La lettura di questo libro, primariamente, è un’occasione, non limitata all’ambito liturgico, per riflettere. Ponendo la relazione, tra dire e fare, tra “verità” sacramentale e rito, si indica la necessità di recuperare serenamente, le potenzialità, espresse e inespresse, della dimensione pastorale (teoretico-pratica), che pervade il Concilio Vaticano II, senza sottovalutare la sua portata riformatrice. Nello specifico, Sacrosanctum concilium, sensibilizzando a rileggere la dimensione rituale sotto il segno di evento, ha addensato nel fare il precipitato della relazione dottrina-storia, quest’ultima intesa come epifania della libertà e delle sue inedite sinergie con la Grazia. Sensibilità che attraversa il primo Millennio cristiano compendiato dall’esemplare sintesi di Agostino che vede nella fede eucaristica la fede e la promessa del e nell’umano: «vuoi comprendere [il mistero] del corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: Voi siete il corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12, 27). Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete» (Discorso 272).
Mai senza, dunque: mai dottrina senza carne, senza vita, senza storia, fedele al principio raccolto dal Dogma di Calcedonia (451), che stabilisce l’essenzialità della relazione delle due nature, umano-divina nel dogma cristologico, senza confusione, cambiamento, divisione, separazione. Già Tertulliano che commenta Gv 10,6, «Io e il Padre siamo una cosa sola», introduce il valore della persona distinta, indicando l’unità in dialogo (Adversus Praxean, 22, 10). Ed egli, così, inoltre, anticipò la precisa elaborazione del concetto di condizione distinta (umana e divina) congiunta e non confusa nell’unica persona, riferendosi a Dio e all’uomo Gesù (Adversus Praxean, 27, 11). La forza dinamica della definizione di Calcedonia, propulsiva e pervasiva l’intera teologia troverà in Grigorij Florovsky il convinto assertore che la sua ricchezza doveva essere riconosciuta ed estesa alla totalità della tradizione credente (The Lost Scriptural Mind, in Collected Works of Gregorges Florovsky, vol. 1, Belmont, Mass. 1972, p. 24).
Sul piano trinitario, il mai senza, si conferma come principio necessario alla comprensione di quanto espresso dal XI Concilio di Toledo (cfr. DH 528), riguardo la comunione (delle persone) trinitaria come relazione. E “senza confusione”, riferendosi evidentemente alle due nature, affermando l’autentica umanità del Cristo, inclusivamente rende testimonianza alla trascendenza di Dio “senza divisione”, proclamando l’unione profondissima ed irreversibile di Dio e dell’uomo nella persona del Verbo. Nello stesso tempo si proclama la piena immanenza di Dio nel mondo: è essa che fonda la salvezza cristiana e la divinizzazione dell’uomo. Appellarsi ai dogmi cristologico e trinitario, in questo contesto, serve a considerare la forma di due istanze fondamentali per tutta la riflessione cristiana — “Duo tota fidei cognitio versatur: scilicet circa Divinitatem Trinitatis, et humanitatem Christi. Nec mirum: quia Christi humanitas via est qua ad Divinitatem pervenitur” (Tommaso d’Aquino, Compendium theologiae, I, 2) —, e nel caso specifico per la tenuta del rapporto dire-fare, bisogna che sia custodito relazionalmente, in obbedienza al principio di distinzione (persona e Trinità), e quello di unità (Persona e nature in Cristo). In fondo prosopon-persona, significa volto, e la sua essenza è relazionale, di sguardo, di riconoscimento, in sospensione-promessa di alterità.
Tornando al libro di Manuel Belli, il suo contenuto ci pare ricavi forza dalla verifica dei passaggi sopra indicati, secondo la piacevole (anche se a tratti ammiccante), sciolta, leggera, ma non superficiale, sequenza narrativo-esplicativa dei “piccoli paradossi eucaristici”, della ripresa del tema della transustanziazione secondo una retrotopia avveniristica (la tradizione e le sue potenzialità ancora inespresse), delle “variabili” dell’iniziazione cristiana, della crisi della confessione, dell’esigenza di contemporaneizzare (nella dinamica di fedeltà-autenticità veritativo-esistenziale) il ministero ordinato e il matrimonio.
G. Bonfrate, in
Gregorianum vol. 101 (2020/2) 488-489