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Chiesa e libertà
Bernard Sesboüé

Chiesa e libertà

Teologia e responsabilità storica a confronto

Prezzo di copertina: Euro 30,00 Prezzo scontato: Euro 28,50
Collana: Giornale di teologia 443
ISBN: 978-88-399-3443-7
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 272
Titolo originale: L’Église et la liberté
© 2022

In breve

«Finché continuerà il nostro tempo, dovremo sempre convertirci di nuovo al vangelo. La presenza dello Spirito nella chiesa esiste proprio a questo scopo: darle i mezzi per convertirsi» (Bernard Sesboüé).

Una sana e onesta riflessione, in chiave storico-teologica, sulle responsabilità della chiesa.

Descrizione

La Chiesa, che tanto spesso invoca un Dio di amore e di giustizia, ha servito veramente la libertà delle persone nel corso della storia? Sesboüé non teme di affrontare qui l’argomento spinoso, con franchezza e coraggio, facendo entrare in risonanza prospettiva teologica e prospettiva storica.
La libertà è una rivelazione fondamentale della Scrittura. Appartiene alla vocazione degli esseri umani, in virtù della creazione ricevuta in dono dalle mani di Dio. Dunque è perfettamente legittimo interrogare la responsabilità della Chiesa in quest’ambito: come spiegare certe tragiche zone d’ombra? Quelle, per esempio, costituite dalla schiavitù e dalla tratta dei neri o dalla persecuzione degli “eretici” nell’Inquisizione, le cui procedure furono spesso ingiuste, crudeli e per nulla rispettose della dignità delle persone. Perché uno scarto di tale portata rispetto all’ideale evangelico? Un passato scomodo, con gli abusi che la storia ha registrato, continua a interpellare noi e la nostra fede, esigendo una seria rilettura.

Recensioni

L'intento del saggio Chiesa e libertà del teologo gesuita francese Bernard Sesboüé (1929-2021) è detto subito nell'Introduzione: «Proporre una riflessione di ordine teologico, al fine di situare la responsabilità propria della chiesa rispetto alla missione ricevuta da Cristo, da una parte; e rispetto alla sfida umana della libertà, dall'altra» (p. 6). Il saggio si occupa principalmente degli abusi e degli scandali perpetrati in particolare con la schiavitù e l'Inquisizione, che contraddicono in modo palese la vocazione degli uomini alla libertà ricevuta dalle mani del Creatore e la stessa Rivelazione del vangelo, che la indica come fine da raggiungere. Per questo è «perfettamente legittimo interrogare la responsabilità della chiesa in questo campo», tenendo conto che «una grande missione della chiesa è quella di essere la pedagoga della nostra libertà» (p. 13).

Questo è l'oggetto del libro trattato in tre parti (10 capitoli complessivi). La prima parte sviluppa la rivelazione biblica della libertà evangelica attraverso il percorso storico dell'insegnamento della chiesa a partire dai Padri della chiesa fino ai nostri giorni, fino a giungere alle prese di coscienza nuove avvenute a seguito di eventi culturali e religiosi che hanno segnato in particolare il secondo millennio: l'esperienza dì Lutero, l'epoca della modernità e l'ampliamento dei campi dì esercizio della libertà. La seconda parte prende in considerazione la «gestione della libertà di credere nella chiesa nel corso delle età» partendo dalla chiesa primitiva (apostola della libertà) e dall'atteggiamento della chiesa patristica nei confronti degli eretici (bilancio "sostanzialmente positivo" ma con qualche ombra: vedi pp. 90-91) per giungere alla chiesa della cristianità in cui si è cercato di dare spazio alla pedagogia della libertà fondata sul valore della persona.

