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Il Nuovo Testamento letto dagli Ebrei
Amy-Jill Levine, Marc Zvi Brettler (edd.)

Il Nuovo Testamento letto dagli Ebrei

Prezzo di copertina: Euro 120,00 Prezzo scontato: Euro 114,00
Collana: Grandi opere
ISBN: 978-88-399-0121-7
Formato: 17 x 24 cm
Pagine: 976
Titolo originale: The Jewish Annotated New Testament. Second Edition
© 2023

In breve

Edizione italiana a cura di Flavio Dalla Vecchia

Un’opera senza confronti
sul mercato italiano

Un volume scientificamente aggiornato, che rende un grande servizio per correggere luoghi comuni e smentire stereotipi negativi. Un libro pensato per credenti e non credenti, per chi è semplicemente curioso di capire, ma utilissimo anche per insegnanti, storici, filosofi, teologi, esegeti, omileti...

Descrizione

Il Nuovo Testamento letto dagli Ebrei è un contributo innovativo allo studio dell’ambiente in cui nasce il cristianesimo. Un team di ottanta studiosi ebrei di fama mondiale getta nuova luce sul testo, sul suo sfondo giudaico, sulla sua ricezione in contesto ebraico lungo i secoli, offrendo informazioni di una qualità eccezionale, utili a una lettura criticamente consapevole del Nuovo Testamento.
Nella prima parte del volume ciascun libro del Nuovo Testamento viene preceduto da una introduzione, con indicazioni per la lettura e informazioni specifiche sul modo in cui il libro si rapporta al giudaismo dell’epoca, e viene poi commentato versetto per versetto. Il commento è articolato in una ricca serie di note e in quasi novanta box tematici fuori testo, che mettono in risalto una grande quantità di rimandi e parallelismi testuali (Bibbia ebraica, rotoli del Mar Morto, Filone d’Alessandria e Flavio Giuseppe, scritti apocrifi, Midrashim, Targumim, Talmud...); ma si avvale anche di mappe e cartine, di tabelle e diagrammi riassuntivi.
Nella seconda parte del volume il lavoro esegetico viene integrato da cinquantaquattro saggi monografici che delineano le prospettive ebraiche sul Nuovo Testamento. Sono straordinari materiali di consultazione organizzati per soggetto, in otto aree complessive, che vanno dalla storia ai vari aspetti della società ebraica, dai rapporti fra ebrei e gentili fino alle relazioni fra ebraismo e cristianesimo, colti nei loro versanti teologico, culturale, artistico...

Recensioni

Tra i generi letterari rabbinici si annoverano il midrash e il targum. Il primo termine deriva dal verbo darash, «cercare», etimo anche della parola «derashah»: l’omelia sinagogale (alla lettera «ricerca»). Il midrash, sia o non sia omiletico, costituisce il tradizionale commento ebraico alla Scrittura. Nel rabbinismo vi è anche un altro genere letterario denominato targum. Il suo significato è «traduzione». Si tratta della resa in aramaico dei testi biblici. Lungi dall’essere letterali, queste versioni si presentano piuttosto come parafrasi ermeneutiche.

Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei non è un targum. Vale a dire, non ci si trova di fronte a una traduzione ebraica degli scritti neotestamentari. […] The Jewish Annoted New Testament (titolo dell’originale inglese) trova il proprio fulcro nel commento e non già nella traduzione. L’edizione americana, mettendola in evidenza fin dal titolo, si serve infatti della New Revised Standard Version Bible (1989), versione che si presenta come un aggiornamento linguistico (condotto con sensibilità ecumenica) della classica traduzione seicentesca nota come King James.

Una molteplicità di visioni

Rispetto al testo biblico, l’edizione italiana appare, invece, troppo reticente. Dichiarandolo solo nelle minute note del copyright, adopera la versione della Bibbia CEI (2008). Non si solleva, quindi, la questione della traduzione che, per universale consenso, rappresenta la prima forma d’interpretazione. Si tratta peraltro di un tema addirittura originario del cristianesimo: nessun detto di Gesù contenuto negli scritti neotestamentari ci è giunto in aramaico, lingua nella quale, con tutta probabilità, fu inizialmente pronunciato.

I contenuti della letteratura rabbinica si distinguono in due grandi generi, l’halakhah relativa alla retta osservanza dei precetti e l’haggadah collegata dall’etimo all’idea di narrazione, ma che, in realtà, si riferisce a un’area più vasta fino a far rientrare nel suo ambito tutto quanto non è halakhah. Una storia racconta che i due grandi maestri vissuti a cavallo tra le due ere, Hillel e Shammay, discutevano su un gran numero di questioni trovandosi sempre in reciproco disaccordo; a un certo punto venne una voce dal cielo che affermò che tutte e due le posizioni erano parole del Dio vivente, precisando però che l’halakhah era secondo la scuola di Hillel (cf. Talmud babilonese, Eruvin, 13b). In definitiva, il brano rabbinico esalta la pluralità di opinioni, ma, nel contempo, garantisce l’unità nella norma.

Un passo dei curatori del Nuovo Testamento letto dagli ebrei riferito a una sezione specifica del libro («Saggi», 619-881), è, in un certo senso, applicabile all’intero corposo volume. Si osserva che nel nutrito panorama (si tratta di ben 54 saggi) talvolta le trattazioni sono in contrasto tra loro, ma ciò, a detta dei curatori, è giudicato un vantaggio che consente ai lettori di trovarsi di fronte a diversi punti di vista scientifici (619).

Il commento talmudico e quello contemporaneo si muovono nello stesso clima? In parte sì e in parte no. La componente simile sta nella molteplicità delle visioni, la differenza emerge nel fatto che tra l’ottantina di collaboratori (numero davvero ragguardevole) non è avvenuto, in corso d’opera, alcun confronto diretto. L’approccio dialettico si colloca, per così dire, dalla parte del lettore e non da quella degli estensori. Per certi versi, la redazione di questo notevole volume è paragonabile alle procedure in uso per l’elaborazione delle voci di un dizionario biblico: ognuno firma il proprio contributo, di solito senza aver letto in precedenza quello altrui.

The Jewish Annoted New Testament è definibile come un midrash haggadico e accademico agli scritti neotestamentari. Il fatto che non si collochi nell’ambito della precettistica ebraica è di per sé evidente, non foss’altro perché ci si occupa di testi considerati non normativi in quella tradizione. Più articolato il discorso relativo all’aggettivo «accademico». Per il cristianesimola lettura della Bibbia ebraica è una prassi originaria. Una volta situati all’interno delle Scritture cristiane, quei libri sono divenuti Antico Testamento. Da sempre perciò si è tentato, attraverso il ricorso a una varietà di metodi, di cogliere l’unità dei due Testamenti, una prassi tuttora attuale anche in sede liturgica.

L’approccio accademico percorre invece altre strade. Il suo compito è di esaminare i vari documenti nei loro differenti contesti storici. Quando poi affrontano il complesso canonico degli scritti, i metodi scientifici leggono i testi in termini letterari, oltre che storici. Una trattazione biblica accademica va qualificata come scientifica e non già come ebraica o cristiana (anche nel caso in cui sia compiuta da studiosi dichiaratamente ebrei o cristiani).

Il Nuovo Testamento è antigiudaico?

È quindi opportuno chiedersi come mai ci si trova nelle condizioni di presentare come «ebraico» un commento al Nuovo Testamento condotto secondo metodologie accademiche. Qualificare «ebraici» vari rami del sapere fa risuonare nella mente molti lessici impregnati d’antisemitismo. Non è ovviamente questo il nostro caso. La situazione merita però ugualmente d’essere valutata con attenzione. Per farlo conviene fornire, in precedenza, un ragguaglio sulla struttura del volume.

Dopo la Prefazione alla 1a e alla 2a edizione e dopo l’elenco delle abbreviazioni, viene riportato l’intero Nuovo Testamento presentato secondo il suo assetto canonico (1-616). Ogni libro è affidato a un diverso studioso il quale, oltre a un’introduzione generale e alle copiose note, propone alcuni «box» (contraddistinti da uno sfondo grigio) che affrontano una serie di temi ritenuti qualificanti rispetto ai vari testi. La sezione è corredata pure da una dozzina di mappe. Segue l’ampia parte dedicata ai «Saggi» (619-881), suddivisa in vari gruppi tematici: «Storia», «Società», «Movimenti», «Ebrei e gentili», «Credo religioso», «Letteratura», «Risposte al Nuovo Testamento». Si tratta della sezione che ha subito maggiore variazione tra la 1a edizione (2011) – in cui i saggi erano 30 – e la 2a (2016), nella quale il loro numero è quasi raddoppiato. Il volume si conclude con una parte che contiene «Tavole, Glossario, Indice tematico», seguita dall’elenco (privo di qualifiche) di redattori e collaboratori (882-937).

L’amplissimo testo è utilizzabile in vari modi: per consultazione di singoli libri o passi, per una lettura selettiva di alcune sezioni e, naturalmente, anche per una lettura integrale, forse all’origine pensata soprattutto per ebrei interessati a conoscere sia gli scritti neotestamentari sia gli ambienti nei quali sono sorti. Intento, quest’ultimo, motivato pure dall’intenzione di fornire chiavi culturali volte a favorire la comprensione delle somme realizzazioni dell’arte cristiana (cf. VI).

