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Meditazione sulle realtà ultime
Rosino Gibellini

Meditazione sulle realtà ultime

Prezzo di copertina: Euro 6,00 Prezzo scontato: Euro 5,70
Collana: Meditazioni 240
ISBN: 978-88-399-2840-5
Formato: 11 x 20 cm
Pagine: 72
© 2018

In breve

Uno dei maggiori esperti internazionali di letteratura teologica scrive sui temi della morte e della vita eterna.

Descrizione

Qual è il cammino percorso ultimamente dalla dottrina cristiana sulle realtà ultime? Come parla a noi contemporanei? In che termini può gettare luce sulla nostra speranza per il domani ultraterreno?
In sette agili capitoletti viene qui raccontata l’evoluzione decisiva di sensibilità, di linguaggio, di consapevolezza, di tematiche che l’escatologia ha conosciuto dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri.
Frequentando da par suo la bibliografia più qualificata, Gibellini affronta il discorso della morte e dell’aldilà (del giudizio di Dio, del cielo e dell’inferno) in prospettiva di fede. Dominando la materia con maestria, introduce il lettore a quei piccoli dettagli in cui si celano gli snodi cruciali del pensiero, in cui si intravvedono i germi della svolta, in cui trova nuova intelligenza il mistero. Riportando con ampiezza le voci degli autori più rappresentativi, accompagna la meditazione all’approdo teologico più persuasivo.
La dottrina dei novissimi splende così, in queste pagine, come «arte di vivere per Dio e con Dio» (J. Moltmann), all’insegna della speranza, dell’amore, della misericordia.

Recensioni

Morte, giudizio finale, inferno, paradiso: parole che, a parte la prima che designa l'inaggirabile, sono non solo rimosse dalla riflessione pubblica, ma anche, in particolare le ultime tre, letteralmente scomparse dal vocabolario quotidiano. Segno della profondità della secolarizzazione? Eppure, queste quattro parole, chiamate nella tradizione cristiana i Novissimi o le Realtà ultime, sono state al centro nell'ultimo secolo di una profonda discussione da parte della teologia protestante e cattolica. Una storia di questo dibattito è ora offerta da Rosino Gibellini in un libro breve, perspicuo e intenso, pubblicato dalla Queriniana, Meditazione sulle realtà ultime.

Grazie alla sua competenza e curiosità intellettuale, Gibellini, da oltre mezzo secolo direttore della stessa casa editrice, ne ha letteralmente modellato il catalogo: basti ricordare le collane "Giornale di teologia" e "Biblioteca di teologia", punti di riferimento per gli studiosi a livello internazionale. Una competenza che l'ha portato a scrivere una storia della teologia del Novecento, tradotta in più lingue, diventata canonica.

L'ultimo libro si apre con due affermazioni tra loro opposte: da un lato, le parole di Teresa di Lisieux che, nel 1897, al termine della giovane vita scriveva: «lo non muoio, entro nella vita»; dall'altro, le parole del teologo liberale protestante Ernst Troeltsch, che nel 1901 affermava: «L'ufficio escatologico è quasi sempre chiuso».

Le pagine seguenti sono la ricostruzione della riapertura della questione escatologica, al fine di interpretare il senso delle parole di Teresa di Lisieux, che riecheggeranno anche negli ultimi istanti di Dietrich Bonhoeffer, prima di essere impiccato dai nazisti. Una ripresa dello sguardo sul senso ultimo della vita che inizia nella teologia protestante con Karl Barth, cui faranno seguito le riflessioni di Rudolf Bultmann e Oscar Cullmann: nella questione escatologica in gioco sono l'incarnazione storica di Gesù e la promessa biblica della risurrezione dei morti.

Una dottrina contrapposta a quella tradizionale, di origine platonica, dell'immortalità dell'anima. Una riapertura dell'ufficio escatologico che nel mondo cattolico è fatta da Karl Rahner, Jean Danielou e Hans Urs von Balthasar, per arrivare alla contrapposizione tra Gisbert Greshake, per il quale si deve parlare di risurrezione nella morte, e Joseph Ratzinger, secondo il quale è necessario restare fedeli alla dottrina dell'immortalità dell'anima, intesa come immortalità del dialogo con Dio.

Gibellini mostra come la riflessione sui Novissimi, in particolar modo con von Balthasar, sia nel Novecento un superamento del problema dell'inferno, a favore di una considerazione del Dio misericordioso che salva tutti. L'apocalisse, il giudizio finale, sarà un nuovo inizio: «Dio, e non il male, ha l'ultima parola». Una prospettiva dove, al di là delle differenze confessionali, la teologia concorda, al punto che il teologo protestante Jürgen Moltmann può dire: nella morte «noi siamo attesi da Dio». Come se, con il Novecento, la tensione tra il Dio misericordioso e il Dio terribile del giudizio finale si fosse stemperata a favore della prima immagine. In tal senso, i Novissimi sono ritornati d'attualità ma riformati: da quattro sono diventati due, il giudizio finale e l'inferno sono scomparsi dall'orizzonte. Forse perché la storia stessa s'è mostrata un inferno e Dio si salva solo se la promessa di riscatto è per tutti, al di là delle colpe dei singoli?

