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Presenza reale
Manuel Belli

Presenza reale

Filosofia e teologia di fronte all’eucaristia

Prezzo di copertina: Euro 18,00 Prezzo scontato: Euro 17,10
Collana: Nuovi saggi 103
ISBN: 978-88-399-1063-9
Formato: 12 x 20 cm
Pagine: 288
© 2022

In breve

Riprendendo la critica di Romano Guardini, occorre chiedersi: formule e concetti ci hanno forse precluso la visione della realtà nella sua interezza e nella sua freschezza?

Descrizione

L’affermazione di Gesù «Questo è il mio corpo», detta di un pezzo di pane azzimo, è in sé folle, paradossale. Per i cristiani ha comprensibilmente rappresentato, lungo la storia, un vero e proprio rovello: come pensare la “presenza reale” di Cristo nel pane eucaristico? La formalizzazione teologica della dottrina della transustanziazione (pane e vino cambiano sostanza, diventando corpo e sangue di Cristo) è giunta al termine di un percorso, non lineare, ricco di sfumature, sottolineature e sfide enormi per il pensiero. E ancora oggi ci si chiede: che cosa significa dire “presenza”, “realtà” e “corpo”? Per rispondere, occorre frequentare un dibattito filosofico straordinariamente ampio, che indaga quei tre ambiti.
Il saggio di Belli si pone sul crinale fra teologia e filosofia. In una prima parte propone una ricostruzione del dibattito medievale delle dispute eucaristiche, muovendo alla ricerca della pluralità dei linguaggi in cui esso si è espresso. Successivamente avvia il confronto con il mondo filosofico, in particolare quello di matrice fenomenologica, per comprendere i possibili arricchimenti reciproci fra teologia e filosofia. E scoprendo che la teologia eucaristica sfida la filosofia ad ampliare la nozione stessa di corporeità.

Recensioni

Il saggio di M. Belli si inserisce in quell’ambito della ricerca teologica animata dalla domanda fondamentale: come pensare la “presenza reale” di Cristo nel pane eucaristico? Il punto di partenza è l’indagine delle dispute eucaristiche medievali. L’A. sostiene che le questioni che hanno acceso il dibattito eucaristico nel Medioevo presentano interrogativi e linguaggi che possono istruire con particolare fecondità il dibattito contemporaneo, sia teologico che filosofico. Il tema delle controversie eucaristiche, infatti, non ha solo un interesse di natura documentale, ma alla scuola delle dispute medievali si forgiano strumenti filosofici di pensiero della realtà che non smettono di manifestare attualità e di proporre la loro complessità (cf 6).

Il percorso tracciato da Belli – come egli stesso afferma nell’introduzione – ha tre anime che rappresentano tre possibili modalità di lettura: prima di tutto si tratta di una ricerca di natura teologica; in secondo luogo, il lavoro presenta un’anima prettamente filosofica. Le dispute eucaristiche, infatti, sono state studiate da una prospettiva filosofica che ha permesso di esplicitare le opzioni epistemologiche e ontologiche di fondo; l’ultima anima è di natura didattica e pastorale. La comprensione dell’eucaristia è una delle aree teologiche dove l’intreccio con la filosofia si fa più esplicito e serrato. Non è possibile, ad esempio, studiare l’eucaristia senza considerare la metafisica, la ritologia e la filosofia del corpo. Non è possibile entrare nei problemi delle controversie eucaristiche senza esplicitare gli strumenti filosofici impiegati nell’ermeneutica credente. Le dispute eucaristiche, a partire da quella di Pascasio e Ratramno, hanno rappresentato una formidabile fucina di concetti, idee, impianti teorici. «Ma cosa è realtà? E cosa è simbolo? E a quali condizioni si istituisce l’evidenza? […] Della ricchezza del dibattito, passando il Rubicone in direzione opposta, anche la filosofia potrebbe giovarne?» (50).

Particolarmente interessante risulta il capitolo IV del saggio, interamente dedicato alla metafisica e alla teologia eucaristica di Tommaso. L’analisi delle dispute eucaristiche (Pascasio e Ratramno, Lanfranco e Berengario), lascia aperta una domanda: come articolare le convinzioni che “corpo” si dice solo in senso univoco e fisicista (senza possibilità di riletture simboliche) e che l’eucaristia, che continua ad avere le apparenze del pane, è vero corpo? (cf 151). Entra in scena la categoria di sostanza intorno alla quale si concentra lo sforzo speculativo basso-medievale e l’Aquinate rappresenta colui che offre lo strumentario filosofico più raffinato e rigoroso per pensare all’idea di un cambio di sostanza (dottrina della transustanziazione).

