Che cos’è il regno di Dio? Quali trasformazioni ontologiche comporta? Quali settori del cosmo coinvolge? Quanto è vicino tale regno? Sta per arrivare, oppure arriverà in un tempo imprecisabile, oppure è già arrivato e i suoi semi stanno germogliando proprio ora, nonostante e attraverso le contraddizioni della storia umana e dell’ambiente naturale? Quale rapporto sussiste tra tale regno, la morte e risurrezione di Gesù Cristo e l’annunciata parusìa, il ritorno di Cristo a completare la salvezza? E poi che ne sarà delle vicende umane e ambientali? Saranno assorbite dalla signoria divina o verranno realizzati cieli e terra nuovi, connotati da giustizia, libertà, amore reciproco tra le creature?
Christoph Böttigheimer, docente di Teologia fondamentale presso l’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt, già autore di Comprendere la fede (2014) e (In)Sensatezza della preghiera (2022) per i tipi della Queriniana, documenta una singolare divaricazione. Mentre “negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù” (p.7) e rappresenta il nucleo della fede cristiana (tanto che nel Padre nostro preghiamo: “venga il tuo regno”), l’annuncio ecclesiale odierno e un ampio settore teologico si focalizzano soprattutto sulla morte in croce di Gesù e sul suo morire per i peccati dell’umanità.
L’autore cita l’esplicita tesi dello studioso Thomas Söding, secondo cui la signoria di Dio è una parola chiave della teologia biblica, ma è estranea alla teologia europea attuale. Quest’ultima, a giudizio di Böttigheimer, non avrebbe recepito l’importanza ecclesiologica (per la Chiesa) e soteriologica (per la salvezza) attribuita dal Concilio Vaticano II all’insegnamento gesuano sulla basilèia (p. 12).
Böttigheimer analizza le radici neotestamentarie di tale slittamento e le collega al ritardo della parusìa: “come Paolo sottolinea la comunione presente con Cristo, anche nel Vangelo di Giovanni si trova un modo analogo di affrontare la mancanza della parusìa di Cristo. L’escatologia presente conosce un’accentuazione inequivocabile” (p. 66). Non solo. Gli studiosi di escatologia hanno coltivato indirizzi diversi fra loro, alcuni dei quali, come Karl Barth, hanno contrapposto tempo a eternità, relativizzando il primo: “nella fede si verifica l’incontro senza tempo con Dio” (p. 76).
Altri, come Harold Dodd, hanno sostenuto una realized eschatology in cui ciò che è definitivo si è già compiuto con la comparsa di Gesù (p. 79). Altri ancora, come Rudolf Bultmann, hanno letto le affermazioni di fede, rivolte al futuro, come se riguardassero una dimensione etico-esistenziale presente e interpretando le attese apocalittiche quali tesi di ordine mitologico. Questi tipi di esegesi avrebbero comportato una perdita del carattere cosmico-universale dell’evangelo, dando spazio a derive intellettuali-spirituali, individualistiche e astoriche, mentre una Chiesa, che speri nell’avvento di Cristo, dovrebbe aspirare al rimedio delle miserie umane e non-umane, inviando uno “stimolo critico e di speranza alla società” (p. 123).
L’autore sviluppa in modo articolato l’indagine sulla teologia della croce (pp. 163-192) e conclude prendendo le distanze sia da un’escatologia meramente “futura” (che non spiega la novità della vita pubblica del Nazareno) sia dalla soluzione storico-salvifica che divarica “già” e “non ancora”, introducendo un confuso paradosso (p. 194). Secondo Böttigheimer, è per iniziativa divina unilaterale che “il regno di Dio si è fatto vicino e fa sentire i suoi effetti sul presente, anche se ancora manca come nuova creazione” (p. 194). Viene infine scartata l’ipotesi che “la morte di Gesù sulla croce aggiungerebbe qualcosa di nuovo al contenuto del suo messaggio di salvezza. Se in Gesù l’invito a entrare nel regno di Dio avviene senza porre condizioni, la sua morte violenta non può essere interpretata a posteriori come se fosse una condizione” (p. 195).
Il testo, prevediamo, accenderà un dibattito significativo in ordine al nucleo della fede cristiana (Mitte Glaubens, nel sottotitolo originale). Al di là di alcune riserve, noi ne condividiamo la passione per le trasformazioni storiche, per l’assunzione della causa delle vittime innocenti, per la difesa dell’equilibrio ecologico. Nessuna cristologia espiatoria e nessuna apologia religiosa della morte possono testimoniare la misericordia di Dio e il dono di sé che Gesù fa ai suoi discepoli e a tutti gli uomini segnati dal peccato.
Questo dono non risponde a logiche di riparazione, compensazione o smacchiamento. La Chiesa ha da mantenere uno sguardo coraggioso verso potenzialità inedite: Cristo verrà di nuovo “per giudicare i vivi e i morti” e noi crediamo nella “risurrezione della carne”. All’evangelo del ritorno promesso rispondiamo con la preghiera dell’Apocalisse: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).
P. Cattorini, in
SettimanaNews.it 5 luglio 2024