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Le emozioni di Dio
Emmanuel Durand

Le emozioni di Dio

Tracce di un profondo coinvolgimento

Prezzo di copertina: Euro 27,00 Prezzo scontato: Euro 25,65
Collana: Giornale di teologia 453
ISBN: 978-88-399-3453-6
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 240
Titolo originale: Les émotions de Dieu. Indices d’engagement
© 2023

In breve

Per rivolgersi all’umanità nella sua condizione reale, Dio ha fatto suo lo spessore della nostra carne, inclusa l’affettività: ha “provato emozioni”. Ora, che cosa esse esprimono? Sono semplicemente passioni umane attribuite al divino? Svelano l’intimità di Dio o svolgono un’altra funzione? Con quali strategie interpretarle sul piano teologico?

Un tema stimolante – la vulnerabilità di Dio al tumulto delle emozioni – trattato in modo profondo e dottrinalmente accurato.

Descrizione

Dio ha scelto di parlare la lingua degli uomini, anzi persino di farsi uno di loro. Per rivolgersi all’umanità, ha fatto sua la carne umana, inclusa l’affettività. Ecco perché il Dio biblico è soggetto di emozioni. Tuttavia, agli occhi della riflessione filosofica e teologica di ieri come di oggi, un Dio incorporeo risulta di per sé inidoneo alle emozioni. Forse che un Dio capace di emozioni è semplicemente una criticabilissima proiezione umana?
Per rispondere, Emmanuel Durand traccia qui un itinerario antropologico, letterario e teologico. Indaga anzitutto il significato delle emozioni e delle passioni umane. Si confronta poi con Origene e Agostino, con lo Pseudo-Dionigi e Tommaso, con Cartesio e Hume, ma anche con Jean-Paul Sartre. Esplora infine gli scenari biblici, cioè il contesto narrativo in cui compaiono le emozioni di Dio. E così esamina amore, gioia, speranza, godimento, ira, gelosia, tristezza non solo come nozioni teologiche da delucidare, ma anche come tratti salienti di un Dio che agisce nella storia. Tratti che si svelano come indicatori di un suo impegno totale nei confronti degli esseri umani.

Recensioni

Non si puo che esprimere gratitudine all’editrice Queriniana per aver tradotto in italiano il testo del domenicano francese Emmanuel Durand, nella collana «Giornale di Teologia». In questo libro umanità e divinità si confrontano sul piano delle emozioni, anche se parlare delle emozioni di Dio sembra fuori luogo, perche l’emozione è ciò che di più umano si possa pensare. Il fatto che Dio provi emozioni è tutt’altro che un difetto: infatti, le Scritture non hanno nessun problema a parlarci di un Dio «emotivo», a volte freddo e distante, a volte collerico e oppressivo, altre compassionevole e misericordioso.

C’è chi sostiene che questo modo di presentare la divinità sia solo una proiezione dell’umano nella sfera divina. Ma quello che in realtà fa delle emozioni di Dio qualcosa di unico e di diverso da quelle umane è la modalità con cui vengono espresse e vissute. L’amare di Dio non è uguale a quello umano: egli ama in maniera preferenziale, ma non esclusiva; non toglie a qualcuno per dare a qualcun altro. La rabbia di Dio è altra cosa rispetto alla rabbia umana: come scrive il salmista, «la collera di Dio dura un istante, la sua bontà dura per tutta la vita» (Sal. 30,6).

Partendo da questi presupposti, il libro di Durand si sviluppa lungo sei capitoli, nei quali l’autore analizza alcune emozioni di Dio, dando credito «non solo agli esegeti e ai teorici contemporanei spesso molto perspicaci, ma anche agli antichi in particolare a Origene e allo Pseudo-Dionigi […], ad Agostino, […], a Tommaso» (p. 28).

Nel primo capitolo, Durand esamina «le emozioni usando parecchie lenti successive che vanno dalla filosofia antica alla fenomenologia passando per la psicologia sperimentale» (p. 31). Partendo dall’assunto della filosofia antica e poi medievale, secondo cui la passione forma una coppia con l’azione, l’autore considera l’emozione come «una passione nella misura in cui è causata dall’azione di un agente esterno o dell’anima stessa» (p. 32). Leggendo prima Agostino, per il quale le emozioni sono parte integrante della sua visione dell’essere umano, e poi Tommaso, con le sue opzioni fondamentali sull’idea di passione, Durand cammina attraverso il discorso filosofico passando per Descartes e Hume fino a Sartre.

