L’edizione originale tedesca di questo libro reca il titolo seguente: Geschichte des christologischen Dogmas in der alten Kirche, a cura di Michael Busser e Johannes Pfeiff, Herder, Freiburg im Breisgau 2019. Si tratta di un volume di dimensioni modeste, ma denso di contenuto e chiaro nell’esposizione per il tema trattato. L’autore, Franz Dünzl, e nato nel 1960 a Regensburg e dal 2001 al 2018 e stato Professore di storia della Chiesa antica, archeologia cristiana e patrologia presso la Julius-Maximilians-Universität di Würzburg. Scomparso prematuramente il 23 agosto 2018 per motivo di malattia, Dünzl aveva lasciato il manoscritto quasi ultimato del volume ai suoi due assistenti, che senza indugio hanno provveduto alla pubblicazione postuma.
Il libro si colloca nella prospettiva epistemologica dell’autore che considerava la “storicità come esistenziale religioso” malgrado il suo decorso sinuoso, rivalutando il significato del passato per il progresso spirituale del presente. A sufficienza lo dimostrano i lineamenti storici del dogma cristologico nella Chiesa antica, in cui il Dio eterno si è reso visibile mediante il Verbo incarnato rivelando il suo mistero salvifico agli uomini.
In effetti, come dice l’autore nella prefazione, «cardine e fulcro dell’interpretazione cristiana della realtà non sono le istituzioni ecclesiastiche, le dottrine e le norme etiche, il culto divino e nemmeno la Bibbia, ma una figura storica, un uomo vissuto duemila anni fa, Gesù di Nazaret, nel quale – come dice la tradizione cristiana – Dio si è fatto uomo» (p. 5). L’incarnazione del Verbo di Dio rimane una sfida per l’intelligenza umana, anche per i problemi che essa pone per la comprensione del mistero di Dio uno e trino non solo nell’orizzonte dell’odierna visione del mondo, ma anche nel perenne triplice abisso dello spazio, del tempo e delle generazioni.
Partendo da una selezione ragionata tra le abbondanti fonti testuali esistenti, l’autore vorrebbe «mostrare ai lettori di questo libro – senza pretese di esaustività – diversi approcci e modelli che si trovano nelle affermazioni dei primi autori cristiani e che riflettono i loro sforzi per cogliere e descrivere il significato speciale di Gesù» (p. 8). Pur nella dinamica dialettica dei numerosissimi dibattiti intorno alla riflessione cristologica, gli autori antichi sono riusciti a sottolineare gli aspetti cruciali e a sciogliere molti nodi in modo tale che rimane sempre valida la loro eredità.
La riflessione di Franz Dünzl si articola in otto brevi capitoli, iniziando con i riferimenti neotestamentari per finire con un’azzeccata sintesi cristologica offerta da Giovanni Damasceno († 749). Dal Nuovo Testamento non ci si deve ovviamente aspettare una riflessione cristologica sistematica, ma vi sono spunti essenziali per fare capire il mistero del Verbo incarnato. L’autore si ferma solo sull’inno pre-paolino della Lettera ai Filippesi (cf. Fil 2,6-11), il prologo del Vangelo di Giovanni (cf. Gv 1,1-18) è il prescritto della Lettera ai Romani (cf. Rm 1,3-4), che offre le premesse della cosiddetta cristologia dello pneuma. Il punto di partenza della cristologia dello pneuma illustrata nel secondo capitolo si trova nella pericope del battesimo di Gesù al Giordano, come è raccontato dai sinottici (cf. Mc 1,9-11 e par.). Il contesto trinitario dell’evento è stato non senza ragione interpretato come una visione di vocazione messianica. In ambito giudeocristiano (cf. il Vangelo degli Ebioniti, il Vangelo degli Ebrei e almeno in parte il Pastore di Erma), tuttavia, la cristologia dello pneuma favorì concezioni adozioniste confutate dagli eresiologi (cf. Ireneo di Lione, Epifanio di Salamina). Con altre accentuazioni, gli gnostici cristiani e i marcioniti usarono la cristologia dello pneuma per soddisfare le esigenze di una visione dualistica del mondo influenzata dalla dottrina di Platone. Al contrario, i teologi ecclesiastici (ad es. Ignazio di Antiochia, Giustino martire, Tertulliano e Ippolito di Roma) integrarono lo pneuma come dimensione del Redentore, concepito da Maria appunto per opera dello Spirito Santo (cf. Mt 1,18.20; Lc 1,35; Rm 1,3-4). In questo modo, pneuma e sárx appartengono all’essere divino e umano del Verbo incarnato.
Si tratta di un primo tentativo di concettualizzazione della dottrina delle due nature dei secoli successivi, a cui si riallaccia anche la questione dell’anima (psyché) di Cristo (cap. III). Secondo Ireneo e Tertulliano che si oppongono ai gnostici, l’anima fa parte dell’integrità dell’umanità che il Verbo è venuto a salvare. Singolare invece è la speculazione di Origene che parla della preesistenza delle anime, in cui l’anima di Cristo risulta strettamente collegata al Lógos. Le dispute della seconda metà del IV secolo saranno accese intorno alla posizione dell’anima nel Verbo incarnato.