Ma che ne è della responsabilità individuale, se siamo da sempre salvati? Come ogni libro profondo, il libro di Gibellini apre interrogativi, tra i quali: possiamo fare a meno del Dies irae, di fronte allo scandalo del male che si perpetua? Nondimeno, come ricorda Gibellini, il Dio biblico è il «Dio che sarà tutto in tutti». Una antinomia inaggirabile.


I. Bertoletti, in Humanitas 6/2019, 1159-1160

Il teologo e filosofo Rosino Gibellini, già direttore letterario dell’editrice Queriniana e fondatore delle collane «Giornale di teologia» (1966) e «Biblioteca di teologia contemporanea» (1969), in questo libriccino di appena 70 pagine offre una guida al percorso teologico della dottrina sulle realtà ultime del XX secolo. Pubblicato nella collana «Meditazioni», è una riflessione-meditazione che trae spunto da due testimonianze esemplari sul modo di approcciarsi al momento ultimo della vita: la prima, di Teresa di Lisieux che in una lettera del 9 giugno 1897 dall’infermeria scrive: «Io non muoio: entro nella vita»; la seconda, di Dietrich Bonhoeffer che, prelevato la domenica in albis del 1945 per essere condotto nel campo di concentramento di Flossenbürg, disse a un suo compagno di prigionia: «È la fine; per me è l’inizio della vita». Le due espressioni sono un discorso breve sulle realtà ultime, che la teologia chiama Escatologia (vedi pp. 5-9). Un “enorme delta”, secondo l’espressione di von Balthasar, che Gibellini si propone di perlustrare partendo da un breve excursus storico sulla svolta escatologica del XX secolo, che segna il passaggio «da un discorso sulle realtà ultime condotto con tonalità angosciante e svolto sulla linea di una “pastorale della paura” (Delumeau), a un discorso escatologico nell’orizzonte della speranza» (p. 23).

L’A. richiama poi in modo sintetico alcune piste di riflessione teologica che presentano una comprensione cristiana del morire e della morte. Anzitutto quella che porta a immaginare la vita, anche quella rigenerata nella speranza, come «un frammento della bellezza futura del Regno di Dio», che si traduce esistenzialmente in “arte di vivere per Dio e con Dio” (ars Deo vivendi: J. Moltmann) e che introduce alla pratica di un’altra arte, quella del morire (ars moriendi) ossia del vivere l’esperienza umana del tramonto nel segno del superamento, del richiamo a ciò che è estraneo al mondo della quotidianità e dell’uscita dal mondo visibile. Verso questo termine, anche i “compiuti” cioè i risorti nella morte, rimangono ancora in attesa, poiché la storia raggiunge il suo fine nel momento in cui la risurrezione sarà compiuta in tutta la sua ampiezza, cioè in tutte le relazioni essenziali dell’uomo. Il compimento sarà pieno quando tutto ciò che è nascosto in Dio sarà pienamente manifestato in Lui, quando l’essere umano entrerà nell’immortalità che è essenzialmente relazionalità donata da Dio (p. 42).

Contemplando questa speranza, ci si pone la domanda se si possa (e si debba) sperare per tutti. Intorno a questa domanda si sono divisi coloro che si rifanno alla dottrina della giustizia divina da coloro che invece fanno appello alla misericordia divina. La via di uscita sta nel ritenere che non c’è alcun éschaton negativo, avendo Dio l’ultima parola e non il male (p. 53).

E in questo quadro trova senso e spazio la preghiera come forma di solidarietà dei credenti con i moribondi e i defunti. In tal senso si può dire che pregare è segno di responsabilità e gesto di amore verso gli altri oltre che linguaggio universale, dato che si può pregare anche senza fede. Ripercorrendo questi sentieri l’A. fa sentire la voce dei più rappresentativi teologi del XX secolo che hanno offerto germi nuovi di riflessione sulle realtà ultime, per giungere a formulare il principio dell’escatologia cristiana: «Alla fine, un nuovo inizio» (p. 66). Egli giustamente annota che mentre l’apocalittica preserva da un ottimismo superficiale, l’escatologia dice invece il riferimento a una speranza secondo la quale nella fine si ha una nuova creazione.

Tra i molti pregi del libro, notevole è quello di aver offerto una bussola per una rilettura delle realtà ultime in chiave di speranza creativa, che sa vedere nella fine quel nuovo inizio in cui tutto viene riportato a nuova vita.


G. Zambon, in Studia Patavina 2/2019, 378-379

Che cos’è l’escatologia? Quale è il suo principio ispiratore? La dottrina sulle cose ultime (morte, giudizio, inferno, paradiso) concludeva di solito i trattati teorici tradizionali senza porre o ricevere provocazioni decisive rispetto alla parte fondativa dell’insegnamento liberale consolidato. Tra il nucleo etico del messaggio cristiano e la speranza appassionata di un’imminente «nuova venuta» non sembravano realizzarsi intersezioni significative.