Il secondo capitolo ha come tema la passione d’amore così come la vive Dio. E per parlare dell’amore divino parte dalla gelosia, «proprietà nobile dell’amore coniugale», ma nello stesso tempo «passione eccessiva di possesso esclusivo» (p. 60). Secondo Durand «la similitudine tra gelosia umana e gelosia divina verte non sullo stato passionale, più o meno volatile, bensì sul suo fondamento oggettivo: l’esigenza di esclusività» (p. 61). E, partendo da questo assunto, l’autore ripercorre l’idea di amore come viene descritta da Origene, dallo Pseudo-Dionigi e infine dal profeta Osea.

In quale rapporto stiano amore, gioia e piacere con le altre passioni divine di cui parla la Bibbia è l’argomento del terzo capitolo del libro. L’interlocutore principale di Durand è Tommaso d’Aquino, con il quale conclude che, se amore, gioia e piacere sono passioni confacenti a Dio, rabbia, vendetta, gelosia sono quantomeno sconvenienti.

Il quarto capitolo è tutto incentrato sull’ira di Dio, «attestata ampiamente nella Bibbia ebraica» e che «rimane in sospeso come una minaccia escatologica nel Nuovo Testamento» (p. 137). Collegato all’ira c’è il pentimento, per spiegare il quale l’autore utilizza le categorie di pensiero di Agostino d’Ippona. L’ira divina nella Bibbia è presentata come rabbia o furore e a essa sono associati flagelli o distruzioni, tanto più grandi quanto più amore Dio ha investito in coloro con cui ha stabilito il suo patto. Ma l’ira di Dio non è per sempre secondo la Bibbia e Dio si pente degli effetti che la sua ira provoca all’umanità. Secondo Agostino, però, «Dio non si è pentito realmente perché Egli non cambia volontà né disegno, ma gli avvenimenti iniziati o le intenzioni dichiarate subiscono un adattamento che, in un uomo, sarebbe l’effetto di un pentimento» (p. 149).

Può Dio essere triste? Questa domanda guida la riflessione di Durand nel quinto capitolo, nel quale afferma che la tristezza di Dio «è catalizzata nella liturgia del Venerdi Santo, attraverso il canto dei lamenti del Signore al momento della venerazione della croce» (p. 30). Questa proposta dell’autore «scivola» nel campo liturgico cattolico e di fatto rende l’analisi proposta in questo capitolo difficilmente accettabile per il mondo protestante, a cui non appartiene l’atto liturgico della venerazione della croce. L’autore, non trovando sufficienti passi biblici che parlassero della tristezza di Dio, ha perciò dovuto far ricorso alla tradizione liturgica della chiesa romana. Personalmente, credo che sarebbe stato più efficace lavorare sulle poche pericopi bibliche e chiedersi il perché questa divina emozione non è così presente come le altre.

Il sesto capitolo è totalmente cristologico: si guarda alle emozioni divine come vissute nella carne di Gesù e attestate verso gli esseri umani e alle emozioni umane come vissute da Dio attraverso la carne di suo Figlio. «Il Figlio di Dio in persona è l’unico soggetto di passioni divine e affezioni umane» (p. 218).

Nella conclusione del suo libro, Durand scrive che «le emozioni divine sono come i sintomi di un coinvolgimento totale di Dio a favore delle sue creature e dei suoi eletti. […] Le emozioni di Dio sono le tracce di un’alleanza in corso di dispiegamento in cui le nostre risposte hanno una grande importanza, poiché Dio prova una semplice passione d’amore» (p. 226). Un libro complesso, quello del domenicano francese Durand, che, partendo dal testo biblico, attraversa la tradizione dei Padri, la filosofia antica e medievale, intrecciando teologia e antropologia. Un libro utile per aumentare il desiderio dei lettori di approfondire direttamente nella Bibbia le emozioni di Dio.


