Di fronte a uno scenario di vasta e profonda trasformazione del tessuto culturale e religioso dell’Europa e di crisi del cristianesimo segnalata ancora nel 1943 da Henri Godin e Yvan Daniel con la pubblicazione di La France, pays de mission?, il teologo gesuita Ch. Theobald non ha dubbi nell’affermare che l’Europa è terra di missione. Con il suo libro La fede nell’attuale contesto europeo (2021), già editato in lingua tedesca nel 2018 per le edizioni Verlag Herder GmbH, egli intende proporre una riflessione a tutto campo sulla comprensione cristiana della fede e sulla sua potenzialità performativa dell’individuo e della collettività umana, allo scopo di mostrare che è possibile trasmettere speranza e fiducia nel mondo presente. Nel suo studio, egli raccoglie il frutto migliore della sua ricerca scientifica sul concilio Vaticano II, sulla riforma della chiesa, sulla teologia nella postmodernità, oggetto di riflessioni già sviluppate ed esposte per la prima volta nel giugno del 2015 a Regensburg, in qualità di professore invitato della Fondazione Joseph Ratzinger.
Il libro si compone di cinque capitoli e di una Conclusione nella quale gettando lo sguardo al di là dell’Europa egli ricorda che «la pastoralità del concilio Vaticano II ha fatto della contestualità della fede la legge di ogni evangelizzazione e ha radicalmente storicizzato la rivelazione data una volta per tutte» (p. 262). Per questo, l’asse portante attorno al quale ruota la sua riflessione è la fede nell’attuale contesto europeo per indicarne l’essenza ossia di che cosa tratta propriamente in un contesto di exculturazione, di diaspora, di perdita di credibilità del cristianesimo che ha prodotto «un deficit cronico di esperienza nell’annuncio della fede» (p. 21).
Il libro apre prendendo spunto dal discorso di papa Francesco al Parlamento europeo nel 2014. In quell’occasione, egli si rivolgeva con tono provocatorio a un’Europa ferita, stanca e pessimista, assediata dalle tante novità che giungono da altri continenti, chiedendo: «Dov’è il tuo vigore? Dov’è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov’è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov’è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?» (cit. p. 5). Le domande erano ovviamente rivolte ai cittadini europei ma nel contempo suonavano come una vera sfida lanciata alla chiesa e alla fede cristiana. A esse aveva già prestato attenzione papa Benedetto XVI (al quale Theobald dedica con gratitudine il libro) esaminando le molteplici fonti e radici culturali e religiose dell’identità europea. Ma il lavoro della memoria orientato all’identità non era stato sufficiente per superare la crisi di fiducia e di speranza. D’altra parte, anche le chiese europee facevano «molta fatica a uscire da una pastorale di semplice riproduzione e ad adottare una “prospettiva di fondazione”, cosí come si trova rappresentata durante il Concilio nel decreto Ad gentes e, in seguito, nelle esortazioni apostoliche Evangelii nuntiandi (1975) e Evangelii gaudium (2013)» (p. 95). Nonostante ciò, Theobald si dice convinto che il cristianesimo può tornare a essere generativo di fiducia e di speranza. Nel Vangelo di Dio si nasconde una vitalità insospettata.
La strada da percorrere è quella dell’“ascoltare e trovare/riconoscere” (vedere) la fede là dove non ce l’aspettiamo; forse non coincide con i nostri modi canonici di esprimerla. Per questo occorre riconoscere che non appartiene piú alla routine quotidiana e che essa vive piuttosto di interruzioni e di momenti di crisi. Può nascere infatti in chiunque a seguito di situazioni di apertura e di scoperta (disclosure situations), a seguito di «“istanti” o di “frammenti di tempo” piú o meno brevi, che fanno apparire la vita, come attraverso una finestra, nella sua coerenza indisponibile» (p. 65). Si pensi, ad esempio, alla morte e alla vita, i due confini estremi di ogni esistenza umana. Lí, infatti, possono aprirsi improvvisamente degli squarci sulla unicità della vita e sulla necessità di fare una scelta fondamentale. Solo attraversandoli si capisce che la fede non può essere impiantata dall’esterno e che non può venire trasmessa per mandato. Essa è infatti un avvenimento a cui si accede in modo misterioso e complesso. La sua struttura è decisamente relazionale (vedi il racconto della donna emorroissa: Mc 5,21-43); richiede ospitalità dell’altro, senso di apertura, molto “tatto” e “finezza” in modo da «discernere nell’altro in quanto altro la fede elementare nella vita, già presente, sapendo al tempo stesso che solo lo Spirito di Dio può condurre questa o quella persona “gratuitamente” e “senza condizione” alla fede cristiana» (p. 95).
Theobald parla di “ospitalità” e di “santità”. Ambedue sono congruenti con il principio fondamentale del generare la fede a condizione che si mantenga il loro legame: “santa ospitalità”. In particolare, l’ospitalità è la caratteristica specifica della fede cristiana. Indica l’accesso all’intimità di Dio cioè quel processo di incontro e di relazione che conduce al di là di se stessi, che consente di superare le tensioni tra singolarità e rispetto dell’altro, tra individuo e collettività, tra locale e universale. Anzi, l’ospitalità rende fruttuose tali tensioni. Si può parlare anche di una “ospitalità riuscita”: è quella del Nazareno, il Messia-Gesú, crocifisso-risorto, “Figlio unigenito” (Gv 1,18) del Padre. Si presuppone che in Lui l’ospitalità sia stata “comunicata” e “ricevuta” (Lc 10,21-22), “senza misura” (Gv 3,34ss).
