In genere si identifica la cristologia patristica con la Denzingerchristologie, cioè con i dogmi cristologici, soprattutto quello di Calcedonia (a. 551). Questa però è una visione statica, che finisce per offuscare tutta la ricchezza della riflessione patristica, che è molto più dinamica, orientata verso l’opera di salvezza realizzata da Cristo, cioè la trasformazione e la divinizzazione dell’uomo e del cosmo.
Il lavoro di Brian E. Daley si pone in questa prospettiva di «ripensamento». Esso percorre un periodo lunghissimo, che va dal II al IX secolo, concludendosi con la controversia iconoclasta. Ovviamente era impossibile fare una rassegna completa degli autori, e quindi vengono presi in esame solo i più significativi.
Non mancano però sorprese, come l’aver incluso opere poco note, come le Odi di Salomone, datate «intorno all’anno 100» (p. 59), contro la maggioranza degli studiosi che le pongono nella seconda metà del II secolo, e come L’ascensione di Isaia, un testo di origine giudaica, rielaborato da una comunità «giudaico-cristiana profetica e carismatica» (p. 77), che sembra in polemica con Ignazio di Antiochia.
Accanto a Ireneo, Origene, Atanasio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, Agostino, Massimo il Confessore, Giovanni Damasceno, tutti nomi noti al grande pubblico, troviamo anche i quasi sconosciuti Marcello di Ancira e Niceforo di Costantinopoli. Sono inclusi anche due famosi eresiarchi: Apollinare di Laodicea e Nestorio.
Il senso di questa rilettura è quello di mostrarci come «una delle principali funzioni della cristologia sia anche quella di dirci chi siamo e possiamo davvero essere, da dove veniamo e dove siamo invitati ad andare, e di ricordarci che la visione stessa che abbiamo di Cristo, nella nostra “fede operante”, è sufficiente per cambiare noi stessi e il nostro mondo» (p. 187).
Quando però si parla di Dio, del suo mistero trinitario e del Verbo incarnato, non bisogna mai dimenticare che i nostri sono solo «balbettii», di fronte a qualcosa che trascende la mente umana.
Per i Padri della Chiesa, «il linguaggio teologico aveva lo scopo di esprimere e suscitare riverenza e meraviglia per le grandi cose che Dio ha fatto per noi; era evocativo dei misteri centrali della fede cristiana, volutamente paradossale, ridondante dell’atmosfera della preghiera liturgica» (p. 282).
In questo denso volume Daley non fa sconti sulle problematiche cristologiche sollevate nei vari contesti storici, ma le presenta in modo accattivante, venendo incontro al lettore, che potrebbe essere disorientato, con opportune pagine di sintesi.
E. Cattaneo, in
La Civiltà Cattolica 4141 (7 gennaio 2023), 100-101