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Riti corretti
Thomas O’Loughlin

Riti corretti

Perché celebrare bene conviene

Prezzo di copertina: Euro 14,00 Prezzo scontato: Euro 13,30
Collana: Guide per la prassi ecclesiale 31
ISBN: 978-88-399-1878-9
Formato: 14,4 x 20,4 cm
Pagine: 152
Titolo originale: The Rites and Wrongs of Liturgy. Why Good Liturgy Matters
© 2020

In breve

Postfazione all’edizione italiana di Alberto Dal Maso

«La buona liturgia innanzitutto fa quello che dice».

Una guida all’”arte di celebrare” che ha molto da offrire sia alla riflessione personale (per sacerdoti, diaconi, ministri) sia alla riflessione condivisa (nei gruppi liturgici).

Descrizione

Tutti quanti vorremmo celebrare bene e fare esperienza di liturgie belle, sentite. Ma qual è il procedimento migliore da seguire?
Questo libro offre una via percorribile per rafforzare la nostra fede, edificare la comunità cristiana e puntare in direzione di celebrazioni liturgiche radicate tanto nella nostra natura di esseri rituali quanto nel vangelo di Cristo. Riti corretti ci spiega perché una buona liturgia è importante, ci insegna come riconoscerla e come valutarla rispetto a una visione più ampia della fede cristiana.
Thomas O’Loughlin – appassionato osservatore del culto, ma anche della vita – individua dieci princìpi cui ispirarsi per una celebrazione efficace: la liturgia deve essere vera, aperta, gioiosa, inclusiva, radicata nella comunità e atta a favorirne la partecipazione, basata sulla creazione, fedele al modello dell’incarnazione; deve altresì prestare attenzione agli emarginati ed evitare qualsiasi confusione.
Le celebrazioni ben riuscite rafforzano la vita di fede, mentre le cattive celebrazioni la indeboliscono: ecco perché questa griglia di princìpi, concisa, senza aridi tecnicismi, promette di portare nuova linfa ad ogni comunità che celebra il suo Signore.

Recensioni

Non c'è dubbio che l'incontro con Gesù oggi come sin dal giorno della sua risurrezione avvenga realmente nella liturgia. Lì egli comunica la sua forza e lì trova scaturigine (e vigoria) la nostra fede. E questa forza non è tanto energia mentale (intelletto e volontà),e non transita tanto per via «spirituale»(cuore). Come nei giorni terreni di Gesù, è sempre soprattutto l'esperienza di un incontro concreto dove i sensi tutti sono coinvolti in primis. L’azione dello Spirito Santo non spiritualizza, ma attiva, attualizza, realizza, attua. Questa è la storia della salvezza che permane (caro salutis cardo).Se la liturgia non riesce a far vivere, non riesce a rendere reali questo/i incontro/i, o quanto meno a comunicarne la forza salvifica che proviene dal Cristo, fallisce inesorabilmente. A voglia confidare nell'ex opere operato, a voglia voler sintonizzarsi con le intenzioni della chiesa recitandone formule, gesti e rituali...

Se le liturgie non incidono, non lasciano il segno nell'esperienza di chi vi «partecipa», sul versante esistenziale non si dà incontro, sbiadisce tutto, si sbadiglia e se ne attende pazientemente il termine. D'altra parte, non è così semplice «celebrare», come si suol dire; infatti il (ogni) sacramento mette alla prova la fede nota (di ieri) proprio nel mentre si fa risorgiva e inesausta origine di quella nuova (di adesso). In questo evento è il rito che gioca il ruolo centrale («per ritus et preces» [SC 48]). E la ritualità è sinergia di forza e forma che nella fede trasfigura l'umano (ex parte hominis)e il divino (ex parte Dei).

Pathos e logos insieme, questo è il rito. E se ogni celebrazione non le coniuga insieme (per varie ragioni non vi riesce), chi «partecipa» va in sofferenza, non avverte e quindi non vive il tocco della grazia. Non è certamente questa e posta in questi termini la problematica affrontata nel libro che presentiamo. Ma: è su questo scenario che va radicata. L’autore - docente di teologia storica presso l'Università di Nottingham (Inghilterra) – azzecca la sintesi del suo lavoro nel sottotitolo: perché celebrare bene conviene. «Conviene» qui traduce l'originale «why matters» («perché è importante»), rimanendo più prossimo all'effettivo contenuto del libro che non si attarda a spiegare l'importanza della liturgia, ma a come «farla bene», come celebrare bene.

