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Sacramenti tra dire e fare
Manuel Belli

Sacramenti tra dire e fare

Piccoli paradossi e rompicapi celebrativi

Prezzo di copertina: Euro 18,00 Prezzo scontato: Euro 17,10
Collana: Giornale di teologia 412
ISBN: 978-88-399-3412-3
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 272
© 2018

In breve

Questo lavoro consiste nell’identificare con lucidità alcuni snodi paradossali della teologia dei sacramenti e della prassi dei sacramenti – e nell’ipotizzare per essi delle soluzioni possibili. A ben vedere, infatti, accade sempre più spesso che un insieme di ragioni buone e ineccepibili produca nelle nostre celebrazioni dei risultati che, alla prova del vissuto, non sono affatto accettabili. L’elenco è lungo. Una riflessione seria si impone.

Descrizione

All’inizio c’erano i riti: prima di scrivere le pagine del Nuovo Testamento, i cristiani hanno vissuto la presenza del Signore attorno al pane e al vino eucaristici. Poi sono nate delle questioni attorno ai riti, e i cristiani hanno offerto le loro risposte, spiegando tutto ciò che ruota attorno ai sacramenti (materia, forma, ministro, effetti...). Da qualche secolo a questa parte, però, noi occidentali abbiamo grossi problemi con i riti, e solo da pochi decenni la teologia ha iniziato a occuparsi seriamente della questione. Il risultato è una situazione complessa: prassi secolari, definizioni consolidate, pensieri nuovi e sfide pastorali inedite si incontrano e, non raramente, si scontrano.
I sacramenti cristiani talvolta ci propongono piccoli-grandi rompicapi: teologie, definizioni e soluzioni pratiche – che, prese singolarmente, hanno buone ragioni – una volta inserite in un quadro unitario evidenziano clamorose incongruenze.
Il libro, nato dall’insegnamento e in dialogo costante con gli operatori pastorali, tenta allora di mettere a nudo alcuni paradossi del celebrare cristiano, aprendo qualche cantiere per approdare a conclusioni sempre più accettabili.

Recensioni

La lettura di questo libro, primariamente, è un’occasione, non limitata all’ambito liturgico, per riflettere. Ponendo la relazione, tra dire e fare, tra “verità” sacramentale e rito, si indica la necessità di recuperare serenamente, le potenzialità, espresse e inespresse, della dimensione pastorale (teoretico-pratica), che pervade il Concilio Vaticano II, senza sottovalutare la sua portata riformatrice. Nello specifico, Sacrosanctum concilium, sensibilizzando a rileggere la dimensione rituale sotto il segno di evento, ha addensato nel fare il precipitato della relazione dottrina-storia, quest’ultima intesa come epifania della libertà e delle sue inedite sinergie con la Grazia. Sensibilità che attraversa il primo Millennio cristiano compendiato dall’esemplare sintesi di Agostino che vede nella fede eucaristica la fede e la promessa del e nell’umano: «vuoi comprendere [il mistero] del corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: Voi siete il corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12, 27). Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete» (Discorso 272).

Mai senza, dunque: mai dottrina senza carne, senza vita, senza storia, fedele al principio raccolto dal Dogma di Calcedonia (451), che stabilisce l’essenzialità della relazione delle due nature, umano-divina nel dogma cristologico, senza confusione, cambiamento, divisione, separazione. Già Tertulliano che commenta Gv 10,6, «Io e il Padre siamo una cosa sola», introduce il valore della persona distinta, indicando l’unità in dialogo (Adversus Praxean, 22, 10). Ed egli, così, inoltre, anticipò la precisa elaborazione del concetto di condizione distinta (umana e divina) congiunta e non confusa nell’unica persona, riferendosi a Dio e all’uomo Gesù (Adversus Praxean, 27, 11). La forza dinamica della definizione di Calcedonia, propulsiva e pervasiva l’intera teologia troverà in Grigorij Florovsky il convinto assertore che la sua ricchezza doveva essere riconosciuta ed estesa alla totalità della tradizione credente (The Lost Scriptural Mind, in Collected Works of Gregorges Florovsky, vol. 1, Belmont, Mass. 1972, p. 24).