La riflessione tomista, anche in ambito della sacramentaria, mostra come la teologia può esprimersi grazie alla filosofia e come la filosofia possa essere provocata e ampliata dal sapere teologico. In Tommaso vediamo che la metafisica sembra giungere ai confini delle proprie capacità espressive. «L’eucaristia sembra una realtà di una complessità tale da condurre ai limiti dell’ontologia, invocando un oltrepassamento e un cambio formale» (13). “Questo è il mio corpo”. L’affermazione di Gesù Cristo, che parla del proprio corpo indicando del pane, si inserisce nella grande complessità dell’esperienza del corpo e della corporeità, una esperienza che non si esaurisce alla carne, ma richiede di tematizzare la portata simbolica della carne stessa (cf 14).

L’ultima parte del saggio, in maniera sintetica, indica le direzioni per una indagine tanto filosofica quanto teologica sull’eucaristia. Non è sufficiente che la teologia eucaristica, specie per quanto riguarda le categorie di comprensione della presenza reale di Cristo, ricorra alla filosofia e ai suoi strumenti per favorire una spiegazione del “dato” posto dalla teologia. Occorre uno scambio più fecondo. È vero che la Rivelazione precede ogni teologia, tuttavia il rapporto della teologia con la filosofia è strutturalmente necessario: «quando si intende produrre un sapere critico sulla fede non è possibile farlo senza le forme rigorose del pensiero» (220).

L’eucaristia provoca gli strumenti filosofici portandoli a pensieri inediti. Le tematiche eucaristiche di presenza e di corpo sono filosoficamente importanti e possono innescare nuovi frutti filosofici. L’A. presenta la pertinenza della fenomenologia di J.L. Marion, che legge l’eucaristia alla luce della categoria del “fenomeno saturo” e della parola chiave di “donazione”, e quella di E. Falque, che al “fenomeno saturo” sostituisce l’idea di “fenomeno limitato” (cf 239-248). Interessanti le piste aperte: circolarità, in gran parte inesplorata, tra ritualità e fenomenologia; il tema della intersoggettività e di una presenza che è reale non solo perché sostanziale (metafisica della sostanza), ma in quanto interpellante (metafisica della presenza); integrazione del sapere eucaristico con una fenomenologia della presenza, della corporeità e del vissuto rituale del corpo di Cristo e del suo rapporto con l’evento istituente.

Il lavoro di Belli è molto interessante perché dal confronto della teologia eucaristica con il mondo filosofico, specie quello di matrice fenomenologica, si scopre quanto la teologia eucaristica sfidi la filosofia ad ampliare la nozione stessa di corporeità. Non solo la filosofia con i suoi strumenti può aiutare la teologia, ma anche l’eucaristia, con la sua non marginale ritualità, può aiutare la filosofia a non smarrire la complessità della corporeità, del corpo e della carne.


A. Porreca, in Rassegna di Teologia 3/2023, 419-420

Lo studio dei dibattiti medievali sull'eucaristia, significativo per ricostruire l'evoluzione della coscienza di fede sul tema della presenza reale, rappresenta anche un ambito nel quale si sono forgiati «strumenti filosofici [...] che non smettono di manifestare attualità e di proporre la loro complessità» (p. 6). Questa è l'ipotesi sviluppata nel recente studio di M. Belli, prete della diocesi di Bergamo, docente di teologia sacramentaria, assai attivo anche su Youtube. Dopo un'ampia ricostruzione dei dibattiti, da Pascasio e Ratramno fino a Tommaso d'Aquino, passando per il confronto tra Berengario e Lanfranco, Belli si interroga sulle direzioni possibili per un'indagine sia teologica che filosofica sull'eucaristia.