N. Tedoldi, in Protestantesimo 4/2024, 436-438

«Che fare delle emozioni del Dio biblico?». È la domanda che dà il titolo all’Introduzione del nuovo lavoro del teologo domenicano Emmanuel Durand, docente dell’Università di Friburgo, in Svizzera.
Attorno al perno delle emozioni divine si svolge l’intera indagine dell’A., il quale, attraverso un itinerario di ricerca complesso, sintetico e ben strutturato, realizza un’impegnativa e feconda ricerca, capace di coinvolgere vari ambiti del sapere, al fine di esplorare un’ipotesi affascinante: «Le emozioni divine sono i segnali di un impegno totale di Dio […] nei confronti delle sue creature» (p. 30).
Il primo capitolo circoscrive gli affetti umani mediante un percorso antropologico che, passando per sant’Agostino, san Tommaso, René Descartes, David Hume e Jean-Paul Sartre, indaga il significato delle passioni ed emozioni umane, comprendendole come il segno di un impegno dell’uomo con la realtà dell’altro e delle cose, e facendo di tale concezione la base per un discernimento delle emozioni divine. Ed è così che lo sguardo si posa sul mistero di Dio.
Le argomentazioni successive, infatti, prendono avvio da una domanda apparentemente semplice, che dà il titolo al secondo capitolo: «Dio prova la passione dell’amore?». Ancora una volta, l’indagine si presenta vasta e complessa, ma Durand la conduce abilmente, servendosi dell’espediente del «dibattito a distanza tra lo Pseudo-Dionigi e il profeta Osea» (p. 59), per mostrare come la concezione biblica dell’amore divino abbia un sapore diverso rispetto a quella dell’eros elaborata dall’Areopagita.
Tali impegnative premesse conducono l’A. a elaborare un nuovo capitolo dedicato all’analisi delle passioni convenienti e sconvenienti, attribuite a Dio dagli autori sacri. Interlocutore privilegiato è Tommaso d’Aquino. Le acute distinzioni dell’Aquinate permettono di individuare due tipi di costruzioni metaforiche capaci di dare ragione di quelle passioni sconvenienti che la Scrittura attribuisce a Dio. Tuttavia Durand non si ferma alle considerazioni di san Tommaso: osa fare un passo ulteriore, indagando la possibilità di una speranza in Dio, intesa non come virtù, bensì come passione.
La quarta parte è dedicata interamente a «L’ira di Dio, ripensata come intreccio». Ancora una volta attingendo a insegnamenti autorevoli del passato ed elaborando una sua personale lettura della questione, l’A. afferma che, in definitiva, le frequenti affermazioni relative alla collera e al pentimento divino rivelano l’incompatibilità di Dio con il male e la modalità con cui Egli agisce in favore delle sue creature.
Il quinto capitolo è dedicato alla tristezza divina, attestata più volte dalla Bibbia, e sulla quale l’A. riflette anche attraverso un interessante confronto tra la lex orandi della liturgia del Venerdì Santo e la lex credendi dell’immutabilità divina, per concludere che «la tristezza di Dio verte sullo sfiguramento delle sue creature e che una siffatta tristezza ha un volto umano» (p. 30).
Così è aperta la strada che conduce all’ultima parte dello studio, propriamente cristologica, perché il Figlio di Dio, facendosi uomo, fa sì che le emozioni umane siano assunte da Dio stesso. In particolare, Durand fa notare che, nel caso di Cristo, le emozioni presentano tratti singolari, che risaltano persino più degli elementi condivisi con quelli degli altri uomini. Le sue emozioni, infatti, rivelano, in modo unico, il profondo coinvolgimento divino nelle questioni umane.
Al termine di questo articolato itinerario, con una sintesi efficace, l’A. può dimostrare la validità della sua ipotesi di lavoro espressa all’inizio, offrendo ai teologi la possibilità di ricomprendere le emozioni divine come un’indicazione dell’amore di Dio verso l’uomo, la sua risposta alle nostre scelte, all’accoglienza o al rifiuto di Lui. Non a caso, l’enfasi cade sul rapporto di alleanza che Dio stringe con l’umanità, attendendo da ciascun uomo una risposta libera e consapevole, per poter realizzare il Suo disegno. In altri termini, il Suo profondo coinvolgimento, pienamente rivelato e vissuto dall’Uomo-Dio, indica che Egli interpella con amore il singolo. Infatti, se Dio fosse indifferente verso di noi, non proverebbe né gioia né collera né tristezza. Dunque, «le emozioni di Dio sono le tracce di un’alleanza in corso di dispiegamento, in cui le nostre risposte hanno una grande importanza, poiché Dio prova una semplice passione d’amore» (p. 226).
P. Salvatori, in La Civiltà Cattolica 4168 (17 febbraio 2024) 401-402