Dati sia l’esiguità numerica degli ebrei italiani sia i loro prevalenti interessi culturali, la coraggiosa scelta editoriale dell’editrice Queriniana pare destinata soprattutto a un pubblico non ebraico interessato ai modi in cui testi spesso interpretati in maniera antigiudaica o intesi come spartiacque invalicabile tra cristianesimo ed ebraismo, siano letti e chiosati da alcuni studiosi ebrei.

Riprendiamo quindi il discorso sulla qualifica di «accademico» attribuita a questo midrash contemporaneo al Nuovo Testamento. L’aggettivo è indispensabile innanzitutto in virtù della constatazione che la ricerca di tipo universitario costituisce l’unico ambito nel quale, all’interno dell’ebraismo, è pensabile una fruttuosa e costruttiva attenzione rivolta alle pagine neotestamentarie. All’interno della bimillenaria tradizione del giudaismo postbiblico è dato imbattersi sia in vari giudizi, per lo più negativi, su Gesù, sia in non poche riflessioni sul cristianesimo; sarebbe però fatica vana andare alla ricerca di commenti sistematici ai libri neotestamentari.

Possibili punti in comune

A monte del Nuovo Testamento letto dagli ebrei ci sono correnti culturali ormai di lungo corso, a iniziare dalla ottocentesca Wissenschaft der Judentums. Si trattava di una «Scienza» che aveva come proprio oggetto l’ebraismo, ma che, fedele alla sua radice illuminista, non avrebbe accolto d’essere qualificata come «scienza ebraica».

Alle spalle della redazione del volume operano, anche e soprattutto, indirizzi di ricerca più recenti radicati nella seconda metà del XX secolo. La loro data di partenza è individuabile nella scoperta dei Manoscritti del Mar Morto (1947). Il lorosviluppo è dovuto anche ad altri fattori, compresa la progressiva rivalutazione di documenti che, per quanto conosciuti in precedenza, non erano stati, fino ad allora, sufficientemente valutati (un esempio tipico al riguardo è costituito dalla cosiddetta letteratura enochica).

Ci si è, dunque, resi sempre più conto della varietà delle correnti e delle visioni presenti all’interno del popolo ebraico collocate nel lasso di tempo posto a cavallo delle due ere, periodo ormai conosciuto con la prevalente etichetta di medio giudaismo. In questo insieme di movimenti rientrano anche i seguaci di Gesù. In quest’ambito siamo però di fronte a indagini storiche le quali, per loro natura, non vanno aggettivate con un riferimento a qualche tradizione religiosa, sia essa ebraica o cristiana.

The Jewish Annoted New Testament presuppone altri aspetti, accanto a questo genere di studi. Il volume si muove, infatti, nell’ambito di una lettura definibile come canonica. Nelle note introduttive ai singoli libri si riportano varie ipotesi legate al suo reale autore, ai processi redazionali, alle datazioni dei testi e così via; con tutto ciò, la successione degli scritti è commentata conformandosi alla loro definitiva sistemazione canonica la quale corrisponde ben poco alla successione cronologica; mentre l’asse temporale costituisce invece un riferimento indispensabile per ogni approccio storico.

Colto sotto questa angolatura, Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei fornisce una lettura ebraica di una serie di scritti considerati rivelati dalle Chiese cristiane. In quest’ottica, il commento risulta ebraico soltanto perché si confronta, in modo implicito o esplicito, con una lettura cristiana di quegli stessi testi. Troppo spesso il Nuovo Testamento è stato presentato come il punto di separazione, di rottura e persino di contrapposizione con l’ebraismo. L’intento del volume consiste, in definitiva, nel proporre una lettura alternativa a quelle presenti in una lunga tradizione ostile.

Nella Prefazione alla 1a edizione Amy-Jill Levine e Marc Zvi Brettler pongono in rilievo, da un lato, l’aspetto storico e, dall’altro, evidenziano il ruolo affidato a queste ricerche nell’ambito delle relazioni ebraico-cristiane. Lo studio del Nuovo Testamento, affermano, ha reso molti ebrei, inclusi i due curatori, ebrei migliori e più informati.

La ricerca permette ai lettori di rendersi conto delle varie opzioni poste davanti agli ebrei nel primo secolo: essere seguaci di Gesù o di Giovanni Battista, entrare nella comunità del Mar Morto, aderire all’insegnamento farisaico, allearsi con Roma o ribellarsi a essa e così via; la ricerca quindi «consente loro di capire meglio per quale ragione gli ebrei non seguirono Gesù o il movimento che si sviluppò in suo nome» (VI).

[…]

Letture inedite di pagine bibliche note

Per trarre giovamento dal volume non è però necessario prendere di petto questioni teologiche di fondo. È per esempio agevole far tesoro dei molti casi (presenti specie nelle note e nei box) nei quali una sensibilità e un sapere ebraici sono in grado di comunicare risvolti inediti anche in riferimento a pagine ben cosciute. Si tratta di un aspetto che da solo giustifica, ad abundantiam, l’opportunità di tenere sotto mano questo volume nella sua veste di testo di consultazione. Non vi è infatti dubbio che quanto affermato da Amy-Jill Levine a proposito della parabola del «figliol prodigo» (Lc 15,11-32) travalichi i confini della pericope lucana: «Il fatto di ascoltare la parabola in un contesto ebraico aggiunge profondità alla storia e contemporaneamente mette in discussione parecchie interpretazioni popolari» (152).

Nello specifico sono avanzate cinque penetranti osservazioni: i racconti ebraici che iniziano con l’espressione «un uomo aveva due figli» evocano casi come quello di Giacobbe ed Esaù, cosicché il lettore tende a identificarsi con il fratello minore. Qui l’andamento è invece più articolato e si è orientati a porre in rilievo le qualità del fratello maggiore. La richiesta d’avere in anticipo l’eredità non significa disonorare il genitore, se fosse stato così il dovere paterno sarebbe stato di correggere il figlio e non già d’assecondarlo. Non bisogna dare troppo credito al pentimento del figlio minore, quest’ultimo ritorna al padre «per disperazione economica», l’ammissione d’aver peccato contro il Cielo e contro il padre riecheggia quella pronunciata dal faraone che vuole semplicemente che le piaghe cessino (Es 10,16).

È erroneo supporre che gli uditori di Gesù siano stati sorpresi dal comportamento del padre, anche nel caso in cui quest’ultimo simboleggiasse Dio: secondo la tradizione ebraica i padri amano i loro figli e Dio agisce per primo per riportare a casa i peccatori. La lettura comune del fratello maggiore come fariseo legato alla giustizia che viene dalle opere non corrisponde né alla parabola, né alla tradizione ebraica: non va dimenticato che il maggiore è sempre stato con il padre e ne è l’erede (152).

Si può essere o non essere d’accordo con queste osservazioni, ma è indubbio che in questa occasione, come in numerose altre, una lettura ebraica dischiude orizzonti con cui vale sempre la pena confrontarsi.


P. Stefani, in Il Regno Attualità 10/2024, 299-302

Non è un momento facile per le relazioni tra ebrei e cristiani: riemergono forme di antisemitismo, in molti casi frutto di stereotipi e ignoranza. Risuonano pure, talvolta, espressioni che ancora sottendono un approccio sostituzionista, come se ilcristianesimo potesse essere affermato solo tramite la negazione dell'attuale realtà di Israele e/o della sua perdurante consistenza teologica. A quasi sessant'anni da Nostra aetate – la Dichiarazione conciliare del 28 ottobre 1965, che nel n. 4 ha orientato a un netto ripensamento delle relazioni cristiano-ebraiche – molto è ancora il lavoro da fare per consolidare una prospettiva diversa.

Anche per questo è così importante la ponderosa opera presentata in italiano dall'editrice Queriniana, frutto del lavoro di ottanta studiosi ebrei – coordinati da Amy-Jill Levine e Marc Zvi Brettler – che offrono prospettive significative sul Nuovo Testamento. La traduzione è stata condotta sulla seconda edizione inglese del 2016, ampliata e allargata rispetto alla precedente del 2011. Come sottolinea la relativa Prefazione, ciò è stato fatto sia approfondendo le note di commento ai singoli libri neotestamentari nella prima parte del testo che ampliando il numero dei saggi che compongono la seconda parte del volume (da trenta a cinquantaquattro).

Vengono così messi a disposizione del lettore italiano sia un'attenzione analitica e puntuale, rivolta ai testi del Nuovo Testamento, sia la ricchezza di approcci sintetici che offrono documentazione ulteriore ed approfondimenti. Sono strumenti preziosi per cogliere al meglio il radicamento del Nuovo Testamento nell'ebraismo del suo tempo, ma anche per approfondirne la storia degli effetti in ordine alle relazioni tra ebrei e cristiani.

Nella prima parte – arricchita anche da alcune mappe – ogni libro del canone neotestamentario viene affidato a un singolo autore, che lo presenta con una breve introduzione e successivamente lo accompagna con un accurato sistema di note. Un'attenzione specifica viene tenuta in esse per evidenziare nei testi i riferimenti al Primo Testamento o alle diverse realtà dell'ebraismo ad essi coevo, ma anche per mostrarne le assonanze – o anche le differenze – rispetto ad altri materiali della tradizione ebraica successiva. Diversi Box offrono una focalizzazione in relazione a temi o espressioni delicate, anche in ordine al rapporto tra ebraismo e cristianesimo (si pensi a quelli su «Giustizia» di p. 21, su «Compimenti della Scrittura» a p. 103, su «Paolo e gli ebrei» a p. 278, su «Cristo è il fine della Torah» a p. 318, su «Melchisedek» a p. 503).