Fu un articolo scritto nel 1957 da Hans Urs von Balthasar a cogliere la svolta: l’escatologia divenne nel XX secolo il «nodo tempestoso», perturbante e assieme liberatorio, che smuoveva l’intero apparato della teologia e imponeva un ripensamento dell’impianto concettuale complessivo a partire dalla figura di Cristo. Se Dio è infatti il fine ultimo delle creature, «Egli è il cielo per chi lo guadagna, l’inferno per chi lo perde, il giudizio per chi è esaminato da lui, il purgatorio per chi è purificato da lui. Egli è colui per il quale muore tutto ciò che muore e che risuscita per lui e in lui» (p. 61).

I «novissimi» non sono dunque corollari accidentali o superflui, ma rappresentano il compimento dell’esperienza redentiva – che ci riguarda intimamente –, nella quale Dio ci salva tramite Gesù Cristo, mantenendo in tensione la dimensione apocalittica (lo sprofondare delle cose, la fine del mondo storico) e la speranza in una nuova creazione, che non abbandona niente e nessuno al nulla, perché Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28) allorché anche l’ultimo nemico, la morte, sarà annientato.

In questo libro, volutamente sintetico, Rosino Gibellini raccoglie le cifre essenziali della riflessione teologica sulle realtà ultime, legandole agli autori che vi hanno offerto contributi decisivi (fra essi, Barth, Rahner, Balthasar, Teilhard de Chardin, Jüngel, Moltmann, Metz) e distinguendole in capitoli corrispondenti ai temi centrali: l’ars moriendi, l’immortalità dell’anima e la risurrezione dei morti, la speranza per tutti e per l’intero cosmo, la preghiera per i defunti.

In merito allo scacco della morte, l’A. riporta alcune testimonianze di uomini e donne segnati da un’alta spiritualità religiosa. Sono espressioni tanto commoventi quanto rivelatrici: «Io non muoio, entro nella vita»; «È la fine, per me l’inizio»; «Noi siamo attesi»; «Il vuoto della morte [è] come inizio di ciò che viene […] nella luce». Gibellini commenta queste frasi nel loro contesto e ne fa documento di intuizioni filosofiche che hanno esplicitato la verità escatologica della vita credente: che cioè l’eternità è il significato trascendentale di ogni attimo, è l’anticipo dell’adempimento salvifico; e che, d’altra parte, l’azione sacramentale della Chiesa rimanda a una speranza non ancora compiuta, a un «futuro di Dio».


P. Cattorini, in La Civiltà Cattolica 4057

Testo bellissimo, che dimostra una rara capacità di sintesi insieme a una lucidità estrema. La questione della vita dopo la morte è affrontata in modo impeccabile e rasserenante, accettando il mistero con il sostegno della fede.
Un libro di teologia breve ed essenziale, dal rigore esemplare. In riferimento a una celebre frase pronunciata in punto di morte da Santa Teresa di Lisieux leggiamo che “L’espressione ‘Entro nella vita’ è un discorso cristiano breve sulle realtà ultime”. Altrettanto densa è la chiusa del volume, con la citazione della risposta data da Moltmann a Bloch, che gli chiedeva con insistenza cosa ci attende dopo la morte. All’amico, che “voleva una risposta non evasiva” Moltmann dice: “Noi siamo attesi”.

Nelle pagine centrali il testo affronta in particolare i due argomenti più controversi riferiti alle realtà ultime. Il primo concerne la conciliazione della fede nella immortalità dell’anima con quella nella morte e risurrezione, di Cristo e di tutti noi. Se non c’è vera e totale morte non c’è risurrezione, ma cambio d’abito. Il secondo concerne l’esistenza dell’inferno, della punizione eterna. La contrapposizione tra infernalisti e sostenitori dell’apocastasi, la salvezza generale, è antica. Se sant’Agostino è tra i primi, i secondi annoverano Origene tra gli antichi e von Balthasar tra i moderni.


S. Valzania, in Cronacheletterarie 4 luglio 2019

Finché era in vita, il teologo Sergio Quinzio era solito sferzare il cattolicesimo a suo dire troppo proiettato sul sociale e incapace di porre le domande ultime all’uomo di oggi, quelle antiche basilari verità che hanno costituito per secoli l’essenza del suo messaggio, una specie di nocciolo duro: i cosiddetti Novissimi. Ma la Chiesa si e davvero ridotta a ente morale e non parla più di Dio e del male, dell’inferno e del paradiso? Si tratta di una lettura davvero sbrigativa e semplicistica. Papa Francesco continuamente richiama l’attenzione sull’aldilà (si vedano le prediche quotidiane di Santa Marta), ma anche i suoi predecessori, da Benedetto XVI a Giovanni Paolo II e Paolo VI, l’hanno fatto incessantemente. Dal famoso discorso di Montini su Satana «essere perverso e pervertitore» alla catechesi su inferno, purgatorio e paradiso di Wojtyła sino alle parole di Ratzinger sulla questione, scritte e pronunciate sia quando era teologo sia da Pontefice.

Per la verità, molti teologi nel ‘900 hanno cercato di insistere su questi temi, come emerge dal volumetto Meditazione sulle realtà ultime di Rosino Gibellini, teologo e filosofo e per decenni direttore letterario dell’editrice Queriniana, presso la quale il libro e stato pubblicato. Come ricostruisce Gibellini, la vera svolta è avvenuta in un articolo di von Balthasar del 1957 (inserito nel libro Fragen der Theologie Heute), il quale volle ribaltare il famoso giudizio di Troeltsch del 1901: «L’ufficio escatologico è quasi sempre chiuso». Riconoscendo che «l’escatologia è il nodo tempestoso nella teologia del nostro tempo», il teologo svizzero auspicava «tempeste in grado di fare grandinate e rinfrescare» il mondo dei teologi e poteva rilevare come, a metà del secolo scorso, quel famoso «ufficio escatologico» facesse gli straordinari.

