Il volume, come scrive Andrea Toniolo nell’introduzione, «è il risultato di due seminari di ricerca e di un convegno promossi dalla Facoltà teologica del Triveneto in collaborazione con la Facoltà di diritto canonico “S. Pio X” di Venezia e l’Istituto di liturgia pastorale “S. Giustina” di Padova» (p. 19). La giornata di studio, tenutasi a Padova il 27 febbraio 2023 (Ripensare la prassi penitenziale. La terza forma della penitenza: esperienza da archiviare o risorsa?), anticipava nel titolo questo volume, che ne avrebbe poi raccolto i contributi.
La riflessione è aperta dalla prefazione di Mons. Marco Busca, Vescovo di Mantova e autore di una dissertazione dottorale sulla riforma conciliare del sacramento della Riconciliazione, che auspica «una rinnovata e necessaria “ri-formazione” di tutti i battezzati (ministri compresi) sul sacramento della riconciliazione» (p. 14). Di questo vasto compito, il volume intende eseguire una porzione, offrendo spunti di riflessione per «ripensare e forse individuare le forme penitenziali adatte al tempo odierno» (Toniolo, p. 21), con particolare riguardo per la cosiddetta “terza forma” del Rito della Penitenza, quella con confessione e assoluzione collettiva.
L’avvio della riflessione muove dalla prassi pastorale maturata nella situazione pandemica di Covid-19, laddove si sono verificate condizioni eccezionali tali da giustificare il ricorso alla riconciliazione di più penitenti con assoluzione generale. Tale possibilità, esplicitata dalla Nota della Penitenzieria Apostolica del 19 marzo 2020, fu adottata in alcune regioni pastorali d’Italia, nelle quali, limitatamente al periodo pandemico, fu consentito ai sacerdoti in cura d’anime di amministrare il sacramento della Riconciliazione secondo tale forma. Sebbene «il ricorso all’assoluzione collettiva [sia] stato molto limitato, se si guarda il suo impiego a livello italiano» (Dal Corso, p. 56), l’alta affluenza di fedeli e il generale gradimento hanno interpellato la riflessione teologica, a cui gli studi raccolti in questo volume intendono contribuire.
L’intento è quello di passare dalla situazione emergenziale a quella progettuale (p. 26), inserendosi in un tentativo più ampio di «ripensare il modo di celebrare la penitenza», sollevando anche «l’interrogativo, in verità non nuovo, se questa forma, del tutto eccezionale, non possa vedere una sua estensione fino [a] ricomprendersi tra quelle ordinarie» (Dal Corso, p. 56).
I contributi sono articolati in tre sezioni: la prima (Pandemia e terza forma del Rito della Penitenza) intende offrire una rilettura dell’impiego della terza forma in contesto di pandemia, esplorandone le implicazioni pastorali (G. Viviani), canonistiche (P. Dal Corso) e liturgiche (E. Massimi). La seconda, di carattere maggiormente progettuale (Quale penitenza per l’oggi? Prospettive teologico-pastorali), mette a tema la «connessione tra forma rituale e teologia del sacramento» (p. 147), svolgendola in prospettiva liturgica (L. Della Pietra), teologico-fondamentale (R. Bischer), morale (A. Gaino), ecclesiologica (A. Dal Pozzolo) e pastorale (E. Favalegna). La terza sezione (Documentazione. Considerazione a margine di alcune indagini) offre una rilettura pastorale di alcuni sondaggi – in verità piuttosto circoscritti – somministrati a proposito dell’impiego della terza forma (S. Zonato) e, piu in generale, sul sacramento della Confessione (A. Steccanella).
Chiude il volume una bibliografia ragionata (a cura di R. Bischer) sul sacramento della Penitenza e sulla terza forma del rito. Gli spunti di riflessione offerti sono molteplici, pur al netto di alcune ripetizioni (es. frequenti rimandi all’evoluzione della forma storica del quarto sacramento; l’iter di riforma del Rito della Penitenza dopo il Vaticano II; i riscontri delle celebrazioni con la terza forma in tempo di pandemia); i contributi consentono di problematizzare positivamente molti aspetti del sacramento della Riconciliazione che forse si danno per scontati.
Vizia il volume, a mio avviso, una pressoché corale e poco avveduta insistenza sui presunti vantaggi di un impiego più estensivo della terza forma, auspicata anche in contesti non emergenziali come occasione di rilancio del sacramento della Penitenza. Ne prende esplicitamente le distanze solo P. Dal Corso, in un contributo canonisticamente ben documentato: «L’imprescindibile dato storico-giuridico non lascia dunque spazio ad estensioni applicative dell’assoluzione collettiva, senza contare che un suo ricorso sistematico es ordinario potrebbe sortire pure l’effetto di una ulteriore disaffezione al sacramento» (p. 73).
Vale la pena entrare nel merito della questione. Il punto di partenza, condiviso da quasi tutti i contributi, è l’insistenza sulla “crisi” attuale della Confessione, che avrebbe come motivo principale non tanto la perdita del senso del peccato, quanto piuttosto l’insofferenza alla forma rituale con confessione individuale e integra – l’unica riconosciuta dalla disciplina canonica vigente come modo ordinario di riconciliazione (cf. CIC 960). Prova sarebbe che, laddove si offra ai fedeli la possibilità di una forma alternativa di riconciliazione (come sembrerebbe essere la terza forma), essa risulta apprezzata e praticata. La complessità della dinamica penitenziale e la posta in gioco (la salus animarum) mi pare suggeriscano un approccio più cauto, anche perché il gradimento sondaggistico o il presunto “successo pastorale” difficilmente rappresentano un argomento valido.