Un insieme di strumenti di estrema utilità per il lettore cristiano che voglia acquisire una maggiore profondità nella sua comprensione del Nuovo Testamento, superando stereotipi o interpretazioni superficiali, magari di tipo sostituzionista. I curatori sottolineano, però, anche l'interesse che tale approccio può rivestire per lettori ebrei, cui consente un accesso più agevole e consapevole a testi che essi «dovrebbero comprendere», poiché sono «Scrittura per i cristiani» (p. VII).

Nella prima parte, insomma – pur in forme diverse a seconda dello stile dei singoli autori – il rigore del commento e dell'analisi s'intreccia con un'intenzionalità decisamente orientata al dialogo e all'incontro. Per il testo del Nuovo Testamento la versione italiana usa la traduzione della Conferenza episcopale italiana del 2008, senza affiancare ad essa un commento continuo. Vale la pena di notare di sfuggita che la forma del testo sottende un'opzione diversa da quella utilizzata da Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri negli importanti volumi di Nuovo Testamento. Una lettura ebraica (Castelvecchi, Roma 2021-2022): essi offrono una loro versione del testo, in cui si fa spesso uso di termini ebraici, e propongono il commento in forma discorsiva.

Ma tornando al volume che stiamo presentando, la seconda parte è articolata su «saggi» tematici dedicati a temi di rilievo, riprendendo e ampliando in alcuni casi elementi accennati in forma sintetica nei Box. Di grande utilità quelli che inseriscono il Nuovo Testamento nel contesto storico e sociale dell'ebraismo contemporaneo, con un'attenzione per realtà come: Giudaismo e identità giudaica (Shayel J.D. Cohen, pp. 637-643); Il Sinedrio (David Goodblatt, pp. 652-656) e Genere (Tal Ilan, pp. 665-669). Pure stimolanti quelli che collocano il movimento gesuano all'interno di un ebraismo che nel I secolo dell'Era Volgare era plurale e caratterizzato da una varietà di movimenti e posizioni (I movimenti ebraici del periodo del Nuovo Testamento di Daniel R. Schwartz, pp. 669-676), con un'attenzione particolare per I farisei (Lawrence H. Schiffman, pp. 676-680) e per I movimenti messianici (David B. Levenson, pp. 680-689). In questo quadro è così possibile ricomprendere anche Il Gesù storico (Sarah J. Tanzer, pp. 689-695) e anche ripensare Paolo e l'ebraismo (Paula Fredriksen, pp. 695-702). Alcuni «saggi» specifici vengono, poi, dedicati ad alcune dimensioni dell'ebraismo che trovano attenzione specifica nel Nuovo Testamento; particolarmente significativi in tal senso quello su La legge (Jonathan Kuwans, pp. 726-731), che discute il rapporto con essa di Gesù e di Paolo, e quello su Il concetto di prossimo nell'etica ebraica e in quella cristiana (Michael Fagenblat, pp. 713-719). Singolare la posizione sostenuta in quest'ultimo testo: per sfuggire alla contrapposizione stereotipa tra universalismo dell'amore cristiano e supposto particolarismo ebraico, Fagenblat cerca di dimostrare che anche la prima posizione fa riferimento a un concetto di prossimo limitato ai membri della comunità. Contrappone, invece, un individualismo cristiano a una radicale sottolineatura della comunità/popolo associata all'ebraismo Jacob Neusner in Una riflessione ebraica sulle rivendicazioni cristiane (pp. 822-826). Facile comprendere che negli ultimi saggi citati siamo ben aldilà della semplice presentazione della realtà ebraica e/o di quella del cristianesimo nascente: quello che si sviluppa è un serrato confronto tra due realtà di cui si cerca di comprendere il rapporto. Evidente qui la rilevanza che assumono in tale prospettiva i diversi approcci ermeneutici dei singoli autori. Di grande interesse, in tal senso, anche l'indicazione di DanielL Boyarin in Logos, una parola ebraica: il prologo di Giovanni come midrash (pp. 774-777): l'espressione «Logos» e il suo uso nei primi versetti di Gv 1 s'inscrivono senza difficoltà nell'orizzonte dell'ebraismo come «un midrash, cioè un'omelia, su Gen 1,1-5»; è solo dal v. 14 col riferimento al farsi carne del Logos che emergono indubbi elementi di divergenza.

Sono solo alcuni elementi, ma già bastano a evidenziare la necessità di superare contrapposizioni stereotipe, per accogliere il portato degli studi più recenti nell'interpretare il complesso rapporto di prossimità e distinzione che intercorre tra cristianesimo ed ebraismo. Gli elementi fin qui segnalati trovano, poi, ulteriore significato nel momento in cui li si colloca nell'orizzonte delineato dai «saggi» dell'ultima sezione Risposte al Nuovo Testamento. In essa troviamo, tra l'altro, una rassegna delle interpretazioni ebraiche di Gesù, dall'antichità (Gesù nella tradizione rabbinica, Burton L. Vjsotzky, pp. 835-837) al medioevo (Gesù nella tradizione ebraica medievale, Martin Lockshin, pp. 837-839) fino alla contemporaneità (Gesù nel pensiero ebraico moderno, Susannah Heschel, pp. 839-845; Gesù e il Nuovo Testamento nella moderna cultura yiddish ed ebraica, Matthew Hoffman, pp. 854-858). La lettura congiunta di tali testi offre un importante quadro di riferimento per comprendere una dinamica in cui l'uomo di Nazareth viene sempre più colto nel suo radicamento nella storia e nel pensiero ebraico, superando contrapposizioni e polemiche. Prospettive analoghe – anche se non ancora così sviluppate – vengono pure offerte su Paolo nel pensiero ebraico (Daniel R. Langton, pp. 845-850), un testo che sarebbe interessante porre a confronto con la proposta di Gabriele Boccaccini su Le tre vie di salvezza di Paolo l'ebreo. L'apostolo dei gentili nel giudaismo del I secolo (Claudiana, Torino 2021). Rilevante, infine, la presenza di un saggio sulla Cristologia (Randi Rashkover, pp. 863-867), un'essenziale rilettura ebraica delle traiettorie che hanno portato il cristianesimo a sviluppare alcune delle sue dottrine qualificanti, certo a prima vita distanti dall'orizzonte ebraico gesuano.

Un'opera impegnativa, di elevata qualità accademica, come sottolinea anche il titolo originale inglese: The Jewish Annotated New Testament. Al contempo un testo che si offre come strumento prezioso per chi desidera un buon aggiornamento su alcuni dei temi chiave del dialogo ebraico-cristiano, così come per un ampliamento di orizzonti nella lettura del Nuovo Testamento. Certo, esso pone anche interrogativi importanti alla teologia cristiana, mostrando l'insostenibilità di alcune immagini di Gesù che lo contrappongono al Primo Testamento o di alcune letture di Paolo come demolitore delle istituzioni dell'ebraismo.

Ritrovare i collegamenti con la storia effettiva vissuta in tali fasi fondatrici è, invece, premessa essenziale per un diverso rapporto tra ebraismo e cristianesimo anche nel tempo presente; questo testo è un contributo prezioso in tal senso.


S. Morandini, in CredereOggi 2/2024, 150-154

Superare da parte della teologia cristiana fraintendimenti e pregiudizi riguardo all'ebraismo è compito urgente e necessario, lo è non solo per doverosa onestà intellettuale, ma per una riconsiderazione dello stesso patrimonio di fede cristiana in una sua genuina autenticazione che davvero non può prescindere dalla radice ebraica. Soprattutto ora che il pensiero classico greco-romano pare riaffiorare con irresistibile fascino sfidando sulle grandi domande del senso della vita.

Con il volume Il Nuovo Testamento letto dagli Ebrei (edito nel 2011 e poi in seconda edizione nel 2017), traduzione dall'inglese della «seconda edizione notevolmente ampliata e totalmente riveduta», l'Editrice Queriniana propone un'altra iniziativa editoriale davvero rilevante. La materia è amplissima, ed è così delineata nella Presentazione: «Un team di ottanta studiosi ebrei di fama mondiale getta nuova luce sul testo, sul suo sfondo giudaico, sulla sua ricezione in contesto ebraico lungo i secoli, offrendo informazioni di una qualità eccezionale, utili a una lettura criticamente consapevole del Nuovo Testamento.

Nella prima parte del volume ciascun libro del Nuovo Testamento viene preceduto da una introduzione, con indicazioni per la lettura e informazioni specifiche sul modo in cui il libro si rapporta al giudaismo dell'epoca, e viene poi commentato versetto per versetto. Il commento è articolato in una ricca serie di note e in quasi novanta box tematici fuori testo, che mettono in risalto una grande quantità di rimandi e parallelismi testuali (Bibbia ebraica, rotoli del Mar Morto, Filone d'Alessandria e Flavio Giuseppe, scritti apocrifi, Midrashim, Targumim, Talmud...);ma si avvale anche di mappe e cartine, di tabelle e diagrammi risssuntivi.