L'attitudine di fondo della teologia non può che essere quella dell'obbedienza nei confronti della storia di Gesù, l'«evento in cui la verità assoluta, in forma personale, ha rivelato se stessa» (p. 220); tuttavia, per riflettere in modo critico sulla rivelazione, la teologia non può fare a meno di ricorrere alle forme rigorose del pensiero. La filosofia, invece, non è tenuta a rivolgersi alla filosofia, il che non significa che non possa farlo, come documenta l'interesse verso l'eucaristia coltivato da autori quali Jean-Luc Marion, Jean-Yves Lacoste, Michel Henry ed Emmanuel Falque. E tuttavia l'intrecciarsi di teologia e filosofia nella riflessione sull'eucaristia ha radici antiche: in effetti, «da Pascasio a Tommaso l'eucaristia ha provocato gli strumenti filosofici portandoli a pensieri inediti e spingendo la metafisica ad ampliare il campo della propria indagine» (p. 221). Emblematica in proposito è la trattazione che l'Aquinate dedica alla transustanziazione, nella quale Tommaso si serve in modo competente degli strumenti offertigli dalla metafisica aristotelica, pronto però a sovvertirli nel momento in cui l'accadere della verità dell'eucaristia chiede di modificare le categorie filosofiche. D'altra parte, le riflessioni scolastiche non danno spazio all'eucaristia intesa come azione celebrativa. Ecco perché, quando la teologia del XX secolo comincia a occuparsi del sacramento celebrato, si rende conto di non poterlo fare con le categorie ontologiche legate a un sistema «in cui non c'è posto per una verità che accade» (p. 211). Proprio il carattere di accadimento/evento come qualificante la verità rappresenta l'elemento di convergenza tra i pionieri del movimento liturgico (Casel e Guardini), che richiamano il profilo attivo e celebrativo del sacramento, e le proposte di filosofi francesi (Marion e Falque, soprattutto), che mettono a tema l'eucaristia, senza però dedicare adeguato spazio al profilo celebrativo dell'eucaristia stessa.

A partire dal quadro così delineato, Belli rileva anzitutto che «la questione dell'evidenza della verità non è separabile dall’evenemenzialità» (p. 248): la verità cioè non si dà se non come evento. Ciò è particolarmente chiaro nel gioco caso dell'eucaristia, che va riproposta nel suo carattere rituale. In quanto irriducibile ai sistemi concettuali che cercano di afferrarla, la ritualità, per sua natura, richiede un pensiero fenomenologico. Così «tra ritualità e fenomenologia si istituisce una circolarità, in gran parte ancora inesplorata. La fenomenologia offre una descrizione eidetica del rito, che addirittura potrebbe assurgere a cifra sintetica dell'agire umano [..]. Ma il rito giudica la fenomenologia, ne mette in luce gli equilibri (e qualche volta i disequilibri)» (p. 252).

Un altro tema sviluppato dalla fenomenologia - quella husserliana in particolare - e che può intercettare la teologia eucaristica è la questione dell'intersoggettività. Dato che il soggetto corporeo non è isolato ma vive e opera in mezzo ad altri soggetti, la presenza dell'altro ha come riflesso inevitabile la modificazione di se stessi. Questa acquisizione consente di evidenziare che, in riferimento alla presenza eucaristica di Cristo, «ogni metafisica della sostanza serve a garantire teologicamente la non illusorietà dell'incontro» (p. 254), ma assicura solo l'inizio della dinamica della presenzialità. Il farsi presente di Cristo nelle specie eucaristiche, infatti, non è fine a se stesso, ma interpella la coscienza di chi entra in rapporto con l'eucaristia. Ed è l'atto liturgico la modalità con cui si attua la relazione tra la presenza eucaristica di Cristo e il soggetto credente. D'altra parte, il carattere interpellante della presenza eucaristica è un dato «che la filosofia può assumere per comprendere ancora meglio [...] il fecondo tema dell'intersoggettività» (p. 255).