È da poco uscita in libreria l’ultima fatica editoriale di Emanuel Durand, frate domenicano e professore alla Facoltà di teologia di Freiburg in Svizzera, tradotta in italiano dalla Queriniana. Il tema è alquanto interessante – in che senso possiamo attribuire a Dio delle emozioni? – e problematico allo stesso tempo soprattutto perché ormai tutto nella nostra epoca è divenuto emozionante. Tutto emoziona senza lasciare però una traccia. Infatti come dice bene il sottotitolo, “tracce di un profondo coinvolgimento”, nel caso di Dio si tratta di qualcosa di molto diverso dalla semplice ed effimera emozione che nasce e finisce in un batter di ciglia. Quello attestato dalle Scritture, come dimostra in queste pagine Durand, è un Dio che si emoziona perché desidera la salvezza dell’uomo, ha a cuore le sorti della sua creatura che è sua immagine e sua somiglianza. Districandosi abilmente tra filosofia – in particolare quella tomista – e teologia, l’autore riesce a restituire un tratto che la teologia per paura forse ha dimenticato, “schiacciata” dall’idea di immutabilità di Dio che nei primi secoli di fronte ad ogni eresia è stata difesa. Un Dio immutabile non vuol dire un Dio anaffettivo, freddo, fossilizzato, non partecipe delle vicende di ogni uomo. Pertanto le emozioni sono di Dio, gli appartengono, tanto più che suo Figlio ha sofferto, ha pianto, ha gioito, è stato preso da collera, da tristezza; insomma ha mostrato un tratto profondamente umano che è anche profondamente divino. Se finalmente superassimo quel pregiudizio per cui le emozioni appartengono all’irrazionale, riusciremmo forse a comprendere l’uomo nel suo effettivo vissuto e, allo stesso tempo, una certa immagine di Dio sarebbe abbandonata. In quest’opera Durand si dimostra ancora una volta teologo solido, ancorato alla tradizione teologica – Agostino e Tommaso in primis – e capace di cogliere nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo quegli aspetti che possono essere usati per vivificare una teologia che rischia di ripiegarsi su se stessa.


F. Cittadini, in Iltuttonelframmento.blogspot 29 gennaio 2024

Il Dio delle Scritture ebraico-cristiane è palesemente «patetico», nel senso che è percorso nel suo essere e nel suo agire da un pathos profondo e fin sconcertante, a differenza dell'algido Motore Immobile divino aristotelico. Le sue emozioni registrano la gamma intera delle reazioni, dal gelido violetto della collera (per altro espressa in ebraico con un termine onomatopeico connesso allo «sbuffare» del naso, 'af)fino al rosso ardente della compassione viscerale (formulata col vocabolo che designa il grembo materno, rahamîm).

Certo, si cerca già di demitizzare questi profili tipici dell'antropomorfismo, come in un passo del libro dei Numeri: «Dio non è un uomo perché mentisca, non è un figlio dell'uomo perché ritratti. Forse che egli dice e non fa? Parla e non realizza?» (23,19). Eppure, in altri passi biblici gli accade di «pentirsi» e cambiare giudizio e persino di rendere in comprensibili alcune sue reazioni. È naturale che, abbandonando le spoglie del letteralismo fondamentalista, è necessario imbracciare uno strumento ermeneutico corretto. Esso farà evitare la razionalizzazione che ricompone un volto frigido e distante di Dio, oppure l'antipodo sia della divinità implacabile oppressiva cara a una certa predicazione della paura, sia di una visione così tollerante da risultare quasi amorale.

Rimane, comunque, il quesito di fondo: in che misura una definizione delle emozioni umane può prestarsi a una trasposizione divina pertinente? Teniamo conto, infatti, che si è da tempo – soprattutto con l'irrompere della psicologia e della psicoanalisi – abbandonato il sospetto di puro e semplice irrazionalismo, assegnato alle emozioni, che si rivelano invece canali ulteriori di conoscenza, intelligenza e creatività. Rimane, comunque, aperto l'interrogativo di base che un'interpretazione autentica deve raccogliere: il Dio emotivo biblico (ma non solo) è semplicemente una proiezione ipertrofizzata dell'umano? Al quesito risponde con un'ampia argomentazione il teologo francese, Emmanuel Durand, classe 1972, docente all'università di Friburgo in Svizzera.