Nella seconda parte del volume il lavoro esegetico viene integrato da cinquantaquattro saggi monografici che delineano le prospettive ebraiche sul Nuovo Testamento. Sono straordinari materiali di consultazione organizzati per soggetto, in otto aree complessive, che vanno dalla storia ai vari aspetti della società ebraica, dai rapporti fra ebrei e gentili fino alle relazioni fra ebraismo e cristianesimo, colti nei loro versanti teologico, culturale, artistico…».

Massimo Giuliani, per il quotidiano Avvenire,in data 18 gennaio 2024, a p. 19, recensendo questo titolo, poneva tre grandi domande a cui ogni studioso del Nuovo Testamento non può sottrarsi: «Quanto davvero 'nuova' era questa fede, nata dentro la società ebraica del I secolo e nutritasi dei suoi accesi dibattiti teologico-politici? Sotto quali spinte e come cambiò l'approccio a una secolare prassi ebraica? E soprattutto: era necessario che la “separazione delle strade” diventasse un conflitto aperto, duro e violento, come spesso solo i conflitti religiosi sanno essere?».

Un prossimo intrigante titolo potrebbe provare a delineare spunti d’interlocuzione con queste decisive tematiche.


M. Abbà, in Rocca n. 8 (15 aprile 2024), 61

C’è un documento che è una pietra miliare nel dialogo tra ebrei e cristiani, un documento tanto eccellente quanto ignorato dai più: Dabru emet (“Dite la verità”) pubblicato dal The New York Times il 10 settembre del 2000. È un appello firmato da un nutrito numero di studiosi e teologi ebrei (riformati, conservatori e ortodossi), rappresentanti dell’ebraismo negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna e in Israele. Questo manifesto ebraico riconosce l’avvenuta correzione del tradizionale insegnamento cristiano circa l’ebraismo e il rimorso sincero per tale prassi secolare ma, al tempo stesso, esprime “la gioia perché attraverso il cristianesimo centinaia di milioni di persone sono entrate in relazione con il Dio di Israele”. Questo appello fuga ogni timore ricordando come il miglioramento dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo non avrebbe accelerato quell’assimilazione culturale e religiosa che gli ebrei ragionevolmente possono temere, e non si sarebbe creato un falso miscuglio fra giudaismo e cristianesimo: “Rispettiamo il cristianesimo come fatto che ha avuto origine all’interno dell’ebraismo e che tuttora ha contatti significativi con esso. Non lo consideriamo un’estensione del giudaismo”.

All’inizio del nuovo millennio Dabru emet attestava l’avvenuta ricezione della svolta da parte degli ebrei; questo dato non ha fatto altro che accrescere, negli ultimi due decenni, la speranza di un nuovo rapporto che fosse un confronto, una conoscenza e una cordiale dialettica tra le due religioni. Va certamente riconosciuto che anche negli ultimi due decenni non sono mancati tentativi di ridestare l’arroganza dei cristiani, quella logica di inimicizia che crea il nemico, quella pretesa di possedere la verità contro l’altro o senza l’altro. Ciascuno però non potrà più invocare l’ignoranza a propria scusante: ciascuno è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione della svolta epocale che il dialogo tra ebrei e cristiani ha avuto a partire soprattutto dal concilio Vaticano II e lungo tutta la seconda metà del Novecento. 

La certezza espressa in Dabru emet che la nuova unità tra ebrei e cristiani non avrebbe indebolito la fede ebraica, ha trovato una autorevole e prestigiosa conferma nel 2011 con la pubblicazione da parte di Oxford University Press di un’opera pioneristica, il The Jeswish Annotetated New Testament che la vivace editrice Queriniana di Brescia ha ora l’indiscusso merito di pubblicare nella seconda edizione del 2017: Il Nuovo testamento letto dagli ebrei,  Amy-Jill Levine – Marc Zvi Brettler (edd.), edizione italiana a cura di Flavio Dalla Vecchia. 

È un’opera auspicata e attesa da anni, che va accolta come nell’arte e nella letteratura si accoglie l’avanguardia, vale a dire con l’interesse verso ciò che è innovativo, con quel gusto del nuovo che ogni ricerca avanzata stimola. Dobbiamo essere riconoscenti per questa monumentale volume di quasi mille pagine, opera di oltre ottanta studiosi ebrei di fama mondiale che per la prima volta sono riuniti per scrivere un commentario completo del Nuovo Testamento. 

I redattori Levine e Brettler dichiarano che “questo libro è stato composto per permettere a tutti i lettori di capire ciò che i testi del Nuovo testamento significano nel loro contesto sociale, storico e religioso”. L’impianto dell’opera è molto didattico, rigoroso senza essere pedante: ogni libro del Nuovo Testamento è preceduto da un’introduzione che contestualizza il libro nel giudaismo della sua epoca. A questo si aggiunge un approfondito lavoro esegetico che analizza versetto per versetto, al quale si inseriscono, a margine del testo, una novantina di box tematici. Abbondanti e ricchi i rimandi e i parallelismi testuali con citazioni tratte dalle più importanti fonti ebraiche, tra le quali Filone, Flavio Giuseppe, i Rotoli del Mar Morto, gli apocrifi, i targumim, la letteratura rabbinica e altro ancora. 

Di grande interesse sono indubbiamente i cinquantaquattro saggi monografici suddivisi per grandi arie tematiche: storia, società movimenti, ebrei e gentili, pratiche religiose, credo religioso, letteratura, risposte al Nuovo Testamento. Ogni area sia articola in saggi affidati ciascuno a un autore. Alcuni esempi: la rivolta contro Roma, i farisei, la circoncisione, Logos come parola ebraica (il prologo di Giovanni come midrash), aldilà e risurrezione, il compimento delle scritture, Gesù e il Nuovo Testamento nella moderna cultura yiddish ed ebraica. 

Nella lettura e nell’interpretazione del Nuovo Testamento i lettori ebrei possono incontrare alcuni problemi che il volume affronta senza complessi o pregiudizi, evitando soluzioni riduttive, specie quei passaggi che perpetuano stereotipi negativi su ebrei o gruppi di ebrei – ad esempio i farisei o i “giudei” nel Vangelo secondo Giovanni – che ancora oggi faticano a morire, oppure versetti del Nuovo Testamento. Passaggi utilizzati come argomento scritturistico dell’antigiudaismo e dell’insensata accusa di deicidio. Basti pensare alla citazione di Matteo 27,25: “E tutto il popolo rispose: il suo sangue ricada su i nostri figli”. Commentando questa citazione, tristemente nota come “grido di sangue”, Aaron M. Gale osserva: “È stata usata da alcuni cristiani nel corso dei secoli per asserire che tutti gli ebrei di tutti i tempi e di tutti i luoghi erano responsabili collettivamente della morte di Gesù. È più probabile che la frase rifletta l’interpretazione matteana degli eventi tragici del 70 e.v., quando Roma distrusse Gerusalemme e dette alle fiamme il tempio: i figli della folla di Gerusalemme furono quelli che assistettero a tale distruzione”.   

Quest’opera è talmente importante da rappresentare un punto di riferimento nel processo religioso, storico e culturale dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo. È infatti indispensabile ai cristiani per acquisire una maggiore consapevolezza del contesto ebraico dal quale è nato il Nuovo Testamento. Sì, il Nuovo Testamento sta nell’ebraismo come un pesce sta nell’acqua: non solo Gesù e Paolo erano ebrei, ma che autori come Matteo, Giovanni e Giacomo erano ebrei. Altri scrittori dei libri del Nuovo Testamento, quali gli estensori del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli apostoli, sebbene non fossero verosimilmente ebrei erano imbevuti di pensiero ebraico del I e del II secolo. 

Allo stesso modo, questa lettura ebraica della Scritture cristiane è fondamentale agli ebrei per conoscere i testi del Nuovo Testamento. “Come noi ebrei desideriamo che i nostri vicini capiscano i nostri testi, le nostre credenze e pratiche, così anche noi dovremmo comprendere gli elementi basilari del cristianesimo”, annotano i curatori, per i quali il volume è stato scritto per consentire agli ebrei di avere una maggiore familiarità con il Nuovo Testamento, anche a quelli che “addirittura hanno paura di leggerlo”. Al tempo stesso sperano “che i lettori non-ebrei imparino ad apprezzare che alcune sezioni rilevanti del Nuovo Testamento derivino dal cuore del giudaismo, e siano in grado di capire questi testi senza sovrapporre false nozioni alla tradizione di Gesù e dei suoi primi seguaci”. 

Levine e Brettler riconoscono che “lo studio del Nuovo Testamento ha reso molti ebrei, inclusi i curatori di questo volume, degli ebrei migliori e più informati”. Il nostro auspicio è che la lettura di questo volume renda molti cristiani, incluso l’autore di questa recensione, dei cristiani migliori, più informati, più consapevoli che l’ebraismo dell’Antico Testamento è la radice da cui sono stati generati e che gli ebrei sono loro fratelli gemelli.


