Il libro esce a un anno esatto dalla morte del noto teologo riformato, pubblicato da Queriniana. Lo stesso Moltmann si sentiva legato alla casa editrice di Brescia, responsabile, tra l’altro, della traduzione e pubblicazione di tutte le sue opere principali. Il libro porta la firma di tre teologi italiani: Rosino Gibellini, grande amico del teologo tedesco, deceduto solo qualche anno prima di Moltmann nonché storico direttore letterario di Queriniana; Fulvio Ferrario, professore di teologia sistematica alla Facoltà valdese di Teologia di Roma; e Simone Morandini, fisico e teologo, docente all’Istituto di studi ecumenici «S. Bernardino» di Venezia.
Il libro si presenta come un’iniziativa editoriale piuttosto curiosa che, da una parte, offre molto di più di ciò che suggerisce il titolo ma, dall’altra, anche qualcosa di meno. È diviso in tre parti: la prima, a firma di Gibellini, si occupa del «decennio preparatorio» di Moltmann (1954-1964); la seconda, sempre affidata a Gibellini, copre gli anni 1964-1975, esplorando ciò che viene chiamata «una sorta di trilogia della speranza». «Sorta» perché, oltre ai tre volumi forse più noti di quest’epoca (Teologia della speranza, Il Dio crocifisso e La chiesa nella forza dello Spirito), vengono discussi anche testi come Uomo e Sul gioco, sotto la rubrica «L’antropologia cristiana tra i conflitti del presente».
Le prime due parti del libro, dunque, per un totale di quasi 300 pagine, non solo «leggono Moltmann», ma fanno molto di più: leggono il dibattito teologico del Novecento, soprattutto (ma non esclusivamente) nell’ambito del protestantesimo tedesco di cui Gibellini era grande conoscitore. Va detto, però, che queste due parti del libro, che costituiscono ben due terzi del tutto, sono «sostanzialmente tratte» dal «Giornale di Teologia» 89 La teologia di Jürgen Moltmann, già pubblicato nel 1975, sebbene ora rivisto e aggiornato dalla redazione Queriniana.
Le rimanenti cento pagine che costituiscono la terza parte del libro, intitolata «Contributi sistematici, ecoteologia ed ecumenismo», sono equamente divise tra i due autori contemporanei. A loro compete dare conto di trent’anni di produzione teologica da parte di Moltmann, principalmente i Contribuiti sistematici di teologia, ai quali ambedue gli autori hanno aggiunto l’Etica della Speranza.
Ferrario affronta un compito certamente non facile individuando due linee di forza in questa seconda fase di Moltmann: la prospettiva trinitaria, inclusa la pneumatologia, da una parte, e «lo sviluppo dell’intreccio tra speranza, messianismo ed escatologia» (p. 288), dall’altra. In questo modo Ferrario riesce a illustrare e a discutere (talvolta con una certa sufficienza che ho trovato inspiegabile) le proposte di Moltmann circa la Trinità, la dottrina di Dio, la pneumatologia, la cristologia, l’escatologia, e a dialogare con i teologi cattolici contemporanei di Moltmann, come Metz, Rahner, Küng, nonché con le varie teologie della liberazione. Nonostante alcune critiche puntuali tanto ai contenuti quanto al metodo del teologo riformato, Ferrario opina che il suo programma «di una teologia che non si vergogni dell’eredità cristiana occidentale e che, al tempo stesso, non la sacralizzi, assume una nuova attualità» (p. 332). Tuttavia, alla luce delle critiche attuali rivolte all’umanesimo eurocentrico, questo potrebbe rivelarsi proprio il punto debole del pensiero di Moltmann. Sia come sia, Ferrario, alla fine del saggio, riconosce «l’eredità significativa» di Moltmann, ritenendolo un autore con i quali le chiese «dovrebbero continuare a confrontarsi» (p. 335), soprattutto per quanto riguarda due temi: la teologia politica da una parte, e la teologia trinitaria dall’altra.
Il saggio di Morandini, invece, si concentra su un altro tema per il quale Moltmann è conosciuto, l’ecoteologia (che si sarebbe potuto collegare anche all’insistenza sul corpo presente già fin da Teologia della Speranza). Mentre Ferrario ci ha fornito (in 50 pagine!) una panoramica delle opere principali di Moltmann seguendo le due linee sopraindicate, Morandini, nel saggio intitolato «Creazione e speranza», si cimenta con un unico tema: «l’ecoteologia in Moltmann». Due sono i contributi principali di questo saggio, scritti nello stile sobrio ed efficace che caratterizza l’autore. In primo luogo, Morandini non si limita al ben noto Dio nella creazione, ma dimostra come la prospettiva ecologica informasse non solo i successivi contributi di teologia sistematica ma interessasse numerosi altri scritti minori di Moltmann. In secondo luogo, Morandini è attento a mettere in rilievo il contesto ecumenico dell’ecoteologia di Moltmann, fornito dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, dimostrando come vari aspetti del pensiero del teologo riformato siano entrati a far parte dell’enciclica papale Laudato sii. Sembra che voglia rimediare alla lacuna piuttosto vistosa dell’enciclica, che evidenzia il contributo del patriarca ecumenico Bartolomeo ma glissa su quello delle altre comunità cristiane (§7, §8).
Per Morandini, la forza dell’ecoteologia di Moltmann sta «soprattutto nell’intuizione teologica che ne è al centro e che abbiamo visto dispiegarsi […] un pensiero della creazione centrato sul suo futuro, a partire dalla Pasqua» (p. 381). Tuttavia, tale forza dimostra il suo limite nelle quattro obiezioni che Morandini solleva: la preminenza data all’esegesi del primo von Rad, l’accento mancato sulla bontà iniziale della creazione, una comprensione poco articolata dell’umano nonché l’uso dell’ipotesi Gaia.
Per utili che siano i due saggi che integrano il testo iniziale di Gibellini, il libro si presenta curiosamente sbilanciato, in quanto solo un quarto è dedicato alla produzione di Moltmann dal 1980 in avanti. Per chi non conosce il saggio di Gibellini è certamente utile per approdare a Moltmann o rileggerlo, com’è utile la tavola cronologica alla fine del libro. Eppure, in ultima analisi, il libro fa meno di ciò che il titolo suggerisce, in quanto si limita a offrire letture parziali senza tenere conto dei teologi e teologhe con i e con le quali lo stesso Moltmann interagiva: le teologie femministe, da una parte, e le teologie della liberazione dall’altra. Si può leggere Moltmann oggi senza qualcosa in più del breve cenno che viene dato loro? Ossia, senza le loro letture? Una piccola nota all’editore: trovare i dettagli bibliografici unicamente nelle note a fine pagina e non elencati anche alla fine rende davvero faticosa la lettura.
E. Green, in
Protestantesimo 4/2025, 374-376