Egli è consapevole della delicatezza della questione perché «il passaggio dal mitico al razionale è disseminato di insidie. L'impresa occorre tentarla, ma è oneroso farlo lucidamente sul piano intellettuale». Il percorso proposto è molto ramificato e deve necessariamente attingere a un'attrezzatura dalle molteplici qualità che rivelano diversi approcci, esegetici, letterari, filosofici, teologici, psicologici, in pagine intarsiate di rimandi suggestivi. Tanto per esemplificare, pensiamo ad Agostino che si confronta con le teorie stoiche, oppure alla tavola analitica delle passioni approntata da Tommaso d'Aquino, ma anche all'inevitabile Cartesio e ad altri vari interlocutori privilegiati. Tra questi non può essere escluso il dialogo con Sartre e il suo Esquisse d'une théorie des emotions (1939; tradotto nel 1974 da Bompiani all'intero delle Opere del filosofo) che aveva rimesso in discussione «una certa ingenuità epistemologica della psicologia sperimentale».

Nella sede più specifica dell'ermeneutica biblica tra i molti spunti offerti da Durand vorremmo segnalare una sola trilogia di approcci. Il primo è quello letterario del ricorso alla metafora, più che alla tradizionale «analogia», sulla scia della nota riflessione di Paul Ricœur. Essa permette di trapassare dalla sua primaria appartenenza alla retorica verso la semantica, secondo «una traslazione di senso fondata su un'affinità creativa fra termini a prima vista disparati». Una seconda componente è, invece, di natura squisitamente teologica e tipicamente cristiana: è l'Incarnazione, cuore della fede cristologica. Le emozioni umane sono assunte realmente dal Figlio di Dio nella sua carne e creano perciò un'interazione/intersezione tra umanità e divinità.

Il terzo approccio regge il corpus stesso dell'opera del teologo francese: dopo aver delineato nelle due precedenti componenti l'epistemologia adottata, si tracciano in un quadro molto vivace le principali nervature emotive divine. Si parte con la passione d'amore nelle sue variazioni coniugale e genitoriale, scandite dall'eros e dall'agape. Si procede, poi, nel terreno pianeggiante ma accidentato delle «passioni convenienti e sconvenienti» a un Dio che sono però registrate nelle Scritture. Entrano, così, in azione l'ira di Dio, che talora ha come corollario un paradossale pentimento, e la tristezza espressa nella sua lamentazione che si alimenta a una vulnerabilità e sensibilità nei confronti del rifiuto umano e nel conseguente deturpamento della creatura attraverso il peccato.

Queste e altre emozioni hanno in Gesù Cristo la loro epifania più esplicita. Si ritorna, così, al superamento del Dio immutabile e immobile nella sua trascendenza dorata, celebrato da una certa teologia classica. Mirabile è ancora una volta Dante nel non rinunciare a questa trascendenza, incrociandola però con l'immanenza emotiva. Nella professione di fede da lui emessa davanti a san Pietro si proclama l'unione della perfetta eternità divina con l'amore e il desiderio: «Io credo in uno Dio / solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, / non moto, con amore e con disio» (Paradiso XIV, 130-132).


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 21 gennaio 2024

Dio ha scelto d’essere uomo, di parlare un linguaggio umano, di vivere le emozioni che costellano le giornate, le ore, gli istanti d’ogni persona, uomo o donna che sia. Dio, infatti, prova l’affettività esattamente come ognuno di noi singolarmente preso: il Dio biblico è, perciò, soggetto a emozioni. Questo inevitabilmente conduce a chiederci, da una prospettiva schiettamente filosofica e teologica, se sia possibile affermare che un Dio incorporeo possa avere emozioni in quanto di per sé inidoneo ad averle; e se, al contrario, le possiede, ciò significherebbe che egli altro non è che un’alienazione, una proiezione umana?