L'ultimo tratto del percorso è dedicato al tema della corporeità: da un lato, una più pertinente definizione del corpo, elaborata dalla filosofia, può contribuire a decifrare l'affermazione di Gesù: «Questo è il mio corpo»; dall'altro, l'esperienza di corporeità legata all'eucaristia «custodisce elementi in grado di istruire la più complessiva tematizzazione del fenomeno complesso della percezione corporea» (p. 15). A partire dalla celebre distinzione husserliana tra corpo come materialità e oggettualità (Körper) e corpo come luogo della percezione di sé e condizione di ogni percezione (Leib), Belli osserva che «l'impianto concettuale medievale impiegato per comprendere l'eucaristia risulta piuttosto concorde nel pensare alla verità del corpo come organismo» (p. 261), cioè come Körper. Potrebbe invece «essere il tempo di leggere l'eucaristia non solo come la presenza del corpo-oggetto di Cristo, ma come la possibilità di entrare nel suo Leib» (p. 261), cioè nel modo in cui Egli esperisce il proprio corpo. In questa linea, nel cenacolo Gesù, cosciente di avviarsi verso una fine tragica, dispone di sé e del proprio corpo, offrendo nelle parole sul pane e sul calice la chiave di lettura di tutta la sua vita, nonché della passione che di lì a poco segnerà il suo corpo. E l'eucaristia è proprio quel corpo in quanto donato, quel corpo che soffre la passione per restare fedele all'amore. C'è «una evidente consonanza tra l'oblatività di Cristo e la simbolicità di un pane spezzato e condiviso [...]. Il pane spezzato e il corpo crocifisso sono l'uno lo specchio dell'altro, appartenenti all'unico movimento corporeo dove l'amore non è meno reale della presenza» (p. 264).

In conclusione, la domanda su cosa sia un corpo - domanda che l'eucaristia da due millenni pone alla teologia - risuona anche nella riflessione dei filosofi. Sul versante teologico, il tema della corporeità non va reificato, per cui il dato di fede della presenza reale del corpo di Cristo va integrato con «una fenomenologia del vissuto rituale del corpo di Cristo» (p. 265). D'altra parte, «ciò che il corpo/rito di Cristo esprime in un grado particolarmente elevato di solennità non è estraneo ai vissuti ordinari di corporeità» (p. 266), per cui può costituire uno stimolo affinché la riflessione filosofica non smarrisca la complessità della corporeità, rifuggendo da un immanentismo che finisce per dissociare la corporeità dai suoi significati.

Quello di Belli è un contributo indubbiamente stimolante nel suo indicare l'eucaristia come lo snodo dove si intrecciano in modo fecondo impegno teologico e riflessioni filosofiche.


P. Caspani, in La Scuola Cattolica 1/2023

Fin dal titolo, è evidente che il testo di Manuel Belli – presbitero e docente di Teologia sacramentaria del Seminario di Bergamo – vuole porsi nell’intreccio tra istanze filosofiche, teologiche e pastorali. La questione dell’approccio filosofico e teologico è esplicitata fin dalle prime pagine, nel tentativo di superare una certa indifferenza reciproca, oltre una rappresentazione per la quale la teologia si servirebbe della filosofia come strumento di indagine – non rispettandone lo statuto fondamentale in quanto essa già ha una soluzione, quella credente – e per lo stesso motivo la filosofia andrebbe avanti per conto suo. Belli afferma invece che è tempo di una nuova posizione di interesse comune in una sorta di reciproco oltrepassamento del Rubicone. L’attenzione pastorale non influenza il tenore delle argomentazioni, che si mantengono a un livello tecnico – forse anche troppo per chi si aspettasse un testo divulgativo, risultando invece assolutamente pertinenti e spesso inedite anche per gli «addetti ai lavori» –, quanto piuttosto ne è l’orizzonte finale: un dialogo fecondo tra teologia e filosofia in merito al sacramento dell’eucaristia può restituire alla riflessione teologica un equilibrio da cui trarrebbe giovamento l’attenzione pastorale all’eucaristia.

Questo particolare punto di vista trova concreta attuazione in un’operazione che va a strutturare il testo stesso (p. 33): indagare negli autori medievali l’intreccio soggiacente tra istanze filosofiche e teologiche (c. 2 «Pascasio e Ratramno»; c. 3 «Lanfranco e Berengario»; c. 4 «Tommaso»), fino a rendere legittimo un approccio fenomenologico all’eucaristia che sia al contempo nuovo ma in una certa continuità metodologica con la riflessione classica (c. 5 «Scenari fenomenologici»). Operazione tanto delicata – in quanto richiede contemporaneamente inserimento nel contesto storico, teologico e magisteriale, conoscenza approfondita dei testi, consapevolezza della storia degli effetti, applicazione di chiavi di lettura inedite – quanto ben perseguita: la presentazione che Belli fa degli autori medievali è sintetica ed esaustiva e soprattutto non rimane rinchiusa entro letture stereotipate, ponendo domande che interrogano sia il testo antico che la contemporaneità: che cosa si ritiene essere la veritas? Che cosa si intende per corporeità? Che posto ha la riflessione sul rito? Come è pensato il segno rispetto alla verità?