Con il sopraggiungere della modernità è stata avviata una rivoluzione profonda della figura concreta della fede di cui la chiesa non si è subito resa conto, perché ancorata al modello medievale del credente obbediente. Nel contempo avvenivano disordini e scissioni interni alla cristianità in nome della libertà del credere da cui è sorta una pluralità confessionale e istituzionale. Il cammino di evoluzione della libertà ha ricevuto un ulteriore impulso nell’epoca post-tridentina a cui hanno contributo la rinascita spirituale del XVII secolo, la filosofia dell'illuminismo e la rivoluzione francese nel XVIII secolo. I secoli XIX e XX sono stati quelli della crisi modernista, della questione della laicità e della secolarizzazione che hanno portato alla rivendicazione della libertà di coscienza in materia religiosa, alla separazione tra Stato e chiesa. Con il Vaticano II c'è stata una prima riconciliazione tra chiesa e modernità.

La terza parte, più estesa e interessante, affronta «le grandi questioni mosse alla chiesa sulla sua gestione della libertà» in particolare la schiavitù (cap. VII) e l'Inquisizione (cap. VIII). A proposito della schiavitù l'A. afferma che essa «è evidentemente lo status formalmente più contrario alla vocazione e al diritto di ogni persona umana alla libertà» (p. 140). La chiesa, sebbene si sia prodigata per restituire la libertà agli schiavi e abbia contribuito a «prosciugare la fonte della schiavitù, vietando [ad esempio] l'asservimento dei prigionieri di guerra» (p. 147), tuttavia «non ha mai voluto condannare formalmente la schiavitù sul piano del principio morale fondamentale» (p. 148) e «il principio stesso della schiavitù» (p. 149). Guardando alla storia si incontra «di tutto, il meglio e il suo contrario, l'orrore e la santità. Come essere onesti nei nostri tentativi di giudizio? [...]. Come assumerci le nostre responsabilità?» (p. 183).

A queste domande Sesboüé risponde: «Se c'è una responsabilità, essa non riguarda solo il Magistero, ma anche lo stato di coscienza cattolica per parecchi secoli, che si è coperta la faccia davanti a comportamenti gravemente contrari alla legge del vangelo» (p. 184). «La seconda grande obiezione sul rispetto della libertà nella chiesa concerne l'Inquisizione» (p. 191). Partendo da Agostino, che riteneva che l'uomo «credere non può se non vuole» (p. 192), e dalla severità nei confronti degli eretici, si è giunti all'istituzione di una Inquisizione che ha coinvolto vescovi, ordini religiosi, teologi e santi che hanno confuso il vangelo con una verità da difendere anche mediante l'uso della forza e della violenza. Sebbene situata la responsabilità della chiesa nel suo tempo, tuttavia essa non può essere scagionata e neppure può essere tranquillizzata la nostra fiducia in essa (cf. p. 226). La chiesa «non ha mai invocato l'infallibilità riguardo l'Inquisizione» (p. 229). Tuttavia, «la durata di parecchi secoli in cui ha insegnato con fermezza la legittimità della violenza contro gli eretici costringe a chiedersi se non si sia gravemente ingannata nel suo insegnamento della fede» (p. 230).

L'A. negli ultimi capitoli esamina il legame della chiesa con la storia e con il suo compimento escatologico (cap. IX). Egli propone una riflessione sulla promozione della libertà umana da parte della chiesa facendo riferimento all'attualità della realtà migratoria. Se da una parte sembra essere una realtà senza via di uscita, «una panoplia di cose possibili» (p. 253), dall'altra può essere letta attraverso la luce della prospettiva evangelica: «La migrazione può non essere soltanto un viaggio senza meta, ma può assumere un significato, a partire dal momento in cui entra nei piani di Dio» (p. 255).

Papa Francesco ha affermato: «A volte mi rattrista il fatto che, pur dotata di tali motivazioni, la chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza» (Fratelli tutti, n. 86). Alla luce di ciò, il saggio di Sesboüé è di sicuro un contributo che aiuta a guardare con verità, onestà e responsabilità agli abusi compiuti dalla chiesa nei confronti del diritto alla libertà donato dalle mani del Creatore a tutti gli uomini per la loro piena realizzazione.