Sul piano trinitario, il mai senza, si conferma come principio necessario alla comprensione di quanto espresso dal XI Concilio di Toledo (cfr. DH 528), riguardo la comunione (delle persone) trinitaria come relazione. E “senza confusione”, riferendosi evidentemente alle due nature, affermando l’autentica umanità del Cristo, inclusivamente rende testimonianza alla trascendenza di Dio “senza divisione”, proclamando l’unione profondissima ed irreversibile di Dio e dell’uomo nella persona del Verbo. Nello stesso tempo si proclama la piena immanenza di Dio nel mondo: è essa che fonda la salvezza cristiana e la divinizzazione dell’uomo. Appellarsi ai dogmi cristologico e trinitario, in questo contesto, serve a considerare la forma di due istanze fondamentali per tutta la riflessione cristiana — “Duo tota fidei cognitio versatur: scilicet circa Divinitatem Trinitatis, et humanitatem Christi. Nec mirum: quia Christi humanitas via est qua ad Divinitatem pervenitur” (Tommaso d’Aquino, Compendium theologiae, I, 2) —, e nel caso specifico per la tenuta del rapporto dire-fare, bisogna che sia custodito relazionalmente, in obbedienza al principio di distinzione (persona e Trinità), e quello di unità (Persona e nature in Cristo). In fondo prosopon-persona, significa volto, e la sua essenza è relazionale, di sguardo, di riconoscimento, in sospensione-promessa di alterità.

Tornando al libro di Manuel Belli, il suo contenuto ci pare ricavi forza dalla verifica dei passaggi sopra indicati, secondo la piacevole (anche se a tratti ammiccante), sciolta, leggera, ma non superficiale, sequenza narrativo-esplicativa dei “piccoli paradossi eucaristici”, della ripresa del tema della transustanziazione secondo una retrotopia avveniristica (la tradizione e le sue potenzialità ancora inespresse), delle “variabili” dell’iniziazione cristiana, della crisi della confessione, dell’esigenza di contemporaneizzare (nella dinamica di fedeltà-autenticità veritativo-esistenziale) il ministero ordinato e il matrimonio.


G. Bonfrate, in Gregorianum vol. 101 (2020/2) 488-489

Il testo di Manuel Belli – docente di Teologia dei sacramenti presso il Seminario di Bergamo – offre una serie di contributi perspicaci e mai banali attorno ad alcuni nodi teologici che spingono, sia la riflessione teologica sia la prassi pastorale, a una rivisitazione coraggiosa della forma mentis trasmessa nel campo della teologia dei sacramenti.

Anche se non sempre del tutto omogenei tra di loro – ma l’A. già lo ammette nelle righe dell’Introduzione – i singoli contributi intendono dissotterrare la complessità della vicenda liturgico-sacramentale avendo come punto di fuga l’idea del paradosso come «discorso apparentemente accettabile che muove da premesse apparentemente accettabili, ma giunge a conclusioni inaccettabili» (p. 58). La chiave ermeneutica scelta permette in questo modo di visualizzare plasticamente le molte fratture che qua e là minano l’edificio del settenario sacramentale, e che possono essere ricondotte sinteticamente allo iato che ancora persiste tra ciò che è evocato e annunciato nella forma rituale del sacramento e ciò che realmente è agito nella liturgia. L’incrinatura tra «ciò che è detto» e «ciò che è fatto» investe un po’ tutti i sacramenti, ma in modo rappresentativo ed esemplare il sacramento dell’eucaristia: la semantica del sacramento dello «spezzare il pane», del nutrimento e del cibo, dell’ascolto comunitario della Parola, della partecipazione actuosa, finanche della «presenza reale» è costantemente tradita da una prassi liturgica che “dice ma non fa”, riduce la celebrazione eucaristica ad atto devozionale e privato, fa saltare spesso e volentieri la dinamica dialogica tra il presbitero e i fedeli, blocca il potenziale evocativo dei gesti entro un “minimo necessario” dettato da esigenze di efficienza più che di efficacia.