Difficile entrare nel merito delle questioni, ci può bastare questa sintesi (pp. 111-112) «Sia Pascasio sia Ratramno rispondono evocando un nuovo dispositivo concettuale, ossia l’idea che il cambiamento sia da intendere spiritualiter, e che quindi il pane e il vino che si vedono non sono il tutto della realtà eucaristica, bensì siano semplicemente figura. A questo livello si istruisce la maggiore differenza tra i due: per Pascasio il fatto che l’eucaristia sia un cambiamento “spirituale” significa che l’onnipotenza di Dio è in grado di generare una realtà corporaliter invisibile sotto la figura del pane e del vino. Viene così a costituirsi una nuova entità in due livelli simultanei: la figura del pane e del vino visibile e la veritas del corpo di Cristo invisibile. [...] Ratramno propone una soluzione differente “sdoppiando” la realtà. Non è possibile che una realtà sia intesa spiritualiter e corporaliter simultaneamente: la corporeità ha delle caratteristiche che non possono in nulla essere assimilate all’eucaristia. Il pane e il vino eucaristici sono solo pane e vino visibilmente, mentre grazie alla consacrazione divengono figura del corpo e sangue di Cristo spiritualmente, ma non coincidono col corpo storico».

Interessante la presentazione della teologia eucaristica di Tommaso per la sintesi esaustiva, anche se non inedita nei contenuti. Innovativa, invece, e onestamente audace la sottolineatura della metodologia dell’uso tommasiano dello strumento filosofico in ambito sacramentario (p. 184): «La filosofia non è meramente asservita alla teologia, vi è una complessità epistemologica: l’ordine naturale, in quanto voluto da Dio e indagato dalla filosofia, ha già rilevanza teologica. La filosofia, in questo senso, non è ancilla theologiae, né la teologia ha alcunché di servile nei confronti della filosofia. Ciò che legittima è più a monte: la convinzione che né la teologia né la filosofia dispongono della verità, il cui carattere è manifestativo. Teologia e filosofia tematizzano una verità che le precede e di cui si presentano come forme critiche del sapere». Per questo lo stile del pensiero di Tommaso è riconosciuto come fenomenologico: la verità è accessibile nel suo profilo di donazione, teologica o filosofica che sia. Tommaso è pensatore del limite. Per la sua gnoseologia la sensibilità è sempre necessaria per la conoscenza. Anche la metafisica si muove entro i limiti della sensibilità: i sacramenti si muovono entro questa teoria dell’occasione sensibile. Il limite è riconosciuto come luogo dell’istituzione dell’antropologia stessa. «La filosofia, la teologia e la rivelazione condividono un medesimo luogo di istituzione che è l’umano» (p. 222).

Belli (p. 214) si auspica che nella rivalutazione fenomenologica del corpo ci sia un superamento di Tommaso portando avanti la sua istanza ante litteram fenomenologica di andare alle cose, di dare il primato alla realtà, così come si manifesta alla fede, ma al contempo tornando a considerare l’eucaristia come evento rituale, cosa per la quale la metafisica si è rivelata non più adeguata.

Il caso-sacramento ha interpellato la filosofia stimolandola verso pensieri inediti, ampliando i campi della propria indagine. Presenza e corpo sono due parole gravide di significato nella storia degli effetti della fenomenologia. Potrebbero essere esse il medium umano che mette accanto teologia e filosofia, alla ricerca di una reciproca nuova fruttuosità?

Il testo di Belli si avvicina in questa sezione finale al suo precedente Caro Veritatis Cardo nella presentazione dei campioni della riforma liturgica (Guardini, Casel, Chauvet) e dei fenomenologi francesi (Marion e il suo fenomeno saturo, Henry e la sua cogitatio carnale, la differenza tra il Leib corpo vivente e il Korper corpo inanimato, Falque): «Potrebbe essere il tempo di leggere l’eucaristia non solo come la presenza del corpo – oggetto di Cristo, ma come la possibilità di entrare nel suo Leib, nella qualità del suo modo di esperire il suo corpo?» (p. 261). Seguono una serie di allargamenti sul corpo donato e amoroso – «ciò che c’è di veramente reale è l’amore» (p. 264) – ma l’impressione è che non ci sia un’argomentazione davvero decisiva, che possa reggere il confronto con la metafisica, dichiarata ormai inefficace ma senza che sia davvero proposto un sostituto della transustanziazione; si rimane sul piano descrittivo, come forse è giusto nella prospettiva fenomenologica. Resta il dubbio che neanche Belli prenda davvero sul serio l’evento rituale: davanti rimane sempre l’interpretazione di tale evento, questa volta come «fenomenologia della corporeità».