G. Zambon, in Studia Patavina 1/2024, 156-158

Come la chiesa ha gestito la libertà nella vita della chiesa? Gli scandali e gli abusi per non dire del rispetto prestato ai doni di Dio, alla coscienza delle persone (non solo dei battezzati e ai diritti di genere, ecc.) fanno ritenere che la chiesa più che "pedagoga'' della vera libertà abbia, nella pratica, sostenuto poco (se non ostacolato) lo sviluppo della libertà umana. Non solo nelle scelte pratiche della vita, ma anche nelle sue prese di posizione dottrinali in vari campi della vita personale e sociale.

Sesboüé (1929-2021, notissimi i suoi studi di cristologia ed ecumenismo) non intende riprendere la discussione sulle dispute filosofico-teologiche circa la libertà umana in rapporto alla libertà di Dio; le dà per acquisite ancorché il dibattito resti oggi importante e irrisolto. Tali questioni restano come sullo sfondo di un discorso (cf. la prima parte: Le dottrine cristiane della libertà, cc. 1-2) che ambisce riesaminare alcuni capitoli (esemplificativi, peraltro, anche perché in verità sono molteplici sia sul versante pratico, sia su quello più teologico-magisteriale) molto controversi della storia (cf. la seconda parte: cc. 3-6) che hanno visto la chiesa francamente fallire nella «gestione» della libertà, in particolare sulle Grandi obiezioni che le vengono mosse e, specificamente, «l'obiezione della schiavitù» (c. 7) e dell'inquisizione (c. 8): le più eclatanti, ma ancor oggi pure le più condannate nonostante i modesti e cavillosi tentativi giustificatori condotti sul versante teologico (cf., ad esempio, S. Tommaso e S. Agostino sugli eretici) e su quello istituzionale.

Sulle due questioni l'autore non ha nulla di nuovo da aggiungere e ritiene quanto in merito è stato detto e scritto. L’intento è «di proporre una riflessione di ordine teologico, al fine di situare la responsabilità propria della chiesa rispetto all’amissione ricevuta da Cristo [...] e alla sfida umana della libertà» (p. 6). Il discorso si fa lucido ed estremamente onesto, rifuggendo ogni deriva "ideologica'' che porterebbe (come successe allora alla teologia) ad "attenuare" il portato di una vicenda pesante per una responsabilità tradita nel momento in cui la chiesa, a suon di giustificazioni biblico-evangeliche, ha rifiutato di condannare (diciamolo!) la schiavitù, ha perseguitato, sanzionato e ucciso l'eretico che "minacciava'' la vera fede. Talmente certa della verità e della volontà di Dio da passare alle vie di fatto senza nemmeno cercare alternative o tentare alcun'altra forma di "esortazione".

Probabilmente la scienza teologica si pensava diversamente da oggi, e anche la stessa chiesa. Sesboüé si chiede: qual è la strada giusta per intendere gli eventi critici presi in esame? Certamente non quella del giudizio di condanna, ma quella del riconoscimento e dell'assunzione delle responsabilità a partire da un ripensamento coerente e integrale anche a livello teologico e magisteriale della dimensione storica della chiesa: essa «vive nella storia ed è sottoposta a tutte le leggi dello sviluppo storico» (p. 233). È una proposta che l'autore con chiarezza e semplicità espone e motiva nel c. 9: La chiesa in cammino verso la verità tutta intera (pp. 231-243).

«La chiesa abita la storia e vive la sua fede nella condizione della temporalità» (p. 237), né più e né meno (né diversamente) dal suo Signore, che è entrato nella storia crescendo «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52); ha vissuto, cioè, un certo numero di prese di coscienza successive che l'hanno condotto alla pasqua di risurrezione. Questo vale per il cristiano dal battesimo in poi e questo vale anche per la chiesa dalla pentecoste (almeno) in poi. Sempre che la chiesa non presuma di essere diversa (migliore?) del suo Signore in forza dello Spirito.

