Il recente saggio di M. Böhnke rappresenta un tentativo originale di proporre una teologia dello Spirito che permetta un accesso alla presenza di Dio non solo intellettualmente, ma anche esistentivamente ed ecclesialmente significativo.
La tesi di fondo del volume è che, se si vuole contrastare l'assenza di Dio nel mondo contemporaneo, occorre ripartire da una pneumatologia pratica più che da una cristologia, giacché anche la presenza di Gesù Cristo come Signore glorificato è accessibile solamente nello Spiriro. È l'oblio dello Spirito la causa teologica che ha reso la presenza di Dio come evanescente e difficilmente accessibile. Per «pneumatologia pratica» l'autore intende il tentativo di identificare la presenza di Dio come realtà determinata dallo Spirito Santo e accessibile partendo da atti elementari e generalmente comprensibili.
La concezione dello Spirito Santo e la conseguente riflessione pneumatologica hanno storicamente quasi sempre riguardato aspetti interiori dell'esistenza. Lo Spirito cioè si manifesterebbe nella coscienza dell'uomo, nella sua interiorità, in una sorta di "locuzione" attraverso la quale Dio farebbe sentire in modo efficace la propria voce ai singoli fedeli. Limpresa di Böhnke procede in direzione opposta e muove da una premessa audace: non approdare alla pneumatologia a partire dalla Trinità, bensì giungere alla Trinità a partire dalla pneumatologia, intesa come condizione di ogni conoscenza teologica. La fede nella Trinità dipende da premesse pneumatologiche, così come la giusta comprensione di Gesù come il Cristo, la creazione, la grazia, la Chiesa, l'escatologia, il dialogo ecumenico sono possibili nello Spirito Santo.
La pneumatologia non può essere sviluppata adeguatamente a partire dalla dottrina trinitaria, che è stata la via classica dal punto di vista storico-dogmatico, perché si è trattato di un approccio dovuto a motivi apologetici, ossia alla contestazione della divinità dello Spirito Santo nel IV secolo. Dopo Rahner, tuttavia, cristologia e pneumatologia hanno tematizzato i due modi dell'autocomunicazione divina. Biblicamente si può parlare di una personalità dello Spirito soltanto con riferimento alla persona di Gesù Cristo, dal quale lo Spirito è ricevuto come Paraclito. Per Böhnke, dunque, l'idea della personalità dello Spirito si basa sulla conoscenza che Gesù Cristo è persona e non la si può sviluppare adeguatamente a posteriori muovendo dalla dottrina della Trinità o da un concetto trinitario di persona: «Una pneumatologia pratica inizia con la prassi dell'essere uomo vissuto. Essa riflette ed evidenzia la dimensione dello Spirito cogliendola nella pratica. Tematizza quindi determinate esperienze che possono essere viste come percepibili e descrivibili esperienze dello Spirito di Dio, dove – e questo dovrà essere spiegato in seguito – l'esperienza deve essere determinata con Heribert Mühlen [che cita qui Bultmann] come un "conoscere nella relazione" (68).
Compito centrale e irrinunciabile della pneumatologia pratica è dunque per Böhnke sviluppare e provare teologicamente la presenza di Dio nello Spirito nel contesto dell'azione umana. Nel primo capitolo del suo saggio l'autore delinea un confronto sintetico con numerosi teologi che, soprattutto nel corso del Novecento, hanno sviluppato un fecondo contributo pneumatologico, tra cui Scheeben, Breuning, Schell, Malmberg, Schillebeeckx, Rahner, Pannenberg, Moltmann, Hilberath, Greshake, Müller-Fahrenholz, Welkrer e altri.
Nel secondo capitolo l'autore analizza in profondità alcuni gesti percepibili come esperienze implicite o esplicite dello Spirito di Dio. Infatti, «lo Spirito viene compreso come ciò da cui è compenetrata l'azione degli umani» (91). L’autore prende in considerazione quattro atteggiamenti fondamentali che animano la vita del cristiano: l'epiclesi, la parresìa, la dossologia, la sazienza.
L’epiclesi è l'atto attraverso il quale si manifesta la forma fondamentale dell'agire cristiano, cioè l'invocazione con cui gli uomini si rivolgono a Dio come il Signore. Essa non è un privilegio di un determinato gruppo di persone, ma il gesto con cui ogni uomo, sempre e ovunque, può invocare direttamente lo Spirito di Dio. Dopo il concilio Vaticano II l'epiclesi liturgica è stata oggetto, giustamente, di una forte valorizzazione che ha conseguenze ecclesiologiche ed ecumeniche.
La parresìa, cioè il parlare franco, aperto e pubblico, è l'espressione costitutiva e distintiva dell'azione profetica nel mondo. Si tratta della capacità del cristiano di farsi annunciatore di quelle verità scomode che garantiscono la libertà di sé e degli altri.
La dossologia, tecnicamente concepita come discorso di glorificazione, è in realtà la risposta al dono dello Spirito, la capacità di corrispondere nella preghiera lo Spirito Santo da cui il cristiano si sente abbracciato. Nella lode il singolo individuo e tutta la Chiesa testimoniano anticipatamente l'esperienza escatologica dell'essere riempiti dallo Spirito. La dossologia è la preghiera che più di ogni altra esprime questo passaggio.