P. Dall’Olio, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 52 (2/2022), 557-560

Hoc est corpus meum. Questa folle affermazione di Gesù, pronunciata benedicendo il pane e distribuendolo ai presenti, ha suscitato sin dalle origini innumerevoli valutazioni. Il suo senso è stato indagato sia dalla filosofia sia dalla teologia. La prima però, libera da vincoli, può pervenire alla conclusione che o non esiste o non può essere conosciuta alcuna verità; la teologia invece non può giungere a conclusioni simili per non entrare in contraddizione con le sue stesse premesse. Seppure nelle loro specificità, le due discipline hanno trovato comunque nel sacramento eucaristico un luogo ermeneutico privilegiato. Ambrogio sosteneva che il pane eucaristico è un metabolismo, frutto dell’onnipotenza divina. Agostino ha letto l’espressione di Gesù come un simbolo della sua presenza in mezzo ai suoi fedeli. I significati dei due termini però, seppure diversi, allora non erano considerati alternativi.

L’autore – tra l’altro youtuber del canale, con un certo seguito, «Scherzi da prete» –, esaminando il lessico teologico e liturgico sull’argomento, ha svelato insospettati aspetti della storia della teologia. Il quadro storico religioso che ne risulta è assai problematico, e le controversie teologiche non si possono classificare fra ortodosse e non.

Egli individua 5 ipotesi nella storia della teologia eucaristica: consustanziazione, dislocazione, trasformazione, dissolvimento e annichilazione. Le prime tre opzioni riguardano la sostanza del corpo e sangue di Cristo, le altre due sono invece riferite alla sostanza del pane e del vino. Affermare che il pane e il vino sono il corpo e il sangue di Cristo produce un cortocircuito logico, perché si nega simultaneamente l’esistenza del pane e del vino e del corpo e del sangue di Cristo. Questione, questa, dibattuta ampiamente dalla Scolastica, che, semplificando, si può riassumere nel contrasto fra le due correnti del realismo e del nominalismo. Pascasio, Berengario, Lanfranco, Pietro Lombardo e soprattutto Tommaso d’Aquino, con le loro tesi hanno contribuito a dare un volto piu definito al dogma eucaristico.

Non bisogna dimenticare che quella Cena, celebrata da Gesù in compagnia degli amici, è stata sia una semplice cena pasquale ebraica sia una cena fondamentale per la vita della Chiesa. I teologi, fino alla soglia della contemporaneità, hanno sostenuto che l’eucaristia fosse il reale corpo di Cristo, corporiter e spiritualiter, dovendo chiarire una serie di problemi connessi: che cosa significa masticare la carne del Signore, come comportarsi con i malati che potrebbero rimettere l’ostia consacrata ecc. L’elenco potrebbe essere allungato a dismisura, ma sicuramente il problema più arduo era dare una spiegazione metafisica delle ragioni per cui la forma e la materia dell’eucaristia conservano gli stessi accidenti ordinari del pane e del vino anche dopo la loro consacrazione.

La fede, avverte l’autore, per essere compresa deve essere vissuta senza inerpicarsi in labirintiche argomentazioni logiche e ontologiche; in tale prospettiva, il testo è indispensabile al lettore per non smarrirsi nella selva di termini e argomentazioni, che talora possono sembrare lontani dal cristianesimo quotidiano.

Oggi si propende a ritenere che la celebrazione della messa trovi il suo senso profondo solo nel contesto della condivisione fraterna del pane e del vino, in cui Cristo si rende presente ai credenti: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Ciò implica correlare sacramento, ritualità e intersoggettività. Seguendo questa traccia, oggi si può dire eucaristia in una pluralità di modi, ma occorre ripensarla senza snaturare il messaggio evangelico originario. Questa linea interpretativa potrebbe aprire ulteriormente al dialogo ecumenico, che su questo punto oggi appare stentato. Il metodo fenomenologico, mettendo fra parentesi tutte le interpretazioni di qualunque contenuto scientifico, politico, filosofico ecc. permette d’aprire uno spazio teologico diverso da quello tradizionale. Un approccio dubitativo che consente una maggiore autocomprensione di sé e che offre strumenti critici efficaci e nello stesso tempo riesce a trasformare il vissuto religioso. L’eucaristia, ora considerata nella sua concretezza, nella sua cosalità, libera dalle sovrapposizioni interpretative prodotte nel corso del tempo, assume nell’intersoggettività del rituale un diverso segno, rivelando a ciascuno dei partecipanti, attraverso i gesti liturgici, i suoi molteplici e potenziali significati. Tale posizione impedisce di recintare filosoficamente e teologicamente il senso di questo sacramento.

