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Perché la Chiesa?
Hans Joas

Perché la Chiesa?

Miglioramento di sé versus comunità di fede

Prezzo di copertina: Euro 32,00 Prezzo scontato: Euro 30,40
Collana: Giornale di teologia 461
ISBN: 978-88-399-3461-1
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 272
Titolo originale: Warum Kirche? Selbstoptimierung oder Glaubensgemeinschaft
© 2024

In breve

Edizione italiana a cura di Paolo Costa

«Sullo sfondo di questo lavoro c’è un mio progetto a lungo termine: quello di trovare un’alternativa alla teoria della secolarizzazione. L’alternativa che propongo consiste in una storia globale dell’universalismo morale, cioè nella comprensione delle diverse fonti religiose e filosofiche di un éthos che si rivolge a tutta l’umanità».

Descrizione

La domanda di oggi non è più: abbiamo bisogno della religione? La domanda davvero urgente suona: abbiamo bisogno, in quanto credenti, di una Chiesa? Per diffondere il vangelo non sarebbe preferibile un cristianesimo libero, senza istituzioni? Il clero e le Chiese non oscurano forse il messaggio di Cristo, più che annunciarlo? Cosa perderemmo se non appartenessimo più a una Chiesa?
Più ancora: quali sono stati i motivi originari del sorgere di una Chiesa come istituzione organizzata e quale senso dovrebbe avere essa oggi, nell’epoca della secolarizzazione? È possibile mettere in discussione il potere, il dominio e la divisione dei ruoli dentro la Chiesa?
Con questo suo nuovo lavoro il sociologo e filosofo Hans Joas – uno dei più grandi pensatori delle questioni al crocevia fra Chiesa, cristianesimo e società – si dedica a queste e altre domande brucianti, presentando le sue acute riflessioni.

Recensioni

Durante il ‘900 tutti i più grandi teologi cattolici si sono confrontati apertamente sul senso della Chiesa e sul futuro del cristianesimo: da von Balthasar a Rahner a de Lubac, l’interrogativo principale riguardava il rapporto tra fede cristiana e mondo moderno, ma tutti non hanno potuto esimersi dal riflettere con acutezza sulle radici della questione, vale a dire sulle motivazioni dell’esistenza stessa della Chiesa, sulla sua identità e sulla necessità di una riforma.

Oggi la situazione è certamente cambiata dato che il cattolicesimo in Europa vive una grave, spaventosa crisi. Crisi che un teologo fine come Tomáš Halík, già amico del presidente ceco Havel, nel suo importante libro recente Pomeriggio del cristianesimo (edito da Vita e Pensiero) accosta a quella che nel Cinquecento diede origine alla Riforma protestante: allora la causa scatenante furono la corruzione e la simonia della Curia romana, dei vescovi e del clero, oggi sono stati gli scandali degli abusi sessuali. Tanti invocano riforme radicali, e papa Francesco ha intrapreso decisamente fin dall’inizio del pontificato questa strada, ma a che punto è il processo di rinnovamento? Inevitabile porsi la domanda cruciale sul futuro del cristianesimo.

Una domanda che ne solleva un’altra: la Chiesa deve abbandonare l’Occidente ormai destinato alla completa secolarizzazione? E rassegnarsi al fatto che il calendario cristiano, con le sue feste e i suoi riti, si trasformi in un calendario fatto di feste laiche e consumistiche come sono ormai ridotti il Natale o la Pasqua? Certamente, tutti constatiamo come l’apporto anche numerico al cristianesimo oggi nel mondo venga da quelle che un tempo erano periferie, Africa, Asia e Sudamerica, ed è necessario e indispensabile che l’apporto delle giovani Chiese sia valorizzato e considerato, lasciandoci alle spalle la convinzione di un cristianesimo solo espressione della cultura occidentale. Ma al contempo, possiamo accettare di buttare a mare secoli di tradizione e di cultura?

Un apporto notevole giunge ora da parte del sociologo tedesco Hans Joas, già noto per il saggio La fede come opzione, tradotto in Italia da Queriniana nel 2013. La stessa casa editrice ha appena mandato in libreria un altro volume di Joas, Perché la Chiesa? Miglioramento di sé versus comunità di fede (pagine 266, euro 32), ove il professore onorario della Humboldt Universitat di Berlino cerca di rispondere alle domande precedenti.