Infine, Böhnke sviluppa il concetto di sazienza, ossia l'essere afferrati dallo Spirito che trova la sua espressione descrittiva in un movimento vivente e in carne ossa. Per Böhnke, «partendo dall'idea della determinatezza dell'agire secondo lo Spirito, lo Spirito di Dio può essere identificato teoreticamente in rutti gli atti, e cioè: non soltanto nell'azione dei credenti o della Chiesa [...]. Questo essere-toccati (Ergriffenheit) può essere rappresentato nella più effimera di tutte le forme artistiche, la danza, e lo può essere in un modo che non sarebbe possibile rendere con le parole» (149).
Nel terzo capitolo l'autore propone un'interessante riflessione sull'applicazione del concetto moderno di persona allo Spirito Santo. Nella letterarura teologica specialistica il proprium dello Spirito è descritto solitamente con i concetti di dono e/o di persona. La teologia trinitaria classica ha affermato che lo Spirito è, da un lato, un dono per una persona e, dall'altro, come dono è egli stesso una persona. Lo Spirito Santo, come datore del dono, è persona che comunica se stessa. A questa affermazione è collegata un'impostazione teologica che porta con sé un problema rilevante, ossia il fatto che nella teologia classica la persona non è stata determinata sul concetto della soggettività e sulle caratteristiche ad essa collegate, come la libera volontà, la coscienza di sé e la relazione. Nella concezione antica e medievale «la ragione determinante della persona è piuttosto un proprium incomunicabile, con il quale nella teologia della Trinità poteva essere definita la distinzione reale fra Padre, Figlio e Spirito. Se si usano concetti soggettivi per esprimere la personalità dello Spirito come quella delle altre due persone divine, si introduce nella dottrina della Trinità il concetto moderno di persona, che presuppone una soggettività autocosciente e un agire autodeterminato» (176-177).
Questo riferimento è per l'autore estremamente controverso. Da un lato, Böhnke sa bene che la categoria di persona attribuita allo Spirito èirrinunciabile perché una concezione non-personale dello Spirito sacrificherebbe sia il pensiero della definitività dell'autorivelazione di Dio in Gesù Cristo sia quello della presenza di Cristo nello Spirito Santo. Solo se è compreso come persona, seguendo il Cristo giovanneo, «prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,14). D'altra parte, l'autocomunicazione dello Spirito Santo è l'autocomunicazione del Noi intratrinitario, pertanto lo Spirito è il Noi-in-persona. La riflessione di Böhnke non ha altra pretesa che indicare nuove vie possibili su questo tema.
Infine, nel quarto capitolo il teologo tedesco si incarica di tracciare alcune direttrici tematiche che hanno per oggetto gli sviluppi ecclesiologici, escatologici, la questione del Filioque e il rapporto fra Trinità economica e Trinità immanente. Si tratta di ambiti nei quali Böhnke tenta di mostrare come una piena assunzione dello Spirito nell'orizzonte di vita cristiano non può non condurre la Chiesa a una progressiva riforma, che abbia per oggetto non tanto, o non primariamente, la modifica di alcune sue prassi secolari, come di solito si tende a pensare, bensì la scelta convinta della povertà e dell'essenzialità.
Subito dopo il concilio Vaticano II una parte della teologia e numerosi vescovi avevano avanzato l'opzione preferenziale per i poveri. Tale istanza, che è stata riproposta in modo efficace ecredibile da papa Francesco, non ha contagiato molto la prassi della vita e del ministero episcopale. La ragione di questa resistenza non è fondamentalmente una questione di potere, bensì è la necessità per i pastori di non sentirsi rappresentanti di Cristo, capo della Chiesa, ma di assumere il ministero episcopale o presbiterale come un ministero pneumatologico. Per Böhnke, «se la Chiesa deve trasformarsi in una Chiesa povera per i poveri, questo teologicamente significa che essa deve lasciare che Cristo se ne vada (Gv 16,5-7). L’appello cristocentrico alla logica dell'incarnazione per fondare la presenza di Cristo nella sua Chiesa e il potere del ministero episcopale va integrato con l'appello pneumatologico all'assenza del Glorificato come presupposto per l'invio dello Spirito.
Soltanto questo passo doloroso rende possibile una concezione del popolo di Dio come Chiesa e della Chiesa come Chiesa libera, pellegrina e in ricerca, plurale e peccatrice, che sente la mancanza di Cristo, vive nel suo spirito e spera nel suo ritorno (Gv 16,16-33)».
Il volume di Böhnke, in definitiva, rappresenta un'approfondita e originale pneumatologia che fa tesoro della tradizione antica, senza rigettare nulla di quanto la storia ci ha consegnato, e tuttavia che non teme di mostrare alcune aporie del pensiero trinitario e le loro ricadute sul piano della teologia pratica.
E. Brancozzi, in
Rassegna di Teologia 3/2020, 517-520