Non c'è dubbio che l'incontro con Gesù oggi come sin dal giorno della sua risurrezione avvenga realmente nella liturgia. Lì egli comunica la sua forza e lì trova scaturigine (e vigoria) la nostra fede. E questa forza non è tanto energia mentale (intelletto e volontà),e non transita tanto per via «spirituale»(cuore). Come nei giorni terreni di Gesù, è sempre soprattutto l'esperienza di un incontro concreto dove i sensi tutti sono coinvolti in primis. L’azione dello Spirito Santo non spiritualizza, ma attiva, attualizza, realizza, attua. Questa è la storia della salvezza che permane (caro salutis cardo).Se la liturgia non riesce a far vivere, non riesce a rendere reali questo/i incontro/i, o quanto meno a comunicarne la forza salvifica che proviene dal Cristo, fallisce inesorabilmente. A voglia confidare nell'ex opere operato, a voglia voler sintonizzarsi con le intenzioni della chiesa recitandone formule, gesti e rituali...
Se le liturgie non incidono, non lasciano il segno nell'esperienza di chi vi «partecipa», sul versante esistenziale non si dà incontro, sbiadisce tutto, si sbadiglia e se ne attende pazientemente il termine. D'altra parte, non è così semplice «celebrare», come si suol dire; infatti il (ogni) sacramento mette alla prova la fede nota (di ieri) proprio nel mentre si fa risorgiva e inesausta origine di quella nuova (di adesso). In questo evento è il rito che gioca il ruolo centrale («per ritus et preces» [SC 48]). E la ritualità è sinergia di forza e forma che nella fede trasfigura l'umano (ex parte hominis)e il divino (ex parte Dei).
Pathos e logos insieme, questo è il rito. E se ogni celebrazione non le coniuga insieme (per varie ragioni non vi riesce), chi «partecipa» va in sofferenza, non avverte e quindi non vive il tocco della grazia. Non è certamente questa e posta in questi termini la problematica affrontata nel libro che presentiamo. Ma: è su questo scenario che va radicata. L’autore - docente di teologia storica presso l'Università di Nottingham (Inghilterra) – azzecca la sintesi del suo lavoro nel sottotitolo: perché celebrare bene conviene. «Conviene» qui traduce l'originale «why matters» («perché è importante»), rimanendo più prossimo all'effettivo contenuto del libro che non si attarda a spiegare l'importanza della liturgia, ma a come «farla bene», come celebrare bene.
Si deve farla bene perché è importante, punto. Ed è importante - accenna solo alla fine (cf. 128-130) - perché è al centro della vita cristiana e perché sa tenere insieme due modelli distinti di verità che sbrigativamente possiamo riassumere, come detto sopra, con pathos e logos. Tuttavia, all'autore in pratica interessa stigmatizzare gli errori (sembra suggerire il titolo), gli sbagli, le cosestorte (wrongs),di un agire liturgico carente, afasico, incoerente. E lo fa non inseguendo il parametro della storia liturgica, bensì quello «preso in prestito dal mondo dell'architettura e del design» (p. 5), da cui derivano i dieci principi che gli servono per «valutare» la bontà di una liturgia.
Ad essere sinceri non c'è nulla di nuovo. Infatti, all'autore sono ben note le questioni già ampiamente discusse e ritrite dell'ars ceubrandi. Dopo aver stigmatizzato, in perfetto stile british sottilmente pungente e faceto e mai polemico o esagerato, contraddizioni, bizzarrie, errori delle nostre celebrazioni (peraltro già ampiamente note ed esaminate), elabora velocemente altrettante risposte («principi») che aiuterebbero a dare efficacia maggiore alle nostre celebrazioni. Perché «realizzare una buona liturgia e migliorare lo stile celebrativo sono questioni fondamentali [...] questo perché siamo tutti quanti degli esseri rituali» (p. 13). Perché a confondere solennità con santità ci vuoi poco e quando «andiamo in chiesa» ci possiamoanche (placidamente) illudere. È facile autoingannarsi. E comodo, spesso.
La prospettiva dell'autore è molto concreta, attenta alla prassi e suggerisce risposte altrettanto pragmatiche, anche se li definisce «principi». Forse è l'empirismo inglese che marca la narrazione, o forse una scelta di essenzialità, ma condividiamo la scelta di Alberto Dal Maso (redattore di «ConciIium» e dell'editrice Queriniana) di redigere una «postfazione all'edizione italiana» (pp.131-144) e una «bibliografia aggiuntiva in lingua italiana» (pp. 147-148) che brevemente ma puntualmente offre quelle coordinate necessarie a integrare e «completare» la lettura di un saggio certamente pregevole e traboccante di preziosi consigli.
D. Passarin, in
CredereOggi 245 (5/2021) 171-173