La Queriniana prosegue nella pubblicazione in italiano, a cura di Flavio Dalla Vecchia, dell’opus magnum dello studioso nordamericano, opera ormai giunta al V volume, dedicato alle parabole di Gesù (la traduzione è di Marta Pescatori, l’originale è stato pubblicato all’inizio del 2016 nella collana The Anchor Yale Bible Reference Library, New Haven-London).
Come è risaputo, quello di J.P. Meier è finora il più ampio studio sulla figura storica di Gesù ad opera di un singolo autore, una trattazione che contiene una miniera di informazioni, e dove alcuni approfondimenti sono delle vere e proprie monografie tematiche. Ricordiamo sinteticamente quello che – soltanto durante la stesura della prima parte e oltre l’intenzione iniziale dell’autore (voleva infatti scrivere un unico volume sul Gesù storico come premessa a un commentario su Matteo) – è andato configurandosi come un progetto davvero imponente.
Il I volume, è stato pubblicato nel 1991 (in italiano nel 2001), sui principi fondamentali che guidano la ricerca – in particolare i criteri di storicità – con alcune osservazioni iniziali sul contesto socio-culturale, economico e familiare, e con la cronologia della vita di Gesù. Il II volume, del 1993 (in italiano nel 2002), tratta di Giovanni Battista – considerato mentore di Gesù – e del contesto religioso, quindi del messaggio escatologico di Gesù riguardante il Regno di Dio, con il suo attuarsi nel ministero, in azioni potenti e segni (miracoli) profetici: emerge un Gesù profeta escatologico che riflette le tradizioni e le speranze legate alla figura di Elia; questo è diventato il nuovo punto di partenza per ulteriori ricerche. Il III volume, del 2001 (in italiano nel 2003), tratta di Gesù e dei gruppi con cui ha interagito: la folla, i discepoli, i Dodici (il rimando è alle dodici tribù d’Israele che egli vuole radunare per la fine dei tempi); quindi i vari gruppi religiosi: sostenitori e oppositori (e tra loro già emergeva la questione della legge mosaica). Il IV volume è del 2009, lo stesso anno appare in italiano: da questo in poi gli argomenti trattati vengono da lui definiti «enigma», iniziando con il tema del rapporto tra Gesù e la Legge (qui emerge come Gesù assuma il ruolo di un maestro autorevole della Legge, anche quando a volte annulla alcune sue disposizioni).
Oltre al presente volume, il V (2016), dedicato alle parabole, ne sono annunciati altri due, che chiuderanno la serie: il VI, sulle designazioni di Gesù, da parte di altri o di se stesso (in particolare tratterà il titolo «Figlio dell’uomo») e il VII, sui suoi ultimi giorni a Gerusalemme, la passione e la morte.
Abbiamo fatto questo richiamo ai volumi già pubblicati, dal momento che, in questo sulle parabole, Meier stesso avverte il lettore che è bene premettere a questo studio i precedenti, per aver presente il quadro di riferimento in cui collocarlo. Già questa premessa, che egli fa nell’introduzione, rappresenta la base di una critica da lui rivolta a chi si occupa delle parabole: molti infatti trascurano che per scoprire il significato originale di una data parabola nel ministero del Gesù storico occorre avere già una comprensione globale del messaggio (cf. p. 11 nota 2; l’importanza del contesto, come cornice interpretativa, è ribadita poi alle pp. 13-14).
Nell’introduzione (9-37) si presenta la questione della gesuanità delle parabole evangeliche, preannunciando che al vaglio della metodologia storica soltanto pochissime passeranno l’esame; quindi, dopo aver illustrato il contenuto dei singoli capitoli (numerati dal 37 al 40 consecutivamente con l’intera serie), si descrive la metodologia utilizzata che, come era già stato esposto specialmente nel I volume (con le riprese più sintetiche nei volumi II-III-IV), si basa sugli ormai famosi criteri di storicità, di cui cinque primari: 1) imbarazzo, 2) discontinuità, 3) molteplice attestazione, 4) coerenza, 5) rifiuto ed esecuzione (di Gesù), e altri secondari, o dubbi (come le tracce dell’aramaico nei detti).
