Il 2022 è stato per il prof. Pierangelo Sequeri ‒ già preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II a Roma e prima preside e docente alla Facoltà Teologica di Milano ‒ occasione per la scrittura di tre volumi su argomenti che ha ritenuto importanti riprendere e ricomporre in un quadro più articolato. È il caso di L’iniziazione. Dieci lezioni su nascere e morire. Nell’ottobre scorso la Gregoriana pubblicava Celebrare – Bibbia e liturgia in dialogo, un libro scritto da Sequeri e dal prof. Renato De Zan.
E, infine, a settembre pubblicava con la Queriniana Iscrizione e rivelazione, soprattutto in questo caso per riprendere e ricomporre «l’assenza ‒ come ha scritto nella prefazione Francesca Peruzzotti ‒ di attenzione specifica per il tema della Scrittura» in Fratello Dio.
Lo stesso prof. Sequeri ha confermato indirettamente la teologa durante la presentazione del libro a Bologna il 10 maggio scorso, aggiungendo che «il libro è più di lei e del prof. Ezio Prato», i quali sono stati rispettivamente curatrice della bibliografia (assieme a E. Tizzoni) e curatore di Fratello Dio (assieme a D. Cornati).
Prefazione e introduzione
Francesca Peruzzotti ha scritto la prefazione, «Dio parla di sé in molti modi», tratteggiando il quadro articolato del pensiero di Sequeri circa i molti modi in cui Dio parla.
Chi ha letto un po’ di Sequeri in questi decenni può ritrovarsi nella prefazione della giovane teologa e riconoscersi nell’intenzione che hanno motivato lei e il prof. Prato. Da parte sua, Sequeri ha scritto nella introduzione: «Ritengo che la teologia cattolica non abbia ancora realizzato una concentrazione adeguata… sul luogo singolare che le Scritture bibliche rivestono nella fondazione e nell’elaborazione riflessiva che la coscienza credente accorda all’evento Gesù».
Le parti del libro
Il volume di 300 pagine si sviluppa in quattro parti secondo una linea che la Peruzzotti ha stabilito al termine della sua «intelligente ricognizione» di tutti gli scritti di Sequeri. Da parte sua, il teologo milanese vi è intervenuto «a dare coerenza e linearità alla ripresa di alcuni saggi già pubblicati».
Questa prima intenzione ha dato la forma definitiva alla prima e terza parte del libro. Essi contengono gli argomenti che appartengono alla teologia classica del testo e, dall’altra, alla destinazione del testo come testimonianza, e della ripresa continua come restituzione. Oltre alla teologia classica si richiamano l’affermazione pluridecennale della scuola milanese del «primato di Cristo» e la scelta della «fenomenologia di Gesù» resa pubblica nel 1998 sulla propria rivista Teologia.
La seconda intenzione riguarda interessi e contenuti più recenti del suo percorso teologico, i quali trovano corpo nella seconda e quarta parte, e la stessa conclusione. Una breve scorsa a queste due parti mette in luce l’estetica scritturale, a cominciare della «lingua materna» e «la salutare distanza» dell’ironia, in particolare delle parabole di Gesù.
Queste «forme e forze del testo» sono messi in evidenza per smobilitare l’intelligenza, suscitando nuovi processi cognitivi, e mettendo allo scoperto contraddizioni e lontananze dalla verità degli uomini. Noi lettori di oggi, come di ieri e dei primi testimoni, non abbiamo un concetto razionale di cosa sia il Regno di Dio, di chi sia e cosa faccia Dio per rivelarsi: non lo dice il concetto, ma i racconti di Gesù sì.
Forme e forza del testo
Sequeri si concentra sulle parabole nella terza e quarta parte: nella terza per argomentare la resistenza insuperabile della cosa religiosa del testo rispetto al dispositivo della soggettività credente. «C’è sempre una scrittura e quando ti perdi hai sempre la possibilità di tornare ad essa» ‒ ha chiarito nella presentazione del libro a Bologna il 10 maggio scorso. Il testo, infatti, non è una pagina del catechismo, ma illustrazione del dispositivo che racconta l’evento attestato nello scritto. Tale dispositivo, poi, racconta l’evento ‒ non rimanda semplicemente per immagini ‒ ponendosi così come occasione per accedervi (Kairos).
Nella quarta parte, le parabole sono riprese sotto l’aspetto formale con cui si formano nella coscienza vigile di Gesù: esse comunicano con la lingua materna nel contesto della lingua materna delle stesse scritture bibliche. La sua creatività narrativa è data dalla familiarità con le Scritture, come modo e occasione di ubbidire al Padre. Grazie a tale innesto, la predicazione in parabole è in grado di fronteggiare e riassumere l’intera logica della recezione umana della relazione con Dio.