Il riferimento era rivolto agli sviluppi della teologia evangelica che si poneva in contrasto con la teologia liberale che aveva voluto privare il messaggio di Gesù dalla “scorza” dell’attesa, ma al contempo von Balthasar rilevava come anche in ambito cattolico fosse «in svolgimento un’attività intensa, spesso dietro le persiane tranquillamente abbassate». Il primo a compiere un passo significativo in questa direzione, in contrasto con Troeltsch e Harnack, era stato il suo amico protestante Karl Barth, che nel 1922 in L’Epistola ai Romani aveva enunciato che «un cristianesimo che non è in tutto e per tutto e senza residui escatologia, non ha niente a che fare con Cristo». Qualche decennio dopo, era scoppiata una discussione fra Oscar Cullmann e Rudolf Bultmann: il primo nel suo saggio Cristo e il tempo del 1946 aveva sottolineato la dimensione del “già e non ancora” del cristianesimo, mentre il secondo tendeva a “presentificare” la dimensione escatologica. Sulle posizioni di Cullmann si era espresso Jean Danielou con le sue riflessioni sul mistero della storia, finché negli anni il rinnovamento si impose grazie al progetto di Mysterium salutis, un’opera collettiva cui contribuirono i principali rappresentanti della teologia cattolica di lingua tedesca, che fu concepita tra il 1958 e il 1959 e fu realizzata in un decennio, dal 1965 al 1976, in cinque tomi. Una svolta ulteriore si ebbe poi con La teologia della speranza di Jürgen Moltmann, in cui il teologo riformato ripresentava il cristianesimo come escatologia.

La rassegna di Gibellini non può non citare le opere di Rahner e Ratzinger, con ampi riferimenti all’influsso di Teilhard de Chardin e al dibattito suscitato ancora da von Balthasar con il suo Sperare per tutti (1985), che esprimeva il tentativo di trovare una via d’uscita tra le tesi degli infernalisti e quelle dell’apocatastasi. Posizione che privilegia l’aspetto della misericordia rispetto a quello della giustizia divina: l’auspicio del Maranatha (Signore, vieni!) torna a prevalere sul Dies irae.


R. Righetto, in L’Osservatore Romano. Settimanale 15/2019, 7

«Io non muoio: entro nella vita». Questo è stato il motivo che ha attraversato l’ultimo periodo della vita di Teresa di Lisieux. In un contesto diverso, sentiamo il teologo Dietrich Bonhoeffer che dice al capitano britannico Payne Best, suo compagni di prigionia: «È la fine; per me è l’inizio della vita». Bonhoeffer dirà queste parole come un ad-Dio, accogliendo l’ultima chiamata – che interrompe un servizio liturgico che stava tenendo ai co-prigionieri – e che lo porterà al processo nel campo di concentramento di Flossenbürg e che culminerà nell’impiccagione a soli 39 anni.

Queste due testimonianze, sono l’incipit e il respiro che accompagna il libretto Meditazione sulle realtà ultime del teologo Rosino Gibellini, già consulente letterario di Queriniana Editrice e fondatore delle due prestigiose collane Biblioteca di Teologia Contemporanea e Giornale di Teologia. La parola “meditazione” non deve ingannare il lettore. Non si tratta di una meditazione di pietà, ma pur sempre di una meditazione teologica. L’a. attraversa i contributi di alcuni dei più salienti nomi della riflessione teologica ed escatologica del XX secolo, aiutando il lettore a mettersi dinanzi ad alcuni nodi della questione escatologica.

Hans Urs von Balthasar considerava l’escatologia come il «nodo tempestoso» nella teologia contemporanea in quanto «sorgono da essa quelle tempeste che minacciano fecondamente tutto il terreno della teologia: vi fanno grandinate o la rinfrescano. Se per il liberalismo del XIX secolo poteva valere la parola di Troeltsch [1901]: “L’ufficio escatologico è quasi sempre chiuso”, questo, dalla svolta del secolo in poi, al contrario fa ore straordinarie».

I teologi del XX secolo hanno mostrato quanto il cristianesimo sia escatologico non solo in appendice, ma dall’inizio alla fine. «La pro-missio del Regno – puntualizza Jürgen Moltmann – è il fondamento della missio dell’amore per il mondo». Essi hanno anche superato la concezione dei novissimi come «fisica delle cose ultime», per usare una felice espressione di Yves M. Congar, e ricollocato nel Signore stesso, nel Cristo che viene, il cuore dell’escatologia. Egli è l’Eschatos, il fine personale e personalizzante. Balthasar aveva già sottolineato come in passato «il posto del Maràna tha era stato preso dal Dies irae». La svolta escatologica ha restituito alla riflessione il Volto.