Il lettore, aiutato da uno stile di scrittura scorrevole e sintetico, potrà accorgersi della pertinenza dell’analisi condotta acutamente dall’A. anche per quanto riguarda gli altri sacramenti affrontati nel testo. Solleva qualche perplessità il contributo decimo sulle Statiche e dinamiche matrimoniali, un po’ troppo sintetico nelle molte questioni accennate: difficilmente, in questo caso, si può intravedere nell’insistenza sulla forma rituale del sacramento una soluzione a un nodo oggettivamente complicato, non solo nella riflessione teologica, ma anche nella vita concreta degli sposi. Probabilmente la categoria ermeneutica del paradosso, come del resto ogni chiave interpretativa, ha anche i suoi limiti. La figura linguistica del paradosso, infatti, ha il compito di bloccare per un istante il pensiero, e di ammutolire chi vi si espone. La fede cristiana, nella riflessione teologica e nella prassi pastorale, vive senz’altro alcuni paradossi, ma esige pure qualche risposta e decisione.

L’analisi offerta da M. Belli offre senz’altro un contributo molto valido all’analisi e alla riflessione dei nodi teologici presentati, e ci lascia intuire un’evoluzione matura in qualche proposta futura. Il testo può essere suggerito come lettura provocante per chi intraprende gli studi teologici, ma senz’altro è accostabile anche da operatori pastorali più attenti alla dimensione liturgica della fede cristiana.


F. Frigo, in Studia Patavina 2/2019, 380-381

Qualche domenica fa, mia figlia di 8 anni, a un certo punto della Messa, mi ha sussurrato: «Papà, ma se il prete ha detto che quella che ha nel calice è una bevanda di salvezza, perché la beve solo lui?». Ora, tra darle spiegazioni sociologiche (l'igiene o l'economia vengono prima della salvezza?) e storiche (Jan Hus e l'utraquismo?) ho scelto la sincerità: «Non lo so».

Poche realtà, come la pratica dei sacramenti, evidenziano così bene uno dei problemi principali dell'esperienza credente attuale: abbiamo ottime ragioni, basate su premesse accettabili e logiche, per giustificare molte delle nostre azioni, il cui risultato è tuttavia inaccettabile e spesso anche insensato. «I sacramenti, prima di essere pensati, sono celebrati: la loro natura è nell'ordine dell'azione», commenta Manuel Belli, professore di Teologia sacramentaria al Seminario di Bergamo e formatore nel Seminario, eppure in molti casi «ciò che si pensa, ciò che si dice e ciò che si fa non sono sulla stessa lunghezza d'onda. La dissonanza diventa paradossale perché si dice ciò che non si fa e si fa qualcosa che non si dice».

Merito di questo volume è presentare con chiarezza e cortesia un elenco variegato di questi luoghi «paradossali». Tra gli altri: la pastura durante l'assemblea eucaristica fatta per evitare proprio la prossimità cui siamo chiamati, il pane spezzato e il vino condiviso che non lo sono quasi mai, l'ascolto comune della Parola diventata lo studio individuale del foglietto, lo squilibrio fra i tempi di silenzio e le azioni... Allo stesso modo viene descritto il «rompicapo dell'iniziazione cristiana»: l'attuale ordine di accesso ai sacramenti ha molte motivazioni singolarmente sensate e plausibili, peccato che inneschi problemi giganteschi nel suo insieme (non tanto ai teologi quanto alle parrocchie e alle coscienze).

Seguono alcune interessanti spigolature sulla confessione (e sull'aspetto penitenziale della vita credente), sull'ordinazione e sul matrimonio, altri luoghi in cui è sperimentabile il paradosso della dissociazione tra formazione, teologia, spiritualità e pratica, al di là della retta intenzione e della buona volontà dei singoli.

Belli ripete che «l'assenza di immediate risposte è il limite dichiarato di queste pagine». In realtà vengono abbozzate tre tracce di lavoro: la necessità di una teologia che faccia propria la lezione della fenomenologia; una nuova sincronia fra teologia e liturgia; il coraggio di intraprendere nuove soluzioni formative. È solo un accenno, è vero, ma forse servono anche studi come questo, che mostrino con garbo e precisione la gravità raggiunta dalla situazione, piuttosto che continuare a dare risposte esatte a domande sconnesse con la vita credente – soprattutto quella celebrata – ma restando senza parole di fronte agli interrogativi davvero reali.


