Come la chiesa ha gestito la libertà nella vita della chiesa? Gli scandali e gli abusi per non dire del rispetto prestato ai doni di Dio, alla coscienza delle persone (non solo dei battezzati e ai diritti di genere, ecc.) fanno ritenere che la chiesa più che "pedagoga'' della vera libertà abbia, nella pratica, sostenuto poco (se non ostacolato) lo sviluppo della libertà umana. Non solo nelle scelte pratiche della vita, ma anche nelle sue prese di posizione dottrinali in vari campi della vita personale e sociale.
Sesboüé (1929-2021, notissimi i suoi studi di cristologia ed ecumenismo) non intende riprendere la discussione sulle dispute filosofico-teologiche circa la libertà umana in rapporto alla libertà di Dio; le dà per acquisite ancorché il dibattito resti oggi importante e irrisolto. Tali questioni restano come sullo sfondo di un discorso (cf. la prima parte: Le dottrine cristiane della libertà, cc. 1-2) che ambisce riesaminare alcuni capitoli (esemplificativi, peraltro, anche perché in verità sono molteplici sia sul versante pratico, sia su quello più teologico-magisteriale) molto controversi della storia (cf. la seconda parte: cc. 3-6) che hanno visto la chiesa francamente fallire nella «gestione» della libertà, in particolare sulle Grandi obiezioni che le vengono mosse e, specificamente, «l'obiezione della schiavitù» (c. 7) e dell'inquisizione (c. 8): le più eclatanti, ma ancor oggi pure le più condannate nonostante i modesti e cavillosi tentativi giustificatori condotti sul versante teologico (cf., ad esempio, S. Tommaso e S. Agostino sugli eretici) e su quello istituzionale.
Sulle due questioni l'autore non ha nulla di nuovo da aggiungere e ritiene quanto in merito è stato detto e scritto. L’intento è «di proporre una riflessione di ordine teologico, al fine di situare la responsabilità propria della chiesa rispetto all’amissione ricevuta da Cristo [...] e alla sfida umana della libertà» (p. 6). Il discorso si fa lucido ed estremamente onesto, rifuggendo ogni deriva "ideologica'' che porterebbe (come successe allora alla teologia) ad "attenuare" il portato di una vicenda pesante per una responsabilità tradita nel momento in cui la chiesa, a suon di giustificazioni biblico-evangeliche, ha rifiutato di condannare (diciamolo!) la schiavitù, ha perseguitato, sanzionato e ucciso l'eretico che "minacciava'' la vera fede. Talmente certa della verità e della volontà di Dio da passare alle vie di fatto senza nemmeno cercare alternative o tentare alcun'altra forma di "esortazione".
Probabilmente la scienza teologica si pensava diversamente da oggi, e anche la stessa chiesa. Sesboüé si chiede: qual è la strada giusta per intendere gli eventi critici presi in esame? Certamente non quella del giudizio di condanna, ma quella del riconoscimento e dell'assunzione delle responsabilità a partire da un ripensamento coerente e integrale anche a livello teologico e magisteriale della dimensione storica della chiesa: essa «vive nella storia ed è sottoposta a tutte le leggi dello sviluppo storico» (p. 233). È una proposta che l'autore con chiarezza e semplicità espone e motiva nel c. 9: La chiesa in cammino verso la verità tutta intera (pp. 231-243).
«La chiesa abita la storia e vive la sua fede nella condizione della temporalità» (p. 237), né più e né meno (né diversamente) dal suo Signore, che è entrato nella storia crescendo «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52); ha vissuto, cioè, un certo numero di prese di coscienza successive che l'hanno condotto alla pasqua di risurrezione. Questo vale per il cristiano dal battesimo in poi e questo vale anche per la chiesa dalla pentecoste (almeno) in poi. Sempre che la chiesa non presuma di essere diversa (migliore?) del suo Signore in forza dello Spirito.
A leggere certe riflessioni "teologiche" e molte delle "giustificazioni" che ancora oggi circolano sulle molte conclamate incoerenze (peccati, misfatti...) presenti nella chiesa (di un tempo e di oggi) si resta sgomenti e smarriti… (colpevole anche il silenzio strategico dei più scafati). Sesboüé non è (mai stato, anzi) così sprovveduto da dimenticare la natura della chiesa, mistero radicato nell'origine trinitaria (Lumen gentium), e pellegrina nel mondo contemporaneo (Gaudium es spes) protesa all'omega escatologico. Ma per sanare e ridurre le grandi ferite storiche e proprio per restare assolutamente fedeli al suo radicamento trinitario occorre essere non solo fedeli, ma soprattutto responsabili di come (pur con coscienza retta) si è inteso obbedire al vangelo "gestendo" malamente la vocazione dell'uomo alla libertà, non se ne è rispettata la dignità e con essa la coscienza morale (pur segnate dal peccato). Per tornare a certe scappatoie del pensare teologico quando "di-verte" (cicero pro domo sua) l'essere santa in se stessa della chiesa, dal suo essere peccatrice negli uomini che le appartengono, tacendo volentieri degli uomini che la "gestiscono" nel tempo, l'autore afferma che questi argomenti non dicono comunque nulla del perché dei suoi deragliamenti (da quel vangelo che è sempre chiamata a custodire) nel tempo.
Com'è stato possibile argomentare in favore della soppressione degli eretici? Per trovare una risposta (riassumiamo troppo sinteticamente) occorre investigare con coerenza la «prospettiva diacronica della vita della chiesa» e gestire con altrettanta coerenza la verità che custodisce e l'infallibilità che attesta nell'unico modo che le è dato di esercitare, cioè quello escatologico, che troverà completa, piena e matura realizzazione alla fine della storia (cf. pp. 233. 247). Da qui ad allora ci si dovrà radicare in un dialogo serrato con lo Spirito Santo in un processo di conversione permanente.
La grandezza della chiesa e la testimonianza della sua santità sta proprio in questo coraggio di aver saputo (in ogni epoca e anche oggi) convertirsi a mano a mano che scopriva i propri errori nel mentre lo Spirito ne andava smascherando le incoerenze. Compresa questa chiave ermeneutica risulterà al lettore interessante la rilettura di Sesboüé dell'inquisizione e della schiavitù.
Sarà una lettura interessante che aiuterà certamente a comprendere come del tutto imprecise, a volte false, certamente infedeli al credo ecclesiologico tutte quelle ermeneutiche fondamentaliste che tentano di «salvare il salvabile» di una chiesa che tradisce la sua dimensione storica, la sua dimensione sacramentale e, in definitiva, la forza rigenerante dello Spirito Santo. Continuare a fare nel miglior modo possibile come prima (come un tempo) in attesa che la «crisi» del momento finisca, non è certamente la fedeltà insegnata nella Scrittura e nemmeno quella tramandata dalla tradizione.
La fatica dell'autore in questo libro risulta feconda anche oggi. Ed è lo stesso Sesboüé che nell'ultimo capitolo (c. 10: Attualizzazione e attualità)si chiede: ma questo che abbiamo analizzato è un passato risolto, da cui ne siamo usciti? No, risponde; basta analizzare (teologicamente o meno) la questione dei migranti (pp. 246-258). Altra realtà oggi che vede bistratta la libertà dell'essere umano e in maniera poco responsabile anche in larghi strati del popolo di Dio. L’esistenza e il dramma dei migranti ci costringono oggi a una revisione seria del nostro modo di credere, di celebrare, di pensare e di praticarla questa fede. A tutti i livelli. Per gli anni futuri.
D. Passarin, in
CredereOggi 3/2024, 176-179