E. Bianchi, in La Stampa – Tutto Libri 10 febbraio 2024

Fin dai primi secoli del cristianesimo la competizione e il contrasto con gli ebrei si sono affiancati all'interesse per le Scritture ebraiche da parte di intellettuali cristiani, basti pensare a due giganti dell'antichità: Origene e Girolamo. Sorprende però che, sebbene i personaggi principali del Nuovo testamento fossero ebrei e siano vissuti in un contesto determinato dalla storia, dalle credenze e dalle pratiche ebraiche, non sia mai stata proposta finora un'edizione del Nuovo Testamento che affrontasse il suo background ebraico. La recente pubblicazione del Nuovo Testamento tradotto nuovamente in italiano e commentato dall'ebreo Marco Cassuto Morselli e dalla cattolica Gabriella Maestri (Castelvecchi 2021) ha offerto una interessante opportunità.

La novità. Costituisce però una vera novità un'opera pubblicata in inglese nel 2011, molto ampliata nel 2017 e recentemente edita in italiano dalla Queriniana con il titolo "Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei". Il libro è stato scritto da ottanta specialisti americani, europei, australiani e israeliani, per la prima volta tutti ebrei, coordinati da Amy-Jill Levine e Marc Z. Brettler.

Relazioni millenarie. Inserendo gli scritti neotestamentari nel contesto dei loro autori e destinatari originari, i vari contributi mostrano come questi scritti hanno condizionato le relazioni tra ebrei e cristiani nel corso degli ultimi due millenni. L'opera non è caratterizzata da una nuova traduzione (nell'edizione italiana è quella approvata dalla Conferenza Episcopale, cioè la più diffusa). Innovativi sono però i testi introduttivi ai singoli libri, il commento molto puntuale, decine di riquadri, tavole e indici, e soprattutto – per quasi un terzo del volume – ben cinquantaquattro saggi sul contesto storico, sociale, religioso, letterario del Nuovo Testamento e sulle reazioni ebraiche al cristianesimo.

Le percezioni. I coordinatori e gli autori dell'opera introducono così il volume: «Sono trascorsi quasi due millenni dalla redazione dei primi testi inclusi nel Nuovo Testamento. Perlopiù questi secoli sono stati caratterizzati da un rapporto doloroso fra ebrei e cristiani. Sebbene le percezioni degli ebrei nei confronti dei cristiani e le percezioni dei cristiani riguardo agli ebrei siano migliorate notevolmente negli ultimi decenni, gli ebrei e i cristiani fraintendono ancora vicendevolmente molti dei loro testi e delle loro tradizioni. La pubblicazione di questo importante libro attesta tale miglioramento: idealmente, servirà per aumentare la nostra conoscenza delle nostre storie comuni, nonché delle ragioni che hanno condotto alla nostra separazione».

Fonte importante. I testi del Nuovo Testamento, indipendentemente dalla loro controversa accoglienza da parte degli ebrei, rimangono una delle più importanti fonti sulla vita e la cultura ebraica nel periodo del Secondo Tempio. Come sopra citato, i curatori non hanno però solo lo scopo di offrire un testo storico di riferimento, ma anche finalità didattiche; infatti questo volume non si rivolge soltanto a lettori cristiani, ma è mirato a un pubblico ebraico, affinché gli ebrei possano avere più familiarità con la Bibbia cristiana. Va infine notato che Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei potrà contribuire a intensificare il dialogo interreligioso auspicato fortemente dal Concilio Vaticano II.

Il dialogo tra ebrei e cristiani. La possibilità di contestualizzare i passi del Nuovo Testamento nelle tradizioni testuali ebraiche rende più facile affrontare questioni controverse, quindi questo libro intende contribuire a rendere il dialogo tra ebrei e cristiani più fondato intellettualmente, più diretto e critico, come affermano i curatori: «Come noi ebrei desideriamo che i nostri vicini capiscano i nostri testi, le nostre credenze e pratiche, anche noi dovremmo comprendere gli elementi basilari del cristianesimo».<br>F. Dalla Vecchia, in <i>La Voce del Popolo</i> 18 gennaio 2024, 17

<br>Il monumentale volume pubblicato dalla Queriniana mette a disposizione dei lettori italiani un’opera molto importante a vari livelli. Pubblicata in prima edizione nel 2011 e poi ripubblicata ampliata nel 2017, è curata da due docenti emeriti. A.-J. Levine è emerita della Vanderbilt University Divinity School e insegna Nuovo Testamento e studi ebraici presso l’Hartford Seminary, mentre M.Z. Brettler è emerito della Brandesi University e insegna studi ebraici alla Duke University.

Essi hanno chiamato a raccolta un’ottantina di studiosi per leggere con occhi di esperti del mondo esegetico ebraico il testo fondamentale del cristianesimo, il Nuovo Testamento.

Si capisce immediatamente la ricchezza contenuta nel testo, visti i trascorsi non molto ricchi di rapporti positivi tra mondo giudaico e cristiano per quanto riguarda il NT, eccetto la figura di Gesù e di Paolo.

Commenti, box e mappe

Dopo le due Prefazioni e le Abbreviazioni (pp. V-XX), il volume raccoglie, in una prima parte, i commenti a tutti i singoli libri del NT (pp. 1-616). Viene riportata la traduzione CEI 2008 e il commento segue i singoli versetti o brevi pericopi. I termini greci sono traslitterati in modo scientifico. I versetti commentati sono citati in neretto, rendendo facile la consultazione.

Sopra il testo biblico, in cima alla pagina, sono inseriti un centinaio di box dedicati a punti specifici riguardanti temi e personaggi di particolare interesse. Citiamo, ad esempio, la genealogia matteana di Gesù, il grido di sangue, il “grido di abbandono” di Gesù, i farisei in Luca, varie parabole, i figli del diavolo, il Paraclito, gli ebrei e la morte di Gesù, Gamaliele, Paolo e gli ebrei, la Legge, Dio è uno per tutta l’umanità, Cristo come il fine della Torah, Libertà dalla Legge, costumi sessuali, maledire Gesù, visioni ebraiche dell’amore, lettura dell’antica alleanza, la disciplina nelle sinagoghe, I sette cieli – Né giudeo né greco, il codice domestico, espressioni particolari in Colossesi ed Efesini, il “muro di separazione” – «ha abolito la legge» – «un solo uomo nuovo», l’uomo dell’iniquità e colui che trattiene (2Ts 2,3-4), ispirazione, favole giudaiche, la schiavitù nell’Impero romano, la perfezione attraverso la sofferenza, la Parola piantata, Balaam nella tradizione ebraica e cristiana, il servo sofferente di Isaia e la sofferenza sotto la persecuzione, l’anticristo, l’espiazione, la letteratura su Enoch nel giudaismo del Secondo Tempio, Profezia orale e scritta, Cristo come aspetto visibile di Dio, le lettere alle sette Chiese, i cosiddetti giudei e le loro sinagoghe di satana ecc.

Sono presenti anche dodici mappe riguardanti la geografia dei quattro Vangeli, le terre natie dei pellegrini di Pentecoste, i luoghi delle prime attività missionarie cristiane, i tre viaggi missionari di Paolo, il viaggio di Paolo a Roma, i luoghi menzionati in Gal 1–2, le sette chiese dell’Apocalisse.

Cinquanta saggi

La seconda ampia parte dell’opera (pp. 619-881) è dedicata a cinquantaquattro saggi monografici riguardanti diverse aree tematiche attinenti il NT e che trovano un’interfaccia nel mondo giudaico e nella sua letteratura coeva e successiva al NT.

L’interpretazione rabbinica e talmudica di varie tematiche concorre a chiarire l’ambiente in cui operò Gesù e la Chiesa primitiva e permette di cogliere differenze, discontinuità e continuità tra i due mondi culturali e religiosi, oltre alle differenziazioni presenti all’interno del giudaismo stesso.

Tre saggi sono dedicati alla storia (sfondo greco-romano del NT; storia ebraica dal 331 a.e.v. – 135 e-v.; rivolte contro Roma) e sette alla società: giudaismo e identità giudaica; Iudaios; L’archeologia della terra di Israele al tempo di Gesù; la vita della famiglia ebrea nel I secolo e.v.; matrimonio e ripudio; genere.

Vengono quindi illustrati i movimenti ebraici del periodo del NT: farisei, movimenti messianici, il Gesù storico; Paolo e l’ebraismo; giudaizzanti, giudeo-cristiani e altri.

Quattro saggi analizzano i rapporti tra ebrei e gentili: opinioni ebraiche sui gentili; il concetto di prossimo nell’etica ebraica e in quella cristiana; cibo e comunione di mensa; Birkat Ha-Minim: una maledizione ebraica contro i cristiani?

Vengono quindi esaminate le pratiche religiose. Si passano in rassegna la legge, il sacrificio e il tempio, la sinagoga, la preghiera, il tempo con i calendari e le festività, la circoncisione, il battesimo e l’eucaristia, la sepoltura di Gesù fra testi e archeologia.

Al credo religioso sono dedicati quattro saggi: taumaturghi ebrei e magia nel tardo periodo del Secondo tempio; Esseri soprannaturali; Logos: una parola ebraica: Il prologo di Giovanni come midrash.

Per quanto riguarda la letteratura, i dieci saggi prendono in esame il canone del NT, la lingua del NT e la traduzione della Bibbia, La Settanta, Midrash e parabole, I Rotoli del Mar Morto, Filone di Alessandria, Flavio Giuseppe, Il NT tra Tanakh (Bibbia Ebraica) e letteratura rabbinica, una riflessione sulle rivendicazioni cristiane, Il compimento della Scrittura.

