In origine questo articolo doveva essere una recensione dell'ultimo libro di Jürgen Moltmann apparso in italiano, Il Dio vivente e la pienezza della vita. Anzi una segnalazione, visti i limitidi spazio in questi casi - sui 1000 caratteri, quantunque con 'sconfinamento autorizzato'. È sempre difficile stare nei limiti di spazio e di genere, ma in questo caso è più difficile, perché il libro è di per sé sconfinato.
Lo comprendiamo fin dal titolo, che richiama due realtà diversamente illimitate: Dio e la vita umana, anzi la vita umana quale è chiamata a essere: in pienezza. Dio che si muove a incontrare gli uomini, gli uomini che trovano la pienezza di vita e di senso scoprendosi radicati in Dio.
Quantunque di dimensioni consistenti (220 pagine), risulta più breve rispetto agli altri libri pubblicati in passato dall'autore. Non è un saggio; non è un trattato; non è un manuale; non è nemmeno una raccolta di saggi o di contributi, e neanche un libro che fornisca pronte risposte (che sarebbero inevitabilmente prefabbricate) alle domande più fondamentali degli esseri umani. È un'ampia meditazione che lascia scorgere in trasparenza tutta la riflessione pregressa dell'autore, la sua cultura (anche l'erudizione in certi casi) e la professionalità, ma va oltre. Oltre il bisogno di dimostrare le proprie capacità indiscutibili di lavoro scientifico; anche oltre la teologia intesa come ambito di ricerca. Sarebbe banale dire che 'riassume', meglio è dire che 'compie' e conclude, lasciandolo tuttavia aperto in un dinamismo infinito, tutto il lavoro teologico di Jürgen Moltmann. Il quale, nato nel 1926, aveva circa 86 anni nel tempo della stesura di questo lavoro, e oggi ha superato i 90. Perciò il libro ci interpella anche come un testamento teologico-spirituale. «Un libro pieno di intelligenza e saggezza, acuto e personalissimo», viene detto nella presentazione editoriale italiana.
Liberare il Dio della vita
La prima parte del libro si propone di comprendere il messaggio biblico del Dio vivente. Per farlo è indispensabile, come dice l'autore nella Premessa, «liberare il Dio di Israele e di Gesù Cristo dalle gabbie delle definizioni metafisiche che sono derivate dalla filosofia greca e dall'illuminismo della religione» (p. 7).
Il capitolo I è incentrato sulla domanda centrale: può il Dio 'vivo' essere al tempo stesso un Dio 'eterno'? Il cap. II verte sulle caratteristiche di Dio quali hanno preso forma nella tradizione cristiana: Dio come Motore immobile, impassibile, onnipotente, onnipresente, onnisciente. L'immutabilitas e l'impassibilitas sono state recepite in modo quasi indiscutibile e dogmatico, ma quello che al limite potrebbe dirsi come attributo della 'divinità', astrattamente intesa, può valere anche per il Dio vivente della Scrittura? Moltmann risponde di no: il Dio vivente non è autosufficiente e pago di sé, piuttosto egli esce da sé e ama le sue creature. L'amore originario è quello di Dio, l'amore delle creature per Dio viene in un secondo momento e in risposta. «Il Dio vivo [...] è libero di muoversi e di mutarsi. Dio può uscire da sé creando e può tornare al suo riposo del sabato. Non è genericamente un 'Dio mobile', che viene mosso da forze estranee o – come accadeva per gli dèi greci - dai suoi umori, ma è un Dio che si muove» (p. 43). Un'altra frase chiave: «Se comprendiamo il Dio vivente come soggetto, allora là dove la metafisica antica collocava la divina immutabilitas c'è la sua fedeltà sulla quale possiamo fare affidamento» (p. 44). Notiamo che questa critica non significa scartare semplicisticamente l'attributo di immutabilitas, che mantiene il suo significato nel ricordarci che Dio, a differenza delle creature, non "è esposto al 'degrado' operato da fattori esterni, e non si fonda in qualcosa d'altro, bensì in se stesso. Ma l'immutabilitas riguarda la sostanza divina, non le ipostasi di Dio, cioè i suoi modi di manifestarsi. Applicare a questi l'attributo dell'immutabilitas, secondo Moltmann, equivale a privare Dio della sua personalità e della sua libertà.
