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Un semplice esistere
Juri Camisasca

Un semplice esistere

La ricerca di Dio e la poetica di un artista controcorrente

Prezzo di copertina: Euro 20,00 Prezzo scontato: Euro 19,00
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-3241-9
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 224
© 2025

In breve

In conversazione con Paolo Trianni

La musica di Camisasca è quella di un mistico, che è entrato nel mistero e ne è uscito trasformato. «Può capitare di sentirsi accarezzati da una brezza divina», racconta. «Lì allora si percepisce una presenza che riconduce a un’altra vita».
Una conversazione biografica che racconta una vita eccezionale, la sua arte e la sua spiritualità.

Un libro perfettamente teologico: non perché esibisce concetti dogmatici, ma perché comunica un’intensa esperienza di Dio.

Descrizione

Un libro scritto a quattro mani da un musicista e da un teologo.

Un dialogo su Dio, la vita e l’arte tra Juri Camisasca, cantautore milanese che qui racconta il proprio percorso esistenziale, artistico e spirituale, e Paolo Trianni, che ne arricchisce l’autobiografia con delle note teologiche.
I temi sono la musica, l’amicizia con Franco Battiato, il monachesimo e la ricerca mistica. La storia di Camisasca è infatti segnata da una conversione improvvisa al cristianesimo che lo ha condotto a lasciare la ribalta dei concerti pop per abbracciare prima la vita benedettina e poi la solitudine eremitica. Oltre che dalla musica, dallo studio teologico e dalla pittura di icone, il suo cammino è stato arricchito dalla contemplazione silenziosa e dalla meditazione, che egli pratica da più di quarant’anni, in virtù di una consonanza con i grandi autori della religiosità cristiana e indiana.
Figura assolutamente unica, nel panorama nazionale e internazionale, con le sue composizioni Camisasca esprime consapevolezza teologica e comunica un’autentica e profonda esperienza in Dio.

Recensioni

Un semplice esistere. Titolo già di per sé esaustivo e sintetico, quello scelto dall’artista e compositore Juri Camisasca e dal teologo Paolo Trianni, docente all’Università Gregoriana di Roma. Un titolo “filosofico”, che essenzializza la complessità di un cammino. Che, per gli autori, consiste nell’unica vera possibile evoluzione umana dotata di senso pieno: il superamento dell’Ego. Quell’Io che, con la venuta al mondo, è il punto di partenza di ciascuno, ma anche ciò da cui siamo chiamati a emanciparci. Se vogliamo, appunto, essere gli originali attori di “un semplice esistere”, al di là dei processi educativi o diseducativi, dei condizionamenti e dei ruoli che la società ci induce ad assumere.

In questo libro di “conversazioni” (Queriniana, pagine 224, euro 20,00), con il sottotitolo “La ricerca di Dio e la poetica di un artista controcorrente”, Trianni esplora, in costante dialogo con il prototipo di “cercatore” Camisasca, il percorso esistenziale di chi ha dipinto la propria vita con le personali tinte della originalità e dell’autenticità. «La ricerca di Dio è la ricerca della nostra vera natura – dice Camisasca in un passaggio del libro –. La sua base è l’abbandono dell’io. L’io è l’antitesi di Dio».

Storico amico di Franco Battiato, Camisasca pubblicò il suo primo album La finestra dentro appena ventitreenne. Discreta l’accoglienza da parte di pubblico e critica, ma in lui fin da subito subentrò una profonda insofferenza verso un mondo in cui l’apparenza prevaricava la verità interiore. Così scomparve dalla scena e persino dalle consolidate amicizie finché abbracciò il monachesimo, approdando infine ai benedettini. Visse in monastero per più di dieci anni, per uscirne a vivere in una personale dimensione di romitaggio “laico” tuttora unico ospite nella dimora siciliana di Battiato, in una dependence di Villa Grazia, a Milo.

Camisasca, sono passati quattro anni dalla scomparsa di Battiato. Cosa prova?

«Franco è come se fosse sempre qui, dove io del resto vivo ormai da trent’anni. Purtroppo ho però visto cose in questi quattro anni davvero imbarazzanti. Mi ha ferito vedere come sia stata strumentalizzata la sua morte, tanti concerti per sfruttarne il nome. Mi sono un po’ arrabbiato, ma mi rendo conto che questo fenomeno va accettato. Molti in effetti hanno semplicemente inteso omaggiarlo. A partire da Alice, l’unica che può davvero cantare Battiato».

Ma lei come riesce a vivere così in solitudine?