Anche in questo campo d’indagine, dunque – come si è fatto nei volumi precedenti con gli altri pronunciamenti di Gesù nei vangeli –, occorre chiedersi se quel detto o quella parabola possono risalire a lui stesso oppure siano da considerare come creazioni della comunità o dell’evangelista. A questo proposito vorrei far notare una piccola differenza di traduzione del sottotitolo del libro, in inglese è: Probing the Authenticity of the Parables (cioè, L’autenticità delle parabole messa alla prova), mentre in italiano è diventato soltanto: L’autenticità delle parabole; questo abbreviamento di frase – forse dettato da motivi editoriali – potrebbe tuttavia lasciar intendere una finalità addirittura contraria al senso originale (cioè voler confermare l’autenticità piuttosto che metterla in dubbio).
Nel capitolo trentasettesimo (39-95; contiene anche un excursus sull’allegoria, 89-95), Meier elenca 7 tesi definite «inattuali» (nel senso di «incresciose» o «controverse»), che costituiscono il presupposto di tutto il volume e che conducono al risultato finale, cioè la dimostrazione che la stragrande maggioranza delle parabole dei sinottici non reggono all’esame dell’autenticità (in quanto non soddisfano alcun criterio di storicità, in particolare quello della molteplice attestazione).
Nella prima tesi si discute dell’annosa questione del numero delle parabole, che ovviamente varia in base al modo in cui i singoli autori le definiscono e le classificano (nella media si va dalle 35 alle 40). Nella seconda si mette in questione la considerazione del mashal sapienziale dell’AT come la fonte ispirativa delle parabole sinottiche; per Meier, occorre piuttosto riferirsi ai testi dei profeti anteriori; nella terza si indicano anche i testi dei profeti scrittori, per cui risulta che le parabole sinottiche si pongono soprattutto nel solco della tradizione profetica e non in quella sapienziale delle Scritture (tesi quattro). Nella quinta tesi Meier spiega perché la definizione delle parabole come genere letterario deve rimanere alquanto vaga, dal momento che caratteristiche troppo dettagliate si adattano ad alcune parabole ma non ad altre. La tesi sei mette in dubbio che il Vangelo copto di Tommaso sia una fonte indipendente. Qui già si anticipano le conclusioni che saranno tratte dal lungo capitolo trentottesimo (96-191: tanto spazio è richiesto dal fatto che occorre considerare e valutare criticamente l’opinione di molti studiosi che invece sostengono la tesi contraria).
La tesi sette è quella che Meier definisce radicale: contro l’opinione comune, condivisa da studiosi del passato e del presente, per cui le parabole sono l’accesso più affidabile al Gesù storico e al suo insegnamento, soltanto pochissime (appena quattro sulle circa 35-40) risultano in grado di superare il test secondo i criteri di autenticità gesuana. Qui possiamo già anticipare la tesi centrale del libro di Meier, che troviamo nella conclusione (363): «Contrariamente alle affermazioni di generazioni di ricercatori sulle parabole, da Jülicher, Jeremias e Dodd, fino ai vari membri del Jesus Seminar, le parabole non forniscono la via più sicura o il modo più semplice per cogliere l’insegnamento del Gesù storico. Con questo non si vuole negare che Gesù insegnò in parabole; c’è molteplice attestazione sufficiente per questo fatto fondamentale, supportata anche dal criterio della coerenza. Ciò che troppo spesso manca del sostegno della molteplice attestazione – o di qualsiasi altro criterio di storicità – è se Gesù insegnò questa o quella parabola particolare».
Nel capitolo trentanovesimo (192-230) si procede nella scelta di raggruppare tra loro le parabole in base alla loro provenienza: Marco, fonte Q, M e L (Sondergut matteano e lucano). Da questa suddivisione emerge che Mc ha 4 o 5 parabole narrative, Q ne ha 7, M ne ha 9 e L 13. Come test case viene analizzata la parabola del Buon Samaritano (209-229): la mancanza di qualsiasi criterio di storicità e tutti gli indizi della «colorazione» lucana del brano fanno ritenere che la parabola non sia una creazione di Gesù ma dell’evangelista.
