Questo libro fa bene al cuore. È un vero e proprio inno alla carità che parte dall'esperienza comunitaria di cura di disabili intellettivi, a cui si è sentito chiamato l'autore, Jean Vanier, filosofo e filantropo noto in tutto il mondo che, com' è noto, ha lasciato la carriera militare per fare esperienza della bellezza che c'è in ogni persona diversa. Nella realtà – afferma Vanier in "Le grandi domande della vita" (Queriniana, pagg. 248, euro 18) - c'è contraddizione e divisione e questo porta sofferenza e angoscia. Si parte quindi dalla constatazione dell'esistenza del male per giungere all'affermazione che il male può essere vinto dall'amore. Ma qual è la natura di questa cosa che chiamiamo amore?
Vanier utilizza brani del Vangelo per avvicinarsi a descrivere quello che si rivela essere il fondamento della realtà. Amore implica avere il coraggio di attraversare la strada che separa il ricco dal povero Lazzaro per portare unità in quella frattura originaria. È saper superare la paura e l'angoscia che si trovano in ognuno di noi per uscire da sé e andare incontro a ciò che percepiamo come diverso, debole, handicappato. I deboli, i fragili, i bisognosi di cure, come bambini e anziani, occupano in realtà un posto privilegiato nella società perché permettono di completare questo movimento di unione all'interno della grande famiglia umana.
L'amore non è mai astratto, parte dalla corporeità. Inizia con la relazione tra madre e figlio e si traduce in sguardi e gesti di tenerezza che fanno sentire il bambino amato. Amare incondizionatamente un'altra persona significa soprattutto saper ascoltare, mettersi in una posizione di umiltà per poter aiutare l'altro a crescere. Vanier ricorre all'esempio di una ospite della comunità L'Arche e all'Inno alla Carità di san Paolo per individuare le qualità che contraddistinguono l'amore. Pauline aveva disabilità intellettive e fisiche e alle spalle una storia di rifiuto e continue umiliazioni che l'avevano portata ad odiare se stessa e ad esprimere questo profondo malessere con gesti violenti che rendevano la convivenza difficilissima. Per amarla è stato necessario essere molto pazienti, il che significava saper attendere che il mistero di bellezza in lei celato sotto duri strati di rabbia, si rivelasse. Questo ha implicato anni di esercizio della gentilezza e del rispetto perché Pauline sentisse di essere l'amata. Occorrreva desiderare sinceramente stare in sua presenza per scambiarsi anche un solo sguardo d'intesa. Con Pauline, Vanier dice di aver conosciuto l'amore vero.
L'amore quindi è paziente, gentile, tenero, sincero, non porta alla competizione e al potere ma perdona, accoglie le fragilità e consola. L'amore si rivela proprio nella fragilità della natura umana, nella sua vulnerabilità e sofferenza. È quell'Amore rivelato da Gesù, che non mostra, al compimento della sua vita terrena, la sua forza onnipotente ma il suo totale abbandono. E se l'esperienza del nostro amore umano ci indica qualcosa sull'Amore di Dio allora Dio non appare come perfetto ma come mancante, sofferente, bisognoso, come una madre che soffre il distacco dal suo bambino perché possa avviarsi alla realizzazione del suo sé più autentico.
Per Vanier l'amore si realizza in questo sentirsi tutti insieme appartenenti alla stessa famiglia umana senza distinzioni e separazioni, e può concretizzarsi in diversi modi, ad esempio facendo esperienze di comunità che abbattono le barriere dell'individualismo. Nelle comunità si fa esperienza di una armoniosa comunione di intenti a cui si giunge attraverso la condivisione di semplici riti quotidiani come la preghiera comunitaria e necessita di un continuo sforzo di perdono per superare gli inevitabili attriti che si creano vivendo insieme. Un altro modo di sentire la comunione universale è attraverso la contemplazione della bellezza o la partecipazione all'Eucaristia, sintesi miracolosa dell'essere l'uno nel cuore dell'altro, in cui si gode profondamente dell'essere semplicemente presenti l'uno all'altro.
Vanier si dice estremamente convinto dell'amore di Dio verso gli uomini ed è per questa convinzione che ha deciso di fondare l'Arche. L'intervento premuroso e delicato di Dio nella storia dell'umanità avviene attraverso continui richiami alla mitezza e alla fratellanza, alla pace e all'unione. Anche quando il male e la guerra sembrano catastroficamente prendere il sopravvento, Dio interviene attraverso profeti che seguono la voce potente della coscienza sulla strada della pace e del riconoscimento della dignità e unicità di ogni essere umano.
Al termine della sua riflessione sulla natura della vita e della sua stessa essenza che è l'amore, il fondatore dell'Arche raggiunge toni finemente mistici affrontando il tema della morte. La morte ha a che fare con la vita perché questa è un continuo cambiamento di crescita. La crescita esige che prendiamo coscienza della nostra interconnessione, significa aprire il cuore a persone molto diverse da noi, perfino a chi vuole ferirci, ascoltare le loro storie per portare frutti di pace. La morte sarà l'ultimo cambiamento, sarà l'incontro gioioso e festoso con chi ci ama nonostante tutte le nostre povertà e manchevolezze, porterà l'unione intima dell'anima con Dio e l'umanità intera in un infinito abbraccio di luce.
L. Giustina, in
Noi. Famiglia & Vita ottobre 2018, 36