«Leopardi diceva che la solitudine è come una lente d’ingrandimento, se stai bene stai benissimo ma se stai male stai malissimo. Io ho acquisito equilibrio: dipingo icone, leggo, medito. Non è importante quello che faccio, ma come lo faccio. È la presenza interiore che conta. Senza le distrazioni del mondo esterno, la ripetitività diventa una forma di disciplina».

Da milanese, di Melegnano, dopo tutti questi anni si sente siciliano?

«Non mi sento né siciliano, né milanese. Mi sento un uomo nel mondo, non ho radici. Amo semmai le radici profonde degli alberi. Purtroppo però li radiamo al suolo e ci togliamo l’aria vitale. Anche questo è un esempio di calpestamento della vita. L’uomo ha una prepotenza davvero distruttiva. È il cuore della questione, del resto. Questo Ego che ci separa dalla Luce».

Una sua frase quasi all’inizio del libro recita: «L’Ego fraintende tutto».

«Sì, è vero. È in sostanza il peccato basilare, quello rappresentato da Adamo ed Eva. Il senso sbagliato della nostra interpretazione della vita. Per questo ci sentiamo separati dalla vita. Ed è l’Ego che ci dà la sensazione di essere come delle entità autonome che vivono in virtù di una propria auto-capacità. Ma non è così, perché è la Vita che si manifesta e vive in noi. Certo, è giusto che ci sia l’individualità, perché è il punto di partenza. Ma da questo punto di partenza bisogna fare un percorso che è il ricongiungersi nella consapevolezza del corpo cristico. Il corpo dell’umanità, così come lo interpreta la Chiesa».

Vita universale ed eterna di cui noi siamo espressione…

«È questo il senso umano: non “io vivo”, ma “Cristo vive in me”. Dovrebbe essere questo il senso del cammino cristiano. Stante questa verità, ecco che siamo chiamati a collaborare. Non si raggiunge però il fine soltanto perché si riesce a capire questa verità intellettualmente. Bisogna semmai arrivarci con l’esperienza. Occorre fare questa esperienza di annullamento di sé. Simone Weil parlava di decreazione, laddove decrearsi è lo smantellarsi delle nostre sovrastrutture intellettuali ed egoiche. Liberarsi di tutte la zavorra che ci portiamo dentro per fare la scoperta della luce di Cristo in noi. Questo è il cammino richiesto a ogni cristiano, sia esso un monaco, un eremita o un padre di famiglia».

«La dimensione insondabile la troverai fuori città», come diceva in Nomadi cantata anche da Battiato…

«“Alla fine della strada”, aggiungevo però. In questo momento storico nel mondo pare essere in atto una grande offensiva di Satana. Siamo manovrati da forze oscure. Con questi pazzi megalomani che credono di avere in mano la Terra e scatenano guerre. È una cosa indicibile. È proprio in momenti così che ha ancora più valore e urgenza esaltare l’attenzione alla interiorità. Per dare senso a ciò che senso non sembrerebbe invece avere».

Dobbiamo saper vedere “il sole nella pioggia”, per citare un’altra sua canzone…

«Sì, perché l’uomo quaggiù vive proprio in questa perenne condizione. Siamo chiamati a vedere la luce anche nell’ombra. Credo del resto che tutti abbiamo dei contatti con il trascendente, soltanto che c’è troppa distrazione. Quando sento dire: ma questo Dio dov’è? Io dico: dove sei tu? Avvicinati a una sensibilità maggiore verso te stesso e verso la vita e vedrai che scoprirai grandi cose».

Com’è cambiato il suo modo di fare musica da quel primo album rock di mezzo secolo fa?

«Crescendo interiormente, è cambiato anche il mio percorso musicale. La musica che facevo all’inizio era legata al fatto che fossi all’oscuro di una dimensione intima di un certo tipo. Poi la trasformazione interiore ha implicato l’evoluzione anche delle parole, del linguaggio, del tono di voce, del modo di cantare. Una persona che fa una esperienza spirituale non può più mettersi a produrre cose non ispirate. Quindi anche l’espressione musicale ha risentito di questi riverberi. Anche riguardo all’uso degli strumenti».

In che senso?

«Da un uso quasi assoluto della chitarra sono passato all’harmonium che come sonorità mi porta ad avere una maggiore attenzione all’interiorità. La chitarra è più da compagnia, è molto più esteriore e ha una preponderanza ritmica. La ritmicità però distoglie dall’introspezione e dalla essenzialità. Ma con questo non rinnego il ritmo, che è anzi espressione della vita a partire dal battito del cuore. Sono comunque via via passato a quella che io chiamo musica meditativa».