Le aspre controversie sulla dottrina della Trinità che furono innescate dal presbitero Ario di Alessandria caratterizzarono il IV e V secolo (capp. IV-VII). La questione cristologica era naturalmente al centro della discussione, dato che si trattava perlopiù di definire la posizione di Cristo nel seno della Trinità. Come riferisce principalmente Atanasio di Alessandria, gli ariani cercavano di dimostrare che il Lógos incarnato non poteva essere un vero Dio sulla base di alcuni testi del Nuovo Testamento che sembrano affermare l’inferiorità del Lógos nei confronti del Padre. Atanasio fa però notare che la chiave per comprendere i testi problematici della Scrittura risiede nell’essere-uomo del Verbo di Dio, la cui cifra è la carne (cf. Gv 1,14; 1Pt 4.1). Generato prima di tutti i secoli, il Verbo è della stessa sostanza del Padre (homooúsios), come affermò il Concilio di Nicea, ma senza porre fine alle controversie ariane e di seguito semi-ariane e neo-ariane. Queste ultime negarono l’anima umana di Cristo e la divinità dello Spirito Santo, attirandosi una vigorosa reazione teologica dei tre grandi Padri Cappadoci.
Uno degli autori condannati fu Apollinare di Laodicea, la cui cristologia voleva inizialmente approfondire quella di Atanasio, finendo tuttavia in una specie di monofisismo ante litteram: “Una sola natura del Dio Verbo incarnata”, formula tra l’altro successivamente attribuita ad Atanasio. Apollinare non attribuì la ragione o lo spirito (nous) di Cristo alla sua umanità, ma alla sua divinità (cioè al posto del noús c’è il Lógos) per motivi soteriologici, posizione condannata da Papa Damaso e dal primo Concilio di Costantinopoli (381). Alla cristologia dell’unione secondo la versione eterodossa di Apollinare di Laodicea – secondo cui in Cristo vi e una sola natura poiché c’è una sola persona – si oppose la cristologia antiochena che distingueva nettamente il Lógos divino dall’uomo Gesù (cf. ad es. Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia e Nestorio), non riuscendo sempre ad esprimere correttamente la communicatio idiomatum. Questa posizione antiochena sarà a sua volta condannata nel II Concilio di Costantinopoli (553) durante la cosiddetta “controversia dei Tre Capitoli”.
L’autore è ovviamente consapevole delle diverse sfumature tra i rappresentanti della corrente antiochena e ritiene che Teodoro ad es. si avvicini molto alla posizione ortodossa quando parla del Figlio di Dio come un’unica persona (prósōpon) in due nature in “stretta congiunzione” (synápheia akribés). La posizione di Nestorio di Costantinopoli, invece, porta di nuovo alla separazione e mette in questione l’unità personale del Lógos divino e dell’uomo Gesù. La tempestiva – e precisa – risposta di Cirillo di Alessandria (che difende l’unione secondo l’ipostasi: kath’hypóstasin) condusse alla condanna e alla deposizione di Nestorio durante l’andamento ambiguo del Concilio di Efeso (431).
Vista però la vicinanza delle posizioni in lizza, ci si può chiedere se alla fin fine non si trattò di un contrasto di scuola, cioè tra la cristologia alessandrina dell’unità e la cristologia antiochena della separazione (pp. 127-128). Di seguito, si dovette di fatto fare un passo importante verso la posizione antiochena (cf. Formula di unione del 433).
La stessa definizione cristologica del Concilio di Calcedonia (451), che si rifà a Leone I e a Cirillo di Alessandria, si colloca nella via di mezzo, quando invita a confessare “... un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, (...) consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale (homoúsios) a noi per l’umanità (...), da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi” (p. 161).
A causa delle vicende di politica ecclesiastica, le decisioni del Concilio di Calcedonia – come quelle di Efeso prima – diedero luogo a un’insanabile divisione tra le Chiese. La controversia dei Tre capitoli al II Concilio di Costantinopoli (553) e i chiarimenti sul monoenergismo e il monotelismo (con la condanna postuma di Papa Onorio e del patriarca Sergio di Costantinopoli) non cambiarono la situazione della divisione ormai consolidata. Da Giovanni Damasceno († 749), che nella patrologia viene considerato l’ultimo grande teologo della Chiesa antica, l’autore trae una suggestiva sintesi cristologica della fede ortodossa (cap. VIII). Da essa, si nota che i dibattiti cristologici della Chiesa antica rimangono attuali, ma hanno bisogno di essere tradotti nel linguaggio di oggi, in un mutato orizzonte di comprensione (pp. 209-223).
Ad ogni pagina, il libro di Franz Dünzl dimostra la sua competenza nella scelta dei temi e nell’esposizione comprensibile dello sviluppo storico del dogma cristologico. L’autore ha quindi il merito di contribuire significativamente all’intelligenza del mistero del Verbo incarnato in stretto rapporto con il mistero della Trinità e di sottolinearne la rilevanza ora e sempre. L’insistenza esclusiva sull’oriente cristiano – dove sono stati pure celebrati tutti i Concili ecumenici del I millennio – non deve tuttavia fare dimenticare il pensiero cristologico presente nei simboli di fede e in alcuni autori occidentali (ad es. Tertulliano, Ilario di Poitiers o Agostino d’Ippona). Del resto, sarebbe stato opportuno dare maggior spazio alla cristologia di Origene, che è come una fonte comune in Oriente, e al Simbolo di Nicea.
A. Musoni, in
Salesianum 2/2025, 419-422