Nel capitolo quarantesimo (231-358), intitolato significativamente «Le poche elette» (nell’originale, «The happy few»; forse si poteva anche tradurre: «Poche ma buone»), si presentano gli argomenti per dimostrare l’autenticità delle uniche quattro parabole che rientrano nei criteri di storicità: il granello di senape (molteplice attestazione e coerenza), i vignaioli omicidi (imbarazzo e discontinuità), il banchetto e i talenti (per entrambe la molteplice attestazione), se ne fa l’analisi e si delineano i punti rilevanti per la gesuologia. Ecco la sintesi di ogni trattazione.
1. Il granello di senape, che è riportata da tutti e tre i sinottici (Mc 4,30-32 e paralleli); in questo caso Meier argomenta che si tratta di una sovrapposizione tra Mc e Q (e avremmo perciò la duplice attestazione), inoltre soddisfa anche il criterio della coerenza con il messaggio escatologico e il ministero di Gesù profeta. Al livello della predicazione di Gesù emerge questo messaggio: malgrado le apparenze, il Regno è presente e cresce, il contrasto è evidente tra i suoi inizi e i suoi sviluppi; tali sviluppi implicano il raccogliere e radunare l’Israele disperso. È una profezia messa in parabola (cf. 232-247, spec. 246).
2. I vignaioli omicidi, anch’essa presente in tutti e tre i sinottici (Mc 12,1-11 e paralleli); in questo caso però la parabola non soddisfa il criterio della molteplice attestazione (Mt e Lc avrebbero ripreso da Mc), ma quello dell’imbarazzo (è impensabile che la Chiesa primitiva avesse creato questo racconto metaforico facendolo terminare con la tragica morte del figlio [Gesù], senza indicare il riscatto [risurrezione]; le due conclusioni in Mc 12,9 + 12,10-11 sono aggiunte della Chiesa proprio per contrastare tale imbarazzo), e quello della discontinuità (quasi tutti i racconti neotestamentari sulla morte di Gesù riportano il dato della sepoltura, assente invece nella parabola). A livello del Gesù terreno si può dedurre che Gesù cambia qualcosa in questa rappresentazione piuttosto tradizionale della storia della salvezza (già presente in Geremia, ma non solo): Dio non manda un ennesimo profeta, ma il proprio figlio; allo stesso tempo Gesù avverte i suoi avversari che egli sa che cosa lo aspetta, e tuttavia non desiste; egli vede il proprio destino iscritto nel piano salvifico di Dio e ne rappresenta il culmine (cf. 247-272, spec. 267-268).
3. Per quanto riguarda la parabola del banchetto, presente in Mt e Lc (Mt 22,2-14; Lc 14,16-24), secondo Meier si tratta della stessa parabola che però –poiché presenta differenze accentuate – non risalirebbe a Q ma alle singole fonti proprie di Mt e Lc (M e L), dunque anche qui avremmo la molteplice attestazione di fonti indipendenti. Gesù come profeta escatologico avverte i suoi compatrioti israeliti che il suo messaggio è così urgente perché questo è l’invito finale da parte di Dio al suo popolo, e decisiva per la loro partecipazione al banchetto sarà la loro risposta a Gesù (cf. 272-312, spec. 303-304).
