Negli ultimi anni l'umanità ha dovuto attraversare una terribile pandemia che ha provocato la morte di mìlioni di persone e causato un collasso economico a livello planetario. L'ingiusta aggressione della Federazione Russa a danno dell'Ucraina, oltre che dolore, morte e milioni di profughi, ha messo in crisi l'idea stessa di globalizzazione, facendo emergere tutte le sue contraddizioni. La famosa citazione di Thomas Friedman, che nel lontano 1996 ebbe a dire: due paesi che hanno entrambi un McDonalds non hanno mai combattuto la guerra l'uno contro l'altro, è stata smentita il 24 febbraio del 2022, quando l'armata russa ha invaso l'Ucraina.
La caduta del muro di Berlino sembrava consacrare il liberismo come unico sistema economico in grado di creare sviluppo e benessere per tutti gli uomini; questa promessa, però, non si è realizzata. L'attacco alle torri Gemelle nel 2001, il terrorismo di matrice islamica e la "terza guerra mondiale combattuta a pezzetti'' erano segnali che dovevano spingere chi ha il potere di decidere a disinnescare un conflitto globale che rischia di trascinare l'umanità in una catastrofe atomica.
A tutto questo va aggiunta la questione ambientale: stiamo (siamo?) giungendo a un punto di non ritorno. Gli innumerevoli appelli che giungono da piu parti, puntualmente inascoltati, dovrebbero spingerci a unire le forze e le rìsorse per contrastare il cambiamento climatico. Invece, siamo a discutere quanti miliardi di dollari è bene investire in armamenti: il pianeta brucia e noi comperiamo benzina con la speranza di spegnere il fuoco.
Tutte queste problematiche hanno una radice comune: la questione antropologica, su cui negli ultimi trent'anni il magistero non si stanca di insistere con i suoi insegnamenti a tutti i livelli. Per contrastare i conflitti e la crisi ambientale non bastano la scienza e la tecnica; queste sono necessarie, ma non sufficienti. È urgente, invece, andare alle radici di un disagio i cui sintomi li tocchiamo con mano nelle catastrofi causate dai cambiamenti climatici. Il rapporto distorto che l'uomo ha con il pianeta è indice del rapporto distorto che ha con se stesso. Non mancano le proposte di terapie per contrastare i mali del mondo, ma molte di queste cause stanno nel cuore dell'uomo, nelle motivazioni che lo spingono ad agire in un modo al posto di un altro.
Già Seneca metteva in luce le contraddizioni dell'uomo che si appresta con ansia a rìcercare uno schiavo che non si trova e lascia "andare in malora la virtù". Senza una seria formazione della coscienza l'uomo non uscirà dalle cicliche crisi che lo soffocano.
Come ribadisce fin dalle prime battute l'A. di questo saggio, professore di teologia morale a Parigi e presidente dell'Associazione teologica per lo studio della morale, per costruire un corpo sociale capace di assumersi la responsabilità nei confronti del prossimo, della società e della terra non bastano le regole, ripetute all'infinito, ma è urgente che ogni individuo trovi in sé quella sorgente in grado di alimentare la sua vita morale, che l'A. individua nell'antica dottrina dell'etica delle virtù, riletta alla luce della modernità.
La metafora con cui si apre questo approfondìto e interessante studìo è tanto semplice quanto efficace. Per giocare bene a calcio, dice l’A., non basta conoscere le regole o avere paura delle sanzioni dell'arbitro. Tutto questo è necessario per giocare, ma le regole non servono a niente, se non si impara a maneggiare bene il pallone, a giocare con gli altri membri della squadra, a sviluppare uno spirito di collaborazione e abnegazione. Giocare a calcio significa in primo luogo acquisire la pratica e lo spirito del calcio, non semplicemente rispettare delle regole. Questa metafora rìmanda alla proposta dell'A.: diventare uomini e donne virtuosi, acquisire quell'abitus che ci porta a compiere il bene "naturalmente", secondo il tradizionale significato della virtù morale.
Nella nostra società, sempre più segnata dall'individualismo, questa proposta diventa fondamentale se si vuole ricostruire quel tessuto sociale che negli ultimi decenni si è sfilacciato in tutti i campi, diventando prima una società liquida, poi atomica e infine gassosa.
La proposta di un'etica delle virtù ha una storia particolarmente travagliata nell'ambito della teologia morale ma l'A., partendo da Aristotele, riesce a dìmostrare come queste "vie che ci orientano al bene" sono fondamentali, soprattutto oggi, quando l'indìviduo è particolarmente sensibile a temi come la gioia, la felicità, il piacere e la bellezza. Infatti, l'uomo virtuoso è anche un uomo felice! Per costruire una pacifica convivenza tra gli uomini non è più sufficiente evitare il male e fare il bene. Se si vuole educare il singolo soggetto a sentire l'altro come una risorsa, un dono e non solo come un ostacolo alla propria realizzazione personale è necessario e urgente far proprie le virtù sociali.
Dopo un'introduzione sull'attualità dell'etica delle virtù, l'A. si sofferma ad analizzare cinque di queste virtù sociali: la giustizia, la solidarietà, la compassione, l'ospitalità e la speranza. Nello sviluppo della ricerca, lo stesso segue uno schema ben cadenzato che si ripete per ogni virtù. Si inizia con la storìa del concetto, poi si passa al significato della stessa virtù nella Scrittura, nell'insegnamento sociale della chiesa, per concludere con alcuni esempi pratici di uomini e donne che hanno incarnato questa virtù.
In questo tempo di crisi globale, è particolarmente interessante la virtù della speranza, la «più necessaria nel nostro tempo di incertezza, dubbio, dismisura e disperazione». Se la speranza ha una lunga storia nell'ambito teologico e spirituale, l'A. la ritiene indispensabile anche per la politica e l'economia; solo se si è imparato a guardare (mentalmente) il futuro in modo positivo si potrà agire per mettere in atto dei cambiamenti lungimiranti.
Per un cristiano la virtù della speranza si fonda sulla resurrezione di Gesù, ed è questa verità che per Paolo segna in profondità l'identità del credente. Il discepolo che vive la virtù della speranza si spende fino a dare la vita per il Regno perché "vede'' che la meta della sua esistenza ha già raggiunto la sua pienezza nella risurrezione del Figlio di Dio. È la speranza, infine, che dona all'uomo la forza per impegnarsi nel presente. Questa, dunque, non è semplicemente attendere un futuro migliore, ma la virtù del qui e ora: «è una lettura della storia che va contro la lettura abituale che conduce alla disperazione e all'angoscia» ed è «fondata su una realtà che crediamo sia già donata, ma ancora velata fìno alla rivelazione della gloria».
G. Bozza, in
Studia Patavina 2/2023, 370-372