Ascolta musica d’oggi?

«Sicuramente non ascolto né rap, né trap. Possono anche avere una loro cifra e un certo fascino per le nuove generazioni, ma non per me certamente. Non ne sopporto la volgarità e la violenza, che è davvero pazzesca».

Altro che il suo Carmelo di Echt…

«Eppure devo svelare che non sapevo nemmeno chi fosse Edith Stein. Poi un giorno in biblioteca, in monastero, mentre stavo facendo una ricerca su san Giovanni della Croce scorsi un librettino che sporgeva da una fila di volumi. Era Scientia Crucis. Lo presi tra le mani e iniziai a leggerlo, a partire dalla prefazione che parlava dell’autrice, Edith Stein. È stato come se un raggio di luce mi avesse colpito la mente. Da lì mi sono avvicinato alla sua figura e al suo messaggio. Ho successivamente scoperto che compio gli anni proprio nel giorno della sua ricorrenza. Un altro segno tra i tanti di cui è costellata l’esistenza. Siamo soltanto chiamati a coglierli».


M. Iondini, in Avvenire 10 giugno 2025

La musica di Juri Camisasca è quella di un mistico, che è entrato nel mistero e ne è uscito trasformato, come egli stesso racconta in questo libro, ‘Un semplice esistere’, scritto insieme al prof. Paolo Trianni, che arricchisce l’autobiografia con note teologiche: “Può capitare di sentirsi accarezzati da una brezza divina. Lì allora si percepisce una presenza che riconduce a un’altra vita”. Quindi una conversazione biografica che racconta una vita eccezionale, la sua arte e la sua spiritualità; ma diventa un libro perfettamente teologico, non perché esibisce concetti dogmatici, ma perché comunica un’intensa esperienza di Dio.

I temi sono la musica, l’amicizia con Franco Battiato, il monachesimo e la ricerca mistica: la storia del musicista è segnata da una conversione improvvisa al cristianesimo che lo ha condotto a lasciare la ribalta dei concerti pop per abbracciare prima la vita benedettina e poi la solitudine eremitica. Oltre che dalla musica, dallo studio teologico e dalla pittura di icone, il suo cammino è stato arricchito dalla contemplazione silenziosa e dalla meditazione, che egli pratica da più di 40 anni, in virtù di una consonanza con i grandi autori della religiosità cristiana e indiana.

Nell’introduzione del libro, il professor Paolo Trianni, docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e professore associato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha scritto: “Ad essere sinceri, non saprei dire nemmeno quando ho ascoltato Juri per la prima volta. Forse anch’io, come tanti, l’ho conosciuto nel 1988, quando Franco Battiato ha cantato ‘Nomadi’ nell’album ‘Fisiognomica’.

Di sicuro, nei primi anni Novanta, avevo a casa ‘Il Carmelo di Echt’ e lo custodivo come una reliquia, distillandone gli ascolti. Per qualche motivo, le canzoni che amo di più sono quelle che ascolto di meno. Le riservo per i momenti speciali perché le percepisco come qualcosa di sacro, qualcosa che non dev’essere consumato o sprecato in situazioni banali. Aspetto lo stato d’animo giusto. E questo mi capita soprattutto con le canzoni di Juri”.

Juri Camisasca ci racconta il motivo per cui la sua vita sia ‘un semplice esistere’: “Esistere in maniera semplice non significa vivere in maniera semplicistica; è una conquista, il raggiungimento di una consapevolezza, che richiede un grande lavoro su se stessi. Tagore, il grande poeta indiano, diceva che ‘è molto semplice essere felici, ma è molto difficile essere semplici’. Essere semplici vuol dire essere autentici, al di là delle sovrastrutture mentali, delle maschere che indossiamo nella vita quotidiana.

Abbracciare la semplicità equivale a liberarsi dal peso delle aspettative, dalle dipendenze psicologiche, dalle catene di passioni, invidie, gelosie, rancori, non vivere di imitazioni o con atteggiamenti di superiorità o volontà di dominio sugli altri. In sostanza, il semplice esistere è la via dell’ascolto interiore, che ci offre uno spazio per riflettere, per essere onesti con noi stessi e con gli altri, e ci consente di stare al mondo in un modo più genuino. Se vogliamo intraprendere il cammino spirituale, ci dobbiamo destrutturare. A quel punto le difficoltà si trasformano in opportunità di crescita”.

 ​Esiste un collegamento tra musica, mistica e teologia?

