La biblista statunitense Amy-Jill Levine (1956-), di religione ebraica, insegna NuovoTestamento e studi ebraici all’Hartford Seminary ed è docente emerito presso la Vanderbildt University di Nashville. È stata la prima donna ebrea a insegnare Nuovo Testamento al Pontificio Istituto Biblico e, nel suo volume, ricorda con piacere i corsi tenuti nel penitenziario locale, dove si è affezionata ai detenuti che si sono mostrati molto interessati ai vari temi biblici, soprattutto a quelli riguardanti la pena, il castigo, la pena di morte, la giustizia…
L’autrice studia i vari personaggi che i vangeli ritraggono presenti sotto la croce di Gesù nel momento della sua sofferenza, morte e sepoltura. In sei capitoli descrive quindi di seguito gli spettatori e i dileggiatori, le altre vittime, i soldati, il Discepolo Amato, le donne, Giuseppe di Arimatea e Nicodemo.
Il commento è agile, di taglio divulgativo, senza note a piè di pagina e bibliografia, spesso segnato da un tono colloquiale che cerca l’attualizzazione molto concreta nel vissuto del lettore con il quale l’autrice interloquisce direttamente. I testi non sono studiati a livello tecnico, ma esaminati nel loro complesso, estraendone il messaggio principale.
Levine mostra sensibilità critico-letteraria, e un amabile senso dell’umorismo ed è impegnata a eliminare teologie antisemite, sessiste e omofobiche. È membro di una sinagoga ebraica ortodossa. La studiosa ricorda più volte come i testi evangelici non vogliono essere dei resoconti cronachistici dei fatti, ma interpretazioni sempre più approfondite della persona di Gesù e degli eventi che lo riguardano, riletti sempre nuovamente alla luce delle Scritture, della vita di fede della comunità di riferimento e del ritratto di Gesù che ogni evangelista persegue nella sua opera.
Le Scritture di Israele e in modo particolare il Sal 22 e il Sal 69 – oltre al brano sul servo di YHWH di Is 53 – hanno aiutato nella comprensione più profonda degli eventi. Gesù condivide le sofferenze dei perseguitati, ma nel Vangelo di Giovanni si mostra anche totalmente padrone di sé. Di qui le discrepanze fra i vari racconti, le presenze e le assenze di vari personaggi. Facendo tesoro della sua formazione ebraica, l’autrice introduce alcune notazioni provenienti da testi rabbinici più tardivi rispetto al NT, senza dimenticare l’apporto di Flavio Giuseppe.
Spettatori, vittime, soldati
I Vangeli di Marco e di Matteo ritraggono Gesù abbandonato dai discepoli e deriso dai passanti, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, dai soldati e dalle altre vittime crocifisse. Si ripresenta la tentazione diabolica sulla messianicità di Gesù, che dovrebbe dimostrare la propria forza scendendo dalla croce e salvando i presenti.
Nel Vangelo di Luca alcuni spettatori non sono ostili e la folla guarda da lontano, tornando a casa battendosi il petto. Uno dei due concrocifissi riconosce l’innocenza di Gesù e chiede di essere ricordato quando Gesù entrerà nel suo regno. Viene quindi riconosciuta anche la signoria di Gesù.
Il Vangelo di Giovanni non raffigura alcuna derisione degli astanti, che sono rappresentati solo dal Discepolo Amato, da sua madre, da Maria di Magdala, da Maria madre di Clèopa e da un’altra donna (“la sorella di sua madre”, secondo l’autrice).
Solo nei sinottici un centurione si mostra ammirato di Gesù. Secondo Marco e Matteo riconosce in lui “un figlio di Dio”, mentre in Luca è riconosciuto come un “giusto”.
Discepolo Amato, donne, discepoli e simpatizzanti
Un capitolo è dedicato alla figura del Discepolo Amato (probabilmente il figlio di Zebedeo, secondo l’autrice), alla sua rappresentatività che si estende a ogni lettore e alla presenza della madre di Gesù sotto la croce, con il reciproco affidamento per una cura umana e spirituale.
