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Teologie del Sud
Juan José Tamayo Acosta

Teologie del Sud

La decolonizzazione come nuovo paradigma

Prezzo di copertina: Euro 35,00 Prezzo scontato: Euro 33,25
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 221
ISBN: 978-88-399-3621-9
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 264
Titolo originale: Teologias del Sur. El giro descolonizador
© 2024

In breve

Quest’opera, che illustra la svolta decolonizzatrice nelle teologie del Sud del mondo, dà corpo a una narrazione nuova, alternativa, a quella della teologia eurocentrica che a lungo si è pretesa egemonica.

Trascendendo i confini precedenti, i teologi del Sud del mondo aprono inaspettati sentieri di dialogo.

Mettendo in campo concetti teologici stimolanti, il libro – già tradotto in tedesco – affronta in modo creativo le grandi sfide del presente.

Descrizione

Questo volume propone una rigorosa ricognizione delle teologie del Sud globale – africana, asiatica, latinoamericana, indigena e afroamericana – collocandole nei loro contesti ed evidenziandone le tendenze più significative: femminista, ecologica, liberazionista… Sono teologie emergenti, controegemoniche e generatrici di discorsi alternativi che cercano di rispondere alle grandi sfide attuali: colonialismo, patriarcato, razzismo epistemologico, capitalismo, depredazione della natura, crisi della democrazia, fondamentalismi. Queste teologie – niente affatto secondarie – attraversano le vie dello scambio interculturale, interreligioso, interetnico e interdisciplinare. Scrive Tamayo, che è uno dei teologi spagnoli più riconosciuti a livello internazionale, specie per quanto attiene all’analisi del fenomeno religioso da una prospettiva critica. «Gli itinerari di dialogo che ho percorso mi hanno svegliato dal sonno dogmatico, mi hanno liberato dall’innocenza culturale, mi hanno smosso dalla comoda posizione nella Modernità europea, mi hanno aperto nuovi orizzonti epistemologici».
Ecco allora qui una innovativa proposta di cambio di paradigma nella narrazione teologica, che mette in discussione l’eurocentrismo e tiene conto della diversità di scenari geoculturali, politici e religiosi.

Recensioni

Anche per un addetto ai lavori può essere una sorpresa – nei tempi drammatici di Gaza e delle relative manifestazioni pro-Palestina – che già nel 1989 fosse apparso un saggio che recava questo sottotitolo: A Palestinian Theology of Liberation. Autore era un teologo anglicano, nato nel 1937 nel villaggio palestinese di Beisan, distrutto dall'esercito ebraico nella guerra del 1948: il suo nome è Naim Stefan Ateek, e uno degli autori che ebbe influsso sul suo pensiero fu paradossalmente un ebreo, Marc H. Ellis, allora docente alla Baylor University di Wako nel Texas, la cui opera principale si intitolava Verso una teologia della liberazione, edito in spagnolo in Costa Rica.

Questo squarcio vuole mostrare quanto sia interessante il volume dal titolo emblematico Teologie del Sud,opera di uno dei maggiori teologi spagnoli, Juan José Tamayo, classe 1946, già docente in varie università nazionali ed estere. L'orizzonte che egli ha perlustrato, raccogliendo un'imponente documentazione, accuratamente vagliata e selezionata, è impressionante per un lettore dell'emisfero settentrionale, convinto che basilare e prevalente sia solo l'elaborazione dei teologi e filosofi europei secondo i canoni dei loro linguaggi e soprattutto delle loro selezioni tematiche.

Significativa è la stessa reazione di Tamayo al termine di questo lungo viaggio intercontinentale: «Gli itinerari di dialogo che ho percorso mi hanno svegliato dal sonno dogmatico, mi hanno liberato dall'innocenza culturale, mi hanno smosso dalla comoda posizione della Modernità europea, mi hanno aperto nuovi orizzonti epistemologici».

In questi tempi oscillanti tra una radicale cancel culture e una ferrea autodifesa nazionalistico-sovranista, una simile opera diventa una griglia critica che permette di identificare un diverso paradigma polimorfo, non solo teologico ma anche socio-culturale a noi poco noto o fin ignoto, così da essere consapevoli che non è solo l'Occidente tradizionale a credere, pensare, operare nella galassia cristiana.