L’ultimo blocco di dodici saggi verte sulle risposte al Nuovo Testamento. Essi abbracciano le risposte ebraiche a chi crede in Gesù, Gesù nella tradizione rabbinica, Gesù nella tradizione ebraica medievale, Gesù nel pensiero ebraico moderno, Paolo nel pensiero ebraico, Maria nella tradizione ebraica, Gesù e il Nuovo Testamento nella moderna cultura yiddish ed ebraica, Il Nuovo Testamento nelle arti ebraiche, Cristologia, Ebraismo messianico, Pronunciare falsa testimonianza: errori comuni sull’ebraismo delle origini, Il Nuovo Testamento e le relazioni ebraico-cristiane.

Tavole, glossario, indice tematico

Chiudono il volume (pp. 882-935) varie tavole (cronologia, tavola cronologica dei governatori, alcuni rabbini tannaitici, alcuni rabbini amoraici, calendario, pesi e misure, testi paralleli, canoni della Bibbia Ebraica/Antico Testamento con aggiunte, bibliografia, divisioni e trattati della Mishnah, del Talmud e della Tosefta), il glossario, l’indice tematico (pp. 915-935), redattori e collaboratori.

Ricchezza interpretativa

Il volume rappresenta l’esempio di come gli studiosi ebrei conoscano e applichino anche il metodo storico-critico nell’approccio ai testi biblici, mentre, nell’interpretazione tradizionale, gli ebrei si servono delle catene di commenti tradizionali per la loro esposizione nelle omelie (derashot), fondate sulle riflessioni dei rabbini e dei mistici delle generazioni precedenti.

Gli studiosi responsabili dei commenti sono convinti che i testi del NT siano stati originariamente pensati e trasmessi in ebraico o in aramaico, prima di essere composti in greco. Molti generi letterari in cui si esprimono appartengono al mondo giudaico del Secondo Tempio. Varie tematiche e discussioni religiose sono tasselli che appartengono al variegato mondo del mondo giudaico del tempo. Giovanni Battista, Gesù, i loro movimenti (che possono essere visti come conservatori o innovatori) non possono essere compresi a fondo senza aver presente questo mondo religioso coevo.

Si discute quanto il pensiero instaurato con Gesù sia nuovo rispetto al mondo di idee del tempo e ci si interroga se era necessario che la “separazione delle vie” diventasse un aperto conflitto. Quali furono le spinte che diedero il via a un cambiamento di prassi giudaica divenuta secolare?

La conoscenza dei targumim, dei midrashim e delle tradizioni rabbiniche è di grande aiuto per illuminare e rendere ancora più credibili per i cristiani le tradizioni presenti nel NT.

I numerosi saggi presenti nel testo concorrono a illustrare tematiche decisive sulle quali possono essersi depositate interpretazioni non più sostenibili. Lo studio sul sinedrio, sui sacrifici, sul matrimonio e sul divorzio ecc. danno informazioni preziose per una comprensione più equilibrata del NT. Anche la questione del rapporto con i pagani (in cui Gesù oscilla fra apertura e chiusura) riceve ulteriore luce. La conoscenza dell’ambiente giudaico dell’azione e della predicazione di Gesù induce i cristiani a cautela e prudenza nella loro azione interpretativa.

Massimo Giuliani, in una sua recente presentazione dell’opera, conclude la sua esposizione con le espressioni che citiamo al termine delle nostre note. «Anche in Italia uno strumento come questo Nuovo Testamento letto dagli ebrei, al di là della curiosità, non può che contribuire a far superare insegnamenti obsoleti e omelie anti-ebraiche, anzi a far crescere la consapevolezza che l’identità ebraica di Gesù non è un ostacolo alla sua comprensione da parte cristiana, e che persino la predicazione paolina si capisce meglio alla luce del contesto religioso e politico della società ebraica di quel drammatico primo secolo».

Il volume si presenta quindi come uno strumento di grande valore per la consultazione circa l’interpretazione di singoli passi del NT, così come per una più generale migliore conoscenza del mondo in cui Gesù e i primi discepoli si mossero, che concorre a esplicitare meglio il loro pensiero e la loro azione.

I curatori dell’opera esprimono la certezza della profonda ebraicità di Gesù e di molti dei suoi discepoli e mirano a far conoscere agli ebrei la ricchezza della letteratura neotestamentaria – Scrittura per i cristiani e per lo più sconosciuta al mondo ebraico –, favorendo una maggior conoscenza reciproca fra ebrei e cristiani.


R. Mela, in SettimanaNews 6 febbraio 2024

Nel 2011 apparve negli Stati Uniti un monumentale commento ebraico a tutto il Nuovo Testamento, cui collaborarono circa ottanta ebrei, studiosi e studiose del giudaismo del secondo Tempio e delle origini del cristianesimo. Coordinarono l’impresa Marc Zvi Brettler e Amy-Jill Levine, di riconosciuta autorevolezza accademica in tali campi di studio (dai quali il mondo ebraico si era sempre tenuto abbastanza lontano, salvo alcune grandi eccezioni che si erano focalizzate soprattutto su Gesù e Paolo di Tarso). In poco tempo quel commento ebraico fu così positivamente recepito in America e a livello internazionale che già nel 2016 Levine e Brettler predisposero una seconda edizione, riveduta e ampliata, arricchita di nuovi saggi e apparati didattici. Su quest’ultima versione la casa editrice Queriniana ha realizzato l’edizione italiana, che porta il titolo Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei (Queriniana, pagine 944, euro 120,00), curata da Flavio Dalla Vecchia e con i testi biblici della traduzione della Conferenza episcopale italiana (Cei) del 2008. Grande opera di consultazione e di studio, si tratta di uno strumento destinato a restare un punto di riferimento fondamentale sia per i neotestamentaristi di professione sia per quanti, ebrei o cristiani, frequentano e citano quelle fonti negli ambienti del dialogo interreligioso. Ora, impiego dialogico o pastorale a parte, è difficile sottovalutarne il valore scientifico proprio restando nel solco del metodo storico-critico. È noto infatti che non è questo l’approccio tradizionalmente in uso nelle scuole rabbiniche o adottato per le derashot (omelie) sinagogali, dove si privilegia la catena delle interpretazioni religiose e mistiche offerte dai maestri nel corso dei secoli. Perciò molti studiosi cristiani si chiedono se e come il mondo ebraico applichi la moderna filologia e la decostruzione testuale per comprendere le Scritture, il Tanakh. La risposta, positiva, sta nei due strumenti, entrambi pubblicati dalla Oxford University Press, curati dal fior fiore degli accademici ebrei a livello mondiale: The JewishStudy Bible (seconda edizione del 2014), curata da Adele Berlin e lo stesso Brettler, e il commento neotestamentario di cui sto parlando, or ora reso disponibile in italiano.

Il presupposto di questo pluridecennale lavoro collettivo è che i variegati testi che compongono quelle che, a ben vedere, andrebbero chiamate le Scritture cristiane (sebbene stia prevalendo la dicitura Secondo Testamento, accanto al Primo Testamento che sarebbe la Bibbia ebraica o Tanakh), sebbene scritti o giunti a noi in lingua greca, sono testi pensati e certamente all’inizio trasmessi oralmente in aramaico se non in ebraico; inoltre i diversi generi letterari in cui si esprimono sono generi specifici della cultura ebraica del secondo Tempio; e non entriamo nel merito di tematiche e discussioni religiose, di preoccupazioni politiche e di tensioni sociali, tutti tasselli del grande mosaico del giudaismo di quei secoli, al quale Giovanni il battezzatore, Gesù e i loro movimenti – se riformatori o restauratori è oggetto di dibattito – appartenevano, un mosaico senza il quale non possono essere davvero compresi. La sensibilità ebraica e una più affinata conoscenza delle stesse fonti del rabbinismo, oltre che della cultura giudaico-ellenistica, sono certamente di aiuto per decifrare più di un contesto della vita e della predicazione gesuane nonché degli sviluppi della dottrina paolina e degli altri apostoli della nuova fede.

E qui sorgono alcuni dei grandi interrogativi ermeneutici che nessuno studioso del Nuovo Testamento può eludere: quanto davvero “nuova” era questa fede, nata dentro la società ebraica del I secolo e nutritasi dei suoi accesi dibattiti teologico-politici? Sotto quali spinte e come cambiò l’approccio a una secolare prassi ebraica? E soprattutto: era necessario che la “separazione delle strade” diventasse un conflitto aperto, duro e violento, come spesso solo i conflitti religiosi sanno essere? Il commentario curato da Levine e Brettler non mira a rispondere a queste tre domande, tuttavia esse aleggiano su questo monumento di esegesi ebraica tesa a mostrare gli elementi di continuità e di discontinuità nella narrativa evangelico-apostolica, la quale dalla conoscenza approfondita dei targumim (le traduzioni della Bibbia ebraica in aramaico), dei midrashim e delle tradizioni rabbiniche esce illuminata e persino, per i cristiani, più storicamente credibile.

