può essere un buon rifermento per vedere la problematicità della riflessione teologica (e soprattutto esegetica) sulla questione del regno di Dio. Tra l’altro l’a. la riassume così: «L’esegesi attuale è certamente concorde sul fatto che il messaggio sul regno di Dio era al centro della vita pubblica di Gesù, ma è anche vero che non c’è altro accordo al di là di questo». Ciò che manca al lettore è una proposta, un orientamento dello stesso autore, il quale sembra egli stesso cosciente, anzi, forse intenzionato a non proporre una sistematica teologica sul regno di Dio, ma piste riflessive. Verso la fine del suo testo, infatti, egli afferma: «La preoccupazione di questo libro è stata quella di sensibilizzare i lettori e le lettrici alle problematiche collegate al messaggio di Gesù sul regno di Dio e in tal modo rendere chiaro che il problema attuale della fede, forse più che un problema dei credenti, è un problema della fede stessa». E ancora: «Volutamente di volta in volta si è conclusa la trattazione delle diverse problematiche con le questioni aperte che le riguardavano, affinché ognuno possa esprimere la propria travagliata ricerca e suscitare una riflessione di approfondimento o di revisione personale».


R. Cheaib, in Theologhia.com 26 luglio 2024

Che cos’è il regno di Dio? Quali trasformazioni ontologiche comporta? Quali settori del cosmo coinvolge? Quanto è vicino tale regno? Sta per arrivare, oppure arriverà in un tempo imprecisabile, oppure è già arrivato e i suoi semi stanno germogliando proprio ora, nonostante e attraverso le contraddizioni della storia umana e dell’ambiente naturale? Quale rapporto sussiste tra tale regno, la morte e risurrezione di Gesù Cristo e l’annunciata parusìa, il ritorno di Cristo a completare la salvezza? E poi che ne sarà delle vicende umane e ambientali? Saranno assorbite dalla signoria divina o verranno realizzati cieli e terra nuovi, connotati da giustizia, libertà, amore reciproco tra le creature?

Christoph Böttigheimer, docente di Teologia fondamentale presso l’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt, già autore di Comprendere la fede (2014) e (In)Sensatezza della preghiera (2022) per i tipi della Queriniana, documenta una singolare divaricazione. Mentre “negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù” (p.7) e rappresenta il nucleo della fede cristiana (tanto che nel Padre nostro preghiamo: “venga il tuo regno”), l’annuncio ecclesiale odierno e un ampio settore teologico si focalizzano soprattutto sulla morte in croce di Gesù e sul suo morire per i peccati dell’umanità.

L’autore cita l’esplicita tesi dello studioso Thomas Söding, secondo cui la signoria di Dio è una parola chiave della teologia biblica, ma è estranea alla teologia europea attuale. Quest’ultima, a giudizio di Böttigheimer, non avrebbe recepito l’importanza ecclesiologica (per la Chiesa) e soteriologica (per la salvezza) attribuita dal Concilio Vaticano II all’insegnamento gesuano sulla basilèia (p. 12).

Böttigheimer analizza le radici neotestamentarie di tale slittamento e le collega al ritardo della parusìa: “come Paolo sottolinea la comunione presente con Cristo, anche nel Vangelo di Giovanni si trova un modo analogo di affrontare la mancanza della parusìa di Cristo. L’escatologia presente conosce un’accentuazione inequivocabile” (p. 66). Non solo. Gli studiosi di escatologia hanno coltivato indirizzi diversi fra loro, alcuni dei quali, come Karl Barth, hanno contrapposto tempo a eternità, relativizzando il primo: “nella fede si verifica l’incontro senza tempo con Dio” (p. 76).

Altri, come Harold Dodd, hanno sostenuto una realized eschatology in cui ciò che è definitivo si è già compiuto con la comparsa di Gesù (p. 79). Altri ancora, come Rudolf Bultmann, hanno letto le affermazioni di fede, rivolte al futuro, come se riguardassero una dimensione etico-esistenziale presente e interpretando le attese apocalittiche quali tesi di ordine mitologico. Questi tipi di esegesi avrebbero comportato una perdita del carattere cosmico-universale dell’evangelo, dando spazio a derive intellettuali-spirituali, individualistiche e astoriche, mentre una Chiesa, che speri nell’avvento di Cristo, dovrebbe aspirare al rimedio delle miserie umane e non-umane, inviando uno “stimolo critico e di speranza alla società” (p. 123).

L’autore sviluppa in modo articolato l’indagine sulla teologia della croce (pp. 163-192) e conclude prendendo le distanze sia da un’escatologia meramente “futura” (che non spiega la novità della vita pubblica del Nazareno) sia dalla soluzione storico-salvifica che divarica “già” e “non ancora”, introducendo un confuso paradosso (p. 194). Secondo Böttigheimer, è per iniziativa divina unilaterale che “il regno di Dio si è fatto vicino e fa sentire i suoi effetti sul presente, anche se ancora manca come nuova creazione” (p. 194). Viene infine scartata l’ipotesi che “la morte di Gesù sulla croce aggiungerebbe qualcosa di nuovo al contenuto del suo messaggio di salvezza. Se in Gesù l’invito a entrare nel regno di Dio avviene senza porre condizioni, la sua morte violenta non può essere interpretata a posteriori come se fosse una condizione” (p. 195).

Il testo, prevediamo, accenderà un dibattito significativo in ordine al nucleo della fede cristiana (Mitte Glaubens, nel sottotitolo originale). Al di là di alcune riserve, noi ne condividiamo la passione per le trasformazioni storiche, per l’assunzione della causa delle vittime innocenti, per la difesa dell’equilibrio ecologico. Nessuna cristologia espiatoria e nessuna apologia religiosa della morte possono testimoniare la misericordia di Dio e il dono di sé che Gesù fa ai suoi discepoli e a tutti gli uomini segnati dal peccato.

Questo dono non risponde a logiche di riparazione, compensazione o smacchiamento. La Chiesa ha da mantenere uno sguardo coraggioso verso potenzialità inedite: Cristo verrà di nuovo “per giudicare i vivi e i morti” e noi crediamo nella “risurrezione della carne”. All’evangelo del ritorno promesso rispondiamo con la preghiera dell’Apocalisse: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).


P. Cattorini, in SettimanaNews.it 5 luglio 2024

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