Diciamo subito che il suo sguardo non è affatto negativo rispetto al futuro del cristianesimo, sia per l’espansione in tanti Paesi africani e sudamericani ma anche in Cina e Corea del Sud, sia per alcuni segni di risveglio che si stanno manifestando in tante comunità dell’Europa, che fanno capire che «le vie del Signore siano imprescrutabili». Joas fa due esempi nella sua Germania. I tifosi della Union di Berlino, squadra di calcio che durante il periodo comunista faceva parte assieme alla Dinamo della Germania Est, dunque particolarmente secolarizzati, a partire dal 2003 hanno cominciato a festeggiare il Natale nel loro stadio. All’inizio erano 89, ora sono 28.000, il numero massimo di persone consentite ad accedere alla struttura: «Si può qui osservare l’emergere spontaneo di una tradizione rituale». In continuità con la tradizione cristiana e in chiara rottura con la discontinuità imposta dal regime comunista. Giustamente Joas rileva come questo fenomeno non rappresenti «un rinnovamento del cristianesimo nelle sue strutture istituzionali», ma certamente fa parte di quell’irruzione imprevista dello Spirito che spesso sconvolge i piani e i progetti fatti a tavolino. Un po’ come accaduto in occasione della Pasqua in Francia con un vero e inaspettato boom di battesimi, che ha sorpreso persino i vescovi.

L’altro esempio che porta Joas invece proviene proprio dall’istituzione, e precisamente dal vescovo di Erfurt, che da un po’ di anni propone ai non cristiani una celebrazione separata del Natale, un’iniziativa che riscuote un successo crescente. «Questi esempi – commenta Joas – dimostrano il potere del rito, il potere del sacro, anche in società profondamente secolarizzate. Ci ricordano anche che il cristianesimo, con tutta la sua stima per la tradizione culturale, caratteristica soprattutto dei cattolici, non deve diventare la religione dei dotti. Si tratta di bilanciare le più alte esigenze dell’educazione e dell’intellettualità con l’accessibilità per tutte le persone, nelle loro esperienze reali».

Naturalmente il sociologo tedesco dedica ampio spazio al paradigma della secolarizzazione e alla sua messa in discussione, dalla critica del disincanto weberiano all’ammissione di molti studiosi, fra cui Peter Berger, di aver invano profetizzato la fine delle religioni. Ma uno dei capitoli più rilevanti è dedicato alla questione posta nel sottotitolo, cioè alla preferenza posta da molte persone oggi riguardo ai percorsi di autotrascendenza, spesso legati a forme di esoterismo o alla spiritualità orientale, rispetto alle Chiese tradizionali. In questo senso, come nota Paolo Costa nella prefazione, la Chiesa deve ritrovare la sua ragion d’essere proprio in quanto «segnaposto della trascendenza», ma anche come «catalizzatore» di queste esperienze.

Il pensiero di Joas si fa «sobrio ma mai cupo», rileva sempre il filosofo italiano. L’autore in altri capitoli descrive la parabola dello scrittore tedesco Alfred Doblin soffermandosi sulla sua grandiosa opera narrativa Novembre 1918 e sulla sua conversione al cattolicesimo che provocò sconcerto fra gli intellettuali tedeschi fuggiti negli Stati Uniti, in particolare in Bertolt Brecht. E poi indaga il riavvicinamento al cristianesimo del filosofo polacco Leszek Kolakowski, già ateo e comunista poi perseguitato dal regime. Entrambi i percorsi sono a suo dire utilissimi «per trovare un nuovo linguaggio per la fede cristiana». Chiamata a porsi sempre più in chiave globale e universale. Un cristianesimo libero che non pretende di fare a meno della Chiesa come istituzione ma che sia sempre più fondato non sull’individualismo ma sul senso di comunità.

Proprio come disse Rahner a proposito del Concilio, che ha costituito «un salto qualitativo nel cammino della Chiesa cattolica verso la trasformazione in una vera Chiesa universale». Il teologo tedesco vedeva in questo – sottolinea Joas – «l’inizio, e solo l’inizio, di un’epoca completamente nuova nella storia della Chiesa, paragonabile per lui solo al rivolgimento radicale messo in atto da san Paolo, che superò i confini di una setta ebraica e fece della comunità cristiana un magnete per tutti i popoli del mondo mediterraneo del tempo. Questo sviluppo sta portando alla nuova costellazione di autentico pluralismo in gran parte del mondo d’oggi».