Il commentario vero e proprio è arricchito, come detto, da cinquantaquattro saggi, che costituiscono un libro nel libro, e metodologicamente potrebbero essere il vero punto di partenza per apprezzare anche le note e le chiose al corpus neotestamentario. Chi, tra gli studiosi cristiani (per tacere di ministri e catechisti) ha davvero mai approfondito la storia del sinedrio, dalle sue origini a quando cessò di esistere nel V secolo? Eppure quando si parla (o si straparla) della passione di Gesù lo si cita, in negativo, ignorandone struttura, regole ed eminenti maestri, con estrema superficialità. Ecco il tema di uno di questi saggi che approfondiscono, tra le altre, la questione del matrimonio e del ripudio, su cui all’epoca di Gesù le scuole dei farisei avevano opinioni assai diversificate, e Gesù si inserisce in questo complesso dibattito halakhico; la questione dei sacrifici nel Tempio (che Gesù non ha mai condannato) cui si affiancò l’invenzione delle preghiere sinagogali; la questione dei rapporti tra ebrei e non ebrei, su cui l’insegnamento gesuano sembra oscillare tra chiusure e aperture.

Ascoltare il parere di dotti ebrei, che conoscono siffatte questioni anche attraverso i di battiti talmudici e le altre fonti coeve, non può che portare molte letture cristiane a una maggior cautela esegetica, arricchendole in sfumature e in profondità di comprensione. Anche in Italia uno strumento come questo Nuovo Testamento letto dagli ebrei, al di là della curiosità, non può che contribuire a far superare insegnamenti obsoleti e omelie anti-ebraiche, anzi a far crescere la consapevolezza che l’identità ebraica di Gesù non è un ostacolo alla sua comprensione da parte cristiana, e che persino la predicazione paolina si capisce meglio alla luce del contesto religioso e politico della società ebraica di quel drammatico primo secolo. Molte altre novità attendono il lettore e lo studioso attenti di quest’opera, e lasciamo loro volentieri il piacere della scoperta.


M. Giuliani, in Avvenire 18 gennaio 2024, 19

Fin dai primi secoli del cristianesimo la competizione e il contrasto con gli ebrei si sono affiancati all'interesse per le Scritture ebraiche da parte di intellettuali cristiani, basti pensare a due giganti dell'antichità: Origene e Girolamo. Sorprende però che, sebbene i personaggi principali del Nuovo testamento fossero ebrei e siano vissuti in un contesto determinato dalla storia, dalle credenze e dalle pratiche ebraiche, non sia mai stata proposta finora un'edizione del Nuovo Testamento che affrontasse il suo background ebraico. La recente pubblicazione del Nuovo Testamento tradotto nuovamente in italiano e commentato dall'ebreo Marco Cassuto Morselli e dalla cattolica Gabriella Maestri (Castelvecchi 2021) ha offerto una interessante opportunità.

La novità. Costituisce però una vera novità un'opera pubblicata in inglese nel 2011, molto ampliata nel 2017 e recentemente edita in italiano dalla Queriniana con il titolo "Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei". Il libro è stato scritto da ottanta specialisti americani, europei, australiani e israeliani, per la prima volta tutti ebrei, coordinati da Amy-Jill Levine e Marc Z. Brettler.

Relazioni millenarie. Inserendo gli scritti neotestamentari nel contesto dei loro autori e destinatari originari, i vari contributi mostrano come questi scritti hanno condizionato le relazioni tra ebrei e cristiani nel corso degli ultimi due millenni. L'opera non è caratterizzata da una nuova traduzione (nell'edizione italiana è quella approvata dalla Conferenza Episcopale, cioè la più diffusa). Innovativi sono però i testi introduttivi ai singoli libri, il commento molto puntuale, decine di riquadri, tavole e indici, e soprattutto – per quasi un terzo del volume – ben cinquantaquattro saggi sul contesto storico, sociale, religioso, letterario del Nuovo Testamento e sulle reazioni ebraiche al cristianesimo.

Le percezioni. I coordinatori e gli autori dell'opera introducono così il volume: «Sono trascorsi quasi due millenni dalla redazione dei primi testi inclusi nel Nuovo Testamento. Perlopiù questi secoli sono stati caratterizzati da un rapporto doloroso fra ebrei e cristiani. Sebbene le percezioni degli ebrei nei confronti dei cristiani e le percezioni dei cristiani riguardo agli ebrei siano migliorate notevolmente negli ultimi decenni, gli ebrei e i cristiani fraintendono ancora vicendevolmente molti dei loro testi e delle loro tradizioni. La pubblicazione di questo importante libro attesta tale miglioramento: idealmente, servirà per aumentare la nostra conoscenza delle nostre storie comuni, nonché delle ragioni che hanno condotto alla nostra separazione».

Fonte importante. I testi del Nuovo Testamento, indipendentemente dalla loro controversa accoglienza da parte degli ebrei, rimangono una delle più importanti fonti sulla vita e la cultura ebraica nel periodo del Secondo Tempio. Come sopra citato, i curatori non hanno però solo lo scopo di offrire un testo storico di riferimento, ma anche finalità didattiche; infatti questo volume non si rivolge soltanto a lettori cristiani, ma è mirato a un pubblico ebraico, affinché gli ebrei possano avere più familiarità con la Bibbia cristiana. Va infine notato che Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei potrà contribuire a intensificare il dialogo interreligioso auspicato fortemente dal Concilio Vaticano II.

Il dialogo tra ebrei e cristiani. La possibilità di contestualizzare i passi del Nuovo Testamento nelle tradizioni testuali ebraiche rende più facile affrontare questioni controverse, quindi questo libro intende contribuire a rendere il dialogo tra ebrei e cristiani più fondato intellettualmente, più diretto e critico, come affermano i curatori: «Come noi ebrei desideriamo che i nostri vicini capiscano i nostri testi, le nostre credenze e pratiche, anche noi dovremmo comprendere gli elementi basilari del cristianesimo».


F. Dalla Vecchia, in La Voce del Popolo 18 gennaio 2024, 17

Che cosa pensavano gli ebrei contemporanei di Gesù ci è noto dai Vangeli. La sua figura appariva loro straordinaria e suscitava stupore, come quando, per esempio, nella sinagoga di Cafarnao «insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mc 1,22), al punto che i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si sentirono in obbligo di chiedergli: «Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato tale autorità» (Mt 21,23).

Meno scontato e meno noto è invece come l’ebraismo dei tempi del primo cristianesimo abbia recepito il Nuovo Testamento e come in generale il mondo ebraico abbia interpretato gli scritti neotestamentari. Se nei primi quattro secoli dell’era cristiana il confronto anche aspro e polemico tra dotti giudei e pensatori cristiani, come Girolamo, Eusebio di Cesarea e Origene, fu molto intenso ed ebbe poi qualche propaggine nel Medioevo, in epoca moderna l’attenzione dell’ebraismo per i testi canonici esclusivamente cristiani è apparsa poco rilevante.

Questa lacuna nel XXI secolo è stata colmata dalla pubblicazione, nel 2011, della prima edizione di The Jewish Annotated New Testament, alla quale ha fatto seguito una seconda edizione notevolmente aumentata nel 2017, ora meritoriamente tradotta in lingua italiana, a cura di Flavio Dalla Vecchia, dall’editrice Queriniana. Si tratta di un’opera monumentale, che raccoglie i contributi di 80 studiosi ebrei, prevalentemente del mondo anglosassone (Stati Uniti, Inghilterra e Australia), ma non mancano pure saggi di specialisti europei e israeliani, tutti intelligentemente coordinati da due docenti emeriti: Amy-Jill Levine della Vanderbilt University Divinity School di Nashville (Tennessee) e Mac Zvi Brettler della Brandeis University di Waltham (Massachusetts).

Il corposo volume è diviso in due parti ben distinte. Nella prima parte vengono singolarmente presi in considerazione tutti i libri del Nuovo Testamento (versione Cei 2008), secondo una struttura ripetitiva molto razionale e utile sia per l’esperto sia per il neofita. In primo luogo viene anteposta a ogni scritto un’introduzione essenziale che contiene informazioni generali sull’opera e in particolare sul modo con cui essa è stata recepita dall’ebraismo. Segue poi un commento molto puntuale dei singoli testi neotestamentari secondo l’ottica ebraica, articolato in numerose note e in speciali box con focus tematici, quali per esempio: la giustizia, le beatitudini, l’estensione della missione, Pietro, Giuda, il senso del sacrificio di Gesù, il grido di abbandono sulla croce, i discorsi e le parabole rilevanti, le sette giudaiche, le feste ebraiche e via dicendo. Notevoli sono inoltre i rimandi a parallelismi di altre opere più o meno coeve alla stesura degli scritti neotestamentari, come: Manoscritti di Qumran; testimonianze storiche di Flavio Giuseppe; saggi teologico-filosofici di Filone di Alessandria; Midrashim; Targumim; Talmud; e apocrifi.

La seconda parte sviluppa un approfondimento esegetico, con l’apporto di ben 54 contributi di ebrei specialisti della materia, i quali forniscono un quadro aggiornato del punto di vista ebraico sugli scritti del Nuovo Testamento. I diversi saggi sono ordinati secondo otto aree fondamentali: storia, società, movimenti o sette, differenze tra ebrei e gentili, pratiche religiose, credenze religiose, letteratura di epoca neotestamentaria, cultura ebraica e contenuti neotestamentari.

Il volume è infine corredato da un ricco apparato di mappe, cronologie, tavole tematiche, bibliografia, glossario e indici, che lo rendono di fatto anche uno strumento di consultazione molto utile.