Il paragrafo dedicato alle donne cerca di recuperare le varie presenze di donne che avevano accompagnato Gesù dalla Galilea. Secondo l’autrice, esse non seguivano Gesù in modo stabile come i Dodici ma lo supportavano come mecenati. Secondo i sinottici, almeno tre o quattro donne erano presenti sotto la croce, pur variando nei nomi. Diverse sono pure le presenze delle donne che vanno a visitare la tomba o vi si recano con l’intento di ungere il corpo di Gesù (peraltro già unto in precedenza…). Le donne si presentano più coraggiose dei discepoli, fuggiti tutti, secondo i sinottici. La menzione della madre di Gesù, interpellata come “donna”, la collega al segno di Cana per il dono del sangue e alla samaritana per quello dell’acqua viva dello Spirito.
Lungo la via verso il Calvario, le donne di Gerusalemme, solidali con Gesù e non semplici prefiche, son interpellate da Gesù per la loro conversione. L’autrice descrive anche la figura di Nicodemo come personaggio interessato a Gesù e, alla fine, solidale con lui, pur non riuscendo a fare il passo decisivo per diventare suo discepolo. Giuseppe di Arimatea, invece, da uomo ricco e stimato, viene diversamente descritto dai vangeli anche come membro del sinedrio, uomo buono, giusto, che non aveva votato perla condanna di Gesù, una persona che aspettava il regno di Dio e che diventa discepolo di Gesù, pur nascostamente per paura dei Giudei. Egli osa chiedere a Pilato “il corpo” di Gesù e lo ottiene (cosa che avveniva secondo l’autrice in occasione di compleanni degli imperatori…), dando onorevole sepoltura alla “salma” in un sepolcro da lui posseduto a Gerusalemme, aiutato da Nicodemo.
L’autrice afferma chiaramente i suoi dubbi sull’autenticità storica di queste figure, ma rimanda al messaggio che esse intendono trasmettere. Nel complesso, comunque, assegna al Vangelo di Giovanni la maggiore aderenza storica ai fatti.
Storie elaborate e testimoni narratori
La studiosa conclude il suo saggio con una menzione di altre presenze. Quella divina è dimostrata anche dalla natura. Lo squarciarsi del velo del tempio è interpretato, alla luce di Flavio Giuseppe, come lo squarciarci dell’universo. Nulla sarà più come prima. Lo squarciamento è segno che Dio è presente presso la croce e piange per la perdita del suo prezioso figlio. Nella tradizione ebraica il lutto si esprime, infatti, strappando un lembo di vestiario.
Il buio è spiegato al meglio con il rimando al giorno del giudizio descritto da Am 8,9-10. Il buio, associato al giorno del giudizio e soprattutto in riferimento al lutto per un figlio unico, aveva colpito i primi seguaci di Gesù. Le rocce spezzate, il terremoto e la risurrezione dei santi sono, infine, indizio che l’era messianica è in ogni caso iniziata, in attesa della risurrezione universale dei morti seguita dal giudizio universale.
Oltre ai soldati, la studiosa non può stabilire con certezza chi era presso la croce. I racconti evangelici intendono comunque invitare i lettori a immedesimarsi nei vari personaggi, domandandosi cosa avrebbero potuto fare o non avrebbero fatto se fossero stati presenti. I lettori sono invitati a diventare a loro volta testimoni, sapendo riconoscere comunque la presenza di Gesù e di Dio non solo nelle aule dei templi e delle sinagoghe, ma nella ferialità della vita quotidiana, che presenta carcerati, anziani, ammalati, poveri, morti da onorare, guerre da evitare, giustizia da perseguire in vista del recupero della persona…
Levine ricorda che i racconti evangelici hanno avuto una lunga storia di elaborazione, “manipolazioni interpretative”, trasformazioni, omissioni, integrazioni, approfondimenti… Invece di perdere troppo tempo a stabilire chi erano esattamente i testimoni sotto la croce, cosa abbiano detto o fatto, la studiosa incoraggia a lasciarci interpellare dalle loro storie e ad accorgerci come esse ci cambiano. A quel punto saremo noi a raccontarle.
Il testo di Levine è scorrevole e coinvolgente per l’investimento anche affettivo che la studiosa mostra nei confronti del testo, ma anche verso le persone che incontra nel suo lavoro accademico e nella vita quotidiana.
R. Mela, in
SettimanaNews.it 30 marzo 2023