Un altro contributo dei teologi del XX secolo è quella della restituzione dell’escatologia alla Bibbia, mentre in passato – come osserva Oscar Cullmann – si era sacrificato al Fedone il capitolo 15 della Prima lettera ai Corinzi. L’osservazione di Cullmann denuncia la riduzione della speranza cristiana a una specie di vaga speranza nell’immortalità dell’anima.

Quanto alla risurrezione dei corpi, Gisbert Greshake spiega che tale immagine «vuole esprimere che l’uomo non trova compimento solo come io spirituale fuori della storia, ma che anzi ritorna a Dio con il suo mondo e con la sua storia, con l’intera sua vita». In altre parole, la risurrezione della carne non è questione di atomi, molecole cellule e “ri-composizione”, ma di storicità, di relazionalità e di grazia. Gibellini soggiunge che «la risurrezione del corpo non è risurrezione del corpo fisico nella sua fisicità, nella sua materialità, nella sua corporalità, ma dell’essere nella sua totalità, e cioè nella sua relazionalità con il mondo e con la storia, nella sua corporeità, che non è fisicità e materialità, ma relazionalità e storicità».

Nel 2003, Moltmann, che ha dato un grande contributo alla riflessione escatologica, scisse il breve saggio: Nella fine – l’inizio. Il titolo di quest’opera riporta l’atmosfera che abbiamo evocato all’inizio con Teresina e Bonhoeffer. Il saggio, poi, elabora sinteticamente una escatologia integrale che integra appunto l’escatologia personale, l’escatologia storica e l’escatologia cosmica. Nel Credo diciamo: «Attendo la risurrezione della carne». È bene comprendere e completare questa attesa con le parole con cui Moltmann risponde all’amico e filosofo marxista Ernst Bloch che non voleva una risposta evasiva alla domanda: cosa dobbiamo aspettarci dopo la morte? La risposta del teologo è illuminata e illuminante: «Noi siamo attesi».


R. Cheaib, in Theologia.com marzo 2019

Da tempo l'escatologia non gode più di un grande interesse da parte dei teologi, tanto meno da parte dei fedeli: ognuno ne può trovare esempi nelle omelie che vengono tenute durante i funerali. L'annuncio di ciò che il Cristianesimo crede riguardo alla morte e a ciò che attende l'essere umano dopo di essa non sembra avere spazio nella vita delle comunità cristiane, benché la drammaticità dell'esistenza continui a porre i suoi interrogativi lancinanti.

Rosino Gibellini è uomo di profonda cultura teologica (a lui si deve l'insostituibile opera di direzione editoriale della Queriniana, che trova nella collana "Biblioteca di teologia contemporanea" il fiore all'occhiello, soprattutto per avere reso disponibili in pregevoli traduzioni italiane le opere dei più importanti teologi cattolici e non del Novecento) e con questo libretto ci propone una breve ma precisa puntualizzazione sulle "realtà ultime", i temi centrali dell'escatologia.

Delle diverse posizioni assunte dai teologi contemporanei in merito a questi temi, egli prende in considerazione principalmente quelle di Greshake e di Ratzinger e, misurandosi con queste, propone delle brevi sintesi, segnalando anche alcuni fraintendimenti della dottrina cristiana comunemente diffusi.

Le dimensioni del libro non permettono certo di sviluppare con ampiezza le analisi, ma sono sufficienti per una riflessione profonda e mai banale. Queste pagine possono rappresentare quindi un punto di partenza per chi volesse ampliare le proprie letture al riguardo: le opere indicate nelle citazioni possono fornire materiale per una ricerca più esigente.

Il termine "meditazioni" presente nel titolo non tragga in inganno: non si tratta di un libro di "spiritualità", ma di teologia; il codice linguistico, quindi, è specifico. Ma anche dalla teologia, quando è autentica, possono (e dovrebbero...) scaturire suggestioni per arricchire la propria vita spirituale.


M. Da Ponte, in Appunti di Teologia 1/2019, 14-15

Un libriccino capace di illuminare, con grande perizia storico-teologica, l’«enorme delta» (von Balthasar) delle «realtà ultime» (morte, giudizio e vita eterna) della fede cristiana, nei cui confronti Gibellini sottolinea l’urgenza di una rinnovata meditazione, forte di una sensibilità e di un linguaggio udibile per l’uomo di oggi. Il lettore viene condotto nelle riflessioni che grandi mistici cristiani, teologi e filosofi hanno compiuto su tale ambito, ricavandone la convinzione che la dottrina dei novissimi si esprime come «arte di vivere per Dio e con Dio» (J. Moltmann), all’insegna della convinzione che «noi siamo attesi».


G. Coccolini, in Il Regno Attualità 6/2019, 159

In una società così secolarizzata la Quaresima è una parola ignorata e forse ignota, se non nello stereotipo «faccia da quaresima». Nella storia della cultura occidentale è stato, però, un tempo ricco di simbolismi e di pratiche spirituali: si pensi solo al digiuno, un segno carico di significati anche caritativi, tipico pure di altre fedi (ad esempio, il Kippur ebraico e il Ramadan musulmano), da non equivocare con la dieta che ne è solo una scimmiottatura "laica".