Vale anche per Gesù, quanto Sequeri ha riassunto del pensiero di Beauchamp sulla deuterosi, ossia «la ripresa ‒ ri-scrittura, ma anche ri-lettura ‒ che crea valore aggiunto per l’attestazione significante della cosa del testo, proprio nell’intento di rendere aderente la restituzione testimoniale del testo». Con una precisazione: Gesù è l’evento, i lettori delle parabole sono invitati ad accedervi. Come? Tutte le donne e gli uomini possono seguire la stessa strada che Gesù ha aperto, leggere e ri-leggere la Parola, scrivere e ri-scrivere parole come esperienza di una coscienza credente.
E non solo una volta, ma ad ogni svolta, dove Gesù transita senza mai insediarsi. In questa sequenza, «che è sia linguistica sia spirituale, il processo dell’attestazione scritturale e il lavoro della coscienza credente fanno appello l’una all’altro: nell’interesse convergente di una ripresa che punta all’autenticità testimoniale della rivelazione».
Parole e Parola
I due lemmi che titolano questo paragrafo alludono la seconda alla sacra Scrittura e la prima alle parole umane, ma il legame argomentato da Sequeri ci conferma che vanno tenuti insieme, anche se si potranno sempre distinguere.
Con gli stessi due lemmi la Facoltà teologica di Milano ha tenuto, nel febbraio del 2016, un convegno di studio, appunto «Parole e Parola». Qualche mese dopo, usciva la pubblicazione del libro con i relativi interventi con la prefazione di Sequeri, ancora per poco a Milano, essendo stato nominato da papa Francesco preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II. Quel testo e gli argomenti trattati non sono entrati nei vari contributi di Fratello Dio, così mi ha confermato F. Peruzzotti.
Come tanti sanno, il titolo restringeva il confronto tra «teologia e letteratura», con l’auspicio scritto da Sequeri nella prefazione: «Auspichiamo un passo avanti rispetto all’impianto delle ricerche classiche sulla presenza della tematica religiosa-cristiana nella storia della letteratura». Sono passati solo sette anni e, in generale, le pubblicazioni letterarie, e in particolare la poesia, hanno subìto un tonfo editoriale, eppure tutti scrivono sulla rete.
Due ambiti meritano attenzione. Anzitutto la convergenza di alcuni docenti con alcuni esegeti della sacra Scrittura. È il caso, ad esempio, del prof. Piero Boitani, già docente alla Sapienza, che in questi anni ha perfezionato un principio che lo avvicina a Beauchamp: «La letteratura è un albero gigantesco, ma le radici sono sempre le medesime, e la ri-scrittura è il principio che ne governa la crescita». Il letterato poi ha steso la prefazione a Il grande codice. Bibbia e letteratura scritto da Northrop Frye.
Al momento, le convergenze tra «parole e Parola» riguardano alcuni esperti di Teologia Biblica. Il più noto attualmente è J-P. Sonnet, docente di sacra Scrittura alla Gregoriana, dove si dedica ai testi sacri come paradigmatici per la letteratura. È anche poeta e ha pubblicato diverse raccolte. Diverse sono anche le pubblicazioni tra cui L’alleanza della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia. Su questi argomenti, ha consegnato in questi anni diversi contributi alla Rivista del clero italiano.
La poesia
Iscrizione e rivelazione non tratta esplicitamente di poesia, se non attraverso la «lingua materna» nell’ambito della «lingua materna» delle stesse scritture bibliche, e in particolare delle parabole, oppure, comporre poesie come «Salmi moderni – la matrice poetica della Parola».
Sequeri ha scritto diverse pagine sul linguaggio materno, e più volte ha rimandato ad altre occasioni per scriverne. «In ogni modo ‒ ha scritto ‒, la poesia sorta da lì, per quanto scaltra e raffinata si faccia, sempre nella prossimità di questo stupore del linguaggio ‒miracolosamente ‒ ci porta».
La poesia ritorna indirettamente nel discorso di Sequeri, quando, alla fine, scrive della parola che ha un ritmo, una musicalità e un proprio canone: l’armonia dei suoni crea la risonanza interiore. Certo può chiuderci compiaciuti, ma sarà ancora il grembo materno della scrittura a scuoterci e riprendere con mitezza e umiltà. Lo spirito profetico e quello dell’ironia sono il sale di questa costante presa di distanza dagli automatismi della religione: tra il sacerdote, il levita e il samaritano, chi è il prossimo? Volete andarvene anche voi?
A volte, ci si sente poveri di parole, quando nella notte appare lo sfondo della Parola, come ha da essere. Una Presenza. E come affiorano le più semplici parole della prima e della Seconda Madre ‒ la loro scuola degli affetti ‒ quando ci sente così distratti e incapaci di stare in quella Presenza, così incandescente, così impercettibile. E così assenti, noi.
G. Villa, in
SettimanaNews.it 17 luglio 2023