A leggere certe riflessioni "teologiche" e molte delle "giustificazioni" che ancora oggi circolano sulle molte conclamate incoerenze (peccati, misfatti...) presenti nella chiesa (di un tempo e di oggi) si resta sgomenti e smarriti… (colpevole anche il silenzio strategico dei più scafati). Sesboüé non è (mai stato, anzi) così sprovveduto da dimenticare la natura della chiesa, mistero radicato nell'origine trinitaria (Lumen gentium), e pellegrina nel mondo contemporaneo (Gaudium es spes) protesa all'omega escatologico. Ma per sanare e ridurre le grandi ferite storiche e proprio per restare assolutamente fedeli al suo radicamento trinitario occorre essere non solo fedeli, ma soprattutto responsabili di come (pur con coscienza retta) si è inteso obbedire al vangelo "gestendo" malamente la vocazione dell'uomo alla libertà, non se ne è rispettata la dignità e con essa la coscienza morale (pur segnate dal peccato). Per tornare a certe scappatoie del pensare teologico quando "di-verte" (cicero pro domo sua) l'essere santa in se stessa della chiesa, dal suo essere peccatrice negli uomini che le appartengono, tacendo volentieri degli uomini che la "gestiscono" nel tempo, l'autore afferma che questi argomenti non dicono comunque nulla del perché dei suoi deragliamenti (da quel vangelo che è sempre chiamata a custodire) nel tempo.

Com'è stato possibile argomentare in favore della soppressione degli eretici? Per trovare una risposta (riassumiamo troppo sinteticamente) occorre investigare con coerenza la «prospettiva diacronica della vita della chiesa» e gestire con altrettanta coerenza la verità che custodisce e l'infallibilità che attesta nell'unico modo che le è dato di esercitare, cioè quello escatologico, che troverà completa, piena e matura realizzazione alla fine della storia (cf. pp. 233. 247). Da qui ad allora ci si dovrà radicare in un dialogo serrato con lo Spirito Santo in un processo di conversione permanente.

La grandezza della chiesa e la testimonianza della sua santità sta proprio in questo coraggio di aver saputo (in ogni epoca e anche oggi) convertirsi a mano a mano che scopriva i propri errori nel mentre lo Spirito ne andava smascherando le incoerenze. Compresa questa chiave ermeneutica risulterà al lettore interessante la rilettura di Sesboüé dell'inquisizione e della schiavitù.

Sarà una lettura interessante che aiuterà certamente a comprendere come del tutto imprecise, a volte false, certamente infedeli al credo ecclesiologico tutte quelle ermeneutiche fondamentaliste che tentano di «salvare il salvabile» di una chiesa che tradisce la sua dimensione storica, la sua dimensione sacramentale e, in definitiva, la forza rigenerante dello Spirito Santo. Continuare a fare nel miglior modo possibile come prima (come un tempo) in attesa che la «crisi» del momento finisca, non è certamente la fedeltà insegnata nella Scrittura e nemmeno quella tramandata dalla tradizione.

La fatica dell'autore in questo libro risulta feconda anche oggi. Ed è lo stesso Sesboüé che nell'ultimo capitolo (c. 10: Attualizzazione e attualità)si chiede: ma questo che abbiamo analizzato è un passato risolto, da cui ne siamo usciti? No, risponde; basta analizzare (teologicamente o meno) la questione dei migranti (pp. 246-258). Altra realtà oggi che vede bistratta la libertà dell'essere umano e in maniera poco responsabile anche in larghi strati del popolo di Dio. L’esistenza e il dramma dei migranti ci costringono oggi a una revisione seria del nostro modo di credere, di celebrare, di pensare e di praticarla questa fede. A tutti i livelli. Per gli anni futuri.


D. Passarin, in CredereOggi 3/2024, 176-179

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