Ma il cuore di questo arco temporale di quaranta giorni che è iniziato mercoledì scorso col rito delle Ceneri - vero e proprio schiaffo alla superficialità vana e vacua contemporanea - è la tensione verso la Pasqua. Abbiamo, così, voluto infilare una collana di testi - tra i tanti apparsi in questo periodo - che si proiettano idealmente verso una meta "pasquale". È la meta suprema della storia, configurata nella risurrezione di Cristo, che è l'irruzione dell'eterno nel tempo, del divino nel creaturale, dell'infinito nel relativo. […]

Lo sguardo su quell'''oltre'' può essere ben più acuto e capace di perforare la trama globale della storia alla ricerca di un filo dinamico segreto in tensione verso un Oltre trascendente. È ciò che ha fatto una teologa tedesca dell'Eberhard-Karls-Universität di Tubinga, Johanna Rahner, classe 1962, che porta il cognome di uno dei maggiori teologi del secolo scorso, Karl Rahner. La sua opera s'intitola esplicitamente Introduzione all'escatologia cristiana: eppure non esita a varcare le frontiere minate dei territori misteriosi fatti balenare da questa disciplina teologica.

Intendiamo alludere a quelle domande che spesso si archiviano perché generano vertigini o rigetti: che cos'è la risurrezione del corpo e dell'anima? Che valore ha la scenografia del giudizio finale? Che senso ha per l'uomo contemporaneo smaliziato far balenare immagini paradisiache o infernali? L'idea di una stasi purgatoriale oltre la morte è una mitologia arcaica o può essere ricondotta a una prospettiva concettuale coerente? La reincarnazione è compatibile con un'escatologia cristiana? E più brutalmente: esiste una legittima ermeneutica dell'immaginario cristiano sull'oltrevita così da riconoscerne o negarne l'esistenza? Queste e tante altre questioni affiorano in pagine terse e vivaci che non esitano a citare, accanto ai teologi e filosofi paludati, anche la Arendt e Benjamin, Brecht e Camus, Darwin e Foucault, Klee e Keplero-Copernico-Newton-Galilei e così via. Rimane, comunque, una certezza: quegli orizzonti estremi, sempre rimossi, ritornano a galla e ci assillano, credenti e no, perché «dove si perde la capacità di sperare nel futuro, anche quello oltre la morte, alla fine si perde ciò che è propriamente umano».

Anche in questo caso, a lato dell'architettura ideale sontuosa della Rahner, poniamo un mini-testo, scritto da un teologo raffinato come Rosino Gibellini che in poche pagine riesce a raccogliere il succo di un'insonne ricerca di molti, rubricandolo sotto il titolo modesto ma accattivante di Meditazione sulle realtà ultime. In realtà si tratta di una sintesi della ricerca sul tema dell'escatologia nella riflessione teologica del secolo scorso, che è simile a un delta molto ramificato di questioni e che ha coinvolto i maggiori pensatori. Essi si sono confrontati sulla dialettica tra morte e vita in Dio, sull'immortalità dell'anima e la risurrezione dei morti (categorie apparentemente alternative), sulla preghiera per i defunti, una prassi tradizionale nella cristianità e così via. Certo è che affacciarsi sull'eterno e sull'infinito con la nostra attrezzatura gnoseologica ancorata a linguaggi e strutture spazio-temporali è un'impresa ardua. […]

Concludiamo questa nostra carrellata libraria stando sulla porta della Quaresima, tempo "pasquale" germinale, con una testimonianza del fisico Giuliano Toraldo di Francia rilasciata anni fa durante un congresso su Teilhard de Chardin: «Sono un agnostico, ma leggendo le opere di questo gesuita scienziato capisco il suo tentativo di trovare un senso all'avventura del mondo e alla nostra vita. Se Dio è il nome di questo senso, anch'io posso pregare: In te, Domine, speravi».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 10 marzo 2019, 28

Un libro di teologia breve ed essenziale, dal rigore esemplare fin dalla posizione del tema. In riferimento a una celebre frase pronunciata in punto di morte da Santa Teresa di Lisieux leggiamo che «L’espressione “Entro nella vita” è un discorso cristiano breve sulle realtà ultime». Altrettanto densa è la chiusa del volume, con la citazione della risposta data da Moltmann a Bloch, che gli chiedeva con insistenza cosa ci attende dopo la morte. All’amico, che «voleva una risposta non evasiva» Moltmann dice «Noi siamo attesi».

Nelle pagine centrali il testo affronta in particolare i due maggiori argomenti controversi riferiti alle realtà ultime. Il primo concerne la conciliazione della fede nella immortalità dell’anima con quella nella morte e risurrezione, di Cristo e di tutti noi. Se non c’è vera e totale morte non c’è risurrezione, ma cambio d’abito. Il secondo concerne l’esistenza dell’inferno, della punizione eterna. La contrapposizione tra infernalisti e sostenitori dell’apocastasi, la salvezza generale, è antica. Se sant’Agostino è tra i primi, i secondi annoverano Origene tra gli antichi e von Balthasar tra i moderni. [Ascolta qui l’audio della recensione]


S. Valzania, in Radio InBlu – La Biblioteca di Gerusalemme 2 marzo 2019

Un viaggio all'osso dell'escatologia cristiana avendo come riferimenti categorie chiave per il cristiano del Novecento non ancora secolarizzato come morte, giudizio finale, inferno, purgatorio e paradiso. È l'indagine che affronta in un sapido e breve saggio Meditazione sulle realtà ultime il teologo piamartino, classe 1926, Rosino Gibellini. Un libro che permette a questo illustre studioso - che fu per mezzo secolo direttore editoriale della Queriniana e padre nobile della edizione italiana della rivista «Concilium» - di scandagliare il senso delle realtà ultime alla luce del pensiero dei grandi teologi, da von Balthasar a Moltmann, da Ratzinger al domenicano olandese Schillebeeckx.