In questo stesso capitolo Moltmann affronta la questione dell'impassibilità di Dio, un «assioma (originariamente formulato da Aristotele nella Metafisica)non cristiano e non biblico, contro cui egli scrisse al principio degli anni Settanta Il Dio crocifisso (pubblicato in Italia dall'editrice Queriniana nel 1976). A proposito poi dell'onnipotenza, affronta brevemente - in modo non risolutivo forse ma illuminante - la questione delle 'autolimitazioni' di Dio e della 'debolezza' di Dio (pp. 52-55).
Anche il divieto biblico di farsi immagini di Dio viene riletto secondo la logica del Dio vivente: farsi immagini significa cristallizzare, bloccare in qualche modo la vita per paura di perderla. Ciò che vale per le immagini vale anche per i nostri concetti di Dio. «Si collocano tra noi e il Dio presente e disturbano la nostra vita nel Dio vivente. Fissano quello che non può essere fissato...» (p. 61).
Il cap. III parla del Dio vivente nella «storia divina di Cristo». Notiamo che il capitolo precedente terminava dicendo che ad ogni posizione della teologia affermativa corrisponde una negazione della teologia negativa: potrebbe sembrare che ciò impedisca la stessa possibilità di esistenza della teologia, ma non è così. «... Una teologia e una volontà di Dio ci sono grazie all'unico presupposto che 'il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi'. Il Lògos tû Theû è la condizione di una teologia». In altri termini: se noi possiamo dire qualcosa su Dio, possiamo farlo perché c'è stato Gesù Cristo.
Dio non è uno, secondo Moltmann, ma «è Uno che rivela se stesso triadicamente. Perciò le tre persone divine perdono la propria soggettività e azione, diventano modi di manifestarsi del Dio personale e uno». Qui, seguendo Karl Barth e la sua Dogmatica ecclesiale, affronta consapevolmente il rischio di venir accusato di modalismo (una delle eresie dell'antichità, che riduceva le tre persone divine a modi di manifestazione dell'unico Dio). Riprendendo l'idea già affermata in Trinità e regno di Dio del 1981, Moltmann afferma che la dottrina trinitaria «non ha il compito di assicurare la soggettività dello Spirito (Hegel) o la sovranità di Dio (Barth), ma di interpretare la storia di Gesù Cristo come storia di Dio» (p. 71).
Come dice nella sintesi conclusiva della prima parte, la storia di Cristo «è la sua storia di vita per noi, presso di noi e con noi. La sua vita eterna, nella storia di Cristo, accoglie in sé la nostra vita finita. Perciò questa vita mortale è già vita eterna» (p. 74).
Sviluppare la vita umana nella vita divina
La seconda parte cerca invece (diamo la parola all'autore, ancora dalla Premessa) «... di sviluppare la vita umana nella vita divina. [...] La prospettiva che conclude il libro si aggancia a una parola del grande Atanasio che ho sentito per la prima volta nella comunità di Taizé: il Cristo risorto trasforma la vita in una festa senza fine» (p. 7). L’autore dichiara sin dall'inizio il suo debito di gratitudine nei confronti di Dietrich Bonhoeffer, citato più volte fin dalla premessa e fin dalla prima pagina: a partire dalla sua visione dell' «essere-aldiquà» del cristianesimo, dove «è sempre presente la conoscenza della morte e della risurrezione» (3).
In questa seconda parte Moltmann affronta i grandi temi della Vita eterna, della gioia di Dio, dell'amore, della libertà, della spiritualità dei sensi: l'idea di fondo è che la vocazione originaria dell'uomo, creato da Dio come «essere relazionale partecipativo», trova compimento nell'esperienza della gioia, senso ultimo della vita umana. Il passaggio decisivo della riflessione di Moltmann è quello sulla libertà umana in Dio.
Nella seconda parte il cap. I ha un titolo impegnativo: «Questa vita divina». La divinità della vita è affrontata da tre punti di vista: 1. Nella comunione della vita divina, 2. Nella comunione dei vivi e dei morti, 3. Nella comunione della terra.
Il cap. II della seconda parte, «Vivere nel vasto spazio della gioia di Dio» appare il più intimamente legato alla prospettiva peculiare dell'autore, e qui si ritrova la riflessione da lui sviluppata soprattutto a partire dagli anni Novanta (è del 1991 Lo Spirito della vita, con l'eloquente sottotitolo Per una pneumatologia integrale).