Inoltre, nell’evento di Cristo si avverte una concreta trasposizione antropologica. L’ospitalità si traduce in spirito di filiazione, di rinuncia a sé e di conversione. Diventa anche criterio etico-teologale (lo “stile” di Gesú) che «determina la sua coerenza con sé stesso», «costituisce la sua credibilità», si esprime «nella sua discrezione e nell’annullamento, ossia nella sua rinuncia alla paternità di ciò che accade […] lasciandola allo Spirito che assume la sua funzione creatrice di “stilista”» e agisce «nell’altro come “credente” e nel suo processo di incontro e di relazione» (p. 202).
Si può anche dire che in Gesú e nei suoi discepoli vi è una ospitalità de-centrata. Se pensata in riferimento all’oggi, due sono i fronti sui essa si ripercuote: quello della definizione dell’essenza del cristianesimo come “stile” (cf. p. 204ss) e quello della fede cristiana che, ponendosi in un contesto di crisi, impara a offrirsi alla società come dono e risorsa di vita che si sottrae a ogni logica di strumentalizzazione.
Inoltre, nel pensiero di Theobald, il concetto di “stile”, inteso come approccio metodologico, è fondamentale, presente in tutti i capitoli e in contesti tematici differenti. Viene utilizzato per indicare diversi aspetti: la comprensione stilistica della fede e i suoi tratti fondamentali (cap. I); la sua originarietà generativa e il suo approccio all’altro, al mondo e anche agli “atti di fede” di chiunque come racconta Marco nell’incontro di Gesú con l’emorroissa (Mc 5,21-43); la possibile distinzione tra “fede elementare nella vita” e “fede cristiana in Dio”; la capacità di quest’ultima di offrire il suo contributo specifico e singolare senza lasciarsi contaminare dal potenziale di violenza presente in un contesto di pluralismo religioso e di società neutrali (vedi cap. III). L’approccio stilistico è richiesto anche dal contesto europeo e, in particolare, dalle diverse crisi in atto, tra cui quella ecologica e quella transumanistica. Per chi è alla ricerca di una comprensione contemporanea della fede, esse sono autentici “segni dei tempi” (vedi cap. IV). Infatti, ciò che caratterizza qualsiasi stile è la «singolarità o novità di una figura, che dispiega il suo effetto in un processo specifico di incontro e di relazione che si gioca nel mondo» (p. 163). Questo può avvenire per la fede in un contesto, ad esempio, come quello di una crisi ecologica. Essa deve sentirsi interpellata a vivere nel mondo (incarnazione) per una metamorfosi “in” e “su” di esso, per poter trarne fuori l’essenziale sul piano della sua struttura escatologica. In particolare sarà l’essere umano a sentirsi chiamato in causa, avvertendo di essere portatore di una speranza radicale che lo fa sentire “ospite” di quella terra che gli è stata data in dono. E Dio è colui che chiama alla vita tutte le cose suscitando nell’uomo stupore, contemplazione e gratitudine, che sono un’autentica risorsa per il divenire del mondo.
Alla fine del libro, Theobald affronta il tema della chiesa in divenire (vedi cap. V) che gli dà l’occasione per introdurre l’idea di una “ecclesiologia stilistica” fondata sulla dottrina paolina dei carismi e sul privilegio messianico-lucano dei poveri. Carismi e poveri sono gli indicatori importanti per un decentramento della chiesa e per la sua conversione missionaria. Essi ricordano che la chiesa nasce là dove viene generata e dove diventa spazio ospitale di tutti e per tutti ossia un corpo che si nutre della Parola, si costituisce come Popolo di Dio e partecipa all’unica missione di Cristo. In definitiva, oggi piú che mai, il cristianesimo è chiamato a una metamorfosi di stile per testimoniare nell’attuale contesto europeo che, come J. Ratzinger ha espresso in una bella forma breve della fede, «in Cristo, l’essere umano è diventato la speranza dell’uomo» (p. 267).
I contenuti del libro sono evidentemente molto piú ricchi e articolati di quanto lo si possa dire in poche righe. Il lavoro di Theobald è costruito in modo articolato e coerente, sistematico e attualizzante, attento alla Scrittura (in particolare al Nuovo Testamento), al magistero (in particolare al Vaticano II e a papa Francesco) e alla letteratura teologica contemporanea. Di questi ne raccoglie i tratti piú significativi e innovativi per poi intrecciarli in modo intelligente e creativo. Il taglio della sua riflessione è quello della teologia fondamentale. Lo scopo, invece, è quello di mostrare la possibilità e la convenienza teologico-pastorale di una comprensione della singolarità della fede cristiana in dialogo con il mondo contemporaneo. La prospettiva di un “cristianesimo come stile” e, ancora di piú, di una ecclesiologia stilistica, apre a una visione d’insieme in cui le diverse dimensioni della fede, riconducibili all’essere in sé e all’essere in relazione con l’altro, possono essere pensate in analogia all’unione ipostatica di Cristo e allo stile messianico-escatologico di Colui che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) per ospitarci nell’intimità divina.
G. Zambon, in
Studia Patavina 3/2021, 572-576