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Cristo, cuore della creazione
Rowan Williams

Cristo, cuore della creazione

Prezzo di copertina: Euro 33,00 Prezzo scontato: Euro 31,35
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 202
ISBN: 978-88-399-3602-8
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 272
Titolo originale: Christ the Heart of Creation
© 2020

In breve

Rowan Williams, già docente di teologia a Cambridge e Oxford, già arcivescovo di Canterbury, porta alla luce in questo studio le connessioni cruciali fra la cristologia e la dottrina della creazione, proponendo una visione cosmica del Cristo. E svela, allo stesso tempo, il modus operandi tipico del linguaggio ecclesiale, consentendo di comprendere meglio perché sia credibile.

Descrizione

«Quello che cerco di fare in questo libro è di portare alla luce un aspetto cruciale del modo di operare del linguaggio della chiesa relativo a Gesù. Se noi avessimo un po’ più chiaro come opera questo linguaggio, potremmo comprendere meglio perché è credibile».
Il teologo Rowan Williams muove qui alla scoperta delle connessioni fra la cristologia e la dottrina della creazione, proponendo una visione cosmica del Cristo. Nel contempo, egli porta alla luce il modus operandi tipico del linguaggio ecclesiale, consentendo di comprendere meglio perché sia credibile.
In particolare, in questo studio di ampio respiro, egli sostiene una tesi decisiva: ciò che la chiesa dice di Gesù Cristo è la chiave per comprendere ciò che la fede cristiana dice del Creatore e della creazione, della relazione cioè che la fede cristiana dice del Creatore e della creazione, della relazione cioè tra il finito e l’infinito. Analizzando in maniera dettagliata un insieme di testi che vanno dai primi secoli a oggi, e che appartengono alla tradizione sia occidentale che orientale, si svelano i modi vari e indefinibili in cui i cristiani hanno scoperto, nelle loro riflessioni su Cristo, la possibilità di un approccio profondamente positivo alla creazione. Ed emerge una serie di intuizioni radicali su temi fondamentali per la fede cristiana, oltre che sull’etica e sulla politica. «Il linguaggio della dottrina ha senso non tanto come spiegazione delle cose, quanto piuttosto come ambientazione credibile per l’azione e l’immaginazione: offre un mondo in cui vivere».

Recensioni

L'A., già arcivescovo di Canterbury e professore presso le Università di Cambridge e Oxford, è noto tanto per le sue opere teologiche, quanto per quelle di carattere spirituale e divulgativo. Nonostante il titolo accattivante, quest'opera appartiene senz'altro al numero delle opere tecniche, dedicate a specialisti del settore, in questo caso la cristologia.

L'opera nasce dalle lezioni tenute alla Facoltà di Teologia dell'Università di Cambridge nel 2016, ma raccoglie evidentemente molti anni di studi e ricerche. Presenta una selezione di autori che coprono i venti secoli del cristianesimo, eppure non si tratta di un testo di storia della teologia, in quanto l'insieme degli autori e delle prospettive è convocato per sostenere un percorso e una tesi di fondo, ovvero che «l'azione di Dio non è mai in competizione con un'attività particolare nell'universo» (p. 8). Questa tesi riguarda il cuore della cristologia, ovvero il modo in cui le nature divina e umana sono presenti nella persona di Gesù, ma più in generale riguarda la relazione di Dio con l'intera creazione. L'A. ritrova e riprende questa posizione di "non competizione", "non sostituzione", "non parallelismo o simmetria" lungo tutta l'opera: a partire da Farrer (p. 14), a Tommaso (p. 23), Calcedonia (p. 91), Calvino (p. 165), Bonhoeffer (169), Przywara (p. 244).

Il percorso proposto segue una linea cronologica, ma con un'eccezione: nell'introduzione - Partire dal mezzo (Medioevo): la visione cristologica di Tommaso d'Aquino - vengono premesse le figure di Austin Ferrer e Tommaso d'Aquino. Il primo rappresenta lo spunto e l'ispirazione dell'intero percorso, il secondo ne propone l'apice e la sintesi. Tommaso è quindi presentato come il vertice di quel percorso che a partire dalla vicenda di Gesù porta a pensare l'unicità della persona di Gesù quale realizzazione dell'agire di Dio. A differenza di quanto farà Scoto, sempre a rischio di fare di Cristo due soggetti paralleli in competizione fra loro, Tommaso salvaguarda nell'unico atto d'essere l'unità della persona di Cristo così cara alla linea patristico-alessandrina che si rifà a Cirillo.