Il cap. IIIdella seconda parte verte sulla «Libertà vissuta in solidarietà», e il passaggio decisivo della riflessione/meditazione teologica di Moltmann è quello sulla libertà umana in Dio (pp. 113-119), articolata secondo tre linee principali: a. Libertà come poter incominciare, b. Libertà come dominio o come comunione?, c. Libertà come attesa creatrice. La libertà viene a definirsi, secondo l'autore, nelle relazioni che l'essere umano costruisce con l'altro e diventa iniziativa di comunione e di solidarietà nell'amore, espresso in «un'attesa creatrice delle cose che Dio ha promesso con la risurrezione di Cristo» (p. 118).
Notevole la sintesi che conclude questo cap. III della seconda parte: «Il dominio lega soggetti a oggetti;la comunità lega soggetti a soggetti; la passione creatrice lega soggetti a progetti per il futuro» (p. 119). Sempre sulla libertà «vissuta in aperta amicizia» il cap. IV, quasi cerniera tra il tema della libertà e quello dell'amore, a cui è dedicato il cap. V, «La vita amata e che ama». Essenziale il cap. VI sulla spiritualità dei sensi. In questo capitolo viene affermato tra l'altro che «lutto - apatia - routine – condizionamenti sociali» inducono l'indebolimento e l'atrofizzazione dei sensi, con conseguenze distruttive anche sulla vita spirituale.
Brevissimo il cap. VII, «Sperare e pensare», in sostanza una conclusione o un congedo, in cui il pensiero è posto in chiave non puramente mentale ma trascendente: «Pensare è andare oltre» (p. 177).
Dov'è il contributo sull'ateismo?
Come se ciò non bastasse, il libro rivela nel sottotitolo anche un'altra intenzione, solo in apparenza circoscritta rispetto al 'doppio infinito' dell'argomento: un contributo al dibattito attuale sull'ateismo. Va detto che questa parte non è immediatamente identificabile, almeno non localizzabile: chi scorresse l'indice in fretta avrebbe l'impressione di non trovarvela. Qui diamo la parola a un teologo della Chiesa valdese: «Secondo Moltmann, il paradigma occidentale moderno è caratterizzato dal 'riduzionismo' (il cui marcatore è l'espressione: questo o quello 'non sono altro che...'), cioè dalla tendenza a ridurre la complessità della vita a strutture elementari e, sostanzialmente, naturalistiche. Ciò costituirebbe un impoverimento. Anche chi, nella sostanza, è senz'altro d'accordo desidererebbe, a volte, che le ragioni degli interlocutori secolari venissero prese un po' più sul serio» (F. Ferrario, in Protestantesimo vol. 72 (1/2017), 81-82).
In realtà il libro nella sua interezza costituisce, oltre che una meditazione liberante sulla fede, un contributo al dibattito sull'ateismo, ponendosi come una riflessione su Dio che mette in discussione l'immagine irrigidita e dogmatica rifiutata (non senza ragione) da coloro che si ritengono atei. Il discorso appare più esplicitato nell'introduzione, che reca un titolo programmatico: «Lavita ridotta del mondo moderno». Moltmann sottolinea quanto sia insufficiente il concetto di modernità, che presenta diversi connotati anche da una lingua all'altra, e comincia presentandone diverse accezioni storiche (due esempi: Lessing e Feuerbach) e contemporanee (modernità laicista, modernità delle chiese libere, modernità secolarizzata). Ma il dibattito sull'ateismo affiora in vario modo anche negli altri capitoli, e talvolta anche in modo più significativo, come nel cap. III della seconda parte: «Libertà o Dio?»).
Questa parte, nell'insieme del tutto condivisibile, preme necessariamente il pedale della storia e della normale logica argomentativa: perciò, quantunque equilibrata e illuminata, dà a tratti l'impressione di essere collocata in un contesto che non è il suo. Se fosse un brano musicale, diremmo che è scritta in una tonalità diversa rispetto al resto. Forse sarebbe stato preferibile collocarla in appendice anziché in apertura dove si trova (prima del primo capitolo della prima parte, in funzione introduttiva). Ma è anche possibile che il carattere del libro - di testamento spirituale, come si è detto - spieghi l'inserimento di una tematica che è sempre stata profondamente a cuore all'autore sin dalla giovinezza. La sua riflessione sulla speranza degli anni '60-'70, da cui nacque il fondamentale Teologia della speranza (1964), prese le mosse dall'incontro con il pensiero del 'filosofo marxista eretico' Ernst Bloch, con il suo 'trascendere senza trascendenza', con i suoi scritti, in particolare lo Spirito dell'utopia (1918) e il Principio speranza (1953-59).
L. Sebastiani, in
Rocca 16-17/2017, 47-49