Non è un caso che proprio Gibellini di fronte al diminuito senso della dimensione del peccato e della trascendenza nello stile di vita dei cristiani di oggi ci interroghi attraverso queste dense pagine su quanto ancora la tradizione cristiana dei “Novissimi” (morte, giudizio, inferno e paradiso) siano ancora al centro di una profonda discussione da parte della teologia contemporanea (sia protestante sia cattolica).

Il volume scruta soprattutto le articolate risposte date dai grandi teologi del Novecento cattolico e non solo attorno a questo scottante tema: tanti sono gli accenni al pensiero di Karl Rahner («il tramonto stesso della morte come l'inizio di ciò che viene»), Yves Marie Congar («fisica dell'aldilà») o ancora a quella idea di "dovere sperare per tutti" e quindi di non dannazione per tutti elaborata da von Balthasar e dalla mistica Adrienne von Speyr.

In questo breve testo c'è molto di più: si parla di risurrezione e di morte, immortalità dell'anima (tanti i riferimenti alla teologia di Oscar Cullmann) è presente il concetto di "Dies irae" ma anche quello più consolante del "Màrana tha" (Vieni Signore Gesù) o quella suggestiva «visione cristologica del ritorno di Cristo» tanto cara al teologo di Nimega Edward Schillebeeckx . «I Novissimi, dunque – sintetizza l'autore – alla fine di questo percorso» diventano non più una questione «angosciante» ma un «tema di speranza».

Un piccolo volume pensato quasi come una rilettura in chiave attuale, moderna e in un certo senso riformata dell'incidenza del concetto dei "Novissimi” nella mentalità attuale della nostra società post-cristiana. In queste pagine affiora soprattutto la tensione di Gibellini a far riscoprire al lettore categorie spesso svilite e percepite come superate, come vita eterna e aldilà (bellissima a questo proposito è la citazione presa da Teresina di Lisieux: «lo non muoio, entro nella vita»); o ancora viene sottolineato quel filo rosso di intercessione tra cielo e terra incarnato nella tradizione cattolica dalla comunione dei santi (bellissima la descrizione a questo proposito tratta dagli scritti di Joseph Ratzinger). Al centro di tutta la narrazione di questo saggio è sottesa questa domanda: come attende il teologo la morte?

Questa pubblicazione non delude nelle sue risposte, attinge anche alla letteratura (basti pensare a Péguy e a quel «Io spero in te, per me») ma non dimentica di rievocare quanto già nella recita dell'ufficio dei defunti si preghi per la salvezza di chi è ancora vivo. Nella morte, sembra suggerire l'autore citando Jürgen Moltmann, «noi siamo attesi da Dio».


F. Rizzi, in Avvenire 8 gennaio 2019

Forse non del tutto a torto, da varie parti si sostiene che negli ultimi tempi la predicazione cristiana ha perso di vista l’importanza delle grandi verità che riguardano quelli che con termine colto vengono chiamati i novissimi, ovvero morte, giudizio, inferno e paradiso. La questione meriterebbe approfondimenti che in questa sede non è possibile neppure accennare.

A ogni buon conto, accogliamo con favore due interessanti libri, editi recentemente dalla Queriniana, che trattano questi temi che occupano un posto centrale nella dottrina della Chiesa cattolica.

Il primo è opera della teologa tedesca Johanna Rahner e si intitola Introduzione all’escatologia cristiana (pp. 293, euro 35,00); in esso, l’autrice affronta, con un linguaggio accessibile, gli argomenti più rilevanti che riguardano il destino finale degli uomini: la salvezza, la dannazione, la resurrezione e la giustizia divina.

Il secondo volume è stato scritto dal noto studioso Rosino Gibellini ed è eloquentemente intitolato Meditazione sulle realtà ultime (pp. 69, euro 5,00). Si tratta di un agile volumetto suddiviso in sette brevi capitoli che fa luce su quanto, nell’ultimo secolo, i teologi hanno scritto in tema di escatologia e propone alcune indicazioni utili per cogliere e accogliere la verità cristiana sull’aldilà.


M. Schoepflin, in Toscana Oggi 16 dicembre 2018

Morte, giudizio finale, inferno, paradiso: parole che, a parte la prima che designa l’inaggirabile, sono non solo rimosse dalla riflessione pubblica, ma anche, in particolare le ultime tre, letteralmente scomparse dal vocabolario quotidiano. Segno della profondità della secolarizzazione? Eppure, queste quattro parole, chiamate nella tradizione cristiana i Novissimi o le Realtà ultime, sono state al centro nell’ultimo secolo di una profonda discussione da parte della teologia protestante e cattolica.