Attorno a questa problematica il domenicano francese Emmanuel Durand, dopo aver precisato il significato delle emozioni e delle passioni, opera un excursus antropologico, letterario e teologico indagando sull’apporto dato alla questione nel corso dei secoli da sant’Agostino, da Origine, dallo pseudo-Dionigi, nel Medioevo della fioritura scolastica da san Tommaso d’Aquino, per poi passare a esaminare le posizioni di Cartesio e di Hume e per giungere, da ultimo, all’esistenzialismo ateo novecentesco di Jean-Paul Sartre.

Nella seconda parte del saggio, Durand non tralascia di contestualizzare biblicamente le emozioni dell’Eterno. Non a caso, come afferma il libro dell’Esodo al c. 20, Dio è «un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione», per coloro che lo odiano, «ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni», per tutti coloro che lo amano e ne osservano i comandamenti.

Forte di tale retroterra biblico, l’autore esamina i tratti essenziali del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe riconducibili all’amore, alla gioia, alla speranza, all’ira, alla tristezza e, persino, al godimento complessivamente presi non solo come nozioni teologiche da chiarire, ma appunto come tratti fondamentali di un Dio che buca la storia agendo in essa. Caratteristiche ineliminabili, dunque, che rivelano a tutti gli uomini di buona volontà il suo totale impegno nei confronti della creatura umana.


D. Segna, in Il Regno Attualità 22/2023, 721

Oggi vanno molto di moda le emozioni, divenute un criterio di autenticità dopo essere state sospettate per molto tempo di irrazionalità. Ma è possibile parlare di emozioni rivolgendosi a Dio, all’Essere assoluto e immutabile che ci è stato insegnato a catechismo e che è stato tramandato da secoli di tradizione cristiana? Ci prova il teologo domenicano francese Emmanuel Durand, docente ordinario di Filosofia e religione all’università di Friburgo, in Svizzera, nel volume Le emozioni di Dio. Tracce di un profondo coinvolgimento, ora tradotto da Queriniana.

Il Dio biblico è soggetto di emozioni, che vanno dalla collera e dall’ira alla pietà e alla compassione, non è un Dio gelido come quello dei filosofi. «Un Dio incorporeo – scrive l’autore – sembra inadatto di per sé alle emozioni». Poi si chiede: «Un Dio emotivo è allora semplicemente una proiezione dell’umano, più o meno ipertrofizzato?». E aggiunge: «Certuni sono alle prese con un Dio freddo e distante, che si sforzano di negare o denunciare a ogni costo. Altri sono più o meno traumatizzati da un Dio collerico e oppressivo, ereditato da una “pastorale della paura”. Altri puntano esclusivamente su un Dio compassionevole e misericordioso, senza collera né giudizio. Le nostre rappresentazioni di Dio non sono vergini. Si impone un lavoro di delucidazione».

Ed è quello che Durand compie riguardo al tema delle emozioni in Dio: come conciliare l’immagine di un Dio immutabile con sentimenti come la tristezza e la commozione, la gelosia e l’ira, addirittura la speranza? Certo, affrontando questo tema spinoso, la teologia cristiana non può non tener conto dell’Incarnazione: Dio ha assunto la nostra carne, inclusa l’affettività. Non solo, il rapporto fra divino ed umano è del tutto speciale per la fede cristiana: «L’umano è non solo creato da Dio, ma chiamato da Dio. Ciò significa che l’umano non è solo diverso da Dio, ma è anche fatto per lui. L’umano è strutturalmente disposto a elevarsi verso Dio e a essere visitato da lui». Come ci ha insegnato sant’Agostino, non è quella dell’atarassia, dell’imperturbabilità sostenuta dallo stoicismo, la via scelta dal cristianesimo, che non ha espulso la sensibilità ma l’ha integrata nella dimensione morale.

A proposito della passione, dell’amore e della gelosia Durand attua un dialogo a distanza tra il profeta Osea e il teologo Dionigi l’Areopagita. Quest’ultimo applica la teoria dell’amore neoplatonico alla visione del Dio biblico: per lui, come nella tradizione greca, eros e agape, che esprimono il desiderio amoroso e l’amore di carità, sono assimilati. Ma, come ha commentato Tommaso d’Aquino, la sua concezione dell’amore divino come pura sovrabbondanza non sempre si concilia con l’amore di cui parla Cristo nei Vangeli: «Nel Nuovo Testamento – rileva Durand – l’amore di Dio è agape, al di là di ogni calcolo ragionevole». Una realtà ben espressa nel libro di Osea, che racconta l’amore di Dio per il suo popolo attraverso le vicende del profeta, del suo matrimonio con una donna dissoluta che rappresenta l’infedeltà del popolo, e l’amore del genitore verso il figlio ribelle.