Dopo questa introduzione, che chiarisce senza possibilità di incomprensione i punti di partenza, arrivo e passaggio dell'A., il testo si svolge attraverso una serie di affondi storici, funzionali a sostenerne la visione di fondo. Si possono dividere in due parti: una prima che porta fino al modello di Tommaso e una seconda, dopo di lui, che vede la contestazione e la ripresa del modello.

Il primo capitolo (1. Formulare la domanda: da Paolo ad Agostino)si fa carico di giustificare un percorso così gravato di complessità metafisiche: è davvero necessario e conseguente per rendere conto di Gesù? La risposta è sì perché senza approfondimento teoretico e senza lo sviluppo di un linguaggio possibile, il rapporto fra creatore e creatura che si pretende in Gesù finisce inevitabilmente in quelli che sono gli scogli che le varie correnti patristiche vogliono evitare: un Dio che si intromette semplicemente nelle vicende umane sostituendosi alle sue creature; un Dio che viene travolto dalla sofferenza e dalla passività umana; un Dio che in Cristo non riesce a fare di meglio che mettersi in parallelo all'umanità.

Agostino è qui convocato con un ruolo particolare: fungere da ponte ideale fra Paolo e la teologia seguente, quanto a uno specifico aspetto, che diventa chiave in tutta l'opera dell'A, ovvero quello che dalla cristologia porta all'ecclesiologia. Se il modello dell'azione di Dio nel mondo è il Cristo, il suo svolgimento è la chiesa, nel senso che il Cristo totale (totus Christus)di Agostino comprende, senza confusione, la chiesa nella complessità del suo sviluppo storico.

Nel secondo capitolo (2. Il lessico si perfeziona: il contributo della prima teologia bizantina)vengono analizzati gli autori che contribuiscono alla formazione del modello che porterà a Tommaso, contro le spinte dualiste («preoccupate soprattutto di non esporre la divinità alla sofferenza, e questa è una preoccupazione teologicamente dubbia», p. 95). In quest'ottica si capisce la presenza dei due Leonzi (di Bisanzio e di Gerusalemme) come perfezionatori di un linguaggio e di un modello, e di Giovanni Damasceno come colui che lo sintetizza. Potrebbe stupire invece la presenza di Massimo il Confessore, che a prima vista potrebbe sembrare spostato su posizioni più dualiste. Risulta invece fondamentale per l'A. per due motivi: da una parte rìbadisce l'apertura ecclesiale e cosmica della cristologia, e dall'altra può essere coinvolto nella prospettiva unitaria attraverso la sua dottrina del tropos: l'unico tropos/modo filiale di vita del Verbo diventa il modo di vita di Gesù e in prospettiva si estende a trasformare e divinizzare la forma di tutta la chiesa e di tutto il cosmo. Il modello che si va a consolidare in Tommaso è dunque coerente con un percorso millenario e radicato nel Nuovo Testamento e nel suo annuncio di un rapporto non competitivo fra Dio e la sua creazione.

La seconda parte si concentra sulla contestazione del modello di Tommaso (Scoto, Ockham, Lutero) e sulla sua ripresa sia pure non dichiarata da parte di Calvino (3. Perdita e ripresa: Calvino e la Riforma della cristologia).Proprio il «Calvino cattolico» (p. 144) si rivela un ponte fondamentale per traghettare il modello alla modernità. La sua dottrina dell'extra (ovvero la possibilità di una presenza di Cristo anche oltre la sua presenza fìsica) che permette di pensare la presenza eucaristica (ed ecclesiale) senza doverla immaginare fisicamente, così come la forte apertura pneumatologica (ed ecclesiologica), permettono di presentarlo come modello alternativo a Lutero: «Lutero sembra intravedere un Cristo incarnato il cui stato glorificato "si espande" per riempire l'universo [...]. Calvino parte da un lógos universalmente presente e attivo» (p. 159) che si relaziona con l'individualità umana di Gesù. Calvino è molto più chiaro di Lutero sul fatto che divinità e umanità non stanno mai fianco a fianco [...] non c'è relazione spaziale per cui l'umanità in qualche modo contenga e limiti la divinità» (p. 165). La tensione fra questi due modelli attraversa la storia della teologia riformata anche recente (teologia liberale, teologia della sofferenza di Dio, Jenson, Barth, Bonhoeffer).