4. La stessa argomentazione sull’autenticità vale per la parabola dei talenti/delle mine (Mt 24,14-30; Lc 19,11-27). A livello gesuano la parabola è un’esortazione – con avvertimento – rivolta ai suoi discepoli ad affrontare liberamente la sfida di lasciare tutto e di seguirlo; insieme alla grazia sovrabbondante c’è anche la possibilità di venire condannati per aver rifiutato la richiesta contenuta nel dono. Gesù può averla pronunciata più volte, anche con uditori diversi, per richiamare Israele a compiere la sua vocazione di essere l’Israele del tempo finale (312-358, spec. 357-358). Nella conclusione (359-372), Meier riprende le sette tesi iniziali e le espande in quindici conclusioni. Una volta stabilito che soltanto quelle quattro sono da ritenersi autentiche, il contributo delle parabole nell’interpretazione dell’insegnamento e della figura di Gesù risulta in definitiva alquanto circoscritto (tant’è che bastano due pagine per descriverlo, 370-372), per cui, riguardo al guadagno complessivo per la gesuologia, può sintetizzare così: «Le parabole di Gesù, per quanto sembrino in primo piano nei vangeli sinottici nella forma attuale, non sembrano essere così in primo piano in una ricostruzione scientifica del Gesù storico» (372). Coerentemente egli conclude affermando che – contrariamente alla generale convinzione tradizionale – le parabole di fatto non apportano un grande contributo alla ricostruzione del Gesù storico. In paragone con tutto ciò che possiamo sapere di Gesù anche senza di esse (il rimando è ai suoi volumi precedenti), le parabole autentiche, poche e slegate tra loro, hanno una rilevanza molto limitata, con un apporto secondario e modesto (372).
La drastica conclusione a cui perviene, e che Meier stesso riconosce essere deludente e impopolare rispetto alle attese (cf. 232), andrebbe in ogni caso almeno bilanciata con quanto egli stesso premette nelle prime pagine del suo studio, quando afferma che se una parabola non presenta alcun elemento che possa soddisfare un criterio di storicità, ciò non prova che essa non possa provenire da Gesù (14); se per alcune infatti si può argomentare che molto probabilmente sono ascrivibili alla creatività della Chiesa o meglio dell’evangelista (come viene da lui sostenuto nel caso della parabola del buon samaritano), bisogna tener presente che molte altre rientrano nel caso intermedio del non liquet (cf. 193). A tale proposito va segnalata una carenza che il lettore può percepire leggendo questo libro, ma comprensibile dalla prospettiva dell’autore (che, ricordiamo, sta cercando soltanto ciò che può contribuire alla causa del Gesù storico), e cioè l’assenza di una trattazione seppur sintetica delle parabole che fanno parte secondo Meier di questa categoria intermedia, e anche di quelle che più probabilmente sono creazioni degli evangelisti e/o della comunità primitiva.
Un primo punto di domanda, che ci limitiamo ad accennare, riguarda l’applicazione dei criteri di storicità (e che non vale soltanto per questo volume sulle parabole); bisogna riconoscere che Meier li applica in modo scrupoloso e imparziale (per quanto è possibile a uno studioso onesto), e tuttavia a nostro giudizio emerge la tendenza a un’applicazione pedissequa e separata dei singoli criteri, e nel contempo a conferire un’eccessiva importanza al criterio della molteplice attestazione (87-88: «il criterio della molteplice attestazione delle fonti indipendenti si dimostrerà il più importante dei criteri quando si dovrà valutare la storicità di ogni determinata parabola»). È vero che esso è un criterio oggettivo, poco soggetto a interpretazioni arbitrarie, tuttavia di per sé esso dimostra soltanto l’antichità di un dato, fatto proprio da diversi ambienti cristiani, non necessariamente la sua autenticità gesuana, e per questo andrebbe sempre usato insieme ad altri criteri, cercando le possibili convergenze.
A nostro avviso poi non va fatto cadere del tutto, come fa Meier, l’argomento dell’originalità e quindi della discontinuità delle parabole di Gesù, confrontate soprattutto con quelle di provenienza giudaica: i maestri giudei in un tempo non molto successivo e indipendentemente da lui hanno utilizzato lo stesso genere letterario, ma con scopi diversi (Meier si limita a portare l’argomento della datazione successiva rispetto a Gesù, e si dice contrario a fare il confronto perché ciò rischierebbe di sfociare in una qualche rivendicazione della superiorità di quelle gesuane rispetto a quelle rabbiniche; cf. 74 e nota 55).
