Durante il ‘900 tutti i più grandi teologi cattolici si sono confrontati apertamente sul senso della Chiesa e sul futuro del cristianesimo: da von Balthasar a Rahner a de Lubac, l’interrogativo principale riguardava il rapporto tra fede cristiana e mondo moderno, ma tutti non hanno potuto esimersi dal riflettere con acutezza sulle radici della questione, vale a dire sulle motivazioni dell’esistenza stessa della Chiesa, sulla sua identità e sulla necessità di una riforma.
Oggi la situazione è certamente cambiata dato che il cattolicesimo in Europa vive una grave, spaventosa crisi. Crisi che un teologo fine come Tomáš Halík, già amico del presidente ceco Havel, nel suo importante libro recente Pomeriggio del cristianesimo (edito da Vita e Pensiero) accosta a quella che nel Cinquecento diede origine alla Riforma protestante: allora la causa scatenante furono la corruzione e la simonia della Curia romana, dei vescovi e del clero, oggi sono stati gli scandali degli abusi sessuali. Tanti invocano riforme radicali, e papa Francesco ha intrapreso decisamente fin dall’inizio del pontificato questa strada, ma a che punto è il processo di rinnovamento? Inevitabile porsi la domanda cruciale sul futuro del cristianesimo.
Una domanda che ne solleva un’altra: la Chiesa deve abbandonare l’Occidente ormai destinato alla completa secolarizzazione? E rassegnarsi al fatto che il calendario cristiano, con le sue feste e i suoi riti, si trasformi in un calendario fatto di feste laiche e consumistiche come sono ormai ridotti il Natale o la Pasqua? Certamente, tutti constatiamo come l’apporto anche numerico al cristianesimo oggi nel mondo venga da quelle che un tempo erano periferie, Africa, Asia e Sudamerica, ed è necessario e indispensabile che l’apporto delle giovani Chiese sia valorizzato e considerato, lasciandoci alle spalle la convinzione di un cristianesimo solo espressione della cultura occidentale. Ma al contempo, possiamo accettare di buttare a mare secoli di tradizione e di cultura?
Un apporto notevole giunge ora da parte del sociologo tedesco Hans Joas, già noto per il saggio La fede come opzione, tradotto in Italia da Queriniana nel 2013. La stessa casa editrice ha appena mandato in libreria un altro volume di Joas, Perché la Chiesa? Miglioramento di sé versus comunità di fede (pagine 266, euro 32), ove il professore onorario della Humboldt Universitat di Berlino cerca di rispondere alle domande precedenti.
Diciamo subito che il suo sguardo non è affatto negativo rispetto al futuro del cristianesimo, sia per l’espansione in tanti Paesi africani e sudamericani ma anche in Cina e Corea del Sud, sia per alcuni segni di risveglio che si stanno manifestando in tante comunità dell’Europa, che fanno capire che «le vie del Signore siano imprescrutabili». Joas fa due esempi nella sua Germania. I tifosi della Union di Berlino, squadra di calcio che durante il periodo comunista faceva parte assieme alla Dinamo della Germania Est, dunque particolarmente secolarizzati, a partire dal 2003 hanno cominciato a festeggiare il Natale nel loro stadio. All’inizio erano 89, ora sono 28.000, il numero massimo di persone consentite ad accedere alla struttura: «Si può qui osservare l’emergere spontaneo di una tradizione rituale». In continuità con la tradizione cristiana e in chiara rottura con la discontinuità imposta dal regime comunista. Giustamente Joas rileva come questo fenomeno non rappresenti «un rinnovamento del cristianesimo nelle sue strutture istituzionali», ma certamente fa parte di quell’irruzione imprevista dello Spirito che spesso sconvolge i piani e i progetti fatti a tavolino. Un po’ come accaduto in occasione della Pasqua in Francia con un vero e inaspettato boom di battesimi, che ha sorpreso persino i vescovi.
L’altro esempio che porta Joas invece proviene proprio dall’istituzione, e precisamente dal vescovo di Erfurt, che da un po’ di anni propone ai non cristiani una celebrazione separata del Natale, un’iniziativa che riscuote un successo crescente. «Questi esempi – commenta Joas – dimostrano il potere del rito, il potere del sacro, anche in società profondamente secolarizzate. Ci ricordano anche che il cristianesimo, con tutta la sua stima per la tradizione culturale, caratteristica soprattutto dei cattolici, non deve diventare la religione dei dotti. Si tratta di bilanciare le più alte esigenze dell’educazione e dell’intellettualità con l’accessibilità per tutte le persone, nelle loro esperienze reali».
Naturalmente il sociologo tedesco dedica ampio spazio al paradigma della secolarizzazione e alla sua messa in discussione, dalla critica del disincanto weberiano all’ammissione di molti studiosi, fra cui Peter Berger, di aver invano profetizzato la fine delle religioni. Ma uno dei capitoli più rilevanti è dedicato alla questione posta nel sottotitolo, cioè alla preferenza posta da molte persone oggi riguardo ai percorsi di autotrascendenza, spesso legati a forme di esoterismo o alla spiritualità orientale, rispetto alle Chiese tradizionali. In questo senso, come nota Paolo Costa nella prefazione, la Chiesa deve ritrovare la sua ragion d’essere proprio in quanto «segnaposto della trascendenza», ma anche come «catalizzatore» di queste esperienze.
Il pensiero di Joas si fa «sobrio ma mai cupo», rileva sempre il filosofo italiano. L’autore in altri capitoli descrive la parabola dello scrittore tedesco Alfred Doblin soffermandosi sulla sua grandiosa opera narrativa Novembre 1918 e sulla sua conversione al cattolicesimo che provocò sconcerto fra gli intellettuali tedeschi fuggiti negli Stati Uniti, in particolare in Bertolt Brecht. E poi indaga il riavvicinamento al cristianesimo del filosofo polacco Leszek Kolakowski, già ateo e comunista poi perseguitato dal regime. Entrambi i percorsi sono a suo dire utilissimi «per trovare un nuovo linguaggio per la fede cristiana». Chiamata a porsi sempre più in chiave globale e universale. Un cristianesimo libero che non pretende di fare a meno della Chiesa come istituzione ma che sia sempre più fondato non sull’individualismo ma sul senso di comunità.
Proprio come disse Rahner a proposito del Concilio, che ha costituito «un salto qualitativo nel cammino della Chiesa cattolica verso la trasformazione in una vera Chiesa universale». Il teologo tedesco vedeva in questo – sottolinea Joas – «l’inizio, e solo l’inizio, di un’epoca completamente nuova nella storia della Chiesa, paragonabile per lui solo al rivolgimento radicale messo in atto da san Paolo, che superò i confini di una setta ebraica e fece della comunità cristiana un magnete per tutti i popoli del mondo mediterraneo del tempo. Questo sviluppo sta portando alla nuova costellazione di autentico pluralismo in gran parte del mondo d’oggi».
R. Righetto, in
Avvenire 20 settembre 2024