Si deve farla bene perché è importante, punto. Ed è importante - accenna solo alla fine (cf. 128-130) - perché è al centro della vita cristiana e perché sa tenere insieme due modelli distinti di verità che sbrigativamente possiamo riassumere, come detto sopra, con pathos e logos. Tuttavia, all'autore in pratica interessa stigmatizzare gli errori (sembra suggerire il titolo), gli sbagli, le cosestorte (wrongs),di un agire liturgico carente, afasico, incoerente. E lo fa non inseguendo il parametro della storia liturgica, bensì quello «preso in prestito dal mondo dell'architettura e del design» (p. 5), da cui derivano i dieci principi che gli servono per «valutare» la bontà di una liturgia.

Ad essere sinceri non c'è nulla di nuovo. Infatti, all'autore sono ben note le questioni già ampiamente discusse e ritrite dell'ars ceubrandi. Dopo aver stigmatizzato, in perfetto stile british sottilmente pungente e faceto e mai polemico o esagerato, contraddizioni, bizzarrie, errori delle nostre celebrazioni (peraltro già ampiamente note ed esaminate), elabora velocemente altrettante risposte («principi») che aiuterebbero a dare efficacia maggiore alle nostre celebrazioni. Perché «realizzare una buona liturgia e migliorare lo stile celebrativo sono questioni fondamentali [...] questo perché siamo tutti quanti degli esseri rituali» (p. 13). Perché a confondere solennità con santità ci vuoi poco e quando «andiamo in chiesa» ci possiamoanche (placidamente) illudere. È facile autoingannarsi. E comodo, spesso.

La prospettiva dell'autore è molto concreta, attenta alla prassi e suggerisce risposte altrettanto pragmatiche, anche se li definisce «principi». Forse è l'empirismo inglese che marca la narrazione, o forse una scelta di essenzialità, ma condividiamo la scelta di Alberto Dal Maso (redattore di «ConciIium» e dell'editrice Queriniana) di redigere una «postfazione all'edizione italiana» (pp.131-144) e una «bibliografia aggiuntiva in lingua italiana» (pp. 147-148) che brevemente ma puntualmente offre quelle coordinate necessarie a integrare e «completare» la lettura di un saggio certamente pregevole e traboccante di preziosi consigli.


D. Passarin, in CredereOggi 245 (5/2021) 171-173

Este libro ofrece una forma accesible de fortalecer nuestra fe, construir la comunidad cristiana y señalar la dirección de las celebraciones litúrgicas arraigadas tanto en nuestra naturaleza como seres rituales como en el evangelio de Cristo. El autor explica por qué es importante una buena liturgia, nos enseña cómo reconocerla y cómo evaluarla con respecto a una visión más amplia de la fe cristiana. Se identifican los principios en los que inspirarse para conseguir una celebración eficaz: la liturgia debe ser verdadera, abierta, alegre, inclusiva, arraigada en la comunidad y capaz de fomentar la participación, basada en la creación, fiel al modelo de la encarnación; también debe prestar atención a Ios marginados y evitar cualquier confusión.


In Phase 360 (2/2021) 282

Che cosa hanno in comune il mondo del design e quello della liturgia? A partire da questo suggestivo accostamento, il teologo irlandese Thomas O’Loughlin, prete diocesano e docente presso l’Università di Nottingham (Inghilterra), offriva nel 2018 un testo davvero gustoso sull’ars celebrandi, ben tradotto in italiano nel 2020.

Il libro è godibile per lo stile con cui propone osservazioni non consuete, a partire, appunto, da un approccio estremamente originale. Sagge riflessioni sono offerte a partire dai principi del design formulati dal noto designer tedesco Dieter Rams. Un buon oggetto di design, cioè una buona riproposizione di quel che va bene e che in effetti tutti continuiamo a scegliere e acquistare (tra gli oggetti, gli spazi e le azioni) rispetta questi dieci principi: 1) è innovativo, 2) rende utile il prodotto, 3) è bello sul piano estetico, 4) aiuta a comprendere il prodotto, 5) è discreto, 6) è onesto, 7) dura nel tempo, 8) è tale fin nei più piccoli dettagli, 9) è amico dell’ambiente, 10) «il buon design è meno design possibile».

Applicati all’azione celebrativa, essi aiutano a render chiaro il principio fondamentale del testo, tratto da un documento (Music in Catholic Worship) della Commissione episcopale americana per la liturgia: «Le buone celebrazioni nutrono e alimentano la fede. Le celebrazioni mediocri la indeboliscono e la distruggono». Se condividiamo la consapevolezza di quanto l’agire rituale sia pervasivo di tutto il vissuto (e sempre di più, del mondo del commercio e della comunicazione), non sembra però che l’azione pastorale abbia ancora messo a fuoco quanto del suo fondamento si gioca sul come. Quando una persona presente ad una celebrazione pensa: «quanto durerà ancora?», essa esprime un irriflesso atto di sfiducia nella liturgia, provando il desiderio di essere altrove, se solo potesse, ed esprime un involontario giudizio di valore. Anche senza uscire, sono infiniti i mezzi con i quali questa sfiducia si manifesta, producendo un effetto sulla vita di fede.

