Come deve fare ogni buon titolo, questo di Ebner incuriosisce, col suo punto di domanda che giustamente provoca: Braucht die katholische Kirche Priester? («La Chiesa cattolica ha bisogno di preti?»). Posta così, la questione secca non poco anche perché è proprio necessario radicalizzare il problema solamente per cercare di rispondere all’interrogativo (sempre intrigante) circa il celibato dei preti o l’altro (oggi inderogabile) circa l’ammissione delle donne al ministero e al diaconato?
L’autore è prete di Würzburg, biblista e docente emerito a Münster e a Bonn. Conosce bene proprio le questioni legate all’origine e alla formazione delle comunità cristiane nel loro ambiente religioso-culturale, ma conosce bene anche il percorso del Synodale Weg della chiesa di Germania che si è occupata (e si occupa), tra gli altri, anche della situazione del clero oggi, della sua vita e ovviamente della sua identità (un forum specifico di discussione nel sinodo aveva come titolo lo stesso di questo libro, poi ratificata con 95 voti contro 94! Che attesta da sé il peso della questione).
È poi lo stesso problema che sta sullo sfondo, tra gli altri, anche del cammino sinodale della chiesa (2021-2024). È su questo orizzonte che va inteso il saggio di Ebner, che raggruppa quindici concisi capitoli che argomentano da vari punti di vista la problematica «a partire dai documenti originari della nostra fede cristiana, che sono raccolti nel canone del Nuovo Testamento» (p. 27). Come sintetizza al meglio la quarta di copertina: si giunge «alla conclusione che riferimenti al sacerdozio così come lo intendiamo noi non ce ne sono. Anzi, […] si incontra una comprensione della comunità che esclude gerarchie e strutture di potere, e che in quanto tale oggi potrebbe rivelarsi innovativa e suggerire come procedere per il futuro».
«Il sacerdozio è un innesto nel cristianesimo e significa una veemente frattura con le linee guida neotestamentarie» (p. 105). La critica è forte, anche perché la causa della crisi del presbiterato (del prete cioè) è in gran parte la crisi di quel sacerdozio che via via si è costituito come paradigma (ecclesiologico-gerarchico) a sé stante, architrave poi di un’ecclesiologia conseguente che ben conosciamo.
Aver scelto per la traduzione italiana «sacerdote» (nel titolo) anziché «prete» (equipollenti in tedesco cf. Priester; ma non certo in italiano!) è una scelta semantica (un esame del lessico riguardante «prete-sacerdote» non è mai abbastanza) sintomatica di un’opzione che non pare del tutto in linea con la prospettiva rimarcata nel saggio. Tanto che si è sentita la necessità di una puntuale Prefazione all’edizione italiana di Flavio Dalla Vecchia che illustra «le tendenze in atto nei primi tempi della chiesa, per rendere ragione dei silenzi del Nuovo Testamento» (p. 6). Quali silenzi? Quelli legati alla «terminologia sacerdotale» mai applicata nel Nuovo Testamento ai «ministeri ecclesiali», che invece riserva solo a Gesù Cristo e al popolo di Dio, come precisamente rimarca Ebner.
Sono tutte questioni su cui si è scritto anche molto tra teologi e biblisti negli anni del postconcilio. Che non sia più possibile continuare a pensare il prete come si è fatto sino a oggi è un dato di fatto incontrovertibile: è un modello imploso. Le discussioni, viste le ricadute in termini di identità, di potere e non solo, suscitano facilmente polarizzazioni e radicalizzazione che non aiutano per niente il confronto su celibato obbligatorio, formazione del clero, la sua maschilità esclusiva… Ci vorrà ancora del tempo per metabolizzare i dati della storia e smascherare soprattutto “evidenze” della tradizione che non lo sono e che servono più a giustificare pregiudizi.
Un testo, questo di Ebner, che si legge velocemente anche per la sua costruzione a tesi (ogni capitolo ha in esergo una breve enunciato) e che può risultare un utile sussidio per conoscere meglio come stavano le cose alle origini. Manca del tutto il profilo sistematico, che andrà anch’esso adeguatamente approfondito prima di ricavare conseguenze e stabilire tesi che non aiuterebbero comunque lo sviluppo di una pastorale adeguata per le nostre comunità.
D. Passarin, in
CredereOggi 4/2024, 143-145