In ogni caso, Meier stesso, concludendo la sua presentazione dei criteri di storicità ormai consolidati, osserva giustamente che la loro applicazione concreta rimane comunque più arte che scienza (cf. 35). Ciò significa che permane sempre un sufficiente margine di discrezionalità nella loro applicazione, per cui ogni studioso sui singoli casi può giungere anche a conclusioni diverse a partire dagli stessi dati (cf. 329 nota 152). Ad esempio, a partire dallo stesso tipo di ragionamento che fa Meier si potrebbe ben sostenere che la parabola della pecora perduta e ritrovata (Lc 15,4-7 // Mt 18,12-14) – che egli non tratta, quindi ritiene non avere i requisiti di autenticità – sia gesuana, dal momento che soddisfa sia il criterio della molteplice attestazione che quello della coerenza.
Un ultimo rilievo che scegliamo di fare riguarda la definizione di parabola – intenzionalmente vaga – che propone Meier: a nostro avviso da essa non si ricava un elemento peculiare presente in molte parabole narrative di Gesù, che non intendono tanto comunicare un messaggio, come invece sottolinea insistentemente Meier (cf. 43-44.48-53 [con l’ampia nota 14]), quanto provocare un effetto nell’uditore, per spingerlo a prendere posizione; a questo scopo esse si servono di un meccanismo linguistico di tipo dialogico-argomentativo, come è stato messo ben in luce soprattutto da Vittorio Fusco (cf. il suo Oltre la parabola, Roma 1981), e che si rivela fondamentale per cogliere l’essenza stessa delle parabole di Gesù; misconoscendolo – come affermava Fusco – «ci si preclude la possibilità di individuare proprio in esso gli elementi di continuità e di discontinuità che collegano, al tempo stesso distinguono, le parabole di Gesù dalle loro riletture e riscritture postpasquali» (così nella sua postfazione al libro di H. Weder, Metafore del regno, Brescia 1991, 388), e quindi viene a mancare un apporto significativo per la ricerca dell’autenticità delle parabole.
Segnaliamo infine ciò che può rappresentare un limite, ma anche un pregio, a seconda dei punti di vista: si nota un chiaro intento didattico, con frequenti ripetizioni di concetti, con uno stile a tratti avvincente, trovate argute, esempi e riferimenti perfino all’attualità. Si potrebbero dire molte altre cose di questo volume, evidenziando i tanti apporti e le interessanti annotazioni utili nella ricerca del Gesù storico (alcune note del testo occupano anche più di due pagine), quando l’autore presenta i suoi argomenti che lo portano a escludere il Vangelo di Tommaso, e soprattutto nella sua analisi approfondita delle «poche elette», certamente però va sottolineato soprattutto l’aspetto innovativo di questa proposta che, se venisse accolta, comporterebbe un cambiamento di paradigma riguardo alla presunta attendibilità storica delle parabole. L’importanza dell’affermazione: «Gesù parlava in parabole» (cf. Mc 4,33-34, Mt 13,34), che anche Meier ovviamente condivide, verrebbe molto ridimensionata se ci limitassimo a considerarne autentiche soltanto quattro; almeno si dovrebbe correggerla e, se applicassimo un’interpretazione minimalista, dire: «Alcune – rare – volte, Gesù ha parlato in parabole»! E questo vorrebbe dire inficiare l’attendibilità gesuana di un terzo dei detti di Gesù, un materiale davvero notevole. Fatte invece le dovute considerazioni – alcune delle quali abbiamo provato a esporle sopra – riteniamo che sia possibile bilanciare le posizioni più estreme e continuare a studiare dal punto di vista storico le parabole per coglierne l’originalità e la ricchezza che provengono da Gesù: senza di esse molto del Gesù terreno ci sarebbe precluso. Le parabole rimangono, se non la via privilegiata, comunque una via imprescindibile per l’accesso al Gesù terreno e alla sua cristologia.
G. Pulcinelli, in
Rivista Biblica 1/2019, 148-153