Coscienti che non è mai esistita nella storia un’età ideale per il rito cristiano, l’autore offre dunque ben dieci principi sui quali valutare, correggere e rivitalizzare l’arte di celebrare: 1. Una buona liturgia è onesta, 2. Una buona liturgia è gioiosa, 3. Una buona liturgia celebra la comunità ed esprime le nostre identità, 4. Una buona liturgia favorisce la partecipazione, 5. Una buona liturgia è inclusiva, 6. Una buona liturgia è basata sulla creazione, 7. Una buona liturgia dà la priorità agli emarginati, 8. Una buona liturgia evita la confusione, 9. Una buona liturgia segue il modello dell’incarnazione, 10. Una buona liturgia è aperta.

Come giustamente notato da Alberto Dal Maso nella postfazione, «i meriti di queste pagine sono tanti. Un diluvio di consigli preziosi. […]. Questo libro ha il pregio di rievocare con forza quella che Paul De Clerck chiama l’intelligenza della liturgia. La liturgia ha – dice O’Loughlin – un proprio stile, una sua specificità, nel comunicare l’avventura (e non solo il contenuto) dell’essere discepoli» (143-144).


M. Gallo, in Rivista di Pastorale Liturgica 1/2021, 77-78

I rituali incidono molto nella vita ordinaria di tutti noi, prima ancora che nella liturgia propriamente detta.Qualcuno sostiene che il rito è ciò che, pur tornando sempre uguale a se stesso, cambia ciò che incontra: un giorno dall'altro, un'ora dall'altra. Tutti ci teniamo e mettiamo impegno perché i riti - tutti i riti - riescano bene e sortiscano il loro effetto. La domanda è: come?

Risponde a questa domanda Tomas O'Loughlin, teologo di origine irlandese e presidente dell'Associazione Teologica Britannica. L'Autore propone al lettore dieci principi per vivere una buona liturgia. Dev'essere onesta e gioiosa; celebra la comunità ed esprime l'identità di chi vi partecipa; favorisce la partecipazione; è inclusiva; è basata sulla creazione; dà la priorità agli emarginati, evita la confusione; segue il modello dell'incarnazione; è fondamentalmente aperta.

Basandosi su queste linee guida, l'Autore propone un manuale di ars celebrandi a misura di chi, nella liturgia, svolge un ministero. È inoltre utile per la riflessione comunitaria e per la formazione del gruppo liturgico.


A. Passiatore, in La Vita in Cristo e nella Chiesa 1/2021, 66-67

Di riconoscere che una liturgia è noiosa o perfino irritante siamo in grado forse tutti. Più difficile è capire perché e come orientarsi per "migliorarla" non solo esteriormente.

A suggerire piste su «Perché celebrare bene conviene», come recita il sottotitolo del volumetto Riti corretti, è Thomas O'Loughlin, teologo e docente irlandese.

Non però di un trattato liturgico si tratta, ma di un saggio, che si articola in due parti: una pars destruens, che mostra i limiti di un certo tipo di approccio alla liturgia (sacrale, rubricistico, estetico, archeologico,utilitarista e consumistico), e una pars construens che illustra dieci principi o criteri, utili per valutare la "bontà" di una liturgia.

Il discorso si regge sulla convinzione che una liturgia "vera" tocca l'identità dei partecipanti, fa fare esperienza di Chiesa e aiuta a crescere nella fede. Ecco allora dipanarsi i criteri positivi perché la liturgia possa essere aperta, gioiosa, inclusiva, radicata nella comunità, adatta a favorire la partecipazione, basata sulla creazione, fedele al modello dell'incarnazione...

Un discorso "meta-liturgico", attentoal senso antropologico del rito e al tempo stesso fedele al Vangelo, che molto può aiutare a orientare bene ministri e gruppi liturgici.


V. Vitale, in Jesus 8/2020, 92

L’autore del volume è il presidente della Associazione teologica della Gran Bretagna. Nella postfazione all’edizione italiana, il liturgista-pastoralista Alberto Dal Maso coglie la prospettiva insolita e spiazzante di queste pagine, che mettono a nudo i riti liturgici, mostrando «ambivalenze che tendono a opacizzare l’onestà del segno».

O’Loughlin fa suoi dieci princìpi che misurano la qualità del celebrare. La liturgia deve essere sempre onesta, aperta, gioiosa, inclusiva, fedele al modello della incarnazione, radicata nella comunità, perché possa favorirne la partecipazione. Solo così si porta nuova linfa alla comunità che celebra il suo Signore.

Per l’autore resta sempre vero che le celebrazioni ben riuscite rafforzano la vita di fede, mentre quelle cattive la indeboliscono.


In Vita Pastorale 6/2020, 79