È però in particolare sulla cristologia di Bonhoeffer che l'A. si sofferma, in quanto in lui l'articolazione della relazione fra Dio e il mondo si fa anche biograficamente tragica (4. Cristo, creazione e comunità: la cristologia all'ombra dell'Anticristo). Bonhoeffer è presentato come il tentativo di una sintesi fra l'istanza calvinista di non travolgere Dio nelle vicende del mondo (Dio è Dio) e l'istanza luterana di vederlo però completamente presente e coinvolto. Il Cristo di Bonhoeffer non interrompe l'uomo e non compete con lui, ma si rende presente nella forma complessa della comunità. Ancora una volta è nella chiesa che la rappresentanza (Stellvertretung) di Cristo si rende presente come solidarietà incondizionata alla creazione.

L'intero percorso è infine ripreso da due ultimi testimoni inaspettati. Il primo è il cattolico Przywara (Conclusione: Cristo cuore della creazione: la tensione in metafisica e in teologia)il quale, nella sua formulazione in e oltre (non accanto), propone una presenza di Dio che non si sostituisce al mondo, ma si manifesta nella vita del mondo. Questo autore permette di aprire lo sguardo alla grammatica stessa sottesa all'impostazione del libro.

A fronte di una presenza non competitiva di Dio in e oltre la creazione, la metafisica stessa si presenterà come discorso non competitivo. Il discorso teologico-metafisico non è un discorso accanto agli altri ma si fa presente in due modi: da una parte come metodo, come orizzonte di ogni pensare e discorrere; dall'altra come vita, realizzazione concreta (la prospettiva è sempre ecclesiale).

Ancora più inaspettato il secondo testimone, ovvero Wittgenstein (come interprete di Kierkegaard): anche per lui il discorso metafisico e religioso non è linguaggio storico, informativo, discorso accanto ad altri discorsi, ma piuttosto un fatto estetico, un metodo di lettura globale della realtà, che non propone singole interpretazioni concorrenti dei singoli eventi, ma offre piuttosto un orizzonte generale di possibilità e senso.

Si tratta pertanto di un'opera tecnica e affascinante, molto colta, che sostiene una prospettiva e una tesi. Sembra astratta, ma riguarda invece qualcosa di molto concreto per il credente, ovvero il modo in cui percepisce la presenza e l'azione di Dio, che non può e non deve essere immaginata come giustapposta alla presenza e all'azione delle creature.

Dal punto di vista teologico si tratta di un'impostazione molto classica e corretta. Tuttavia, proprio sul versante spirituale rischia di non essere sempre sufficientemente attenta alla posizione avversa. Le impostazioni che tendono a presentare Dio come attore di-fronte-e-accanto e quindi l'umanità di Gesù come giustapposta o parallela alla presenza divina (da Lutero a Scoto agli antiocheni), presentano certamente delle fragilità teologiche, e tuttavia non sono semplicemente momenti di debolezza teorica, ma cercano di rendere un'esperienza spirituale che può forse essere meglio onorata, proprio nel momento in cui la si vuole contestare.


L. Paris, in Studia Patavina 1/2023, 167-170

«Quello che cerco di dire in questo libro è di portare alla luce un aspetto cruciale del modo di operare del linguaggio della chiesa relativo a Gesù. Se noi avessimo un po' più chiaro come opera questo linguaggio, potremmo comprendere meglio perché è credibile». Il teologo Rowan Williams muove qui alla scoperta delle connessioni fra la cristologia e la dottrina della creazione, proponendo una visione cosmica del Cristo. Nel contempo, egli porta alla luce il modus operandi tipico del linguaggio ecclesiale, consentendo di comprendere meglio perché sia credibile.