“Sì, esiste un legame molto forte. Questi tre aspetti si collegano spesso come modi diversi di conoscere il sacro e di trasformare se stessi. Nel cristianesimo, la musica è vista come un modo per lodare e pregare, come dice l’adagio di sant’Agostino: ‘Chi canta prega due volte’. Figure come san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Avila hanno usato immagini musicali per descrivere l’esperienza mistica. Il canto gregoriano, ad esempio, è sempre stato molto importante nelle funzioni religiose perché aiuta a elevare l’anima. La musica, oltre ad essere un’arte, è un linguaggio universale che può comunicare idee religiose e avvicinare l’uomo al divino.

Quale è stata la ragione della sua conversione al cristianesimo?

“La mia conversione è stata un percorso di benedizioni e di scoperte interiori. Un vero capovolgimento dei miei universi soggettivi. Inizialmente, ero affascinato dall'India e dalla sua tradizione spirituale.  Tuttavia, nel corso del mio cammino, alcune esperienze di natura contemplativa mi hanno fatto capire che Dio non è solo in un luogo o in una cultura specifica, ma può essere trovato ovunque. Ho compreso che Cristo è dentro di noi, una presenza che ci rapisce e ci trasforma dall'interno.

È stato un intervento della grazia di Dio a guidarmi verso questa fede, un dono che ha portato luce e significato alla mia vita. Molte letture di grandi figure spirituali come i Padri della Filocalia, Meister Eckhart, Thomas Merton, tanto per fare alcuni nomi, hanno rafforzato le mie convinzioni, arricchendo la mia conoscenza nel campo della spiritualità. Tuttavia, ciò che ha avuto un ruolo fondamentale è stato il contatto diretto con la coscienza cristica. Attraverso questa connessione profonda ho potuto davvero evolvermi e scoprire la mia appartenenza al totalmente Altro”.

Per quale motivo è ‘ritornato’ a Cristo?

“Posso dire che si è trattato di una vera e propria chiamata. Nessuno si avvicina a Cristo se non è chiamato da Lui. Si tratta di una vocazione, di un invito che nasce dall’orizzonte mistico. Quando il soffio celeste alita su di te, la sua attrazione diventa irresistibile. È un invito che ti cambia profondamente e ti porta a ritrovare la tua strada”.

Cosa è per lei la preghiera?

“Per me, la preghiera é un’apertura del cuore e della mente, simile al gesto di spalancare una finestra per lasciare entrare aria fresca e luce solare. È un atto che può manifestarsi in molti modi, dalla preghiera vocale, più semplice e immediata, a quella contemplativa, profonda e silenziosa.  La preghiera è uno spazio intimo, un luogo dell’anima dove possiamo fluttuare, esplorando i mondi della nostra interiorità. È come un fiume che scorre, che leviga le asperità e nutre la terra lungo il suo cammino. È una forza che purifica l’anima, scioglie le resistenze interiori e ci prepara all’unione con l’Assoluto. È in fondo un dialogo vivo, che ci connette al mistero e ci rende più autentici”.

Cosa significa essere ‘scrittore’ di Icone?

“Ho appreso la scrittura delle Icone nel periodo della vita monastica. Si dice ‘scrivere’ le Icone, anziché dipingerle, perché le Icone sono immagini rivelatrici della Parola di Dio. Le Icone sono il Vangelo tradotto in immagini. Anticamente aiutavano quelle persone che non erano in grado di leggere la Sacra Scrittura, il Nuovo Testamento in particolare (anche se non mancano nelle Icone elementi dell’Antico Testamento).

Tra la mia attività di scrittore di Icone (quindi la pittura) e l’attività musicale c’è, per me, un profondo rapporto: in fondo, in entrambe le arti, si tratta di realizzare lo svuotamento di me stesso, nel verso della Kenosis cristica. Padre Pavel Florenskij, a proposito della Icone, parlava di un’arte della salita e della discesa: la salita avviene quando si dà una propria interpretazione, la discesa quando ci si svuota e si lascia che sia lo Spirito ad interpretare. L’analogia tra la scrittura delle Icone e la composizione musicale sta proprio in tale ascesa e discesa (o discesa e ascesa): quando, cioè, accade qualcosa (la cosiddetta ispirazione) che lascia spazio all’Altro, che viene da sé. Nel caso dei grandi (penso a J.S. Bach) risulta piuttosto evidente cosa è accaduto: in certa sua musica si percepisce chiaramente qualcosa di ‘non fatto da mani d’uomo’. Lo stesso si prova davanti a certe Icone.

 


In ACIStampa.com 4 giugno 2025