Il fascino destato dalle questioni di ordine psicologico appare ormai evidente nella cultura contemporanea e allo stesso tempo emerge con forza un aumento della sofferenza psicologica, che si manifesta in diverse forme, fino ai gesti di violenza più estremi.
Jean-Guilhem Xerri, psicanalista e medico biologo francese, nel tentativo di integrare le pratiche psicoterapiche con l'arte della meditazione, mette in luce la centralità della vita interiore come spazio nel quale si radicano le nostre scelte fondamentali, le convinzioni e le relazioni che tessiamo con gli altri.
Secondo l'A., il pensiero cristiano delle origini conduce a riscoprire la vita spirituale come "un laboratorio di vita interiore” (p. 91) accessibile a tutti. Appassionato dei padri del deserto, da lui considerati come "primi terapeuti", delinea un percorso esplorativo della nostra interiorità, a partire da una visione dell'umano capace di integrare la dimensione spirituale.
Dopo una sintetica descrizione dei modelli antropologici, l'A. sottolinea il limite di una visione parziale dell'uomo a due componenti, corpo e psiche, e i suoi rischi patogeni. Propone di recuperare la visione patristica, che consegna un modello antropologico caratterizzato dall'incompiutezza della nostra umanità alla nascita e da una struttura ternaria, composta da corpo-anima-spirito. La dimensione dello spirito, distinto dal corpo e dall'anima e a essi unito, apre all'infinito, attraverso una volontà libera e un'intelligenza intuitiva, non riducibile alle sole competenze logiche. L’anima (psyché, da cui deriva psiche), secondo questo modello, permette di abitare concretamente la realtà e trova la sua figura come mediazione tra il carnale e lo spirituale. Ancora grazie ai padri, l'A. struttura l'anima in tre parti: razionale (intelligenza), timica (forza) ed epitimica (desideri).
Interessante è l’associazione dei tre poli a tre verbi che ne evidenziano la fisiologia e la patologia: cercare, che onora la finalità di un'intelligenza che comprenda la profondità della vita; lottare, che consente di dare forza alla ricerca di senso; amare,orientando i desideri al bene dell'altro. Vi è un patrimonio spirituale di cui riappropriarsi; per allargare il concetto contemporaneo di interiorità e per completare l'attuale modello di interpretazione delle patologie, a partire dal quadro noosologico delle malattie spirituali sistematizzate dai padri.
Il testo invita a una cura concreta della propria interiorità, richiamando alcune pratiche essenziali e sempre attuali: mettere ordine al nostro cercare, amare e lottare; dare metodo alla nostra vita interiore, attraverso "lacustodia del cuore", vigilando e prestando attenzione a ciò che accade dentro di noi; considerare il valore di una quotidianità "misurata", senza eccessi; praticare l'ospitalità, poiché il servizio umile scaccia i cattivi pensieri; infine, dedicare tempo alla preghiera e alla contemplazione della morte, che portano alla memoria incessante di Dio.
È un dato di realtà: «si fanno cose folli, pur non essendo pazzi» (p. 200). Indizio semplice, ma non banale, che l'A. suggerisce di non tralasciare: la diagnosi di una malattia e l'attenzione alla propria interiorità, infatti, possono arricchirsi della visione noopsichica della sofferenza psicologica dei padri. La cura della vita spirituale può essere una risorsa e la sua trascuratezza può essere un fattore che contribuisce a deteriorare fino ad ammalare la nostra umanità. li cristianesimo delle origini suggerisce un'ecologia interiore sempre capace di sanare e riconciliare le contraddizioni della nostra umanità, inasprite talvolta da visioni antropologiche riduttive, che, spesso, conducono a un'idealizzazione delle tecniche psicoterapiche.
Il testo invita a non dimenticare che riscoprire la vita spirituale come «un laboratorio di vita interiore» risulta ancora oggi essenziale per un'autentica "esegesi" dell'umano.
M. Vighesso, in
Studia Patavina 2/2021, 382-384