Una storia di questo dibattito è ora offerta da Rosino Gibellini in un libro breve, perspicuo e intenso pubblicato dalla Queriniana, Meditazione sulle realtà ultime (pp. 72, euro 5). Gibellini, per oltre mezzo secolo direttore editoriale della Queriniana, ha letteralmente modellato, grazie alla sua competenza e curiosità intellettuale, il catalogo della editrice: basti ricordare le collane «Giornale di teologia»e «Biblioteca di teologia contemporanea». Una competenza che l’ha portato a scrivere una storia della teologia del Novecento, tradotta in più lingue, diventata canonica.

L’ultimo libro si apre con due affermazioni tra loro opposte: da un lato le parole di Teresa di Lisieux che, nel 1897, al termine della giovane vita scriveva: «Io non muoio, entro nella vita», dall’altro le parole del teologo liberale protestante Ernst Troeltsch, il quale nel 1901 affermava: «L’ufficio escatologico è quasi sempre chiuso». Le pagine seguenti sono la ricostruzione della riapertura della questione escatologica, al fine di interpretare il senso delle parole di Teresa di Lisieux, che riecheggeranno anche negli ultimi istanti di Dietrich Bonhoeffer, prima di essere impiccato dai nazisti.

Una ripresa dello sguardo sul senso ultimo della vita che inizia nella teologia protestante con Karl Barth, cui faranno seguito le riflessioni di Rudolf Bultmann e Oscar Culmann: nella questione escatologica in gioco sono l’incarnazione storica di Gesù e la promessa biblica della risurrezione dei morti. Una dottrina contrapposta a quella tradizionale, di origine platonica, della immortalità dell’anima. Una riapertura dell’ufficio escatologico che nel mondo cattolico è fatta da Karl Rahner, Jean Danielou e Hans Urs von Balthasar, per arrivare alla contrapposizione tra Gisbert Greshake, per il quale si deve parlare di risurrezione nella morte, e Joseph Ratzinger, secondo il quale è necessario restare fedeli alla dottrina dell’immortalità dell’anima, intesa come immortalità del dialogo con Dio.

Gibellini mostra come la riflessione sui novissimi, in particolar modo con von Balthasar, sia nel Novecento un superamento del problema dell’inferno, a favore di una considerazione del Dio misericordioso che salva tutti. L’apocalisse, il giudizio finale, sarà un nuovo inizio: «Dio, e non il male, ha l’ultima parola». Una prospettiva dove, al di là delle differenze confessionali, la teologia concorda, al punto che il teologo protestante Jürgen Moltmann può dire: nella morte «noi siamo attesi da Dio». Come se, con il Novecento, la tensione tra il Dio misericordioso e il Dio terribile del giudizio finale si fosse stemperata a favore della prima immagine. In tal senso, i Novissimi sono ritornati d’attualità ma riformati: da quattro sono diventati due, il giudizio finale e l’inferno sono scomparsi dall’orizzonte. Forse perché la storia stessa s’è mostrata un inferno e Dio ci salva solo se la promessa di riscatto è per tutti, al di là delle colpe dei singoli? Ma che ne è della responsabilità individuale, se siamo da sempre salvati?

Come ogni libro profondo, il libro di Gibellini apre interrogativi, tra i quali: possiamo fare a meno del Dies irae, di fronte allo scandalo del male che si perpetua? Nondimeno, come ricorda Gibellini, il Dio biblico è il «Dio che sarà tutto in tutti». Una antinomia inaggirabile.


I. Bertoletti, in Corriere della Sera – Brescia 9 dicembre 2018, 11

I temi della morte e della vita eterna, con particolare riferimento allo sviluppo della riflessione teologica che la dottrina dei Novissimi ha conosciuto dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, sono affrontati da Rosino Gibellini nel piccolo libro Meditazione sulle realtà ultime (Queriniana, Brescia 2018). Pubblichiamo il capitolo conclusivo sul «principio escatologico».

«[…] L'escatologia ha sempre a che fare con la fine, ma essa non ha come tema la fine, bensì la ricreazione di tutte le cose. Il principio dell'escatologia cristiana è così formulato: "Alla fine, un nuovo inizio". L'escatologia ha una dimensione apocalittica, in quanto l'apocalittica mette a tema la fine del mondo. L'apocalittica preserva la dottrina cristiana della speranza da un ottimismo superficiale, ma l'escatologia dice riferimento a una speranza, secondo la quale "nella fine" si ha "un nuovo inizio", nel senso di nova creatio, e non di una immersione e di un perdersi nel ciclo della natura.

Un'apocalittica senza escatologia non rientra in una prospettiva biblica, ma sarebbe una teoria della catastrofe, mentre l'escatologia pur considerando la fine (è la dimensione apocalittica dell'escatologia) implica sempre la categoria del novum e alimenta una speranza "creativa".

In una intervista di qualche tempo fa Moltmann ricordava le sue discussioni con il filosofo ebreo Ernst Bloch, autore de Il principio speranza (1959), che prospettava L'Experimentum mundi nella sua processualità come un esperimento di speranza: Bloch domandava con insistenza all'amico teologo che cosa ci attende veramente dopo la morte. E su questo voleva una risposta non evasiva. La risposta de teologo è stata: "Noi siamo attesi"».


R. Gibellini, in L’Osservatore Romano 6 dicembre 2018