In particolare, in questo studio di ampio respiro, egli sostiene una tesi decisiva: ciò che la chiesa dice di Gesù Cristo è la chiave per comprendere ciò che la fede cristiana dice del Creatore e della creazione, della relazione cioè tra il finito e l'infinito. Analizzando in maniera dettagliata un insieme di testi che vanno dai primi secoli a oggi, e che appartengono alla tradizione sia occidentale che orientale, si svelano i modi vari e indefinibili in cui i cristiani hanno scoperto, nelle loro riflessioni su Cristo, la possibilità di un approccio profondamente positivo alla creazione. Ed emerge una serie di intuizioni radicali su temi fondamentali per la fede cristiana, oltre che sull'etica e sulla politica. «Il linguaggio della dottrina ha senso non tanto come spiegazione delle cose, quanto piuttosto come ambientazione credibile per l'azione e l'immaginazione: offre un mondo in cui vivere».


In Consacrazione e Servizio 5/2021, 127

Rowan Williams è uno dei maggiori teologi viventi. Anglicano, è stato per dieci anni arcivescovo di Canterbury. La sua produzione è molto diversificata e va da testi molto tecnici a opere divulgative di grande efficacia. Cristo, cuore della creazione appartiene alla prima categoria e non è di lettura immediatamente agevole. Nel libro l’autore presenta il proprio punto di vista a confronto con una carrellata di riflessioni dedicate alla questione del carattere da attribuire all’incarnazione di Cristo, solo in parte risolta dal concilio di Calcedonia con la formula della completezza e della perfezione della sua duplice natura, divina e umana. L’itinerario seguito, partendo dalla patristica e da San Tommaso, è quello della teologia protestante, attraversa Lutero e Calvino per arrivare a Bonhoeffer e al gesuita Przywara, in un contesto di riavvicinamento ecumenico. La profondità di Rowan Williams si manifesta nella capacità di uscire da una teorizzazione solo formale per affrontare problemi legati al pensiero contemporaneo, come la natura e lo scopo della teologia, al limite il senso della religiosità nell’oggi.
S. Valzania, in Radio InBlu. La Biblioteca di Gerusalemme 14 febbraio 2021

Uno studio teologico di ampio respiro quello dell’anglicano Rowan Williams, un’attenta analisi degli sviluppi e delle implicazioni del linguaggio cristologico classico, per affermare Cristo come cuore della creazione, «colui nel quale convergono tutti i modelli dell’esistenza finita per trovare il loro significato» (p. 9). E mentre si definiscono i termini del discorso cristologico lungo i secoli, l’A. constata il progressivo chiarirsi e arricchirsi della relazione finito-infinito, Creatore-creatura, lasciando intravedere nella dottrina cristologica anche il terreno fertile e «il centro adeguato di tutta una teologia dell’impegno politico e ambientale» (p. 168).

È uno studio dai tratti originali, articolato a partire da alcune intuizioni, sul rapporto tra finito e infinito, di Austin Farrer (1904-68), teologo e studioso biblico anglicano, che ha elaborato un pensiero metafisico e teologico originale. Stimolato dalla paradossale visione di Farrer, per il quale «un atto soprannaturale», quindi infinito, per essere veramente tale «deve essere al contempo autenticamente l’atto di un agente finito “naturale”» (p. 16), Williams conduce un’indagine sullo sviluppo del linguaggio cristologico lungo la storia, nella convinzione che esso, se adeguatamente compreso, permette di chiarire la relazione finito-infinito e, di conseguenza, tra Creatore e creatura, nel senso inteso da Farrer.

Dunque, un progetto ambizioso che, passando per l’analisi delle diverse interpretazioni della persona di Cristo lungo la storia, con uno sguardo attento al contesto storico in cui esse sorsero, si direbbe ben riuscito nell’intento di dimostrare che la riflessione sulla divinità e umanità di Gesù, affermata dal Concilio di Calcedonia nel V secolo e approfondita da padri e teologi successivi, è la maggiore impresa teologica, che di per sé forma e chiarisce la relazione finito-infinito, gettando una luce impareggiabile sul rapporto tra Creatore e creatura, tra soprannaturale e naturale.