Tutto è metafora dell’amore divino, che ha accenti paterni e materni, di grande tenerezza e vicinanza alle vicende umane. Non un Dio lontano e inaccessibile. A proposito del quale così ha scritto Origene: «Quale è dunque questa passione che egli ha sofferto per noi? La passione della carità. E il Padre stesso, Dio dell’universo, pieno di misericordia, indulgente e pietoso, non patisce anche lui in questo modo? Dio prende su di sé i nostri costumi, come il Figlio di Dio porta le nostre passioni. Il Padre stesso non è impassibile. Se lo si prega, prova pietà e compassione, un sentimento d’amore».

E ancora Tommaso farà chiarezza su questo punto: in una sorta di teologia delle passioni divine dice che solo la gioia, il godimento e l’amore sono propriamente confacenti a Dio, dato che l’amore di Dio per le sue creature è un atto volontario, eterno e definitivo, assai più che una semplice emozione passeggera. Se la gelosia di cui parla spesso l’Antico Testamento esprime il rapporto di esclusività richiesto da Dio, allo stesso modo la tristezza divina è segno dell’amore primordiale per uomini e donne: Dio si rattrista a causa del peccato che sfigura le sue creature, perché le ama. E la sua ira si manifesta perché vede l’umanità compiere il male: il peccato che vede manifestarsi è per lui intollerabile, la sua è un’indignazione attiva dinanzi al male.

Si può poi parlare della speranza di Dio? Con timore e tremore, Durand non rifiuta di affrontare alcun discorso, per quanto arduo, che tocchi le emozioni di Dio, e dice: «Benché Dio non sia soggetto di speranza quanto alla propria beatitudine, pienamente posseduta, potrebbe darsi che egli speri – con una passione superiore di speranza – la beatitudine delle sue creature. Se i beati sperano la beatitudine congiunta dei loro fratelli e sorelle ancora in cammino, Dio non è forse il primo a sperare ancora di più la beatitudine congiunta dei suoi eletti? L’inclusione di ciascuna delle sue creature salvate nella comunione divina è allora forse per Dio oggetto di speranza? Sono rari i teologi che hanno osato rispondere affermativamente a domande di questo genere». Fra essi, come noto, Hans Urs von Balthasar.

L’immutabilità di Dio, affermata costantemente dal magistero della Chiesa, può essere conciliata col tema della tristezza di Dio, cui abbiamo accennato, solo alla luce della Croce. Non può coincidere con una sua insensibilità dinanzi alle sventure degli esseri umani. «Nelle sue tristezze – spiega Durand – Dio è interamente desolato per le sue creature, e non per sé. Dio è il solo a essere indefinitamente capace di una tristezza vissuta unicamente per gli altri, senza alcun ripiegamento su di sé e senza alcuna sofferenza per se stesso». Però, in Cristo c’è una modalità precisa in cui questa tristezza si esprime: «Non è la natura divina che soffre, piange e si rattrista, sicuramente. Non è nemmeno la natura umana del Figlio, separatamente dalla sua divinità, che soffre. È il Figlio di Dio in persona che patisce nella sua carne, in virtù della sua natura umana, vulnerabile e passibile. I pianti di Gesù sono le lacrime del Figlio. Dio ha voluto piangere nella carne che egli condivide con noi».

Durand ripercorre i tanti episodi del Vangelo in cui Gesù manifesta sentimenti e passioni umane, dalla gioia alla collera, dalla tristezza all’angoscia. Tutte emozioni che rappresentano il coinvolgimento di Dio con la vicenda umana: «Se la volontà di Dio passasse sopra alle nostre libertà per compiersi di per sé, con o senza di noi, Dio non proverebbe né gioia né tristezza, né speranza né ira, né audacia né rimpianto. Le emozioni di Dio sono le tracce di un’alleanza in corso di dispiegamento».


R. Righetto, in Avvenire 3 novembre 2023

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