Personalmente, condivido fermamente l’intento che presiede al volume, di approfondire e riscoprire il sacramento della Riconciliazione, ricuperando in particolare tre aspetti non sempre evidenti nella prassi pastorale corrente, ma efficacemente segnalati nei vari contributi: 1) la dimensione storico-processuale dell’itinerario penitenziale, di cui il sacramento costituisce un momento determinante, ma non esclusivo, che sollecita il ricupero della dimensione penitenziale dell’intera vita cristiana (Massimi, pp. 82-86); 2) il carattere ecclesiale della riconciliazione, intesa – riprendendo la convinzione antica – come riammissione nella Chiesa (cf. Bischer, pp. 133-134); 3) la significatività della celebrazione liturgica che media ritualmente la riconciliazione, impedendo una risoluzione puramente giudiziale del sacramento.
Mi trovo invece in disaccordo sul fatto che i diffusi limiti celebrativi siano da imputarsi alla forma rituale ordinaria con confessione individuale, la quale avrebbe adombrato la dimensione comunitaria della riconciliazione, indulgendo ad un intimismo psicologizzante (Gaino, pp. 143-145). Se si accettano queste premesse, il riscatto della Riconciliazione coinciderebbe col superamento della prima forma, aprendo ad una maggior discrezionalità d’impiego della terza forma. Vorrei offrire alcuni argomenti per cui trovo questa proposta non pertinente.
1) La normalizzazione della terza forma equivarrebbe ad uno strappo con la tradizione penitenziale della Chiesa, che ha sempre riconosciuto la necessità di confessare i singoli peccati gravi, con relativo accertamento da parte del ministro o addirittura della comunità. La disciplina penitenziale antica – che certo non accarezzava l’inopportuno appello alla privacy – non esitava a comminare pubbliche penitenze, con tanto di iscrizione nell’ordo poenitentium. Senza entrare nel merito di come il Concilio di Trento ritenga iure divino la confessione integrale dei peccati gravi (cf. DH 1679; Dal Pozzolo, pp. 163-165), è indiscusso che la nominazione dei peccati gravi sia sempre stata ritenuta elemento costitutivo del sacramento della Penitenza, dunque non storicamente contingente (a differenza di quanto suggerisce Gaino, pp. 148-150). Il ricorso all’evoluzione delle forme celebrative per giustificare la dismissione dell’accusa individuale – sgombrando così il campo alla terza forma – risulta fuorviante.
2) La breve tradizione d’impiego della terza forma (codificata in occasione del primo conflitto mondiale e ripresa poi nel secondo, cf. Dal Corso, pp. 57-64) riguarda solo e sempre situazioni emergenziali inedite, la cui eccezionalità impedisce il ricorso alla disciplina penitenziale ordinaria. Motivata unicamente dalla salus animarum, la terza forma semplicemente anticipa l’assoluzione rispetto alla confessione individuale, alla quale infatti rinvia (cf. J. Ratzinger, Osservatore Romano, 27 febbraio 1985), chiedendone il proposito addirittura ad validitatem (CIC 962 § 1). L’eventuale estensione della terza forma risulterebbe difforme persino dalla breve tradizione a cui intende rifarsi.
3) Vanno poi accuratamente ponderate le ricadute pastorali generate dall’impiego estensivo della terza forma. Oltre a suggerire di fatto l’esistenza di un regime penitenziale alternativo e più agevole, che lascia in ombra l’aspetto di Cristo medico (Dal Corso, pp. 71-72), indurrebbe una privatizzazione del processo penitenziale, che lascia il fedele solo con se stesso, consegnandogli pure l’onere di accertare l’idoneità delle proprie disposizioni. L’insistenza sulla dimensione ecclesiale, che la terza forma finalmente riscatterebbe, rischia d’essere inficiata dall’identificazione sociologica dell’Ecclesia con la comunità locale; la confessione auricolare individuale è sempre ecclesiale, perché compiuta davanti ad un ministro ordinato che agisce a nome della Chiesa e reintegra il penitente nel Corpo ecclesiale.
4) Alla luce di questi spunti argomentativi, appena abbozzati, si comprendono le chiare indicazioni magisteriali (cf. almeno Giovanni Paolo II, Reconciliatio et poenitentia, n. 33; motu proprio Misericordia Dei; Discorso alla Penitenzieria del 30 gennaio 1981), che non lasciano spazio ad una pratica ordinaria della terza forma, ma neppure ad una sorta di «orchestrazione» (Massimi, p. 96), «doppio binario» (Della Pietra, p. 112), «complementarita» (Gaino, pp. 154-155) tra la prima e la terza forma. Con l’ovvia conseguenza di estromettere così la seconda forma, che invece possiede tutti i presunti “vantaggi” della terza (pp. 53.204.210), specialmente la doverosa centralità della Parola di Dio e la pratica comunitaria della riconciliazione.
A mio avviso, le giuste esigenze sollevate dal volume curato da Bischer e Toniolo trovano risposta, più che nella manomissione della forma celebrativa ordinaria della Confessione, nel suo paziente ricupero pastorale e catechistico, nella rinnovata convinzione – anzitutto da parte di noi presbiteri – del tesoro prezioso che essa rappresenta. A questo, gli stimoli offerti dal volume potranno senz’altro giovare.
M. Panero, in
Salesianum 4/2025, 827-830