Ci si trova, così, di fronte a una narrazione religiosa che rivela sfaccettature policromatiche, elaborate però attraverso alcuni fili resistenti comuni, che non sono solo semplicemente postcoloniali e quindi critici delle spiritualità egemoniche indotte, ma che rilevano una loro originalità, anche se spesso connotata da istanze appassionate e persino colorite. In questa luce il programma che Tamayo si propone va ben oltre l'asserita "decolonizzazione" del sottotitolo, ed è ciò che emerge nelle pagine generali di apertura, vera e propria chiave ermeneutica per inoltrarsi nella mappa geografica successiva.

Essa si articola secondo i continenti, a partire dall'Africa, una terra spogliata ad opera della colonizzazione non solo a livello di materie prime, ma anche della sua identità spirituale. In realtà essa si rivela un pluriverso religioso tradizionale autonomo che si è incontrato, confrontato e talora scontrato col cristianesimo. Con una straordinaria chiarezza e concretezza che rende il suo testo da destinare a un pubblico molto più vasto dell'hortus conclusus teologico, Tamayo riesce a identificare tutte le nervature ideologiche di questo mondo penetrando fin negli angoli meno noti. Ne citiamo solo uno, l'ubuntu, che è un concetto filosofico bantu capace di ordinare la società secondo un personalismo dialogico, per cui ogni individuo è portatore di un valore intrinseco e di una dignità che genera rispetto reciproco. La nostra proposta della "giustizia riparativa" è già insita in questa concezione che ha fatto da guida anche alla pacificazione in Sudafrica propugnata dal noto vescovo anglicano Desmond Tutu, dopo l'oscura epoca dell'apartheid.

Più ardua (ma il risultato è efficace) è stata la decifrazione di un altro pluriverso religioso, quello asiatico. Esso ha imboccato un paio di arterie tematiche fondamentali, la liberazione (e qui entra in scena quel rimando palestinese delineato in apertura, ma il ventaglio si allarga alle fedi musulmana, indù, buddhista, confuciana) e il dialogo interreligioso, a partire dalla definizione stessa della categoria basica "religione". Anche qui non mancano le ramificazioni lungo sentieri secondari, come il pensiero dalit, lo strato sociale indiano più basso e fuori casta, o la teologia coreana minjung, "popolo", ossia la folla degli oppressi, dei poveri e degli emarginati.

Il terzo continente è naturalmente quello latino-americano, forse il più affacciato sul nostro orizzonte, non solo a causa di papa Francesco, ma anche per il forte impatto che ebbe la teologia della liberazione dalle tante iridescenze, minuziosamente catalogate da Tamayo. Infatti, essa si è articolata in una fitta rete di traiettorie, talora un po' surriscaldate: basti evocare il dialogo col marxismo, la dialettica con la Curia romana, la decolonizzazione culturale, la rottura epistemologica e politica con la teologia europea. A questi percorsi se ne sono aggiunti altri, anch'essi effervescenti, come l'ecoteologia, l'approccio femmminista e queer, il contributo della cultura indigena e persino quella teo-poetica della liberazione che ha avuto i suoi alfieri in Ernesto Cardenal, Pedro Casaldaliga, Rubem Alves.

Tanto altro si scopre nel saggio di Tamayo, destinato a interessare vari ambiti che travalicano il perimetro teologico. Esemplare in questo senso – oltre a quanto abbiamo già segnalato – è la cosmovisione olistica del Sumak Kawsay, il "buon vivere" delle religioni indigene assunto nella riflessione teologica soprattutto sudamericana.


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 22 settembre 2024

È da salutare con favore la pubblicazione del volume del teologo spagnolo Juan José Tamayo, che l’editrice Queriniana ha deciso di proporre al pubblico italiano alcuni anni dopo la prima uscita in castigliano. E un segnale di vitalità del mondo culturale cattolico nel nostro paese, nonostante i giudizi, non sempre puntuali, su una certa reticenza e stanchezza del cattolicesimo in Italia anche, ma non solo, sul piano culturale e intellettuale.

L’autore, originario di Amusco, nei pressi di Palencia, nel Nord della Spagna, è autore prolifico e originale che ha dedicato le sue energie professionali, da docente dell’Università Carlo III di Madrid, alle scienze delle religioni, ai femminismi e alle «maschilità sacre», ai fondamentalismi e alla teologia delle religioni, fino alla gerarchia cattolica e al senso di un approccio postcoloniale in teologia, quest’ultimo al centro del volume appena pubblicato.