R. Righetto, in Avvenire 20 settembre 2024

La domanda che dà il titolo a questo libro di Hans Joas non è un interrogativo retorico, non appartiene al genere letterario delle titolazioni costruite unicamente per stuzzicare la curiosità dei lettori. Al contrario, è una domanda reale che il sociologo e filosofo sociale tedesco pone non tanto sulla scia delle distinzioni – per esempio quella tra cristianesimo e Chiesa nel periodo illuminista – o delle provocazioni emerse nella storia, come l’espressione degli anni Settanta «Gesù sì, Chiesa no»; quanto sull’osservazione che la Chiesa esiste e appare sempre meno necessaria alla luce della sensibilità individualista e post-istituzionale nelle odierne società occidentali.

La portata di questa difficoltà è presto chiarita se si ha in mente la metafora ecclesiologica che utilizza la maternità come categoria simbolico-esplicativa della funzione della Chiesa: quale «madre Chiesa» potrebbe sperare di non suscitare perplessità di fronte alla coscienza dei nostri contemporanei?

Ma, al di la di questo, Joas è consapevole che la stessa domanda alla base del libro esige d’essere ulteriormente spiegata. L’autore individua due possibili significati della questione: può «essere intesa come se stessimo cercando i benefici che gli individui, la società o l’umanità traggono dalla religione, ad esempio felicità, stabilità morale, salute mentale, coesione sociale, pace», quasi a giustificare l’esistenza della Chiesa su un piano utilitaristico; ma si può intendere il bisogno anche in termini profondamente diversi, come «riflessione sulle cause che un tempo hanno portato i credenti in Gesù Cristo a generare e rendere vitale un’istituzione che si differenzia da tutte le forme sociali contemporanee come la famiglia, il parentado, ma anche la comunità politica» (25s).

Il libro si compone di 10 capitoli che affrontano questioni rilevantissime per l’ethos cattolico e religioso in Europa. S’inizia dalla «sociologia della Chiesa» come disciplina e approccio da ripensare se si vuole comprendere in modo non superficiale, pretestuosamente neutro, la comunità ecclesiale in prospettiva storica e teologica. Il punto cruciale di Joas è la considerazione che l’ecclesiologia debba significare anche l’inevitabilità di «misurarsi con il proprio ideale costitutivo» (61).

Si prosegue con una sezione prognostica che propone un’alternativa alla tesi della secolarizzazione, individuandola nella «sociologia politica della religione»: un approccio che studi e privilegi la «posizione delle Chiese e delle comunità religiose in relazione alle principali questioni politiche delle rispettive epoche» (71s).

In questo quadro, solo un’ottica differenziata rende giustizia e consente un’indagine fondata sui cambiamenti del panorama religioso europeo. Joas legge il bisogno della religione in parallelo al sorgere di esperienze di auto-trascendenza, definendo il bisogno «qualcosa di intrinseco alla fede stessa», anziché strumentale, e le esperienze di autotrascendenza come l’essere spinti «oltre i limiti del proprio io», un «allentamento o una liberazione dalla fissazione su se stessi», e in nessun modo «nel senso di un superamento morale» (90s). Questo consente all’autore di riflettere sul ruolo culturale delle Chiese.

Due capitoli sono poi rivolti all’opera e al pensiero del drammaturgo tedesco Alfred Doblin e del filosofo polacco Leszek Kołakowski, che Joas considera proposte esemplari per chiunque voglia prendere sul serio il messaggio evangelico, da un lato, e indagare la possibilità di una riformulazione linguistica e concettuale nel cristianesimo, dall’altro. Universalismo morale, dignità umana, ruolo della Chiesa rispetto a questo in senso globale e particolare costituiscono infine gli ultimi argomenti trattati dal volume.

Joas indaga la crescente importanza della dignità della persona umana e dei diritti umani, chiedendosi se possa essere questa la vera «religione della modernità». Va da sé che non si tratti che di un esercizio teorico volto a illuminare la centralità del tema nel suo rapporto con le religioni storiche e le loro tradizioni, oltre a evidenziarne la fragilità sulla base di una storia aperta e imprevedibile, sempre più a corto di sicurezze e acquisizioni definitive (181-202).

Il libro di Joas non è un manuale, ma risale ad autori fondamentali in sociologia e filosofia per fornire una riconsiderazione, ma soprattutto una messa in discussione di teorie e convinzioni che sono entrate a far parte della coscienza condivisa nelle società contemporanee, almeno in Occidente. È un libro che pone una domanda sociologica e filosofica, ma che si dispiega anche come domanda intrinsecamente teologica. A partire da questo modello di trans-disciplinarità, si capisce come l’interrogativo sul «perché» della Chiesa rappresenti in realtà un interrogativo più ampio, una domanda che nel senso e nel futuro della cooperazione dei credenti cerca in fondo il senso e il futuro della cooperazione umana.


A. Ballarò, in Il Regno Attualità 16/2024

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