M. Ronconi, in Jesus 4/2019, 90-91

I sacramenti sono una realtà complessa sotto tutti i punti di vista: prassi sacramentale, teologia, definizioni, soluzioni pratiche si uniscono in maniera così stretta che generano alle volte veri e propri paradossi, molti dei quali emersi con la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Non si può nascondere che ci siano aree problematiche e paradossali, sia nel sistema sacramentale, preso nel suo complesso, sia nei singoli sacramenti.

In questo filone di riflessione si inserisce il testo di Manuel Belli, presbitero della diocesi di Bergamo e docente di teologia dei sacramenti presso il seminario diocesano. L'Autore mette a nudo diversi paradossi presenti nella prassi e nella teologia dei sacramenti, ma offrendo più piste di ricerca ulteriore che soluzioni vere e proprie. Un pregio del testo è l'unire un buon fondamento scientifico con un linguaggio comprensibile, e a volte anche simpatico. Il libro, nato dall'insegnamento in seminario e dal dialogo con gli operatori pastorali, raccoglie e rielabora diversi articoli pubblicati per lo più in riviste specializzate.


A. Passiatore, in La Vita in Cristo e nella Chiesa 4/2019, 62

L’autore insegna Teologia dei sacramenti presso il seminario di Bergamo. Qui affronta con grande coraggio i sacramenti per leggerli nelle problematiche più attuali, tenendo presente il cammino storico di ogni sacramento. Lettori privilegiati i parroci, ma per le pagine destinate con molta lucidità all’iniziazione cristiana anche ai catechisti più preparati.
In Dossier Catechista 4/2019, 60

Una caccia agli elementi paradossali dei sacramenti cristiani: è l’intento del vol. di un giovane sacerdote, docente di Teologia dei sacramenti presso il seminario di Bergamo, nato dall’insegnamento e dal continuo dialogo con i diversi operatori pastorali. Con felice penna, l’a. delinea le vicissitudini che hanno accompagnato il processo secolare che ha avuto come esito finale la definizione di sacramento. La prassi, le questioni nate riflettendo sui riti hanno come esito finale la scoperta di problematiche come quella, ad esempio, affrontata nel c. dedicato alla preparazione dei bambini alla prima comunione.
D. Segna, in Il Regno Attualità 4/2019, 95

L’autore, giovane professore di teologia sacramentaria, ci offre in questo libro una stimolante riflessione sui paradossi e rompicapi celebrativi. Dopo un primo e breve capitolo dedicato a “come sta la riforma liturgica”, il resto dei capitoli affrontano tematiche su alcuni sacramenti: l’eucaristia (cap. 2o), l’iniziazione cristiana (cap. 5o-7o), la confessione (cap. 8o), il ministero ordinato (cap. 9o), il matrimonio cap. 10o). Il tutto si chiude con “Quasi una conclusione”.

La riforma liturgica (cap. 1o) più che un punto di arrivo, è un punto di partenza. Ridotta a una rivisitazione dei testi, essa termina il suo compito con l’edizione dei libri. In questo contesto, l’autore denuncia giustamente la deriva di carattere intellettualistico nella pratica liturgica: il rito sarebbe qualcosa da capire e quindi si moltiplicano le spiegazioni. Da un lato il rito è esposto a una sua riduzione minimale e dall’altro si sviluppa un pensiero didascalico che vede nel rito semplicemente la sua occasione. Non si tratta di dichiarare una “non pensabilità” dei riti, ma di adottare una forma di pensiero del complesso delle questioni rituali in gioco.

Nel cap. 2o sono analizzati i paradossi di cinque momenti della celebrazione eucaristica. L’autore si pone questo interrogativo: che ne è di un rito che “si fa” quando viene pensato come qualcosa che “si dice”? L’eucaristia è fatta dalla Chiesa e realizza la Chiesa in un rito in cui i credenti attestano di essere fisicamente convocati, ma osservando la gestualità dell’assemblea liturgica, la celebrazione sembra piuttosto una somma di individualità che partecipa all’atto liturgico più che un corpo ecclesiale che celebra il mistero della propria unità. Così, ad esempio, la dislocazione spaziale in chiesa non raramente denota alcuni “privati” che assistono ad una celebrazione più che ad un corpo ecclesiale che celebra insieme l’eucaristia.