Egli dichiara che dopo gli anni Ottanta, grazie all’influsso di convegni, incontri, congressi e dialoghi «filosofici e teologici, interdisciplinari, interreligiosi, interculturali e interetnici» (5), ha potuto fare teologia nell’orizzonte della liberazione, interpretata come una teologia in dialogo con la realtà complessa della povertà, della pace e della violenza, dei diritti umani, dell’alternativa tra Dio e il denaro, del femminismo, dell’ecologia, del neoliberalismo ecc.

Questo scambio tra esperienze culturali e intellettuali differenti ha consentito all’autore di tenere in conto aspetti esistenziali che, da europeo, non avrebbe sperimentato in maniera diretta. Proprio l’apertura al femminismo, per esempio, gli ha consentito di rivolgere le sue critiche alla «maschilità sacra», ma anche di identificare e combattere fenomeni rilevanti nell’ottica stessa di una vera parità di genere: dal razzismo allo sfruttamento di classe.

Tamayo concepisce il libro a partire da una posizione marcata, figlia di convinzioni graduali sedimentate in anni di confronti più e meno accademici: «Gli itinerari del dialogo mi hanno svegliato dal sonno dogmatico in cui ero collocato all’inizio del mio percorso teologico, mi hanno liberato dall’innocenza culturale, storica e di genere». Inoltre, l’autore riconosce come questi itinerari lo abbiano via via «disinstallato dalla comoda posizione nella modernità europea» e gli abbiano «aperto nuovi orizzonti epistemologici», non senza aver dato luogo a una svolta de-colonizzatrice che ha influenzato il proprio «modo di stare nel mondo, di vivere, di pensare la religione e di fare teologia, in un processo dialettico fatto di disimparare-reimparare» (11).

Il libro contiene 7 capitoli attraverso cui si snoda una riflessione che prevede una critica delle religioni egemoniche distribuite in 6 paradigmi (il monoteismo, il sistema cattolico-romano risalente al Medioevo, i cristianesimi coloniali africani, asiatici e latinoamericani, la colonizzazione del mondo islamico) che esemplificano l’urgenza delle sfide culturali odierne e i loro ostacoli; una panoramica delle teologie postcoloniali e decoloniali emergenti (la chiave qui è la creatività teologica del XX secolo, che spiana la strada alla decostruzione degli assunti storico-culturali di base in Occidente); una lunga presentazione degli approcci teologici cui fanno capo la denuncia e il ripensamento di tali assunti (è il turno delle teologie africane culturaliste e femministe, della liberazione e della ricostruzione, della teologia ubuntu, della teologia nera USA, delle teologie asiatiche della liberazione e del dialogo interreligioso, delle teologie latinoamericane e infine delle teologie indigene).

Tamayo individua alcune sfide ineludibili per il futuro della convivenza umana come realtà in cui esistono e hanno un ruolo le tradizioni religiose dell’umanità, sebbene con una forte critica delle storture alla base delle disuguaglianze e delle sofferenze provocate agli ultimi della Terra. La sfida da cui nasce questo libro è il colonialismo, unitamente agli sforzi decolonizzatori provenienti dai popoli oppressi. Il colonialismo cui si riferisce Tamayo è quello sintetizzato dall’antropologa Liliana Suárez-Navaz: non un periodo storico superato, ma un modello che sussiste come struttura e trama relazionale geopolitica. L’importanza degli studi postcoloniali risiede non solo nello smascheramento di questo modello, ma anche nel riconoscimento della soggettività autonoma degli sfruttati.

Le posizioni di Tamayo possono essere discusse, ma non possono essere ignorate. Esse sono pienamente parte del cambiamento culturale in atto dopo le illusioni ideologiche del Novecento. È un fatto che il XXI secolo conosca un rapporto sempre più stretto tra ricerca accademica e rivendicazione storica e personale. Un libro come questo segnala come il cattolicesimo resti uno dei pochi soggetti di respiro realmente globale per capire il mondo e adottare un’ottica di lungo periodo.


A. Ballarò, in Il Regno Attualità 10/2024, 308