«Quale Dio mi potrà salvare?»: è con questa domanda che un giovane studente in giurisprudenza di nome Martin Lutero volle lasciare il saeculum per entrare nel convento degli agostiniani di Erfurt. La sua angoscia trova la risposta in Dio stesso che salva il peccatore in maniera ingiustificata, immeritata e gratuita. In tal modo l’intera età della Riforma fu incastonata all’interno della teologia del peccato e della giustificazione determinando un altro cristianesimo, diverso e in opposizione nei confronti di quello che aveva come suo epicentro la Chiesa di Roma, in grado di plasmare in larga parte la civiltà moderna.
Proprio in età moderna, tra il XVII e il XVIII secolo, la questione della centralità di Dio venne meno nel momento in cui vacillò il paradigma secondo il quale l’uomo, in quanto essere finito, ha bisogno dell’assoluto: una prospettiva destinata a rafforzarsi durante tutto l’Ottocento, allorquando furono elaborate concezioni del mondo non teistiche. L’esito finale di questa traiettoria fu che la religione nell’Occidente europeo sperimentò per la prima volta l’urgenza di legittimarsi dinanzi al mondo, cioè doveva spiegare il perché della necessità teologica dell’uomo di fare costantemente riferimento a Dio.
Il volume collettaneo, curato dalla teologa Julia Knop, si propone di fare il punto della situazione contemporanea in ordine al venire meno del carattere ovvio della certezza dell’Eterno e dell’imporsi di quell’homo a-religiosus per il quale la domanda su Dio è semplicemente insignificante, facendo così crollare ogni possibile istanza metafisica.
Indubbiamente, come evidenzia Knop citando Jean François Lyotard, siamo entrati in un’età segnata dalla «fine dei grandi racconti» e dalla profonda frattura che ha coinvolto la domanda su Dio, sul suo significato per il mondo, per la storia, e la disciplina che la rappresenta, la teologia, che non può più avanzare la pretesa di determinare i principi di fondo della ricerca umana in quanto il suo orizzonte problematico risulta, di fatto, estraneo alla mentalità corrente, caratterizzata com’è da una radicale indifferenza per tutto ciò che è religioso.
Dinanzi a tale situazione, il volume affronta, nelle sue articolate 4 sezioni, l’indifferenza dell’homo a-religiosus, tenendo costantemente presente il ripensamento dei presupposti teologici e antropologici che tale disinteresse comporta. Le sezioni, inoltre, sono precedute da un contributo dal forte contenuto ecumenico del card. Kurt Koch, incentrato sul possibile significato che può avere per il nostro tempo la dottrina della giustificazione luterana credente nel Dio che mostra il suo concreto volto nell’uomo Gesù di Nazaret.
A seguire la I sezione, composta da 5 saggi, si caratterizza per un percorso cronologico in grado d’illuminare i diversi contorni epocali della domanda su Dio, spaziando dai Salmi per giungere all’esperienza di Dio fatta da sant’Agostino e alla problematica di cui si fece interprete sant’Anselmo d’Aosta, tesa a rendere accessibile alla ragione umana la fede in Dio. La sezione successiva, muovendo dalla constatazione che, rispetto all’età antica e medievale, la domanda su Dio è definitivamente mutata, ricostruisce con grande rigore le trasformazioni avvenute, soffermandosi ad analizzare le conseguenze sia a livello sistematico sia pratico, valutando le possibili opzioni messe in campo dalla teologia contemporanea.
Nella III parte i contributi riflettono su come, data l’attuale secolarizzazione, sia possibile ricollocare non solo la teologia, ma anche la stessa pastorale, al fine di porre in atto un nuovo approccio antropologico in grado di riconfigurarle in modo più adeguato ai tempi presenti.
Infine, la IV e ultima sezione è indicativamente intitolata «Dio al di là della sua necessità: contorni di teologia della grazia della domanda su Dio». In essa emerge, come filo conduttore, quanto Knop scrive nell’Introduzione, consapevole dell’impossibilità di provare che sia possibile attribuire ai non credenti un deficit d’umanità a causa della loro mancanza di religiosità: «Probabilmente è più adeguato, non solo per il rispetto nei riguardi della comprensione di sé stessi, ma anche dal punto di vista teologico, quindi per amore di Dio, riflettere su Dio come colui che non deve dimostrarsi necessario, ma previene l’interrogarsi umano come dono immeritato, inaspettato» (9s).
A che cosa conduce tale prospettiva? È ancora la stessa autrice a suggerirlo, richiamandosi di nuovo a Lutero: la domanda su Dio deve essere posta fuori dalle rappresentazioni contingenti di rilevanza umana. Egli viene verso gli esseri umani con la sua grazia in maniera libera e indisponibile, a tratti anche irritante perché scompagina, demolisce, irrompe all’interno dei bastioni dei nostri fondamenti nei quali ci siamo rinchiusi.
D. Segna, in
Il Regno Attualità 22/2022, 721