Chiunque si interessi al tema della Chiesa deve anche riflettere su un suo altro lato che è strettamente collegato a essa, cioè i ministeri. I due temi si intracciano in un rapporto che coinvolgono la fede, l’umano e l’ordine soprannaturale (p. 20), così introducendo necessariamente i diversi livelli nella pratica, creando dunque una realtà complessa tra di loro lungo la storia della Chiesa. Di conseguenza, ogni epoca della storia ha dovuto affrontare la coppia Chiesa-ministeri perchè trovi una risposta adeguata a servizio della Chiesa.
Il saggio che ci presenta Bernard Sesboüé, originariamente apparso in francese a metà degli anni novanta, vuole offrire una risposta a un attuale kairòs per tale tema. In tre capitoli, l’autore, propone di esaminare la pratica del ministero dei presbiteri, i diaconi e i laici nella Chiesa, accennando inoltre a qualche proposta e tracciando alcune piste per l’avvenire (p. 25).
In questa riflessione sul futuro, dove il tema della collaborazione sta al centro, si serve del Vaticano II come sua bussola. Dopo aver messo al centro il “Popolo di Dio” nella Lumen Gentium e aver riaffermato un solo sacerdozio, cioè quello di Cristo, si muove a considerare una sua triplice dimensione che consiste nella parola, nel culto e nella regalità (p. 31). È uno sviluppo che introduce un cambiamento-chiave nella categoria sacerdotale in uso finora, da un soggetto a un attributo (p. 33), e nel quale il ministero episcopale recupera il suo significato testimoniato dai Padri della Chiesa (p. 35) e i diaconi sono stabiliti come collaboratori dei vescovi. Una volta chiariti questi punti base si passa a un altro livello dove si tratta delle distinzioni dei diaconi e dei loro incarichi (p. 40). Qui entra un nuovo grado, cioè il diaconato permanente, che non è né sacerdotale né pastorale, ma che è collegato direttamente al vescovo, creando allora una tensione nell’intendimento dei ministeri.
Un passo importante nella materia venne stabilito nel Concilio di Trento. Il contesto è quello della Riforma nella Chiesa in cui il decreto dogmatico mise in relazione il primato romano e l’episcopato (p. 44), e l’aspetto di sacrificio con il sacerdozio (p. 45). Se da una parte si recuperò la figura del vescovo, dall’altra si creò una confusione fra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio dei fedeli (p. 46). Quindi si dipinse un quadro che distorse l’immagine dei presbiteri e dei laici, dove il primo si occupava dei sacramenti e quest’ultimi dell’annuncio della parola e dell’animazione della comunità, con il rischio di ridurre il presbitero a un “mago”, un personaggio “sacro”, “tecnico” (p. 47-48). Ecco come si arriva a un punto di svolta, cioè il fenomeno della mancanza di sacerdoti che apre alla riflessione del concetto dell’ordinazione degli uomini sposati e il matrimonio dei preti (pp. 56-60). É proprio qui che si colloca il dibattito sulla questione del diaconato nella sua diversità (64-70).
Nella stessa logica, si considera il ruolo dei laici posto dal Vaticano II nel contesto della mancanza summenzionata (pp. 71-77) che si realizza con una riflessione positiva del laico come sviluppato nelle Scritture (1 Pt 2, 9; Es 19, 5-6) (78-79). È proprio qui che si devono considerare i contributi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II e il loro mettere in pratica l’insegnamento del Concilio sui laici (pp. 81-92). A livello pastorale, la partecipazione dei laici ai ministeri sta soprattutto nell’aspetto della delega nei rituali (p. 98, 105 ecc.). Si veda anche che bisogna rinnovare e sviluppare una teologia che sia adeguata a rispondere ai bisogni attuali sul campo (p. 121). Ovvero una teologia che veglia sui punti importanti nel passaggio al ministero dei laici come è stato spinto dal Vaticano II così com’è incoraggiato dai contesti attuali. Perciò in questi cambiamenti si notino non tanto i nuovi compiti, bensì delle nuove figure quali le “suore”, i laici, ecc. (pp. 129-134). Tuttavia, è importante che i religiosi rimangano fedeli al loro carisma mentre assumono qualsiasi incarico pastorale (pp. 136-140).
Come in ogni cosa, questi ministeri conoscono anche le loro sfide, e questo in tre aree, l’età avanzata dei candidati, l’apparente predominanza femminile e la provenienza dei ministri, cioè da classi agiate (pp. 141-142). Altre sfide includono situazioni ambigue, una nuova forma di vocazione, ecc (143-144). Oltretutto, deve anche esserci un protocollo per la missione che consiste nel provvedere anche a una lettera di missione (p. 145) nonchè una liturgia di invio (p. 147). Il volume si conclude sottolineando la sua finaltà di offrire un’analisi teologica per chiarificare le situazioni pastorali considerando il nostro mondo di oggi, mettendo un accento speciale su una nuova figura della Chiesa e dei ministeri richiesti per soddisfare i bisogni concreti odierni (p. 149).
Anche se questo saggio apparve negli anni novanta, la sua rilevanza sulle questioni odierne sui ministeri rimane assolutamente un kairòs nella Chiesa. Di conseguenza, questa versione italiana non potrebbe essere più opportuna.
G. Mmassi, in
Gregorianum vol. 101 (2020/2), 500-501