Dopo il saggio su L’ermeneutica (2012) l’editrice ci presenta, sempre dello stesso autore, anche questo saggio sulla «bellezza della metafisica» (2022), che in definitiva riprende e sviluppa una convinzione già espressa allora: pur nella sua pluralità l’ermeneutica può entrare in dialogo con la metafisica dove la domanda di senso permane radicale nonostante le sue derive razionaliste e oggettivanti, che l’hanno posta da tempo in uno stato di crisi.
Grondin studia da sempre e conosce sia la metafisica che l’ermeneutica ed è convinto che solo per un malinteso reciproco le due “filosofie” non entrino in dialogo. La metafisica non esiste senza ermeneutica e viceversa, e insieme esprimono al meglio lo sforzo filosofico fondamentale dell’uomo. «La verità è che una metafisica senza ermeneutica è cieca e un’ermeneutica senza metafisica è vuota» (p. 161, ma in questa direzione sono vergate anche le pp. 123-146). Siamo esseri di comprensione, dice l’ermeneutica; il desiderio di comprendere, l’interrogazione sul senso (ragione o intelligenza) sta alla base di ogni metafisica latente (come direbbe Gadamer) riflessa o implicita («premetafisica», come dice qui Grondin, pp.5-13) che sia.
Nel saggio l’autore esplicita come la metafisica si fonda su alcuni «pilastri» declinabili in base all’intenzione volta sul senso del reale (pilastro ontologico) o volta sulle ragioni dell’essere o del principio (arche) (pilastro “teologico”) o su quelle dell’interrogante che si scopre capace di comprendere e autocomprensdersi con la ratio (pilastro antropologico) (cf. pp.15-65).
Sono pilastri che poggiano sulla bellezza (eidos che non va inteso come un concetto, ma come ciò che è), spiega Grondin (pp. 38-65); esperienza che conduce alla percezione dell’ordine nell’universo delle cose (qui l’autore recupera il concetto e l’esperienza della contemplazione, pp. 99-122) e all’intelligenza del bene («e il male?» poi si chiede Grondin, pp. 81-98).
Ma oggi è impossibile fare metafisica senza tener conto della storicità nell’esperienza della verità; e qui l’autore apre un particolare confronto con Gadamer (pp. 147-156). Il saggio, pertanto, merita attenzione e lettura non per la sua valenza speculativa (nulla di nuovo vi si trova per chi bazzica filosofia e teologia), ma per la sua facilità e semplicità nel far scoprire al lettore che la metafisica serve, eccome! Aiuta a vivere nella concretezza e nella realtà delle cose così come oggi si cerca di fare (quanti hanno ancora paura della metafisica?).
E la teologia? Certo, potrebbe star bene anche senza metafisica, ma gli esiti non sono dei migliori (basta guardarsi attorno). Ma una teologia priva dell’orizzonte metafisico non può offrire un affondo a quel mistero della fede che altrimenti resterebbe (come accade a certuni “indirizzi” spirituali) prerogativa di esperienze soggettive e la ricerca e la pratica della verità non un “ascolto” della rivelazione e della tradizione ma un dibattimento concordante. Non solo. Ma nel momento in cui si prende a carico la (nuova) evangelizzazione, spesso è anche la “metafisica” (in quanto esprime la ricerca della verità) una piattaforma essenziale per un dialogo efficace con tutti. I tentativi ancora in corso in alcune teologie di riferirsi (in parte o in tutto) a modelli di pensiero a-metafisici, è la ragione spesso della loro inefficacia.
Un potenziamento (aggiornato) e un’apertura alla metafisica risultano necessari. L’autore – filosofo canadese con studi di teologia a Tübingen – non è l’ultimo a tener desta l’istanza metafisica per oggi, che sottotraccia per una temperie culturalmente aliena a questi discorsi (Grondin querela in particolare il nominalismo e l’utilitarismo), riesce a interessare non solo la teologia, ma anche la filosofia perché inevitabile e necessario (urgente per tutti) è quell’itinerario del pensiero che spinge dal fenomeno al fondamento (direbbe la Fides set ratio), dal «questo qui» al suo connaturato «oltre» (si direbbe con Florenskij) come dettagliatamente ci dimostra anche Cacciari nel suo recente Metafisica concreta.
Riflettendo sulle esperienze esistenziali di ciascuno, la filosofia non ingaggia dimostrazioni, ma affronta ermeneutiche nel tentativo di comprendere quello stupore abissale (come direbbe Wittgenstein) che accende la contemplazione (dice qui Grondin, pp. 99-122). Ingaggia continue dimostrazioni, invece, la scienza con le sue domande e le sue risposte e la sua storia. E a ragione. Ma essa si fa ridicola e deforme quando “per ciò” nega la possibilità e la pertinenza (come domanda insensata o illusione) della ratio metafisica, perché (sbadatamente?) essa stessa non la elimina, ma la genera come domanda di senso (che è sempre, anche se ci ostiniamo nel negarlo, un atto “religioso”, ci direbbe Scheler).
La scienza, fintantoché rimane rigorosamente nei suoi spazi, non ha mai potuto e mai potrà rifiutare la metafisica senza far danno a se stessa. Chi lo ha fatto, invece, sono stati importanti “movimenti” di natura filosofica. Ma questo è un altro discorso. Certamente, dopo Kant e Cartesio, dice Grondin (pp. 66-80), la metafisica va “restaurata” un pochino (uno che ci ha provato sul versante fenomenologico è Marion, ma anche su altri registri Zambrano); perché anche con la metafisica non bisogna eccedere ed è necessario rigorizzare le terminologie se vogliamo farla uscire dalla sua inefficacia storica!
Quindi, anche le discipline STEM (le scienze dure, esatte, oltre alle scienze naturali e a quelle socio-psicologiche) “costringono” a porre domande per loro stesse inspiegabili. Restano lì, insondate. Indicibili? No, dice la metafisica; si deve cercare di rispondere anche se scarse possono ritenersi le soluzioni. È l’orizzonte incontrovertibile della metafisica, che si fa sintassi (la ricerca di un senso compiuto o altrimenti determinabile come “verità”) di ogni senso e di ogni significato, ma che a sua volta ha un senso appunto perché e in quanto è la persona tutta a esservi coinvolta.
Qui andrebbe tematizzato quel nesso tra verità e persona che tanto oggi dà da pensare sulla sua possibilità. Ma anche questo è un altro discorso. In ogni caso, è necessario e urgente oggi prendere coscienza della necessità della metafisica, aiutando a scoprirne, come fa Grondin, la sua portata concreta e pratica nel mentre spinge alla vita, al bello e al bene.
D. Passarin, in
CredereOggi 4/2024, 148-150