Scriveva Teresa di Lisieux che la vera sfida del credente non è quella di fare cose straordinarie, ma di santificare quelle ordinarie. Ed è un vero invito a guardare la nostra esistenza con occhi pieni di meraviglia quello che esce dal volume di Anselm Grün Stupore, appena edito da Queriniana. Il monaco benedettino tedesco realizza una vera e propria teologia della vita quotidiana e riesce a mostrare, senza cedere a facili ottimismi, che quando compiamo le nostre azioni, dal risveglio alla colazione, dal tragitto verso il luogo di lavoro alla lettura del giornale, dalle attività nell’azienda o nel negozio in cui lavoriamo al riposo, tutto può essere realizzato senza farci prendere dall’ansia o dalla fretta che spesso caratterizzano le nostre giornate.
Come spiega nell’introduzione, tutti noi miriamo a condurre una vita felice e piena di significato e le filosofie e le religioni di ogni tempo hanno cercato di indicarci la strada. Oggi che la tecnologia ci semplifica l’esistenza sotto molti punti di vista, al tempo stesso aumenta la pressione e lo stress. «Ma cosa è davvero essenziale?», si chiede Grün sollecitando la riscoperta della dimensione spirituale della vita, che non significa cedere all’astrazione, ma «creare uno spazio di libertà in cui conserviamo la nostra dignità individuale come persone, pur nella situazione di iperconnessione tecnologica dell’esistenza moderna: uno spazio in cui non siamo eterodiretti, bensì interamente in noi stessi».
Si tratta di fermarsi, di creare momenti di meditazione che spezzino la frenesia delle nostre ore, di cercare nell’interiorità quello di cui abbiamo davvero bisogno: questo è lo stupore (la vera molla della filosofia secondo Platone), che significa «essere aperti al nuovo e riconoscere il miracolo nella quotidianità».
Ricordando come nei Vangeli Gesù tragga spesso spunto da esempi della vita quotidiana per definire il Regno dei cieli, dagli uccelli del cielo ai gigli del campo, dal granello di senape al grano e alla zizzania, il benedettino ricorda come, parlando delle cose di questo mondo, Gesù parli allo stesso tempo di Dio. Così anche noi, persino nelle azioni un po’ monotone che segnano il tempo quotidiano, possiamo scegliere di compierle con attenzione per evitare che rimangano puramente esteriori e di cadere nella routine. L’obiettivo è essere interamente presenti in ciò che facciamo e, per chi è cristiano, richiamarci costantemente a qualcosa di più profondo: «Allora il quotidiano non è vuoto, ma il luogo in cui esercito il mio amore e lo realizzo». E il nostro agire si trasforma in un augurio di benedizione che si rivolge alle persone che ci stanno intorno.
Il risveglio al mattino, se vissuto con questa attenzione, invece di procurarci fastidio diventa un’opportunità per ricominciare da capo e ci sollecita a guardare il mondo con occhi bene aperti. Il che non significa vedere tutto rosa e dimenticare le difficoltà. Nei primi secoli del cristianesimo non esisteva ovviamente la sveglia e ci si alzava col canto del gallo. Che per sant’Ambrogio non è affatto una fonte di disturbo, ma la promessa che la luce sconfigge le tenebre e per questo possiamo avvertire in noi nuova forza. «Ci alziamo quindi – scrive Grün – consapevolmente dal sepolcro della nostra rassegnazione e dal sepolcro dell’autocompatimento, anche per metterci in cammino con gli altri e proponendoci di rialzare le persone che incontriamo».
Lo scrive con efficacia anche papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, quando non solo ci sollecita alla gentilezza ma a quella che chiama, con termine greco tratto da san Paolo, la chrestotes, che significa «uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta». È la capacità di guardare all’altro con empatia, aiutandolo a rendere la sua vita più sopportabile dinanzi al peso dei problemi e delle angosce.
Il volume passa in rassegna le varie azioni della giornata dopo il risveglio, dal fare la doccia, che può significare non solo liberarsi dalla sporcizia fisica ma anche di tutto ciò che offusca la nostra anima, al lavarsi i denti, che può diventare un simbolo del fatto che vogliamo purificare le nostre parole, parole che trasmettano fiducia e speranza, che guariscano invece di ferire. Anche fare colazione con calma, chiacchierando con i nostri cari o, se si è soli, leggendo con cura il giornale o ascoltando un po’ di buona musica, è l’occasione di rilassarci in attesa delle occupazioni che ci attendono. Leggere il giornale al mattino o consultare le notizie sullo smartphone, può essere un’azione distratta o sbrigativa, dettata solo dalla curiosità. Ma se ci soffermiamo con un po’ di concentrazione, possiamo pensare alle persone di cui stiamo leggendo, pregare per le vittime della violenza o del terrorismo (e anche per i colpevoli), per gli abitanti di un Paese su cui abbiamo letto un reportage critico. Insomma, leggere può creare un legame col mondo.
Andando al lavoro, possiamo assaporare il percorso usandolo come una forma di meditazione: per prepararci agli incontri o alle riunioni che abbiamo in programma e offrendo le nostre attività sotto la benedizione divina. Anche il guidare può diventare un luogo di esperienza spirituale, esercitando la pazienza verso automobilisti lenti o irritati, senza agevolare la rabbia che sempre più si manifesta nel traffico. Riempiamo quindi la giornata lavorativa di pause, per fare silenzio o parlare con qualche collega: così non diventiamo schiavi dei ritmi che ci sono imposti. La parola pausa viene dal greco anapàuo, che vuol dire far smettere, dare respiro, ristorare. Cerchiamo perciò di tirare il fiato, staccando dal lavoro, senza pranzare davanti al computer o consultare continuamente le nostre mail. Un po’ di quiete non rappresenta il semplice far niente, ma un refrigerio fisico e psichico. Come ha scritto Emil Cioran: «Il nostro patrimonio autentico: le ore in cui non abbiamo fatto nulla. Sono esse che ci formano, ci individualizzano, ci distinguono».
Tornare a casa può diventare un vero motivo di gioia, non solo perché ci lasciamo alle spalle il lavoro (molti oggi non possono farlo, costretti come sono dalle loro aziende a non staccare mai) ma perché ritroviamo l’armonia in famiglia e possiamo dedicarci al dialogo con i nostri cari. Pure alcune attività monotone che facciamo a casa, dal lavare i piatti allo stirare, dal cucinare al tagliare l’erba, possono essere trasformate in momenti di meditazione: possiamo concentrarci sulla nostra vita e farci aiutare dall’ascolto di bella musica. Quando andiamo a letto, cerchiamo di ritrovare la calma e il silenzio, senza rimuginare sulle occasioni perdute: «Le preoccupazioni della giornata tacciono, mi basta ascoltare il silenzio della sera perché anche in me si faccia silenzio».
Attraverso lo stupore, è la lezione di Grün, scopriamo la vera spiritualità che ci consente di ampliare lo sguardo e di vincere la monotonia della vita: «Faccio il mio dovere e sbrigo il mio lavoro, ma non sono totalmente preso dall’adempimento esteriore del dovere. Vedo il sacro nel banale».
R. Righetto, in
Avvenire 18 dicembre 2020