Il libro è suddiviso in due parti, in cui Williams ripercorre i punti salienti della storia della dottrina, mostrando il progressivo e faticoso perfezionarsi del linguaggio ecclesiale sul mistero di Cristo. Nella prima parte, l’A., dopo aver esaminato gli scritti neotestamentari di Paolo, si sofferma sulla dottrina di Calcedonia e sulle sue conseguenze, sulla cristologia bizantina dei due Leonzio fino ad arrivare a Massimo il Confessore e a Giovanni Damasceno.

Nella seconda parte, introduce il lettore nel dibattito tardo-medievale volto a «smantellare Tommaso», per giungere così alla modernità e proseguire nell’analisi della visione cristologica di Lutero, capace di promuovere «la dissoluzione della sintesi classica che emerge in Tommaso» (p. 144). Quindi Williams si sofferma sul pensiero del «Calvino cattolico» che, nonostante un linguaggio deliberatamente non scolastico, inaspettatamente recupera e difende alcuni elementi cristologici tradizionali, già confluiti nella sintesi dell’Aquinate. Poi esamina i caratteri essenziali di una parte della cristologia più recente, impegnata, tra l’altro, a introdurre nuovi linguaggi.

Così si addentra, seppur brevemente, nella visione cristologica di Karl Barth e, soprattutto, in quella di Dietrich Bonhoeffer, soffermandosi sulle implicazioni etiche della sua teologia kenotica. Infine, lo sguardo viene rivolto alla tensione finito-infinito, Creatore-creatura. L’A. fa riferimento alla densa teologia di Erich Przywara, che gli consente di chiudere magistralmente questo ampio studio su Cristo, animato dalla speranza che «queste pagine serviranno a stimolare qualcuno almeno a considerare con più attenzione e più a lungo la forma classica della dottrina dell’incarnazione, e a vederla alla luce che vediamo splendere su tutto lo scenario creaturale che abitiamo e che siamo chiamati a trasformare in e con Cristo» (p. 247).


P. Salvatori, in La Civiltà Cattolica 4094, 199-200

In questo saggio di cristologia, che raccoglie e sviluppa l’insegnamento del teologo anglicano (e già arcivescovo di Canterbury) Rowan Williams nell’arco di 40 anni, viene argomentata la tesi secondo cui il modello sviluppato dalla dottrina cristiana nella cristologia è il modello che chiarisce tutto quello che diciamo della relazione di Dio con il mondo, della relazione tra infinito e finito, tra Creatore e creazione. «Questo libro è un tentativo di individuare qualcosa di questa illuminazione reciproca che collega la cristologia alla dottrina della creazione». E negli ultimi cc. si spiega come questo possa svolgere un ruolo vitale nel chiarire determinati temi etici e politici per i cristiani.
D. Sala, in Il Regno Attualità 20/2020, 612

Docente di teologia a Cambridge e a Oxford, in seguito arcivescovo di Canterbury e quindi arcivescovo della Chiesa anglicana, nel 2013 Williams è tornato a insegnare teologia e a predicare quale direttore del Magdalene College presso l’Università di Cambridge. È conosciuto come autore colto, versato nella teologia ma anche ricercato conferenziere per la trattazione dei temi più svariati di attualità.

In questo volume l’autore sviluppa le lezioni tenute nel 2016 a Cambridge, oltre a interventi presentati successivamente in seminari e congressi. Egli è del parere che una teologia e una cristologia sono convincenti quando sanno tenere insieme vari livelli di discorsi e di realtà, entro le quali le persone trovano senso e gioia di vita.

La trattazione cristologica di Williams collega la figura e la riflessione su Cristo lungo la storia in rapporto al tema del cosmo e della creazione. Il modello teologico che vuole descrivere la realtà di Cristo in cui convergono strettamente la natura umana e quella divina è applicabile alla relazione che lega Dio e il cosmo. Dio e Cristo – vero uomo – non sono realtà accostabili sullo stesso piano, in concorrenza tra loro, cosicché dove cresce una l’altra deve cedere il passo, in un rapporto di competizione. Dio è non aliud in relazione al mondo (Niccolò Cusano). Williams usa l’espressione («impervia» la definisce) di “non-identità non-duale”. Come con Cristo, anche con nessuna attività particolare nell’universo l’azione di Dio entra mai in competizione. Dio non ha completato l’essere umano di Cristo entrando in lui per diventarne parte integrante o sostitutiva di qualche aspetto della sua natura umana. Gesù Cristo d’altronde non è neppure un essere umano incompleto sul quale Dio eserciti un’influenza dall’esterno così da renderlo un canale per comunicare la verità divina o per manifestare la sua perfezione divina.

