GENERARE, SEGNO DI SPERANZA (28:03:2021)
<br>I due curatori – Andreas R. Batlogg e Peter Suchla – hanno raccolto per la prima volta in un singolo volumetto quattro brevissime meditazioni (pp. 17-52) scritte dal grande teologo tedesco (1904-1984) nella settimana santa del 1957 (Venerdì santo, Sabato santo), nel 1946 la prima sulla Pasqua (Inizio della gloria) e nel 1950 la seconda (Una fede che ama la terra). Edite varie volte in svariati volumi, sono ora disponibili in italiano in un volume ad esse specificamente dedicate.
Rahner non amava la distinzione fra scritti teologici e altri testi definibili come “spirituali” o “devozionali”. Per lui non esisteva un confine preciso. Rahner si chiedeva come i contenuti della fede si attuino e si estendano nella vita quotidiana ed era molto attento allo svolgimento dell’anno liturgico. I suoi scritti più divulgativi sono sempre stati molto apprezzati per la loro ricchezza teologica e accessibilità di linguaggio.
Nell’introduzione (pp. 5-16) i due curatori forniscono una traccia sicura di lettura dei testi rahneriani. Ce ne avvaliamo per tener fermo e sicuro il filo del discorso. Nella prospettiva dell’abisso tremendo della morte, il Venerdì santo lo si può vivere solo nell’abbandono al Padre, anche se è difficile percepire il suo amore che ci attende. Quel giorno ha fatto emergere ciò che ancora rimane in atto: lo scandalo, la follia della croce. Questa pazzia – dice però Paolo – è tuttavia la sapienza e la forza di Dio per coloro che credono.
L’abisso è duro da affrontare, ma occorre tener duro e resistere, perché, alla fine, «sarà per noi giocoforza puntare gli occhi sull’abisso e precipitarvi a corpo morto» (p. 20). Siamo pieni di forze vitali, ma è bene stare sotto la croce. Lì ci possiamo lasciar rianimare dalla grazia di Dio, accettare di buon grado lo scandalo e l’assurdità del nostro «punto di vista» considerandolo come «forza e sapienza di Dio», guardando al Crocifisso, tuffandoci nel mistero della sua morte.
Per non sbagliare anche l’ultimo atto della nostra vita, «è molto meglio celebrare anticipatamente il Venerdì santo del Signore, accostandosi alla sua croce, ripetendo con lui le sue ultime parole» (pp. 21-22). In questo modo è possibile vedere l’abisso in cui si piomba, ma «si crede fermamente che in esso pulsa l’amore e la vita stessa: Dio» (p. 22). Tutto il fattibile è compiuto, quando si invoca il Padre affidandogli la propria vita, il proprio spirito, la propria morte. L’estasiante premio della salvezza verrà poi come logica conseguenza.
Il Sabato santo rappresenta la realtà che gli uomini vivono tutti i giorni. Esso rappresenta il luogo in cui la persona agisce, decide, riesce o fallisce. È il simbolo del quotidiano. La sua «mediocrità» si estende fra il timore e il giubilo. Nella quotidianità si sperimentano dolori e preoccupazioni, ma noi siamo, noi abbiamo fatto il salto dal nulla alla vita, e siamo davvero e nessuna morte può ormai prenderci questa esistenza, che rimane conservata per sempre in Dio.
Il Sabato santo è però anche il passaggio tra il Venerdì santo e la Pasqua. Per questo motivo il cristiano non deve rassegnarsi alla mediocrità, alla normalità della propria esistenza, perché la sua vita sta già nel segno della Pasqua e non ha il diritto «di essere troppo modesto». La quotidianità «si muove risolutamente in direzione della Pasqua, e pertanto i cristiani sperano non solo che i loro giorni non siano tutto ciò che la vita ha da offrire; dalla Pasqua possono pretendere quasi tenacemente, senza falsa modestia» (p. 14).
La prima riflessione sulla Pasqua come Inizio della gloria si sofferma sul fatto che essa non è un evento passato, ma puro presente. Con la Pasqua, nel mondo è cominciato qualcosa che irreversibilmente lo muove verso il suo significato pieno. La miccia è stata accesa nel passato, brucia ora, ma cambierà inarrestabilmente il futuro nel futuro buono di Dio. Il risuscitamento di Gesù è posto all’interno della domanda di senso dell’essere umano, a cui Dio dà una risposta quasi incredibile.
La seconda meditazione sulla Pasqua, dal titolo Una fede che ama la terra, riflette sul fatto che siamo in cammino verso la nostra reale dimora ma sulla terra non siamo solo ospiti passeggeri. Si deve amare il cielo o la terra? Rahner risponde riflettendo sull’ottimismo cristiano. La terra si sviluppa positivamente. Siamo figli di questa terra e tali rimaniamo, ma da Pasqua la terra non è più quello che era. Dal momento della morte e risurrezione di Gesù, nel più intimo della terra brucia, figurativamente, il fuoco di Dio. Esso trasfigura progressivamente la terra in bene, così che il credente può amarla, anche se di questo processo di trasformazione il cristiano avverte poco, tanto quanto l’aria che respira e in cui si muove.
R. Mela, in
SettimanaNews.it 27 marzo 2021