Lo studio dei dibattiti medievali sull'eucaristia, significativo per ricostruire l'evoluzione della coscienza di fede sul tema della presenza reale, rappresenta anche un ambito nel quale si sono forgiati «strumenti filosofici [...] che non smettono di manifestare attualità e di proporre la loro complessità» (p. 6). Questa è l'ipotesi sviluppata nel recente studio di M. Belli, prete della diocesi di Bergamo, docente di teologia sacramentaria, assai attivo anche su Youtube. Dopo un'ampia ricostruzione dei dibattiti, da Pascasio e Ratramno fino a Tommaso d'Aquino, passando per il confronto tra Berengario e Lanfranco, Belli si interroga sulle direzioni possibili per un'indagine sia teologica che filosofica sull'eucaristia.
L'attitudine di fondo della teologia non può che essere quella dell'obbedienza nei confronti della storia di Gesù, l'«evento in cui la verità assoluta, in forma personale, ha rivelato se stessa» (p. 220); tuttavia, per riflettere in modo critico sulla rivelazione, la teologia non può fare a meno di ricorrere alle forme rigorose del pensiero. La filosofia, invece, non è tenuta a rivolgersi alla filosofia, il che non significa che non possa farlo, come documenta l'interesse verso l'eucaristia coltivato da autori quali Jean-Luc Marion, Jean-Yves Lacoste, Michel Henry ed Emmanuel Falque. E tuttavia l'intrecciarsi di teologia e filosofia nella riflessione sull'eucaristia ha radici antiche: in effetti, «da Pascasio a Tommaso l'eucaristia ha provocato gli strumenti filosofici portandoli a pensieri inediti e spingendo la metafisica ad ampliare il campo della propria indagine» (p. 221). Emblematica in proposito è la trattazione che l'Aquinate dedica alla transustanziazione, nella quale Tommaso si serve in modo competente degli strumenti offertigli dalla metafisica aristotelica, pronto però a sovvertirli nel momento in cui l'accadere della verità dell'eucaristia chiede di modificare le categorie filosofiche. D'altra parte, le riflessioni scolastiche non danno spazio all'eucaristia intesa come azione celebrativa. Ecco perché, quando la teologia del XX secolo comincia a occuparsi del sacramento celebrato, si rende conto di non poterlo fare con le categorie ontologiche legate a un sistema «in cui non c'è posto per una verità che accade» (p. 211). Proprio il carattere di accadimento/evento come qualificante la verità rappresenta l'elemento di convergenza tra i pionieri del movimento liturgico (Casel e Guardini), che richiamano il profilo attivo e celebrativo del sacramento, e le proposte di filosofi francesi (Marion e Falque, soprattutto), che mettono a tema l'eucaristia, senza però dedicare adeguato spazio al profilo celebrativo dell'eucaristia stessa.
A partire dal quadro così delineato, Belli rileva anzitutto che «la questione dell'evidenza della verità non è separabile dall’evenemenzialità» (p. 248): la verità cioè non si dà se non come evento. Ciò è particolarmente chiaro nel gioco caso dell'eucaristia, che va riproposta nel suo carattere rituale. In quanto irriducibile ai sistemi concettuali che cercano di afferrarla, la ritualità, per sua natura, richiede un pensiero fenomenologico. Così «tra ritualità e fenomenologia si istituisce una circolarità, in gran parte ancora inesplorata. La fenomenologia offre una descrizione eidetica del rito, che addirittura potrebbe assurgere a cifra sintetica dell'agire umano [..]. Ma il rito giudica la fenomenologia, ne mette in luce gli equilibri (e qualche volta i disequilibri)» (p. 252).
Un altro tema sviluppato dalla fenomenologia - quella husserliana in particolare - e che può intercettare la teologia eucaristica è la questione dell'intersoggettività. Dato che il soggetto corporeo non è isolato ma vive e opera in mezzo ad altri soggetti, la presenza dell'altro ha come riflesso inevitabile la modificazione di se stessi. Questa acquisizione consente di evidenziare che, in riferimento alla presenza eucaristica di Cristo, «ogni metafisica della sostanza serve a garantire teologicamente la non illusorietà dell'incontro» (p. 254), ma assicura solo l'inizio della dinamica della presenzialità. Il farsi presente di Cristo nelle specie eucaristiche, infatti, non è fine a se stesso, ma interpella la coscienza di chi entra in rapporto con l'eucaristia. Ed è l'atto liturgico la modalità con cui si attua la relazione tra la presenza eucaristica di Cristo e il soggetto credente. D'altra parte, il carattere interpellante della presenza eucaristica è un dato «che la filosofia può assumere per comprendere ancora meglio [...] il fecondo tema dell'intersoggettività» (p. 255).
L'ultimo tratto del percorso è dedicato al tema della corporeità: da un lato, una più pertinente definizione del corpo, elaborata dalla filosofia, può contribuire a decifrare l'affermazione di Gesù: «Questo è il mio corpo»; dall'altro, l'esperienza di corporeità legata all'eucaristia «custodisce elementi in grado di istruire la più complessiva tematizzazione del fenomeno complesso della percezione corporea» (p. 15). A partire dalla celebre distinzione husserliana tra corpo come materialità e oggettualità (Körper) e corpo come luogo della percezione di sé e condizione di ogni percezione (Leib), Belli osserva che «l'impianto concettuale medievale impiegato per comprendere l'eucaristia risulta piuttosto concorde nel pensare alla verità del corpo come organismo» (p. 261), cioè come Körper. Potrebbe invece «essere il tempo di leggere l'eucaristia non solo come la presenza del corpo-oggetto di Cristo, ma come la possibilità di entrare nel suo Leib» (p. 261), cioè nel modo in cui Egli esperisce il proprio corpo. In questa linea, nel cenacolo Gesù, cosciente di avviarsi verso una fine tragica, dispone di sé e del proprio corpo, offrendo nelle parole sul pane e sul calice la chiave di lettura di tutta la sua vita, nonché della passione che di lì a poco segnerà il suo corpo. E l'eucaristia è proprio quel corpo in quanto donato, quel corpo che soffre la passione per restare fedele all'amore. C'è «una evidente consonanza tra l'oblatività di Cristo e la simbolicità di un pane spezzato e condiviso [...]. Il pane spezzato e il corpo crocifisso sono l'uno lo specchio dell'altro, appartenenti all'unico movimento corporeo dove l'amore non è meno reale della presenza» (p. 264).
In conclusione, la domanda su cosa sia un corpo - domanda che l'eucaristia da due millenni pone alla teologia - risuona anche nella riflessione dei filosofi. Sul versante teologico, il tema della corporeità non va reificato, per cui il dato di fede della presenza reale del corpo di Cristo va integrato con «una fenomenologia del vissuto rituale del corpo di Cristo» (p. 265). D'altra parte, «ciò che il corpo/rito di Cristo esprime in un grado particolarmente elevato di solennità non è estraneo ai vissuti ordinari di corporeità» (p. 266), per cui può costituire uno stimolo affinché la riflessione filosofica non smarrisca la complessità della corporeità, rifuggendo da un immanentismo che finisce per dissociare la corporeità dai suoi significati.
Quello di Belli è un contributo indubbiamente stimolante nel suo indicare l'eucaristia come lo snodo dove si intrecciano in modo fecondo impegno teologico e riflessioni filosofiche.
P. Caspani, in
La Scuola Cattolica 1/2023