Il modello cristologico nuovo è possibile solo basandosi sul fatto che l’azione divina e l’azione creata non possono mai stare una accanto all’altra come rivali. «Dio crea il mondo perché sia se stesso, perché abbia un’integrità, una completezza e una bontà che sia – per dono divino – tutta sua. Allo stesso tempo, Dio crea il mondo perché sia aperto alla relazione con la vita infinita di Dio che può allargare e trasfigurare l’ordine creato senza distruggerlo» (p. 8).

Il modello cristologico rinvenuto è quello che può chiarire correttamente ciò che vien detto della relazione fra Dio e il mondo, tra l’infinito e il finito, tra Creatore e creazione. La vita piena e felice della creazione e delle creature non è vissuta a detrimento del Creatore. Si ripete il modello cristologico, in cui Cristo «vive ininterrottamente una vita creaturale finita sulla terra e, allo stesso tempo, vive delle profondità della vita divina e gode ininterrottamente della relazione che eternamente sussiste tra la Fonte divina o Padre e il Verbo incarnato o Figlio. È in questo senso che possiamo giustamente parlare di Gesù come il cuore della creazione» (p. 9).

Nell’Introduzione (pp. 13-52) Williams parte dal mezzo, cioè dalla trattazione del Medioevo con l’esame della visione cristologica di Tommaso d’Aquino. Egli sintetizza la tradizione vedendo in Cristo un atto infinito e un’incarnazione finita. Tommaso si concentra sull’unità di Cristo e sulla sua umanità trasformante che rende Cristo fondamento della comunione. Nella Parte prima (pp. 53-248), l’autore esamina il periodo in cui si formulano le domande (c. 1, pp. 53-90). Da Paolo ad Agostino scorrono le origini del Nuovo Testamento tra storia, fede e racconto, a cui segue il cammino che da Paolo porta a Nicea con una lunga riflessione sul lògos e la carne. Nel percorso verso Calcedonia viene raccolta la voce latina di Agostino sull’unità di Cristo. Il contributo della prima teologia bizantina si pone nel contesto del perfezionamento del lessico (c. 2, pp. 91-130): Calcedonia, Leone di Bisanzio e Leonzio di Gerusalemme. Di Massimo il Confessore si sottolinea il discorso sulla cristologia e sul cosmo riconciliato. Giovanni Damasceno costituisce una sintesi bizantina. Nel c. 3 (pp. 131-168) Williams esamina la perdita e la ripresa, studiando Calvino e la riforma della cristologia. Il dibattito tardomedievale tende a smantellare Tommaso, mentre il Calvino cattolico rappresenta una tradizione teologica rinnovata. Williams presenta, infine, le varietà della cristologia protestante. Il c. 4 si sofferma su “Cristo, creazione e comunità: la cristologia all’ombra dell’Anticristo” (pp. 169-214). Si esaminano le proposte di Barth, le lezioni di cristologia di Bonhoeffer e l’eredità dell’ortodossia protestante. Si analizza, infine, il rapporto tra cristologia, etica e politica, in una connessione di discorsi che tendono alla trasformazione.

La Conclusione (pp. 215-248) presenta Cristo come cuore della creazione, in una riflessione tesa fra teologia e metafisica. L’Appendice (pp. 249-265) porta infine il titolo: “Concludendo. Postilla (non teologica?): Wittgenstein, Kierkegaard e Calcedonia”. Chiude il volume l’Indice dei nomi e degli argomenti notevoli (pp. 265-270).

Volume tecnico di studio, indicato per persone attrezzate adeguatamente nell’ambito teologico.


R. Mela, in SettimanaNews.it 9 ottobre 2020