«L'autore, psichiatra e teologo, si cimenta in forma originalissima nella perorazione della causa di Dio ritenendola imprescindibile agli effetti della scoperta del senso della vita. Nella brillante esposizione - Lütz intende scrivere nel linguaggio comprensibile da tutti, scevro da tecnicismi e da note a piè di pagina - nella quale spazia dalla teologia alla filosofia, alla psicologia, all'arte, alla musica (prende avvio dal Elton Jobn che suona e canta nella cattedrale di Westrninster in occasione del funerale di Lady Diana e termina con un richiamo a Bach e a Mozarr), nella convinzione che “la musica è la dimostrazione esistenziale che c'è qualcosa di immateriale e che può essere cosa buona e sussistere” (279), cerca di far capire che l'ateismo di ogni tempo e soprattutto quello di alcuni (perché «gli scienziati tornano a mostrare, in misura crescente, interesse per Dio» [143]) scienziati attuali (il riferimento è soprattutto a Steven Hawking), che “si buttano sul mercato delle anticaglie intellettuali ottocentesche” (144), non è per nulla razionale e sfocia nel nichilismo (caso esemplare è Nietzsche, che a differenza di tanti altri è consapevole di questo esito). L'impostazione ha radici in Pascal e in Kierkegaard; privilegia quindi la via dello stupore (non a caso il cap. 5 è dedicato al "Dio dei bambini") e dà valore ad alcune conversioni (Editih Stein, André Frossard, Teresa di Calcutta). Dal punto di vista 'teoretico' si ispira prevalentemente a Karl Jaspers, Martin Heidegger (quello di Essere e tempo), Robert Spaemann, dal quale trae una "prova grammaticale dell'esistenza di Dio. Se non ci fosse un Dio, non si potrebbe più dire davvero: ci sarà stato qualcosa. Prima o poi, infatti, non ci sarà più nessuno che si ricordi e questa sarebbe anche la fine di ogni passato” (278). Un'opera dotta, ma piacevole, che si legge come un romanzo e aiuta a superare - a volte in maniera ironica, per non dire disinvolta - alcuni luoghi comuni relativi alla questione di Dio».
In
Orientamenti Bibliografici 45/2015