Ripercorrere le controversie sull’eucaristia significa liberarsi e nello stesso tempo essere fedeli al passato, come la Chiesa ha sempre fatto nei suoi momenti critici. Sarebbe importante focalizzare l’attenzione anche su quanto questo complesso, e non semplice, dibattito culturale e religioso sia stato, e sia, recepito dai fedeli.


G. Azzano, in Il Regno Attualità 14/2022, 450

Da piccoli ci raccontavano fiabe e storie dove i protagonisti e gli antagonisti erano nettamente distinguibili. Analogamente, quando si inizia a guardare un film di intrattenimento, i personaggi sono spesso piuttosto caratterizzati, e si intuisce fin dalle prime battute chi possano essere i “buoni” e i “cattivi”. Forse un po’ per ataviche abitudini, lo schema per cui da un lato ci sono i personaggi approvabili e dall’altro i riprovevoli ci potrebbe venire spontaneo.

Applicato in teologia, e alla vicenda della teologia dell’eucaristia, da un lato ci sarebbero i “bravi” che avrebbero sostenuto la teologia della presenza reale, tra cui Pascasio Radberto e Lanfranco di Pavia, mentre dall’altro lato metteremmo i “cattivi”, che invece hanno contestato la dottrina della presenza eucaristica, ossia Ratramno e Berengario di Tours. Il gran finale di questa semplificazione arriverebbe con Tommaso d’Aquino che, grazie alla nozione di “transustanziazione”, siglerebbe la vicenda delle dispute eucaristiche con un classico “e vissero tutti felici e contenti”.

Da pochi giorni è uscito uno studio di Manuel Belli (docente di teologia dei sacramenti presso il Seminario di Bergamo), dal titolo: Presenza reale: teologia e filosofia di fronte all’eucaristia (edito dalla Queriniana). Nel saggio, l’Autore mostra che le questioni sono più complesse. In realtà l’idea della “presenza reale” di Cristo nell’eucaristia non si è detta nel Medioevo “al singolare”: studiando in modo analitico e tecnico i testi degli autori citati poco fa, Belli passa in rassegna la pluralità di linguaggi, apparati concettuali, riferimenti impliciti e strutture filosofiche impiegati dai maestri medievali per affermare la dottrina eucaristica.

Il risultato è un viaggio impegnativo e avvincente (a tratti sorprendente), dove emerge come l’eucaristia e le categorie filosofiche degli autori studiati si interpretino a vicenda. Da un lato la dottrina eucaristica raffina gli strumenti necessari alla sua intelligenza, dall’altro provoca e incalza le categorie filosofiche. Il capitolo dedicato a Tommaso d’Aquino in particolare mette in luce come l’evento dell’eucaristia abbia avuto un potere sovversivo rispetto alla metafisica, che il Dottore Angelico impiega per la comprensione della presenza reale.

L’ultima parte del testo di Belli chiede di rimettere in gioco un’altra distinzione classica: i confini tra teologia e filosofia. La questione dell’eucaristia in effetti convoca tutta la tradizione filosofica occidentale per la sua comprensione, e questo potrebbe essere un dato pacifico. Ma potrebbe nascere una provocazione per la filosofia stessa?

L’eucaristia custodisce un’intelligenza del corpo e un’intelligenza della presenza non banali ai fini dell’istruzione generale del problema di cosa sia corporeità e presenza. Alla luce di alcune acquisizioni della corrente fenomenologica, viene tratteggiata una direttrice per una filosofia della corporeità e della presenza non atrofiche e afasiche.

Il libro chiede la pazienza di soffermarsi sui testi degli autori, e non è possibile dispensarsi da passaggi tecnici, da lavori di ermeneutica, dalla rassegna degli strumenti. Se si accettano i tratti in salita che un lavoro scientifico richiede, il panorama che si apre è di ampio respiro.


R. Cetera, in L’Osservatore Romano 18 giugno 2022

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