Il volume curato dai teologi Piero Coda e Stefano Fenaroli, rispettivamente segretario generale della Commissione teologica internazionale e redattore dell’editrice Queriniana, ha l’ambizione di tornare al concilio di Nicea, in occasione dei 1700 anni dalla sua celebrazione, tramite una raccolta di 13 saggi i cui autori sono soprattutto teologi e teologhe piuttosto noti al lettore italiano.
È il caso di M. Seewald, che nel suo testo si sofferma sulle interpretazioni storiche e teologiche del concilio niceno e sulle conseguenze di queste per la teologia. In particolare, il teologo tedesco si sofferma sulla necessità d’articolare una conoscenza teologica con ogni altra forma espressiva della fede, come eredità del primo concilio che si dice ecumenico. Anche per questo stretto rapporto con la storia l’intervento di Seewald si unisce ai saggi della storica E. Prinzivalli e dei teologi F. Pieri e C. Simonelli, che insieme compongono la I parte del libro, di taglio storico. Prinzivalli scrive dell’ambiente in cui Nicea si è svolto, Pieri della prospettiva normativa e liturgica del Concilio, Simonelli infine del significato formale-linguistico dell’operazione svoltasi a Nicea.
La II parte, d’approccio sistematico, include il saggio teologico-fondamentale del teologo statunitense A.J. Godzieba (che riprende un interessante volume uscito in italiano nel 2021: cf. Regno-att. 18,2021,582) e i contributi prospettici e analitici di E.E. Green (genere); A. Cozzi (cristologia come genealogia del logos); K. Appel (rapporto tra monoteismi e con la Trinità) e I. Bruckner (una rilettura dell’incarnazione e del momento generativo in senso materiale e formale nell’opera d’arte).
Infine, il volume dedica una III parte a 4 sguardi pastorali: quello di P. Yfantis sul mistero della comunione; quello del vescovo F.G. Brambilla sugli effetti tra il breve e lungo periodo del niceno; quello del liturgista A. Grillo che mette a tema la relazione cruciale tra
lex orandi e
lex credendi nei concili di Nicea, Trento e Vaticano II; e quello di M. Bergamaschi che riflette sul linguaggio in relazione al dirsi dell’umano stesso.
A. Ballarò, in
Il Regno Attualità 20/2025, 594