Gli altri momenti della celebrazione della messa analizzati sono: l’atto penitenziale (raramente l’esame di coscienza dura più di una decina di secondi); l’ascolto delle letture (la disponibilità dell’intera assemblea del libro liturgico non la rende un popolo in ascolto, ma una somma di singoli che studia); la presentazione dei doni del pane e del vino (una battuta: ci vuole più fede a credere che il pane eucaristico sia pane, che non a credere che in quel pane ci sia Cristo!); la frazione del pane (dovrebbe esprimere la condivisione del medesimo, ma si riduce a spezzare a metà la particola del prete, che poi lui stesso consuma).

Non è facile riassumere i due impegnativi capitoli sulla transustanziazione (3o) ed i plurali linguaggi di presenza (4o). La dottrina della transustanziazione richiede numerosissime spiegazioni previe (e non sempre condivisibili) degli strumenti metafisici evocati, in quanto non evidenti. Dopo Cartesio, parlare di sostanza non è più lo stesso che ai tempi di Tommaso d’Aquino. Far diventare la transustanziazione l’unico discorso cristiano sull’eucaristia è limitante. L’eucaristia è prima di tutto un atto liturgico, e quest’ultimo è luogo della presenza di Cristo, non è semplicemente l’occasione della transustanziazione.

Il cap. 5o sulla prima comunione dei bambini, il “rompicapo dell’iniziazione cristiana” (cap. 6o) e lo specifico della confermazione (cap. 7o) si inseriscono in un dibattito di una certa attualità, soprattutto in Italia. Come ricuperare la prassi catecumenale antica? Ordine o disordine della celebrazione dei tre sacramenti dell’iniziazione? Andrea Grillo propone di tornare alle evidenze rituali e antropologiche: nella Chiesa si entra essendo lavati nel battesimo, profumati nella cresima, nutriti nell’eucaristia.

Sulla crisi della confessione (cap. 8o) si afferma che la contrazione del sacramento della penitenza nella coppia “confessione-assoluzione” ha generato anche una sua insignificanza. La penitenza non è tutta nel confessionale e quindi non basta ricondurre ad esso i fedeli. La penitenza è la vita cristiana tout court, letta sotto il profilo della lotta continua con ciò che non è secondo il vangelo di Cristo.

Sui “disordini del ministero ordinato” (cap. 9o), il Vaticano II ha espresso l’idea che il presbiterato si concretizza nell’entrare a far parte del presbiterio (cf. LG 28; PO 8). Il ministero del presbitero, dunque, non può essere pensato al singolare. Con lo svilupparsi del cristianesimo rurale, il numero dei presbiteri aumentò e le forme di collegialità cambiarono. Le immagini del presbitero che si svilupparono iniziarono ad essere individuali. Ecco quindi un primo nodo paradossale del ministero ordinato: teologicamente plurale, di fatto singolare.

Il matrimonio (cap. 10o) ha condiviso la sorte di tutti gli altri sacramenti: la teologia infatti ha prodotto una riflessione sulle categorie di comprensione dei sacramenti stessi, trascurando ciò che del sacramento è l’elemento più evidente, ossia la sua forma rituale. La rimozione del rito del matrimonio, la poca cura per l’aspetto esistenziale del matrimonio e le difficoltà in termini di reintegrazione delle situazioni ferite appartengono ad un’unica logica, ossia il difficile accostamento di storia e verità. L’idea del matrimonio come “sacramento naturale” non deve porre in contrapposizione natura e storicità.

Il prof. Manuel Belli afferma che ha scritto un libro di domande più che di risposte. La lettura però del suo libro, di cui ho tracciato una superficiale sintesi, è fortemente salutare per evitare gli errori e aprire il cammino alle risposte.


M. Augé, in Munus: Liturgia e dintorni. Blogspot 18 novembre 2018

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