In conclusione, quest’opera si caratterizza per un apporto originale al campo dell’esegesi e per un’intellezione più ampia degli scritti canonici del Nuovo Testamento rispetto a quella tradizionale o corrente. Essa copre così un vasto raggio di persone potenzialmente interessate, siano esse credenti o non credenti, cristiani o non cristiani, pastori o laici, teologi o semplici uomini di cultura. L’obiettivo dichiarato dai curatori è indubbiamente lodevole: migliorare «le percezioni degli ebrei nei confronti dei cristiani e le percezioni dei cristiani riguardo agli ebrei» ed evitare che «fraintendano vicendevolmente molti dei loro testi e delle loro tradizioni».


R. Timossi, in La Civiltà Cattolica vol. 4165 (6/20 gennaio 2024), 85-86

Il massacro di ebrei del 7 ottobre, a cui si è aggiunto il 30 novembre l'attentato di Gerusalemme, entrambi pianificati e perpetrati da Hamas, e la tragica sequela bellica, hanno rinfocolato in molti ambienti l'antisemitismo. Latente in parte della tradizione cristiana, la diffidenza nei confronti dell'ebraismo è stata percepita – e denunciata con asprezza da autorità israeliane e da molti rabbini – anche in scelte e parole del papa. A fatica queste sono state bilanciate da dichiarazioni di esponenti della diplomazia della Santa sede – che da tempo appare in difficoltà – ma sono state anche criticate con coraggio e preoccupazione da interventi di intellettuali cattolici, come già era successo per la linea adottata dal pontefice di fronte all'aggressione e alla guerra russa contro l’Ucraina.

Dopo la Shoah

Nella storia, però, l'antiebraismo ha origini antichissime e si è sommato alla competizione che per secoli ha caratterizzato un rapporto ineliminabile com'è quello tra ebrei e cristiani, vitale innanzitutto per questi ultimi. Tutto è cambiato dopo la Shoah, che ha imposto un radicale ripensamento in ambito cristiano. A questo ha dato un contributo notevole il celebre Jésus et Israel di Jules Isaac.

Pubblicato nel 1948, il libro è radicato nella convinzione – vissuta profondamente dall'ebreo francese, la cui moglie e figlia furono assassinate ad Auschwitz – che alla base della «lebbra» dell'antisemitismo di molti protestanti e cattolici si ritrovano «detestabili abitudini di spirito e di cuore, e di linguaggio». Queste sono frutto «d'ignoranza, di errore o d'iniquità», e tuttavia «basta, per rettificarle, una sana lettura dei testi sacri», insieme «all'esatta conoscenza delle realtà storiche», scriveva l'autore già nel 1943. Due anni dopo la fine della guerra Isaac, prima cli pubblicare il suo libro, aveva partecipato in Svizzera all'incontro di Seelisberg, dove una settantina di esponenti religiosi ebrei protestanti e cattolici avevano raggiunto un accordo per aiutare le chiese cristiane a bandire ogni atteggiamento ostile nei confronti degli ebrei e promuovere «l'amore fraterno verso il popolo dell'antica alleanza, così duramente provato».

La Nostra aetate

Un ventennio più tardi, per impulso di Giovanni XXIII e poi grazie alle mediazioni cli Paolo VI, nel 1965 il concilio Vaticano II approvava a larghissima maggioranza la dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane, svolta tormentata ma decisiva, anche e soprattutto nei rapporti con gli ebrei.

Sulla base delle fondamentali affermazioni di san Paolo nella lettera ai Romani, il concilio ribadisce l'origine ebraica di Gesù, figlio cli Maria, ricordando «che dal popolo giudaico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della chiesa, e la gran parte dei primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo». Nonostante il non riconoscimento di Cristo – continua il testo conciliare – «i giudei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono irrevocabili». Era la definitiva pietra tombale sulla teoria della sostituzione, secondo la quale la chiesa avrebbe sostituito l'ebraismo, una teoria che il giovane Joseph Ratzinger già da anni respingeva sul piano teologico.

Dalla Nostra aetate i rapporti tra cattolici ed ebrei sono sensibilmente migliorati, durante i pontificati di Giovanni Paolo II e soprattutto di Benedetto XVI. Molti sono stati gli incontri e i documenti. Tra questi, di grande importanza è stato nel 2001 il lunghissimo studio – un libro di duecento pagine – della Pontificia commissione biblica sul «popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana».

Confermando la convinzione di Isaac sulla lettura dei testi sacri, il testo vaticano – introdotto proprio dal cardinale Ratzinger, che come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede presiedeva la commissione – conclude che «un atteggiamento di rispetto, di amore e di stima per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano». Il legame inscindibile costituito dalla radice comune coesiste certo con il disaccordo sulla messianicità di Gesù, ma in una «situazione che fa misteriosamente parte del disegno, totalmente positivo, di Dio».

Radicamento nel giudaismo

Fin dai primi secoli del cristianesimo la competizione e il contrasto con gli ebrei si sono affiancati all'interesse per le Scritture ebraiche da parte di intellettuali e biblisti cristiani: da Origene, Eusebio di Cesarea, Girolamo, Efrem ai medievali Nicola Maniacutia, Nicola di Lira e il bizantino Simone Atumano, fino alla fioritura in età umanistica e moderna con Giannozzo Manetti, Johannes Reuchlin, lo stesso Lutero, Richard Simon.

Solo recentissimo è invece l'interesse di parte ebraica per le Scritture cristiane, a partire dalla traduzione in francese di tutta la Bibbia – compreso dunque il Nuovo Testamento – di André Chouraqui (dal 1974, poi pubblicata in un solo volume da Desclée de Brouwer nel 1985). Il Nuovo Testamento è stato invece tradotto nuovamente in italiano e commentato dall'ebreo Marco Cassuto Morselli e dalla cattolica Gabriella Maestri. In mille pagine – suddivise in tre volumi editi nel 2021 da Castelvecchi – i vangeli, gli Atti degli apostoli, le lettere e l'Apocalisse sono così presentati in una lingua incastonata di nomi e termini ebraici (spiegati alla fine in indispensabili indici). Ne risulta «una lettura ebraica», straniante e affascinante al tempo stesso, accompagnata da un commento per molti aspetti interessantissimo, che mostra il radicamento dei più antichi testi cristiani nel giudaismo.

Testi e tradizioni

Cassuto Morselli e Maestri erano agli inizi della loro impresa quando l'Oxford University Press, nel 2011, pubblicava The Jewish Annotated New Testament, coordinato da Amy-Jill Levine e da Mare Zvi Brettler. Molto ampliato nel 2017 e appena edito in italiano dalla Queriniana con il titolo Il Nuovo Testamento letto dagli ebrei (a cura di Flavio Dalla Vecchia), il libro, che supera le novecento pagine, è stato scritto da ottanta specialisti americani, europei, australiani e israeliani – per la prima volta tutti ebrei – e costituisce dunque una vera novità.

Presentata con chiarezza e concisione nella migliore tradizione dell'Oxford University Press (e della Queriniana), l'opera non è caratterizzata da una nuova traduzione (che è infatti in Italia quella approvata dalla conferenza episcopale, cioè la più diffusa). Innovativi sono però i testi introduttivi ai singoli libri neotestamentari, il commento molto puntuale, decine di riquadri, tavole e indici, e soprattutto – per quasi un terzo del volume – ben cinquantaquattro saggi sul contesto storico, sociale, religioso, letterario del Nuovo Testamento e sulle reazioni ebraiche al cristianesimo.

I coordinatori e gli autori dell'opera sono partiti da una constatazione: nonostante le reciproche percezioni siano molto migliorate, «gli ebrei e i cristiani fraintendono ancora vicendevolmente molti dei loro testi e delle loro tradizioni». Inoltre – scrivono Levine e Brettler – «come noi ebrei desideriamo che i nostri vicini capiscano i nostri testi, le nostre credenze e pratiche, così anche noi dovremmo comprendere gli elementi basilari del cristianesimo»; in particolare il Nuovo Testamento, definito «opera religiosa fondamentale».

Nuova e rigorosa, questa lettura ebraica delle Scritture neotestamentarie si tiene lontana, con equilibrio, da pregiudizi religiosi e ideologici. Così, secondo i due curatori gli inizi, molto diversi tra loro, dei quattro racconti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni «chiariscono che i vangeli fanno parte di una storia più ampia, e invero sono scritti come compimento di tale storia». Quando poi s'interrogano sulla storicità di alcuni racconti di miracoli – se siano cioè «storie morali e teologiche» oppure «resoconti storici» – si pongono le stesse domande a proposito dei testi sacri ebraici, come la «storia della creazione all'inizio della Genesi».

Molto va ancora fatto per favorire la conoscenza tra ebrei e cristiani. E aperte restano in conclusione due domande, come sintetizza efficacemente uno degli ottanta autori, Ed Kessler: «Per gli ebrei, cosa implica il fatto che, per via del Gesù ebreo e dei suoi primi discepoli ebrei, due miliardi di cristiani ora adorano il Dio di Israele e leggono le Scritture di Israele? E per i cristiani, cosa implica il fatto che i loro testi sacri abbiano preso forma negli ambienti ebraici e proclamino Gesù, un ebreo, Messia e Signore?».


G.M. Vian, in Domani 3 dicembre 2023, 11

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